Minori Stranieri non accompagnati
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Minori Stranieri non accompagnati
"Gambe fragili che sostengono un macigno": la sfida dei Minori Stranieri Non Accompagnati Il fenomeno dei Minori Stranieri Non Accompagnati (MSNA) ha assunto negli ultimi anni una certa rilevanza sociale, non solo per l'elevata diffusione ma anche per la complessità del fenomeno. Come riportato dal Dipartimento di Giustizia Minorile nel "Quadro di Riferimento normativo e diritto all'identità", la situazione dei flussi migratori si è, di recente, rapidamente modificata e l'Italia è diventata Paese non più di transito per altri Paesi ma d'immigrazione; in particolare, la consistente presenza di minori stranieri rappresenta un aspetto specifico del fenomeno migratorio, specialmente poiché richiede riferimenti normativi speciali. La definizione di "Minore Straniero Non Accompagnato" offerta dal Comitato per i Minori Stranieri recita: "per minore straniero non accompagnato presente nel territorio dello Stato si deve intendere il minorenne non avente cittadinanza italiana o di altri Stati dell'Unione europea che, non avendo presentato domanda di asilo, si trova per qualsiasi causa nel territorio dello Stato privo di assistenza e rappresentanza da parte dei genitori o d'altri adulti per lui legalmente responsabili in base alle leggi vigenti nell'ordinamento italiano (art. 1, comma 2 del DPCM 535/1999)". La categoria dei minori non accompagnati include, inoltre, situazioni esistenziali differenziate: minori stranieri non accompagnati privi di assistenza e rappresentanza da parte di adulti; minori coinvolti nella tratta e nello sfruttamento della prostituzione; minori stranieri i cui genitori sono in Italia, ma in condizione di irregolarità o in stato di arresto; minori affidati al Servizio Sociale su disposizione della Tutela Minori; nuclei familiari irregolari multiproblematici. Vi sono, però, tre caratteristiche principali, che accomunano le differenti situazioni: la minore età, la provenienza estera ed il mancato affiancamento dei genitori. La problematica principale riguardante questi minori, come rilevato da Cadei e Ognissanti (2012), è inerente all'ambivalenza della posizione da loro occupata, sia per lo statuto di soggetti migranti che per lo statuto di soggetti minori. Il fenomeno, infatti, riguarda persone a cui è riconosciuta una duplice identità politica di diversa competenza giuridica: da un lato vi è l'identità politica del "richiedente asilo", che attiva procedure di riconoscimento e di accertamento del diritto di protezione da integrare con le disposizioni in materia di erogazione dei servizi socio-assistenziali; dall'altro lato vi è l'identità politica del minore, che attiene alla tutela dell'infanzia e al quadro legislativo basato sui diritti e la protezione di tutti i bambini, quindi sulle tematiche di sostegno, cura e sviluppo (Cadei & Ognissanti, 2012). In tale complesso quadro giuridico che vede il minore oscillare tra la condizione di minore e quella di straniero, non è certamente favorito lo sviluppo integrale della persona, anzi, molto forte è, per questi ragazzi, il rischio di lacerazione identitaria. In quanto minori, sono in una delle fasi più delicate della crescita, l'adolescenza, fortemente proiettati verso il futuro. In questo periodo già di per sé tumultuoso, caratterizzato da una rielaborazione e messa in discussione di tutto ciò che è già stato acquisito, la condizione di minore straniero non accompagnato non semplifica di certo la situazione. Reduci dal lungo viaggio migratorio, in un periodo della vita già colmo di incertezze, si ritrovano in luoghi totalmente sconosciuti, lontani da ciò che per loro è familiare, da soli, senza relazioni forti su cui contare né adulti di riferimento che li aiutino a filtrare l'esperienza vissuta. Si sentono adulti e, per tutto quello che hanno vissuto, hanno buoni motivi per pensarlo; ma non lo sono. Cadei et al. (2012) li definiscono <<gambe fragili che sostengono un macigno>>. Nella migliore delle ipotesi riusciranno, a fatica, a sostenere e portare avanti questo peso. È in questo senso che la loro identità rischia di lacerarsi tra gli innumerevoli traumi vissuti e la frustrazione dell'insuccesso, di non aver raggiunto l'obiettivo. Inevitabilmente, l'angoscia della sconfitta e il forte senso d'inadeguatezza andrebbero a strutturarsi nella psiche (Cadei et al., 2012). In quanto stranieri, invece, portano con sé tutto il bagaglio d'esperienze che caratterizzano la storia dell'errante, di chi sa da dove viene, ma, molto spesso non sa dove va. Il pensiero e la mente sono rivolti al passato, ai propri cari, mentre il futuro è totalmente incerto, un vero punto interrogativo. Essere straniero vuol dire incontrare o, il più delle volte scontrarsi con una nuova cultura, spesso molto diversa da quella di origine. Una cultura che si basa e propone principi diversi dai propri. Una cultura che non conosce e che non ti conosce. Migrare significa infatti intraprendere un viaggio ai limiti della sopportazione, fuori legge, dove la vita è in pericolo ogni momento (Cadei et al., 2012). I minori stranieri si ritrovano, dunque, soli, a doversi orientare in una terra a loro sconosciuta, nella quale sono tanto "invisibili", a causa della complessa condizione giuridica e i diritti a volte non riconosciuti, quanto eccessivamente "visibili", a causa del colore della pelle o della lingua parlata. Tra pregiudizi ed ansie collettive, alimentate da un'errata e parziale informazione, si rischia di perdere di vista il loro vero essere e la loro vulnerabilità. Sono, inoltre, tutti questi fattori le cause scatenanti di un non avvenuto processo di integrazione. Aiutare, proteggere e tutelare questi ragazzi vuol dire non solo avere un interesse per il vissuto del minore, ma anche togliere nuove leve ai contesti criminali. Ciò è possibile cercando di rispondere nel modo migliore ai bisogni educativi e relazionali del minore. Quali risposte adeguate? Tra i diversi percorsi possibili, l'affido familiare sembra essere una delle soluzioni migliori per il minore, che ha bisogno di vivere in un clima intimo e sicuro, con genitori che offrono ascolto e protezione. La famiglia affidataria ripropone, inoltre, più facilmente i sentimenti positivi provati nel nucleo familiare d'origine. Alternativa altrettanto valida è l'affido omoculturale, ovvero un affido ad una famiglia proveniente dalla stessa cultura d'origine del minore affidato. Questa nuova via, per molti versi ancora nuova, permette non solo al ragazzo di conservare i propri valori di riferimento e di inserirsi gradualmente nella nuova cultura, ma funge anche da strumento di integrazione per la famiglia stessa, che si rende protagonista attiva delle politiche sociali all'interno del contesto italiano. Le strutture di seconda accoglienza, quali l'affido, offrono dunque un ambiente che non solo colma il vuoto lasciato dalla famiglia d'origine, ma si fa anche carico delle difficoltà del minore, educandolo e accompagnandolo affinché maturi e riesca a occuparsi, in maniera responsabile, di sé stesso e del suo percorso di vita. Grazie alla loro preziosa accoglienza, alle cure attente e all'amore gratuito, le famiglie affidatarie riescono a riconoscere e tutelare l'unicità del minore, in quanto persona con il proprio vissuto, educandolo al confronto con il nuovo ed informandolo dei propri diritti e doveri. È così che tali famiglie, con il loro puro atto d'amore, non solo sono un'ottima risorsa per il minore, ma offrono anche l'opportunità di formare cittadini attivi e responsabili della propria presenza in Italia, favorendo il passaggio da "minore in accoglienza" a "migrante lavoratore" (Cadei et al., 2012). Dott.ssa Rita De Simone Prof. Antonino Giorgi Riferimenti Bibliografici: L. Cadei, M. Ognissanti, "Sfide e prospettive del lavoro educativo nelle comunità con i Minori Stranieri Non Accompagnati", F. d'Aniello (a cura di) Minori Stranieri: questioni e prospettive d'accoglienza ed integrazione, LECCE: Pensa MultiMedia, 2012, pp. 89-108.