atti della conferenza sui minori non accompagnati
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atti della conferenza sui minori non accompagnati
ATTI DELLA CONFERENZA SUI MINORI NON ACCOMPAGNATI PRESENTAZIONE Il fenomeno migratorio verso l’Europa e più in generale verso i paesi ricchi, è destinato ad accentuarsi, soprattutto se non riusciremo a promuovere uno sviluppo effettivo dei paesi più poveri. Nessun Stato per quanto forte e organizzato è finora riuscito a dare risposte adeguate ed efficaci a questa ondata di immigrati, che è costituita sempre più da persone giovani, spesso minorenni. Nelle loro migrazioni, a volte involontarie, i minori stranieri vivono in una condizione di abbandono ed illegalità che li espone al rischio di abusi, sfruttamento ed emarginazione sociale. Ciò richiede alle Amministrazioni locali e a quanti si occupano a diverso titolo di minori, nuove modalità di lavoro per rispondere ai bisogni di questi nuovi cittadini. È quindi quanto mai urgente ed importante progettare interventi efficaci, in grado di garantire una reale integrazione dei minori migranti. La Regione Toscana ha richiesto ad ogni Provincia del territorio di approfondire una tematica relativa ai cittadini stranieri, in preparazione alla Conferenza regionale sull’immigrazione e questa Amministrazione ha ritenuto importante affrontare quella dei minori stranieri non accompagnati. Nasce così l’idea di una Conferenza sui minori migranti che sia anche punto di incontro della Rete REMI (Rete Euro-Mediterranea per la protezione dei Minori isolati) il cui obiettivo è quello di creare un sistema comune di assistenza dei minori non accompagnati in conformità alle disposizioni della Convenzione Internazionale sui diritti dell’Infanzia; rete per la quale la Regione Toscana e la Provincia di Lucca hanno firmato un protocollo d’intesa che le impegna ad azioni di sensibilizzazione e alla promozione di momenti di formazione e scambio di buone pratiche tra quanti si occupano di queste situazioni. L’obiettivo della Conferenza è quello di affrontare questa tematica per analizzarne gli aspetti legislativi, organizzativi, di buone prassi in modo da individuare strategie di risposta comuni ed efficaci nella costruzione di prospettive reali per minori. La pubblicazione degli atti della Conferenza è una prima azione per affrontare con maggiori conoscenze una problematica particolarmente delicata e complessa. 1 2 CONFERENZA SUI MINORI MIGRANTI NON ACCOMPAGNATI Lucca Palazzo Ducale Sala Maria Luisa - Sala Accademia 1 30-31 Marzo 2004 1 Giorno 30 MARZO 2004 Ore 9, 00 Saluti Autorità Coordina Rossana Sebastiani Dirigente Servizio Politiche Sociali e Sport Provincia di Lucca 9,30 Apertura dei lavori Intervengono: Andrea Tagliasacchi Presidente della Provincia di Lucca Cristina Rossetti Funzionario Area Socio-Assistenziale Minori della Regione Toscana Chi è il minore Introduzione audiovisiva a cura di Marco Vanelli Cineforum Cinit “Ezechiele 21,17” Benkhdim Sued Docente comunicazione interculturale Università Càfoscari di Venezia “I modelli educativi e culturali dei minori migranti non accompagnati” 11,30 Il quadro legislativo in materia di minori stranieri Intervengono: Joseph Moryersoen Coordinatore Segretariato di ChildOnEurope Rete Europea degli Osservatori Nazionali sull’Infanzia – Istituto degli Innocenti ”L’evoluzione della normativa sui minori stranieri non accompagnati” Stefano Scarpelli Responsabile Amministrativo del Comitato Minori Stranieri DIBATTITO Joseph Moryersoen Coordinatore Segretariato di ChildONEurope Rete Europea degli Osservatori Nazionali sull’Infanzia – Istituto degli Innocenti “Accoglienza e integrazione dei minori migranti non accompagnati nei paesi dell’Unione Europea” 3 Coordina Patrizio Petrucci Assessore ai rapporti con il Volontariato della Provincia di Lucca 15,15 Il quadro Organizzativo in materia di minori stranieri non accompagnanti Intervengono: Giovanna Giannasi Rappresentante Segreterie Tecniche delle Articolazioni Zonali delle Conferenze dei Sindaci “Il Servizio Sociale a tutela del Minore Straniero” Federico Fambrini e Sara Vitali Rappresentanti delle Associazioni del territorio “Le Associazioni: accoglienza e integrazione dei minori non accompagnati” Sonia Ridolfi Rappresentante delle Comunità per i minori del territorio “Le comunità per minori nella realtà della Provincia di Lucca” DIBATTITO 21,00 Adonella Guidi Educatrice della Cooperativa Sociale “Il Progetto” “Separated Children in Italy: ragazzi che scelgono il loro futuro” Presentazione del Video e dei risultati del Progetto a cura di Save the Children e della Coop. Sociale “Il Progetto” 2 GIORNO 31 MARZO 2004 9, 00 Apertura dei lavori Coordina David Pellegrini Assessore Politiche Sociali e Giovanili della Provincia di Lucca Intervengono: Angelo Passaleva Vice Presidente della Regione Toscana Guillaume Thiériot Consigliere del Presidente della Regione PACA Antonio Torre Vice Presidente della Provincia di Lucca – Assessore al Lavoro e alla Formazione Professionale Benauda Cherif Coordinatore UNICEF di Algeri Ore 10,30 Buone Prassi per i minori migranti non accompagnati 4 Intervengono: Madame Karadja Presidente dell’Associazione Ansedi – Rappresentante Rete euro-mediterranea per la protezione dei Minori Isolati “Minori Stranieri algerini: l’immigrazione clandestina verso la Spagna” Mokrai Azibou Presidente dell’Associazione Tadamoun di Tangeri Malik Koudil Educatore dell’Associazione “Giovani erranti” di Marsilia Rappresentanti Rete euro-mediterranea per la protezione dei Minori Isolati “Sostegno alle famiglie dei minori non accompagnanti” Valeria Rossato Rappresentante del VIS - Volontariato Internazionale per lo Sviluppo “Tutela e promozione umana dei minori migranti non accompagnati” ore 15,00 Coordina Francesco Angelini Presidente VII Commissione Politiche Sociali, Scuola e Cultura Anna Bini Dirigente Area D’Intervento Socio Assistenziale del Comune di Firenze “L’Esperienza dei minori stranieri non accompagnati del Comune di Firenze” Giovanna Sammarco Responsabile Ufficio Tutela Pubblica del Comune di Roma “Azione di sistema per gli interventi a favore dei minori stranieri non accompagnanti” M. Vanna Poli Pedagogista Responsabile Programma minori stranieri del Comune di Modena Grazia Stefanini Ricercatrice Consorzio Pluriverso e consulente del Comune di Modena per il Progetto “Minori Stranieri” "L’esperienza del Comune di Modena sui minori stranieri non accompagnati” Madame Harrak Magistrato della Corte Suprema presso il Ministero della Giustizia del Marocco “Dispositivi normativi sull’infanzia e la famiglia in Marocco” Meriem Belala – Presidente dell’Associazione Femmesen Detresses dell’Algeria e Dominique Lodwik – Direttrice dell’Associazione Giovani Erranti di Marsilia “Prospettive di Cooperazione in Algeria” DIBATTITO 18,00 Conclusioni a cura di David Pellegrini Assessore Politiche Sociali e Giovanili della Provincia di Lucca 5 6 1° GIORNO – 30 MARZO 2004 ANDREA TAGLIASACCHI Presidente della Provincia di Lucca Ringrazio tutti i presenti, tutti coloro che parteciperanno a questo dibattito, la Dottoressa Sebastiani, gli assessori, l’assessore Pellegrini, l’assessore Torre, che hanno lavorato per questa iniziativa, che mi sembra molto importante. L’Amministrazione Provinciale sta dando grande importanza, perché è una scelta di fondo a cui crediamo molto, al ruolo che, nel mondo globale, possono svolgere le comunità locali, per affrontare questioni che in realtà, se le guardiamo come ci sono presentate attraverso i mass-media, sono disarmanti e scoraggianti. C’è un ruolo che non riguarda soltanto le grandi nazioni, ed è il ruolo delle comunità locali, delle relazioni fra comunità locali per costruire una comunità solidale, per riuscire ad affrontare con concretezza alcuni problemi del mondo di oggi. Sicuramente la scelta di fondo è una scelta che pensa ad una comunità allargata, una comunità solidale, che mette al centro i valori della tolleranza, del rispetto degli altri e soprattutto della pace, perché se riuscissimo a dirottare tutte le nostre energie intellettuali, umane, verso questi obiettivi, molto probabilmente anche il problema che abbiamo di fronte in questo convegno potrebbe essere affrontato con più determinazione. Non dico con più ottimismo, perché la speranza è forte, credo, in tutti noi. C’è una frase di Tonino Guerra che mi ha sempre colpito fin da quando ho fatto la scelta di impegnarmi in politica " per essere dei buoni governanti bisognerebbe riuscire a tornare bambini." In realtà è una frase provocatoria ma per certi versi non è mai così attuale come nel mondo di oggi; in realtà Tonino Guerra pronunciò questa frase in un momento drammatico della storia dell’umanità, la seconda guerra mondiale e quindi nel momento delle grandi tragedie ad essa collegate. In fondo il mondo in cui viviamo oggi è un mondo che ha questo tipo di dimensioni e in molti viaggi che noi abbiamo fatto come Amministrazione Provinciale ci è spesso capitato in tanti paesi di vedere che i minori sono i più colpiti delle guerre di oggi, che coinvolgono e colpiscono sempre di più i civili e i bambini. Mi è capitato di vederlo in Sud America, in Algeria, in tante realtà del mondo. E di fronte a queste grandi ingiustizie anche fenomeni come quello dell’emigrazione e dell’immigrazione è evidente che ci ripropongono lo stesso tema. Inoltre dobbiamo costatare che nel mondo occidentale non siamo preparati ad affrontare un problema come quello dell’immigrazione. È strano, se pensiamo che, prima di altri, anche noi siamo stati un popolo di migranti. Ma queste sono cose che fanno parte della nostra storia e che spesso ci dimentichiamo. In realtà le cose che poi incidono nelle scelte quotidiane, in quelle dei governi, spesso sono velate da forti pregiudizi e quindi credo che diventi fondamentale il ragionamento che facevo all’inizio: la forza delle comunità, la forza del cittadino consapevole che metta al centro i valori della tolleranza, della pace, della solidarietà. Bisogna essere consapevoli di che cosa sta dietro allo sradicamento di un popolo, di un cittadino e soprattutto al possibile sradicamento dalla propria comunità di un bambino. Non c’è solo una dimensione politica, c’è anche una dimensione psicologica, perché in realtà il bambino è molto più fragile, molto più sensibile e vede il mondo con occhi che ormai forse noi abbiamo dimenticato e quindi una ferita può essere molto più profonda. Credo che lo sradicamento di un minore dalla propria terra, dalla propria famiglia, dalle proprie abitudini sia qualche cosa di inimmaginabile dal punto di vista psicologico. Una comunità che dovrebbe accogliere queste persone e che non si pone queste questioni non può dirsi una comunità civile. Bisognerebbe farlo presente anche con maggiore provocazione alle sceneggiate che ci vengono tutti i giorni proposte nei talk-show della nostra televisione nei nostri mass-media. Credo che il tema che affrontiamo stamattina sia un grande tema e noi siamo convinti e consapevoli che moltissime persone, associazioni e professionalità che stanno 7 negli Enti pubblici, negli Enti locali, nelle Comunità, nelle Associazioni del Volontariato, possano fare tanto in questa direzione. Credo che i lavori di questi giorni possano essere un segnale forte in questa direzione, anche di valutazione attenta di leggi, di proposte e di iniziative, perciò vi ringrazio nuovamente per aver partecipato a questo convegno e auguro buon lavoro a tutti. Grazie. ROSSANA SEBASTIANI Dirigente Servizio Politiche Sociali e Sport della Provincia di Lucca Grazie al Presidente per le sue parole. Io vorrei fare presente che questa conferenza nasce da una collaborazione con la Regione Toscana, perché in preparazione della Conferenza regionale che si terrà in autunno a Firenze è stato chiesto alle Province toscane un impegno sia nell’ambito dell’attività dell’Osservatorio proprio per conoscere in modo più profondo il fenomeno migratorio, sia a livello qualitativo che quantitativo ed anche un approfondimento da parte di ogni Provincia su una tematica particolare. La Provincia di Lucca in base anche ad esperienze passate di approfondimento su questa tematica e alla stipula di un protocollo al quale partecipano la Regione Toscana e diverse realtà sia italiane che straniere, per la costituzione della “Rete Euro-Mediterranea Minori Isolati”, ha deciso di approfondire la tematica dei minori non accompagnati. Prende ora la parola la Dottoressa Cristina Rossetti della Regione Toscana. CRISTINA ROSSETTI Funzionario Area Socio-Assistenziale Minori della Regione Toscana Sostituisco la Dirigente, Dottoressa Faenzi che stamattina per altri impegni istituzionali non ha potuto partecipare; mi occupo, come funzionario regionale, dell’Area Socio-Assistenziale Minori un argomento molto attinente alla discussione di oggi, attinente, e non esclusivo, come spiegherò successivamente . Giustamente il Presidente della Provincia richiamava prima alla realizzazione dei diritti dei minori perché oggi parliamo tanto dei diritti dei minori, la letteratura, anche giuridica, ormai ha fatto dei passi notevoli avanti nel decantare, scrivere sui diritti dei minori, però poi sappiamo benissimo quanto sia difficile realizzarli. È molto più facile enunciarli che poi attuarli con azioni e opportunità precise soprattutto per quanto riguarda i minori stranieri non accompagnati. Perché se è già difficile garantire i diritti ai cittadini e in particolare ai cittadini minori ancora di più la complessità, i bisogni, le risorse e le risposte che dobbiamo affrontare tutti insieme per cittadini minori stranieri non accompagnati è ancora più articolata e complessa. Ma perché questi minori, questi ragazzi vengono in Italia? Molto spesso ormai le comunità per minori sono occupate principalmente da minori stranieri non accompagnati, molti sono in carcere e ciò contribuisce a dare un’immagine di devianza di questi minori. Però sappiamo benissimo che questi ragazzi anche se vanno in carcere non possono usufruire di alcuna forma alternativa come i nostri ragazzi per cui se, sono soli e incappano in esperienze negative è chiaro che la prima risposta per loro diventa il carcere. Ma molti ragazzi vengono nel nostro paese soprattutto perché si trovano in gravi ristrettezze economiche, vengono per costruirsi un futuro, però poi la situazione, come diceva il Presidente della Provincia, non è facile. Si trovano lontani dai loro contesti di vita, si trovano da soli privi anche di tutele giuridiche, un aspetto molto grosso da affrontare prima ancora della tutela assistenziale. Sappiamo benissimo che per la legge 149 anche se questi ragazzi vanno in comunità il tutore non può essere più il responsabile della comunità per minori. Ma qui si apre una questione molto grossa riguardo le tutele, perché la prima garanzia per il ragazzo che è solo è la tutela giuridica. A chi poi affidare la tutela giuridica? Questa rappresenta gli interessi del minore a 360 gradi, solo successivamente entra in campo la tutela assistenziale. 8 La Regione Toscana già con la legge regionale 72 del 1997 aveva previsto in un articolo di legge l’Ufficio di Pubblica Tutela, riguardante tutti gli aspetti dei cittadini che si trovano in difficoltà con un’attenzione particolare anche ai minori. Questo ufficio è ancora in fase di elaborazione perché la realizzazione è molto complessa e articolata. Oggi è molto più attuale anche la discussione perché conoscete le proposte nazionali sul garante dei minori e in particolare sul garante a livello nazionale e a livello regionale, non tutti sono d’accordo su questa figura unica perché considerata troppo debole come rappresentanza degli interessi dei cittadini in generale e dei cittadini minori nello specifico, per cui si riapre tutta la discussione rispetto all’ufficio di pubblica tutela. La legge regionale 72 del ’97, che riguardava proprio l’organizzazione dei servizi socioassistenziali nella nostra regione, non solo ha dedicato uno spaccato importante alle politiche per l’infanzia e per l’adolescenza; (la Toscana è ricca di servizi per i minori sia quelli diretti alla normalità, pensiamo a tutta la rete degli asili nido, le scuole materne, servizi di supporto alla genitorialità); ma è anche ricca di servizi per quei minori che si trovano in difficoltà. Tutta la rete dei servizi di sostegno alle famiglie di origine, l’affidamento familiare per i bambini che non possono rimanere nel proprio ambiente, le comunità per minori, tutto il lavoro che abbiamo fatto sull’adozione, anche se degli obbiettivi raggiunti non ci dobbiamo mai gloriare, ma dobbiamo sempre essere critici per andare avanti e per essere in grado di tutelare maggiormente i diritti dei minori. Sulla questione specifica dei minori stranieri, la legge 72 aveva dedicato molta attenzione… (“aveva”, perché è in atto una revisione alla legge regionale 72), all’infanzia e all’adolescenza, e già, nel ’97, garantiva le risposte anche ai cittadini minori stranieri non accompagnati. In un articolo, (l’articolo 3 della legge 72), si dice che i minori stranieri non accompagnati hanno diritto alle stesse prestazioni dei minori cittadini italiani. Quindi, già nel ’97 la legge regionale aveva enunciato il principio che i minori stranieri dovevano essere tutelati a pieno titolo. Purtroppo fra i principi e le realizzazioni, ci sono vari interconnessioni fra le quali molto importanti sono chiaramente le risorse economiche. I minori stranieri non accompagnati fanno parte del fenomeno migratorio in generale. Su questo punto, non c’è mai stata chiarezza a chi poi devono fare riferimento e non è una questione di poco conto. Se devono far parte, come sostiene anche l’ANCI e la regione Toscana, del fenomeno immigratorio, è chiaro allora che nella legge sull’immigrazione dovrebbe esser compresa anche una quota di risorse da destinare al fenomeno dei minori stranieri non accompagnati. Altrimenti si rischia di far ricadere sui bilanci sociali tutte le situazioni dei minori in difficoltà, non avendo fondi specifici da destinare a questi settori d’intervento. La legge 285 aveva dato un respiro molto ampio all’articolo 4, cioè alle risposte socio-assistenziali per i minori. Ora, giustamente, la 285 è confluita nel fondo delle politiche sociali nazionali, però il fenomeno dei minori stranieri, che è un fenomeno molto ampio, non è mai stato considerato da un punto di vista di risorse. D’altro canto, però, gli Enti Locali, anche se non hanno avuto finanziamenti specifici, hanno dato grosse risposte ai bisogni dei minori, associando alle risposte dei bisogni anche le risorse economiche. Pensiamo a tutti gli inserimenti che sono stati fatti anche nelle comunità per minori, con dei progetti di intervento individualizzati. Qui vorrei veramente richiamare l’attenzione sugli operatori, in particolare sugli assistenti sociali che lavorano in silenzio, ma in maniera costante sui progetti individualizzati, affinchè questi ragazzi possano trovare poi percorsi di vita e diritti garantiti. C’è però un punto molto importante e ambiguo della legge che prevede che a 18 anni i ragazzi non possono rimanere in Italia, per cui di fatto se rimangono diventano clandestini, con la conseguenza che i progetti e tutto il lavoro che è stato fatto su di loro rischia di essere vanificato. I piccoli Comuni, in questo scenario, sono quelli che si trovano in maggiore difficoltà, ma anche i Comuni più grandi, perché ora cominciano, come risorse economiche, a trovarsi in forti difficoltà. E allora cosa succede poi nella realtà? Che i piccoli Comuni cercano di disinteressarsi dei minori stranieri non accompagnati dicendo “rivolgetevi al Comune più grande, perché è in grado di garantire certi diritti”. Questo è però abbastanza pericoloso, perché porta diversi rischi fra i quali uno dei più 9 gravi è una concentrazione del fenomeno. La Regione Toscana ha sempre portato avanti le politiche dei servizi alle persone dislocate sul territorio, evitando le grosse concentrazioni. L’altro rischio è la carenza di risorse economiche: come fanno i piccoli Comuni a far fronte a queste emergenze? La Regione, nel piano d’azione “Diritti dei minori” che il Consiglio Regionale, ha approvato il 23 dicembre 2003, (dopo il piano d’azione del governo, il piano d’azione “Diritti dei minori” è il primo piano d’azione di una Regione che viene approvato) ha esplicitato anche rispetto ai minori stranieri, alcune questioni determinanti. Una, la questione del bilancio, in quanto si dice non debba essere demandata tutta al socio-assistenziale senza una compartecipazione, con una grossa programmazione di chi si occupa dei bilanci dell’immigrazione. L’altro aspetto si richiama ad un fondo di solidarietà. Credo che quasi nessuna zona abbia istituito il fondo di solidarietà e ciò dispiace, perché, era un’enunciazione molto all'avanguardia che era stata fatta dalla Regione, sia nel piano sociale integrato che sul piano d’azione. Come Regione stiamo lavorando perché nel prossimo piano questo fondo di solidarietà venga gestito dalla Regione Toscana come esempio da seguire poi delle zone. La Regione, anche per altre questioni dei minori, ha già individuato che non tutti i Comunii possono dare le stesse risposte, se non c’è una rete di solidarietà anche fra gli stessi Comuni. In questo senso il fondo di solidarietà della zona era proprio un esempio per dire: “là dove capita la situazione anche al piccolo Comune, questo è in grado di gestire il bisogno e di dare la risposta adeguata”. In questa prospettiva, non importa che ogni zona, ogni piccolo Comune crei la struttura, ci si può valere di strutture situate in zone limitrofe. E' necessario cominciare a ragionare sull’ambito territoriale d’esercizio, individuare qual è il migliore, la zona, la sovrazona, il Comune, anche nell’area socio-assistenziale. Per i minori per il modello dell’adozione si è copiato un po’ la Sanità,per capire la programmazione oggi, in base alle risposte che dobbiamo dare, a quale livello si devono dare, perché altrimenti poi diventa un problema di risorse. Ma le risorse diventano anche un aspetto importante della programmazione; perché molto spesso si creano anche delle risposte, dei doppioni, perché cambiamo strada di una zona a un’altra, da un ambito territoriale a un altro. E allora bisogna in questo avere molta attenzione di cominciare a differenziare le risposte che devono rimanere vicino ai contesti di vita dei cittadini, le risposte che dobbiamo organizzare a livello di zona, le risposte che dobbiamo organizzare a livello sovrazonale anche se la titolarità sia della presa in carico che dell’onere economico deve rimanere a quel Comune dove il bisogno si è verificato. Su questo la Regione Toscana ha anche emanato una Circolare richiamando l’attenzione a questi aspetti che non sono indifferenti. L’anno scorso la Regione ha organizzato il Convegno Regionale sull’Immigrazione e all’interno del Convegno aveva creato un gruppo di lavoro proprio sui minori stranieri non accompagnati. Dal gruppo, dove erano presenti operatori di tutto il territorio, operatori di altre regioni, associazioni di immigrati, era stato prodotto un documento concordato che ora dovrebbe servire come base per lavorare sulle linee del prossimo convegno. Credo , però,che per i minori stranieri non accompagnati le cose purtroppo non siano andate avanti a livello generale; quindi vi leggerò alcuni punti che abbiamo concordato perché credo che rimangano elementi di discussione per il prossimo convegno sperando che nel frattempo qualcosa si modifichi, anche se sono processi molto lenti. Noi nel gruppo di lavoro avevamo scritto che fra gli obiettivi ipotizzati a livello nazionale doveva essere costituito un tavolo di lavoro in sede di conferenza unificata per esprimere una strategia concordata tra Regione, ANCI, Amministrazioni centrali come richiesto dall’ANCI in molti documenti. Il tavolo almeno è stato istituito, un piccolo passo avanti lo abbiamo fatto e io domani non potrò seguire i lavori di questo convegno perché l’argomento minori stranieri non accompagnati per la prima volta verrà trattato nella sede tecnica del tavolo alla conferenza Stato-Regioni. Quindi anche se il processo è lento, qualcosa si comincia a muovere; perché per la prima volta domani è argomento di discussioni al tavolo tecnico della conferenza Stato-Regioni. L’altro obiettivo era riconoscere ai Comuni che per legge hanno la titolarità della protezione del minore e quindi hanno la titolarità di 10 garantire ai minori stranieri non accompagnati la tutela e l’assistenza, dare ai Comuni sostegni finanziari per il riconoscimento di queste competenze. Fra l’altro la questione dei minori stranieri, come legge, oggi si pone in un momento ancora di grosso cambiamento perché da una parte c’è la legge sull’immigrazione che, come legge, è una competenza nazionale; però poi nel frattempo per la riforma del Titolo Quinto tutta la materia socio-assistenziale è passata di competenza delle Regioni. Quindi anche come scenario legislativo è un momento di grosso cambiamento. A livello regionale avevamo ipotizzato di armonizzare soprattutto le procedure per i minori stranieri non accompagnati, perché, anche nel territorio della Regione Toscana, anche se abbiamo un Tribunale per i Minorenni unico nell’ambito regionale che ci avrebbe dovuto facilitare, le procedure poi sono molto differenziate in base al territorio dove il ragazzo si trova. Veniva rimarcato che in base proprio alla legge regionale 72 e del 97 gli oneri economici del minore straniero non accompagnato dovessero rimanere a carico del Comune dove sorge il bisogno. Molto spesso questo articolo di legge non viene rispettato in primis dagli operatori e poi dagli enti locali. A livello nazionale chiedevamo che fosse prevista una quota da destinare al fenomeno migratorio dei minori stranieri non accompagnati e soprattutto anche che il Governo chiedesse un fondo europeo per questo fenomeno. Oggi la rappresentanza anche della Rete Remì è finalizzata a creare proprio una rete di sinergie a livello europeo sul fenomeno, su questa questione che ci interessa tutti. Io concludo solo col dire che prima che Funzionario della Regione Toscana, io mi sono sempre considerata e me lo ricordo tutti i giorni, di essere un cittadino. Quindi, se vogliamo stare, come diceva prima il Presidente della Provincia, dalla parte dei minori che veramente abbandonano tutto per tentare di farsi una vita e un futuro migliore (e non solo per loro, ma anche per le loro famiglie), bisogna veramente aiutarli concretamente in questo percorso. Grazie. ROSSANA SEBASTIANI Dirigente Servizio Politiche Sociali e Sport della Provincia di Lucca Grazie alla Dott.ssa Rossetti che ci ha già introdotto nel vivo della materia di queste giornate. Tra l’altro vorrei ricordare che proprio ieri sera c’è stato alla televisione un filmato di Save the Children che metteva in evidenza come in Italia i minori non accompagnati sono 134.000, non tantissimi, ma un numero discreto. Quindi riuscire per loro a trovare modalità migliori e più proficue di integrazione sul territorio è senz’altro una scommessa che va giocata tutta. Vorrei illustrare brevemente l’organizzazione delle giornate perché come dicevamo in apertura gli interventi del pomeriggio sono finalizzati sia ad approfondire queste tematiche che a creare un collegamento con la Rete Remi che ha presente sul territorio nazionale diversi soggetti. Infatti ad essa hanno aderito sia la Regione Toscana che la Provincia di Lucca ma, anche altre Regioni, alcuni Comuni, come il Comune di Roma e diverse Associazioni. Vorrei ringraziare la Cooperativa Crea, il GVAI, il Ghibli che a livello locale collaborano con noi nella realizzazione di questo programma. A livello della Rete REMI sono presenti in sala rappresentanti della Spagna, della Francia, del Marocco e dell’Algeria ed inoltre diverse Associazioni. Sono presenti le associazioni Giovani Erranti, l’Associazione che poi ha promosso la realizzazione di questa Rete e noi dobbiamo ringraziarla per il grosso apporto che dà alla continuità di questo programma, l’Associazione Tadamonte di Tangeri e Donne in difficoltà e l’Associazione Ansedi, Associazione nazionale di sostegno ai bambini in difficoltà. Abbiamo previsto tre sessioni nell’organizzazione della Conferenza, una sessione che dovrebbe approfondire maggiormente gli aspetti legislativi viste le numerose modifiche che si sono avute dal 1998 ad oggi, sia a livello parlamentare che di Governo e che hanno portato ad un’articolazione della legislazione vigente in materia sempre più complessa e a volte di difficile applicazione. Noi vogliamo comunque approfondire sia il quadro legislativo attualmente vigente sia alcune delle problematiche che sono particolarmente significative ed importanti per l’integrazione dei minori non accompagnati. 11 La seconda sessione della Conferenza dovrebbe approfondire gli aspetti organizzativi, gli interventi che gli Enti attuano sul territorio, in collaborazione con le Associazioni, per garantire la tutela dei diritti dei minori che sono presenti sul territorio, perché l’obiettivo degli Enti è la tutela. E’ ugualmente poi importante anche garantire il rispetto della cultura d’origine da cui il minore proviene e l’integrazione sociale e civile nel nostro contesto sociale. Nel pomeriggio sono previsti interventi da parte sia di rappresentanti delle Zone Socio-Sanitarie che delle Associazioni che sul territorio collaborano con le Istituzioni nella realizzazione di interventi di accoglienza. Altri interventi sono previsti da parte dei rappresentanti delle Comunità per minori e di Associazioni che curano l’inserimento dei minori non accompagnati. La terza sessione riguarda lo scambio di esperienze di buone prassi, che è l’obiettivo prioritario della rete REMI, cioè favorire una sensibilizzazione su queste problematiche, uno scambio tra le diverse realtà, sia nazionali che internazionali, che già svolgono esperienze significative. Ci sembra il modo migliore per sviluppare questa tematica che ha, oltre il contributo di tutti coloro che ci lavorano, necessità di ulteriori stimoli e approfondimenti. Noi vorremo entrare nel vivo di questa Conferenza in un modo più diretto proponendo un profilo del minore straniero, che aldilà delle parole ci possa comunicare veramente alcune sensazioni riguardo alla situazione in cui si trova a vivere il minore che parte dal proprio paese per andare in un paese straniero, da quale progetto, da quali aspirazioni parte, quali difficoltà trova nell’impatto con una realtà che tante volte non è quella immaginata. Per questo avevamo pensato di proporre alla vostra attenzione questa tematica da un lato con la realizzazione di un filmato che ha prodotto per noi il Cineforum Ezechiele di Lucca e dall’altro con le parole di una persona che ha maturato un’esperienza sul nostro territorio nazionale, ma ha la cultura, del minore che proviene da un paese straniero. E quindi, con le parole di Benkhdim Sued, alla quale, dopo il filmato, vorrei lasciare la parola. Con questo intervento vorremmo dare una prospettiva diversa, emotivamente più coinvolgente con cui sia possibile calarci nella realtà del minore che affronta questa esperienza. Ora vi leggerò una traccia della relazione di Marco Vanelli, che ha curato la realizzazione del video. Il titolo del filmato è “Minori tra due mondi”. “Diviso in cinque parti, il video illustra più che raccontare, alcuni spaccati di vita di minori extracomunitari che vivono o sopravvivono nel nostro mondo. Il primo episodio consiste in una voce, la voce di un giovane tunisino che afferma di possedere due terre, due patrie, due modi di vita, cui è ugualmente attaccato: l’Italia, che lo accoglie pur nella difficoltà di un inserimento; e la Tunisia, povera, ma piena di vitalità. Idealmente la sua storia si fonde con quella del ragazzo marocchino, che trova intorno a sé, nella grande città italiana dove si muove, appena tollerato, dei segni che li ricordano la terra di origine: il fumo di un latte caldo si fonde nella mente con quello del tè bevuto al suo paese, assieme agli amici, giocando a carte, mentre il rapace tenuto in mostra per le strade assolate e polverose del Nordafrica si ricollega ai piccioni che volano nel cielo grigio delle nostre latitudini. In tutti i casi è importante tenere vivo il filo della memoria, come per i bambini africani, che dietro ai vetri di una finestra, vedono nevicare. Dove sono nati non c’era la neve. C’era miseria, lavoro duro nei campi e per le strade, ma forse c’era anche un sorriso in più. Allo stesso modo, l’altro ragazzino di colore guarda per strada le famiglie europee, felici, e ricorda il proprio villaggio di capanne, dove il nonno vive ancora, e dove si aggira una iena, che lo fa sobbalzare nel sonno. Nostalgia o scampato pericolo? Nell’ultimo episodio il rapporto si inverte: non è più un presente in bianco e nero contrapposto alla memoria colorata e libera della patria; ma un contesto multietnico, dove bambini di tutte le razze, a colori, suonano all’unisono dei tamburi. Per contro, il ricordo è triste, e sa di guerra, di miseria, di navi della speranza e di una lingua italiana imparata per disperazione. Ma i tamburi ritornano nel finale, dove delle mani infantili disegnano stelle (forse della bandiera europea), accanto a un vocabolario, su cui si possono cercare, in italiano, parole come pace, solidarietà, futuro.” Vorrei ora lasciare spazio alle immagini e poi alle parole di Benkhdim Sued. 12 BENKHDIM SUED Docente comunicazione interculturale Università Càfoscari di Venezia In realtà sono molto emozionata, lavoro da anni con i minori non accompagnati, ma la visione del filmato mi ha risvegliato emozioni e ricordi che solo il linguaggio delle immagini ha il potere di fare. Spero di non impoverire molto queste immagini così belle, emozionanti, ma anche tristi di ragazzi facendo notare come il filmato colga un elemento fondamentale della cultura mangrebina che è il rapporto con la natura e gli animali; nella lingua araba quasi tutti i termini che parlano di minori appartengono alla natura. Il raggio del sole quando si avvicina al tramonto ha il significato della fragilità come pure il cammello che si mette a disposizione per far salire l’uomo perché nessun uomo sarebbe capace di farlo. Il regista ha toccato quasi tutti i termini arabi , ha molta professionalità anche se il filmato è espresso in italiano. Il fatto di abbinare sempre il minore alla natura è importante perchè quasi tutti i termini in arabo che parlano di bambini o minori, vengono descritti secondo animali o elementi della natura. La nostra cultura ha una ricchezza incredibile della cultura orale che non viene mai scritta o registrata da nessuna parte. E l’inizio con l’immagine della stazione. È vero, quasi tutti gli immigrati iniziano la loro avventura così. Anch'io sono partita venti anni fa dal Marocco, da Casablanca da una terra tutta rossa arrivando a Copenaghen, in Danimarca, una terra tutta bianca e veramente io non dimenticherò mai il primo impatto. Scendendo dall’aereo l’assistente che mi stava accompagnando fuori (sono partita dal mio paese con le scarpe da ginnastica e una giacca molto leggera), mi ha detto “metta qualcosa di pesante”. Io la guardo sorridendo e le dico “no, no, va bene”, lei mi guarda un po’ veramente stupita. Si aprono le porte dell'areoporto, era un freddo enorme. L' immagine del ragazzino che dorme nel cassonetto dei rifiuti, rende bene la situazione di molti immigrati. È vero, io avevo più possibilità perché sono andata dopo la mia laurea, ma l'impatto con il freddo diventa veramente un’impresa molto difficile. Quella mia esperienza del freddo della terra tutta bianca mi ha costretto a stare a letto per quasi un mese e da lì ho imparato che prima di viaggiare bisogna chiedere come è il clima, cosa che, quando un ragazzino non accompagnato lascia il suo paese, non può assolutamente prevedere. Le stazioni sono il punto di arrivo e di partenza, ma spesso diventano centri di accoglienza per questi ragazzi appena arrivati in Europa. Questi ragazzi vivono con il terrore di essere sempre arrestati o rimandati a casa loro; nel filmato questa situazione è resa dall’immagine di due agenti di polizia e dei ragazzini impauriti, guardinghi, attenti, per paura di essere presi. L'immagine del latte, ricorda qualcosa di caldo, il rituale del tè alla menta, cerimonia molto bella che evoca il ritorno alle radici, alla maternità, al bisogno di affetto e protezione. Il filmato rimanda immagini di ragazzi poveri, ma sorridenti a sottolineare la speranza e la voglia di vivere di queste persone. La musica finale ci vuole sottolineare l'idea del vivere insieme iniziando a fare delle cose insieme come appunto può essere il linguaggio universale della musica. Altra cosa interessante è il dizionario e il disegno della stella. Noi speriamo veramente che i loro sogni vengano realizzati. Il dizionario e il passaporto, il permesso per vivere tranquilli, imparare le prime parole significa anche il segno di massima integrazione e inserimento nei paesi di arrivo. Il commento che ho voluto fare del filmato mi ha permesso di entrare nel merito del problema. Mi dispiace molto per il regista perchè non sono una grande commentatrice di film, però so cosa significa quando queste parole si sentono veramente e partono anche da dentro perché lavorando con i ragazzi immigrati ho avuto modo di costatare quanto sia dura la loro realtà. Questa è la mia storia: io vivo a Torino, dall’87 e lì lavoro… Sono venuta dalla Danimarca con una richiesta dal Ministero della Giustizia negli anni ’80 quando i minori non accompagnati hanno cominciato a fare ingresso negli Istituti Penali. Si trattava di ragazzini che parlavano solo arabo o dialetti maghrebini, ma gli operatori parlavano solo italiano e perciò ho iniziato il mio lavoro di mediatrice. Negli anni ’80 non c’era ancora una grande cultura di accoglienza rispetto ai minori non accompagnati. La cosa veramente che mi ha spaventata in quegli anni è che molti ragazzi finivano 13 dentro per mancanza di documenti ed entravano in contatto spesso con altri ragazzi che avevano anche dei reati abbastanza gravi e in questo modo si veniva a creare una commistione deleteria per l'educazione di questi minori. Si pose così l'esigenza di trovare altre alternative. E così grazie a un Tribunale di Minori molto sensibile abbiamo cominciato a formare degli operatori che operassero non solo negli Istituti Penali, ma anche nelle Comunità per accogliere questi ragazzi. Purtroppo, in quasi tutti i paesi soprattutto in l’Italia, i progetti dell’accoglienza hanno una scadenza limitata, addirittura in alcune zone il finanziamento per i minori dura solo i primi sei mesi dell’anno. Perciò abbiamo pensato di dare un’alternativa più continuativa, puntando molto sulle famiglie straniere e per la prima volta abbiamo cominciato a formare delle famiglie marocchine che hanno cominciato a prendere in affidamento i ragazzi. È ovvio, una famiglia immigrata che sta facendo fatica ad integrarsi, ha paura ad accogliere un ragazzo che magari ha avuto precedenti penali e perciò necessita del massimo sostegno, ma bisogna portare le Istituzioni a riconoscere questi progetti. Un progetto alternativo ha una durata e una scadenza e pone una serie di problemi sul futuro del ragazzo beneficiario dello stesso.Quando il progetto scade questo ragazzo dove va a finire? Per questo, quando si lavora su progetti alternativi nelle Comunità, si lavora sul rientro presso la famiglia di origine. E qui nascono un'altra serie di problemi di difficile soluzione, sia perché spesso le famiglie non esistono, sia perché non sono in grado di riaccogliere il minore. E quindi all’inizio degli anni ’90 la scoperta più pesante che abbiamo fatto è che questi ragazzi dopo la misura alternativa diventano i corrieri della droga, vengono chiamati “cavalli” e vengono utilizzati anche come assaggiatori della droga. Inoltre dato che hanno collaborato con l’Istituzione, il “giro” non si fida e quindi dà loro il lavoro più pesante. Quando finiscono in carcere devono scontare anche pene molto pesanti, condanne anche abbastanza lunghe. Perciò quando noi cerchiamo di accompagnare un ragazzo verso un progetto alternativo, perché conta sulla nostra fiducia abbiamo l’obbligo anche della continuità. Siccome spesso le Istituzioni non garantiscono una continuità interna bisogna attivarsi con le famiglie, dando loro una formazione, un sostegno, un accompagnamento. Purtroppo non ci sono tante famiglie disponibili per mancanza di alloggi, di tanti altri requisiti, però se abbiamo lavorato per diciassette anni e abbiamo sensibilizzato tredici famiglie in Piemonte per noi già questo è un grande passo. Fino a due anni fa abbiamo partecipato ad una ricerca sui minori non accompagnati, che è stata pubblicata e si intitola “La fatica di crescere” (la pubblicazione è fatta in italiano, in francese e in inglese), nella quale abbiamo affrontato il problema non solo a livello locale, perché la criminalità organizzata è un fatto globale , ma a livello internazionale. Oggi le mafie non lavorano più soltanto in Italia, ma possono essere in qualsiasi parte del mondo. Se chiedi ad un ragazzino questo, non dà mai una risposta. Anche rispetto al suo viaggio è difficile avere informazioni perché i ragazzi subiscono molti passaggi: c’è chi li ha ospitati per due, tre giorni, una settimana, chi li ha dato da mangiare, chi li ha dato da cambiare vestiti e così via e non sono certo centri di accoglienza o di assistenza. Quando noi cominciamo con il nostro lavoro di educazione alla legalità mettendo i tasselli troviamo una grande e capillare organizzazione radicata in varie parti del mondo. Molto spesso questi ragazzi soprattutto Maghrebini, provenienti da villaggi poveri o da quartieri popolari delle grandi città, si vestono con vestiti firmati, sono attratti da questi simboli del benessere, altri soprattutto quelli provenienti dalla Romania hanno bisogno di stabilità perché provengono da situazioni familiari disgregate. Cosa possiamo offrire? In genere il patto che facciamo con i ragazzi è “io ti offro stabilità, un progetto, una formazione per il tuo futuro, ma chiedo anche tanto da te, non è che devo solo darti”. Ma io quando dico “io” significa ovviamente tutte le Associazioni, Istituzioni con le quali collaboriamo. “Io ti chiedo una cosa che è molto cara quando ti sei realizzato: di diventare un nostro socio, un volontario”. È vero, i ragazzi che abbiamo seguito diciassette anni fa oggi hanno più di trent’anni, sono genitori di bambini e sono i nostri grandi sostenitori. Il problema che hanno molti ragazzi non accompagnati è quello di non andare mai a cercare i servizi; è per questo che deve muoversi l’Associazione e lo fa con un’unità mobile organizzata con degli oggetti dei paesi di provenienza andando a trovare i ragazzi nelle case abbandonate, nel giro 14 dove spacciano, dove rubano. I ragazzi hanno solo un numero di telefono del loro sfruttatore, del piccolo sfruttatore, perché quelli grandi non si vedono mai e noi gli lasciamo un altro numero di telefono. E’ difficile che un ragazzo della strada venga da noi, deve veramente o fare finta di essere malato e quindi dimostrare di aver bisogno dell’ospedale e addirittura abbiamo visto alcuni ragazzi che spacciano fare finta di vendere la roba ad un poliziotto o ad un carabiniere per finire in carcere perché dalla strada non possono mai assolutamente togliersi. Hanno i loro controllori e anche noi dobbiamo muoverci con grande attenzione. Un ragazzo di diciassette anni che ha cambiato casa diciotto volte vuol dire che ha grosse difficoltà a fare questo. Se ogni ragazzo guadagna da mille euro a due alla settimana per il suo sfruttatore, è ovvio che togliendo almeno una decina di ragazzi dalla strada al mese, abbiamo tolto tanta ricchezza a questi sfruttatori. E dall’unità mobile cominciamo il nostro primo lavoro, ma abbiamo visto che molti ragazzi non accompagnati non riescono a reggere un programma con degli orari ben precisi perché da un ragazzo che non ha mai conosciuto le regole, non possiamo pretendere dal primo giorno che abbia una vita normale e tranquilla. Non solo, sono ragazzi che si vergognano tanto quando entrano a scuola e non sanno magari neanche scrivere il loro nome quindi dobbiamo inventare qualcosa che li faccia stare bene, ma che li lasci anche liberi di esprimersi. Vediamo che sono ragazzi che nella strada, nel freddo, nello sfruttamento maturano un senso di rabbia e anche di rifiuto verso l’adulto, verso l’educazione. Noi dobbiamo avvicinarli con qualcosa, senza parole perché basta sentire il profumo dell’hennè, ma non solo (la nostra scuola si chiama “la scuola dell’affetto”) perché l’hennè deriva da una parola araba che significa “affetto”, e quindi questi ragazzini con il disegno cominciano ad esprimersi, a disegnare delle cose che noi non abbiamo mai saputo, dato che non è stato possibile avere un colloquio con loro. Io ho seguito dei ragazzi per sei anni, ma per la prima volta vedendo un disegno fatto da uno di loro ho capito il tragico viaggio che ha intrapreso da Casablanca a Genova (sono partiti in sette e sono arrivati solo in due perché gli altri compagni di viaggio sono morti). In un altro disegno ho visto un camion in una zona di Casablanca e un bambino solo a metà per terra. E da lì veramente ho capito come fanno molti ragazzi per partire; salgono in due su una moto, uno dei due cerca di aprire il telo del camion da sopra, i camion che arrivano in Spagna, in Francia, in Italia e il ragazzo che si siede dietro la moto sale sul camion. Spesso succede che non misura molto bene la distanza e cade sulla strada, in questo disegno il ragazzo caduto ha sbattuto contro la spalletta di un ponte ed è morto perché poi è stato investito da altri camion. Sono delle storie molto pesanti. Anche se gli psicologi ritengono che il colloquio non si fa a tre, e poi quando un ragazzo non parla l’italiano come si fa ad avere un vero dialogo? E allora sarebbe necessario prevedere figure di “etnopsichiatri “che sono capaci a far raccontare ai ragazzi questi episodi e questa esperienza di vita molto difficile. Vuole il caso che un artista italiano, Michelangelo Pistoletto, ha visto questi disegni nel 2002 e si è reso disponibile per portare i loro quadri ad una mostra internazionale dell’arte sociale. I ragazzi hanno partecipano ed hanno vinto il premio internazionale dell’arte sociale, è stata un’emozione grandissima. Così alcuni ragazzi che hanno vissuto sempre in mezzo alla strada e non sono mai stati valorizzati, hanno cominciato ad accompagnare il loro lavoro in quasi tutti i musei europei ed a settembre vanno anche fuori Europa. Io credo in questa cosa, non bisogna solo promuovere il lavoro dei ragazzi, ma rendere loro stessi promotori di queste iniziative. E grazie a questa mostra e al premio che hanno vinto abbiamo messo a disposizione un laboratorio multimediale di formatori danesi che hanno loro insegnato ad essere operatori televisivi. Erano dieci ragazzi non accompagnati, cinque ragazze di seconda generazione, oggi hanno i contratti più belli in Europa e quindi lavorano con molti canali televisivi hanno una grande professionalità e un permesso di soggiorno per poter girare, ma non più come clandestini, ma come operatori che vedono il mondo con altri occhi. Sono ragazzi che magari vengono dalle campagne e da quartieri popolari. Soprattutto i ragazzini che hanno vissuto in campagna hanno bisogno di vedere qualcosa di concreto. Io mi ricordo quando gli operatori chiedevano ai nostri ragazzi “puoi dirmi il tuo progetto di vita?”. Il ragazzo si spaventa perché i progetti nei nostri paesi sono legati a imprenditoria a fare aziende, mettere in piedi qualche 15 cosa di grande e interessante. Allora come rendere queste cose al loro livello? E non solo questo, bisogna dare ai ragazzi qualcosa che è semplice da realizzare, quindi abbiamo messo in piedi il laboratorio dell’arte bianca, perché a loro basta mettere insieme un po’ di farina, acqua e sale e si produce il pane e quindi loro almeno che sono stati sempre emarginati, che non hanno combinato niente, che non hanno mai studiato, possono almeno iniziare a realizzare qualcosa con le loro mani. E quando è nato questo laboratorio per noi l’essenziale era introdurre anche delle figure adulte e per questo noi abbiamo messo a disposizione un progetto che si chiama “allargare la genitorialità”. Sono famiglie mangrebine che vengono a fare il pane con i ragazzi e con il tempo diventano anche i loro genitori. In arabo si dice che quando si fa il patto del sale si fa un patto di amicizia per tutta la vita. Sono cose tradizionali però le vedo veramente realizzabili e concrete. Oggi la cosa più bella che ho visto è che molti ragazzi non accompagnati insegnano tanto ai ragazzi di seconda generazione, quando vengono affidati a queste famiglie. Perché il ragazzo che è venuto con il ricongiungimento familiare non è obbligato ad andare a lavorare o a fare sacrifici. È ovvio che ha qualche problema di integrazione, vive due mondi, però ha la famiglia alle spalle che lo aiuta e gli dà sicurezza affettiva. Sono molto contenta di vivere e lavorare in Italia. Io ho visto il lavoro del volontariato, è di una ricchezza incredibile. Quando alcuni miei colleghi francesi o spagnoli vengono, mi chiedono come mai anche nelle Istituzioni c’è molto volontariato, mentre dovrebbe essere divisa dal volontariato. Io dico che senza volontariato l’Italia non può andare avanti, perché i progetti finiscono, hanno delle scadenze e il volontariato è il motore che continua questa vitalità e questa opera che non ferma gli anni del minore alla scadenza di un progetto, ma continua a vivere. È grazie al volontariato che i nostri minori crescono. Quando si parla di minori non accompagnati cerco sempre di valorizzare molto alcune loro caratteristiche. Non voglio che siano sempre solo una categoria assistita, hanno veramente una scuola di una ricchezza incredibile. Oggi io se tengo un master di comunicazione interculturale all’Università di Venezia è grazie a loro. Vengono operatori e studenti da tutto il mondo perché mi hanno prestato i loro occhi per vedere il mondo, il loro mondo è di una ricchezza che non è ancora tutta scritta. Bisogna imparare anche questa loro grande cultura. Vi invito anche a riflettere, oggi noi abbiamo nel nord molti ragazzi non accompagnati che appartengono a famiglie, ma che sono scappati magari dalla Spagna, dalla Francia ma anche dal sud dell’Italia. Vengono dichiarati minori non accompagnati. È inutile sprecare tante risorse se un minore ha fatto già progetti di due anni, tre anni in questi paesi; allora perché noi continuiamo a sostenere ragazzi per i quali magari è meglio tornare in Spagna o in Francia? Dobbiamo anche collaborare fra i nostri paesi, vedo che oggi sono presenti alcuni rappresentanti. Se non maturiamo una cultura di grande collaborazione stiamo perdendo tante generazioni. Finisco con una frase sempre positiva. Oggi i ragazzi che seguiamo nei nostri laboratori mi affascinano per le tante lingue che parlano. Se oggi vediamo una ragazzina nata a Torino da una mamma maghrebina e da un papà tunisino quando racconta le sue giornate lo dice in italiano, quando canta e balla lo dice in maghrebino e quando si arrabbia lo fa in tunisino. E questa è la ricchezza delle nuove generazioni italiane. Grazie ROSSANA SEBASTIANI Dirigente Servizio Politiche Sociali e Sport della Provincia di Lucca Grazie a Benkhdim Sued per il suo intervento veramente molto partecipato ed incisivo ed anche per l’immagine finale che ci dà l’idea d’ integrazione di mondi diversi. Ci sono alcune variazioni sul programma previsto. Interverrà con una relazione sul quadro legislativo il Dottor Joseph Moryersoen Segretario di ChildONEurope Rete Europea degli Osservatori Nazionali sull’infanzia; gli altri interventi per motivi logistici di assenza dei relatori non avranno luogo. 16 Il minor numero di interventi forse ci darà la possibilità di approfondire e sviluppare meglio questa parte riguardante l’aspetto legislativo che essendo abbastanza complesso, spesso può creare difficoltà nell’interpretazione e applicazione della normativa. Do la parola al Dott. Moryersoen che interviene sul quadro legislativo in materia di minori stranieri. A conclusione della mattinata anticiperemo anche l’intervento che il Dott. Moryersoen avrebbe fatto domani mattina perché ha altri impegni di lavoro. JOSEPH MORYERSOEN Coordinatore Segretario di ChildONEurope Consulente legale presso l’Istituto degli Innocenti La condizione giuridica del cosiddetto “minore straniero non accompagnato”1 ha subito in Italia, dal 1998 a oggi, profonde modifiche a causa di una serie di interventi normativi di Parlamento e Governo. Le norme entrate in vigore sono contenute in provvedimenti formalmente eterogenei che disciplinano le diverse problematiche dell’identificazione, dell’affidamento, della tutela, dell’accoglienza, dell’autorizzazione al soggiorno o del rimpatrio del minore straniero non accompagnato. La formazione progressiva della disciplina ha comportato alcuni problemi di coordinamento fra le norme approvate. Le conseguenti lacune e la difformità delle prassi adottate dagli enti pubblici e dalle autorità di pubblica sicurezza rendono importante un esame attento dell’intero corpo normativo. Occorre, d’altro canto, osservare che la normativa che si intende esaminare costituisce il primo vero tentativo del legislatore italiano di disciplinare compiutamente la materia2. Si è quindi ritenuto opportuno presentare lo stato attuale della disciplina applicabile ai minori stranieri non accompagnati e dar conto di alcune riflessioni mosse a suo riguardo, in relazione sia alle norme stesse sia alla loro applicazione concreta. 1. Normativa di riferimento Si ritiene innanzi tutto utile richiamare le norme che si occupano dei minori presenti sul territorio nazionale. Normativa internazionale di carattere primario • • Convenzione ONU sui diritti del fanciullo fatta a New York il 20 novembre 1989 (di seguito Convenzione ONU), ratificata e resa esecutiva con legge 176/91. Tale convenzione stabilisce i principi che gli Stati parti si impegnano a introdurre nei rispettivi ordinamenti e ai quali si devono ispirare i procedimenti giurisdizionali e amministrativi che riguardano ogni persona di minore età. Convenzione di Lussemburgo del 20 maggio 1980 e convenzione de L’Aja del 25 ottobre 1980 sui provvedimenti di affidamento e sottrazione di minori ratificate e rese esecutive con legge 64/94. In particolare l’art. 5, comma 1, della legge dispone che «Le decisioni sulle richieste di rimpatrio di minori dal territorio dello Stato, avanzate dalle autorità straniere, ai sensi 1 Con il termine minore si indica qualunque persona di età inferiore ai 18 anni, ai sensi dell’art. 1 della Convenzione di New York sui diritti del fanciullo. Va ricordato che mentre in inglese si usa sempre child e in francese enfant, in italiano si usano indifferentemente quali sinonimi anche i termini “minorenne”, “adolescente”, “bambina/o” o “fanciulla/o”, questi ultimi due connotati altresì nel genere. 2 A questo proposito si può osservare che prima del 1998 i riferimenti normativi ai minori stranieri erano molto rari. Basti pensare alla legge 39/90 relativa alla competenza del preside a chiedere i permessi di soggiorno, alla segnalazione ai tribunali per i minorenni che richiedevano lo status di rifugiati ecc. 17 • • dell’articolo 2, paragrafo 1, e dell’articolo 4 della convenzione L’Aja del 28 maggio 1970, sono adottate dal Tribunale per i minorenni del luogo dove il minore risiede». Convenzione europea sull’esercizio dei diritti dei fanciulli del 25 gennaio 1996, ratificata e resa esecutiva in Italia con legge 77/03. Tale trattato, approvato a Strasburgo dall’Assemblea del Consiglio d’Europa, contiene una serie di disposizioni volte a rafforzare la tutela e il rispetto dei diritti dei minori. Direttiva 2003/9/CE del Consiglio dell’Unione europea del 27 gennaio 2003 recante norme minime relative all’accoglienza dei richiedenti asilo negli Stati membri. Tale direttiva richiede tra l’altro agli Stati membri di adottare rapidamente misure volte ad assicurare la necessaria rappresentanza dei minori stranieri non accompagnati. Normativa nazionale di carattere primario • • • • • • • • • Articoli 2, 3, 29, 30, 31, 37 della Costituzione. Dal quadro complessivo di tali norme risulta che la Carta costituzionale considera il minore come un soggetto meritevole di una tutela specifica nelle diverse dimensioni della sua persona, come essere umano, in particolare come figlio e come lavoratore. Articolo 33 del Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero disposto con DLGS 25 luglio 1998, n. 286, che istituisce il Comitato per i minori stranieri (di seguito Comitato), accenna alla possibilità del rimpatrio assistito e delega a un successivo regolamento la definizione dei compiti del Comitato. Articoli 33 e 37 bis della legge 4 maggio 1983, n. 184, Diritto del minore ad una famiglia – come modificata dalla legge 31 dicembre 1998, n. 476, Ratifica ed esecuzione della Convenzione per la tutela dei minori e la cooperazione in materia di adozione internazionale, fatta a L’Aja il 29 maggio 1993. Modifiche alla legge 4 maggio 1983, n. 184, in tema di adozione di minori stranieri – che dispongono la competenza del tribunale per i minorenni a valutare l’interesse del minore straniero, rendendo applicabili tutti gli istituti di tutela previsti per i minori italiani. Articoli 343 e seguenti del codice civile che riguardano l’apertura della tutela. Articolo 403 del codice civile che dispone interventi urgenti di protezione per i minori. Articoli 4 e 9 della legge 184/83 – come modificata dalla legge 476/98 – che disciplinano i casi in cui un minore debba essere affidato a persone diverse dai suoi genitori. Articolo 19, comma 2, del testo unico disposto con DLGS 286/98 che dispone il divieto di espulsione del minore. Articolo 5 del DLGS 29 marzo 1993, n. 119, Disciplina del cambiamento delle generalità per la protezione di coloro che collaborano con la giustizia – emanato su delega contenuta nell’articolo 47 della legge 6 marzo 1998, n. 40, Disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero – che riserva alla competenza esclusiva del Comitato le decisioni relative ai minori stranieri non accompagnati. Articolo 25 della legge 30 luglio 2002, n. 189, Modifica alla normativa in materia di immigrazione e di asilo (cosiddetta legge Fini-Bossi), inerente ai minori affidati al compimento della maggiore età. Atti internazionali non vincolanti • • Decisione 97/420/GAI del Consiglio dell’Unione europea del 26 giugno 1997 sul seguito dell’attuazione degli atti adottati in materia di asilo. Tale risoluzione definisce i criteri e le condizioni minime perché si possa procedere al rimpatrio dei minori. Raccomandazioni del Comitato ONU sui diritti del fanciullo conseguenti alla discussione dei rapporti periodici del Governo italiano sull’applicazione in Italia della Convenzione ONU. Le raccomandazioni conclusive sull’ultimo rapporto presentato dall’Italia sono state adottate il 31 18 • gennaio 2003; due paragrafi sono dedicati agli interventi richiesti al Governo italiano per una politica di rispetto e protezione dei diritti dei minori non accompagnati. Risoluzione del Parlamento europeo del 15 gennaio 2003 sulla situazione dei diritti fondamentali nell’Unione europea (2001) (2001/2014 (INI)). Tale risoluzione sollecita tra l’altro la presenza di personale medico e giuridico qualificato per i minori non accompagnati nei centri di accoglienza e nei centri di detenzione. Normativa nazionale di natura secondaria • • – – – • • • • • • • • Circolare del Ministero dell’interno del 26 aprile 1999, sul rilascio dei visti per il ricongiungimento familiare in favore di minori affidati. Decreto del Presidente del consiglio dei ministri 9 dicembre 1999, n. 535, Regolamento concernente i compiti del Comitato per i minori stranieri, a norma dell’articolo 33, commi 2 e 2-bis, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, ossia il regolamento emanato ai sensi dell’articolo 17, comma 3, legge 40/98 che stabilisce: la definizione di “minore straniero non accompagnato”; i compiti del Comitato per i minori stranieri; che i rimpatri devono essere effettuati nel rispetto della legge e delle convenzioni internazionali. Circolare del Ministero dell’interno del 23 dicembre 1999, relativa al DPR 31 agosto 1999, Regolamento di attuazione del testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero. Circolare del Ministero dell’interno del 16 marzo 2000, che attribuisce alle questure la pubblicazione del regolamento contenuto nel DPCM 535/99. Osservazioni del Presidente del comitato per i minori stranieri - Presidenza del consiglio dei ministri - Dipartimento per gli affari sociali. Testo approvato dal Comitato nella riunione del 2 maggio 2000. Circolare del Ministero dell’interno del 31 novembre 2000, che stabilisce in quali casi le autorità di Pubblica Sicurezza debbano rilasciare autorizzazioni al soggiorno per minore età e quali attività siano riconducibili a tali autorizzazioni. Linee guida del Comitato per i minori stranieri - Presidenza del consiglio dei ministri Dipartimento per gli affari sociali, deliberate nella riunione dell’11 gennaio 2001. Tale circolare definisce i criteri di valutazione dell’interesse del minore al rimpatrio. Circolare del Ministero dell’interno del 9 aprile 2001, che fornisce alle questure l’interpretazione della disciplina relativa ai minori stranieri non accompagnati redatta dal direttore centrale del Ministero. Circolare del Ministero dell’interno dell’8 giugno 2001, che fornisce alcune precisazione in ordine al procedimento del Comitato e alle comunicazioni della presenza di minori che devono essere effettuate al Comitato. Nota del Comitato del 14 ottobre 2002, volta a fornire un’interpretazione dell’art. 25 della legge 189/02. 2. Il migliore/superiore interesse del minore La Convenzione ONU prevede all’art. 3 che In tutte le decisioni relative ai fanciulli, di competenza sia delle istituzioni pubbliche o private di assistenza sociale, dei tribunali, delle autorità amministrative o degli organi legislativi, l’interesse superiore del fanciullo deve essere una considerazione preminente. 19 Innanzi tutto è opportuno ricordare che il termine “superiore” proviene dalla traduzione del termine the best inglese, lingua ufficiale del documento, e pertanto l’interesse andrebbe inteso proprio in senso di “il migliore” piuttosto che utilizzato in senso comparatistico così come risulta dalla traduzione italiana che ha destato non poche difficoltà interpretative e applicative. Con la ratifica della Convenzione ONU le sue norme sono entrate a far parte integrante dell’ordinamento giuridico italiano, facendo sì che anche un principio programmatico come quello dell’art. 3 divenisse un principio cardine dell’ordinamento giuridico e, come tale, un fondamentale criterio interpretativo delle singole norme per superare eventuali loro ambiguità3. Va sottolineato, inoltre, che l’interesse superiore del minore non va esaminato in modo astratto, bensì il suo contenuto si deve sostanziare in relazione al singolo caso concreto, dato che le esigenze del singolo possono variare in relazione alla situazione specifica in cui quest’ultimo, in qualità di soggetto in formazione, viene a trovarsi di volta in volta. A titolo esemplificativo si possono richiamare una serie di criteri che consentono di procedere alla valutazione del superiore interesse del minore al fine di verificare, in concreto, la sussistenza delle condizioni e dei presupposti per l’attuazione dei diritti del minore. Partiamo dalla combinazione dell’art. 3 e dell’art. 29 della Convenzione ONU con le norme della Costituzione italiana – dall’art. 2, in primis – che distintamente esplicitano i presupposti in base ai quali è reso possibile «lo sviluppo delle sue facoltà e delle sue attitudini mentali e fisiche in tutta la loro potenzialità» in modo da prepararlo ad assumere «le responsabilità della vita in una società libera», «nel rispetto dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali». Al fine di avviare tale percorso attuativo a cui gli Stati si sono impegnati attraverso la ratifica del trattato, il minore dovrebbe beneficiare: di un livello di vita sufficiente per consentire il suo sviluppo fisico, mentale, spirituale, morale e sociale4; del miglior stato di salute possibile e di beneficiare di servizi medici e di riabilitazione5; di educazione e formazione lavorativa in funzione delle capacità6; di protezione contro lo sfruttamento economico e la costrizione ad alcun lavoro che comporti rischi o sia suscettibile di porre a repentaglio la sua educazione o di nuocere alla sua salute o al suo sviluppo fisico, mentale, spirituale, morale o sociale7. Va, peraltro, richiamato che una cosa è il riconoscimento di tali diritti, tutt’altro è la loro attuazione necessariamente demandata a figure adulte di riferimento, intese sia come legami affettivi sia come organi statali cui è demandata la responsabilità di garantire e di predisporre strumenti congrui e accessibili per l’esplicarsi del superiore interesse del minore così precisato. Rispetto ai legami affettivi, è fuori discussione che il primario riferimento è da associare alla famiglia naturale quale unità fondamentale della società e ambiente naturale per la crescita e il benessere di tutti i suoi membri e, in particolare, dei fanciulli. Il fanciullo, ai fini dello sviluppo armonioso e completo della sua personalità, deve crescere in un ambiente familiare in un clima di felicità, di amore e di comprensione. Infatti è a tale nucleo che il legislatore, nazionale e internazionale, assegna il compito di tutela e guida del minore «secondo le inclinazioni naturali», sottolineando che «il minore ha diritto a essere educato nella propria famiglia»8. Un conto è la situazione che si verifica in presenza non solo di una famiglia consapevole delle proprie responsabilità e che intenda garantire al minore il proprio percorso formativo così come delineato, ma anche che risieda in un ambito territoriale (Stato) che abbia risorse e organi ed enti che predispongono le misure idonee, necessarie e opportune allo scopo, anche nel caso in cui la famiglia stessa, senza propria responsabilità, non sia in grado di attuare in pieno il proprio compito. 3 Moro A.C., Diritti del minore e nozione di interesse, in «Cittadini in crescita», anno 1, n. 2-3, 2000, p. 9-24 Art. 27 della Convenzione ONU 5 Art. 24 della Convenzione ONU 6 Art. 28 della Convenzione ONU 7 Art. 32 della Convenzione ONU 8 Art. 147 codice civile (cc), art. 30 Cost., Convenzione ONU, art. 1 legge 184/83 4 20 Ed è proprio per assicurare tale diritto del minore di crescere nella propria famiglia d’origine che sono state individuate, dalle fonti legislative più volte richiamate, le forme di aiuto e di sostegno da porre in essere tutte le volte in cui la famiglia stessa non sia in condizione di provvedervi, ciò in quanto l’incapacità dei genitori, ad esempio, mai può essere individuata nell’indigenza, nella irregolarità della presenza e tanto meno nella cultura di provenienza del nucleo familiare anzi, l’identità del minore è diritto pari agli altri e pertanto meritevole di tutela. È infatti previsto che, ove i genitori o le altre persone cui il minore è affidato non avessero i mezzi economici per provvedere al mantenimento e all’istruzione del minore, dovrebbe essere lo Stato, con misure appropriate, a fornire loro assistenza e sostegno9. Il problema si pone, al contrario, quando non vi sono le condizioni perché la famiglia d’origine, temporaneamente o in via definitiva – per volontà propria, per forza maggiore, per una contestualizzazione di vari fattori ambientali, economici culturali – non offra alcuna garanzia per una “armoniosa” crescita e per lo sviluppo del minore. In tale caso vengono in rilievo a pieno titolo, e non esclusivamente come misure di sostegno, gli strumenti predisposti dallo Stato e pertanto nel primo caso, ovvero per impossibilità temporanea, si evidenzia l’istituto dell’affidamento quale forma di protezione sostitutiva, in conformità alle legislazioni nazionali «il minore temporaneamente privo di un ambiente familiare idoneo […] è affidato ad altra famiglia, preferibilmente con figli minori, o a una persona singola», oppure ad una comunità di tipo familiare, in grado di «assicurargli il mantenimento, l’educazione, l’istruzione e le cure affettive di cui ha bisogno»10. In sostanza, la famiglia naturale viene al primo posto e, in subordine, un’altra famiglia – nell’ordine: nucleo familiare normalmente inteso, persona singola, comunità di tipo familiare – che dia garanzie nel senso voluto e in ultima analisi «è consentito l’inserimento del minore in una comunità di tipo familiare o, in mancanza, in un istituto di assistenza pubblico o privato, che abbia sede preferibilmente nel luogo più vicino a quello in cui stabilmente risiede il nucleo familiare di provenienza»11. Per l’ordinamento italiano, la competenza ai fini dell’affidamento è dei servizi sociali nel caso in cui vi sia il consenso da parte dei legali rappresentanti del minore – genitori o tutore – e del tribunale per i minorenni nel caso in cui il consenso manchi12. Nel secondo caso, ovvero qualora la difficoltà o la mancanza della famiglia d’origine sia definitiva, il minore stesso è tutelato tramite l’istituto della tutela che prevede che «se entrambi i genitori sono morti o per altre cause non possono esercitare la potestà dei genitori, si apre la tutela»13 laddove non è ancora chiarito in via interpretativa se la stabile lontananza dei genitori possa essere ricompresa nell’ambito d’applicazione della norma, essendovi sul punto orientamenti difformi. In tal caso competente sarà il giudice tutelare presso il tribunale ordinario. Nell’ipotesi, poi, che il minore si trovi in situazione di abbandono – minori privi di assistenza morale e materiale da parte dei genitori o dei parenti tenuti a provvedervi, purché la mancanza di assistenza non sia dovuta a forza maggiore di carattere transitorio14 – il tribunale per i minorenni è competente a dichiarare lo stato di adottabilità, presupposto per l’inserimento stabile e definitivo del minore in altra famiglia. In conclusione, il legislatore italiano ha previsto tramite le forme di sostegno da parte dello Stato alla famiglia d’origine o tramite l’istituto dell’affidamento, della tutela e dell’adozione, dei meccanismi giuridici attraverso i quali il minore sia comunque garantito da forme di rappresentanza e di tutela per l’attuazione dei suoi diritti. 3. Definizione di minore straniero non accompagnato 9 Articoli 18, comma 2, e 27 comma 3 Convenzione ONU, art. 31 Cost. Art. 2, commi 1 e 2 della legge 184/83, nonché art. 20, commi 1 e 3, della Convenzione ONU 11 Art. 2, comma 2, legge 184/83. 12 Art. 4, comma 2, legge 184/83, che prevede l’applicazione della procedura ex articoli 330 e seg. cc. 13 Art. 343 cc. 14 Art. 8, legge 184/83 10 21 Dopo aver considerato quali strumenti il legislatore italiano ha predisposto per la migliore cura dell’interesse del minore, conformemente alla legislazione internazionale di riferimento, nella medesima prospettiva si può affrontare il tema specifico della disciplina applicabile al minore straniero non accompagnato che si trovi sul territorio italiano. A questo proposito occorre, innanzi tutto, definire l’ambito di applicazione della disciplina che si intende esaminare. Tale ambito è delimitato dalla definizione di “minore straniero non accompagnato”. La definizione in oggetto è contenuta nella norma regolamentare di cui al secondo comma dell’art. 1 del regolamento del Comitato per i minori stranieri15 che definisce come “minore straniero non accompagnato presente nel territorio dello Stato” «il minorenne non avente cittadinanza italiana o di altri Stati dell’Unione europea che, non avendo presentato domanda di asilo, si trova per qualsiasi causa nel territorio dello Stato privo di assistenza e rappresentanza da parte dei genitori o di altri adulti per lui legalmente responsabili in base alle leggi vigenti nell’ordinamento italiano». Una prima osservazione relativa a tale definizione deve essere fatta specificando il significato dell’espressione «privo di assistenza e rappresentanza da parte dei genitori». Tale espressione non può essere intesa in modo tale da far coincidere la nozione di minore straniero non accompagnato con quella di minore in stato di abbandono: un minore non accompagnato dai genitori può non essere in stato di abbandono quando per esempio è accolto da parenti entro il quarto grado, moralmente e materialmente idonei a provvedervi, che però non ne hanno la rappresentanza legale; così come un minore, pur convivente con i genitori, può trovarsi in stato di abbandono quando questi non si curano di lui e lo maltrattano. Una seconda osservazione deve essere svolta con riferimento al fatto che, secondo la definizione in esame, oltre ai minori privi di adulti di riferimento sono da intendere come “non accompagnati” anche i minori affidati di fatto ad adulti – inclusi i parenti entro il quarto grado – che non ne siano tutori o affidatari in base a un provvedimento formale, in quanto questi minori sono comunque privi di rappresentanza legale in base alla legge italiana. A questo proposito è utile ricordare che, secondo un diverso orientamento – peraltro non condiviso dal Comitato e da numerose questure – i minori accolti da parenti entro il quarto grado non sono da considerarsi “minori non accompagnati” in quanto essi sarebbero legittimamente affidati dai genitori nell’ambito del gruppo parentale. Tale orientamento è fondato sull’opinione che l’affidamento consensuale del minore16 si realizzi anche qualora manchi il consenso formalmente espresso dai genitori, sempre che esso sia altrimenti desumibile17. Nella pratica si sono verificati casi in cui il giudice minorile competente ha disposto giudizialmente l’affido al parente entro il quarto grado, sostenendo l’inesistenza di un affido consensuale in mancanza dell’atto di assenso dei genitori; in altri casi il giudice si è dichiarato incompetente, riconoscendo validità all’affido realizzato mediante consenso non formalmente espresso18. A fronte di una prassi giurisprudenziale di merito orientata come indicato, si deve riscontrare che le autorità di pubblica sicurezza, in mancanza di un affido formale, hanno sistematicamente segnalato la presenza del minore al Comitato il quale, non dichiarando la propria incompetenza, ha di fatto esteso anche a tali casi l’applicabilità del trattamento previsto per i minori stranieri non accompagnati. Si è pertanto creata, con riferimento a queste fattispecie, una situazione di difficoltà di coordinamento tra i soggetti che si occupano del minore. 4. La competenza del Comitato per i minori stranieri 15 DPCM 535/99 Art. 4, legge 184/83 Questo orientamento si fonda sul silenzio del legislatore in merito alla necessità di un consenso formalmente espresso. Si è inoltre osservato che l’art. 9, comma 4, legge 184/83 impone un obbligo di comunicazione unicamente per le ipotesi di accoglienza del minore da parte di persone diverse dai parenti entro il quarto grado. A contrariis si può desumere che il legislatore non abbia considerato meritevole di controllo, e quindi di una specifica disciplina, il caso di specie. 18 Si segnala, per altro, che l’affidamento consensuale disposto dai servizi locali in mancanza di un consenso formalmente manifestato dai genitori, può essere realizzato nella pratica in forme differenti: 1. il giudice tutelare può nominare un tutore ex articoli 343 e seg. cc, che dà poi il consenso all’affidamento; 2. il consenso all’affidamento può essere manifestato dall’istituto di pubblica assistenza ovvero, in genere, l’ente locale in quanto esercente i poteri tutelari ex art. 402 cc. 16 17 22 Definiti i limiti della materia, occorre ora esaminare i profili problematici della disciplina che ha esteso la competenza del Comitato alla valutazione dell’interesse del minore e all’adozione dei provvedimenti necessari alla sua tutela19. Si consideri innanzi tutto la disciplina contenuta nel combinato disposto degli articoli 33, TU 286/98 – come modificato dall’art. 5, DLGS 113/99 – e 32, TU 286/98 – come modificato dall’art. 25 della legge 189/02. In particolare, l’art. 33 TU 286/98 demanda al Presidente del consiglio di ministri di stabilire, con regolamento, i compiti del Comitato definendo, per inciso, che a tale autorità è rimessa la decisione sulla sorte dei minori stranieri non accompagnati. L’art. 32 TU 286/98, presupponendo la competenza del Comitato, regola poi alcuni casi in cui al minore straniero che diventi maggiorenne può essere rilasciato un’autorizzazione al soggiorno che gli consenta di lavorare o di studiare. In particolare viene prevista la possibilità di rilasciare un permesso di soggiorno al minore straniero non accompagnato che sia stato ammesso «per un periodo non inferiore a due anni in un progetto di integrazione sociale e civile gestito da un ente pubblico o privato che abbia rappresentanza nazionale e che comunque sia iscritto nel registro istituito presso la Presidenza del Consiglio dei ministri» e che quest’ultimo garantisce e prova che «l’interessato si trova sul territorio nazionale da non meno di tre anni»20. Tale disciplina, che deve essere integrata con quanto disposto dal DPCM 535/99 e da alcune circolari ministeriali21, sembra dunque stabilire la competenza del Comitato a valutare l’interesse del minore straniero non accompagnato e a deciderne l’eventuale rimpatrio. In tal senso sono rilevanti sia le Linee guida del Comitato emanate con circolare dell’11 gennaio 2001 sia la nota del Comitato del 14 ottobre 2002. In particolare, quest’ultima stabilisce in quali casi «il Comitato emette un provvedimento di non luogo a provvedere al rimpatrio nel quale viene indicato alla autorità giudiziaria minorile di affidare il minore ai sensi della legge 184/83». Si rileva che a questa disciplina è stato mosso un triplice ordine di osservazioni critiche: di sospetta illegittimità costituzionale, di scarso coordinamento con la normativa precedente e di lacuna per quanto concerne la disciplina del procedimento amministrativo in cui si realizza l’attività del Comitato. In primo luogo si osserva che l’art. 5 DLGS 113/99 che attribuisce al Comitato la competenza ad adottare il provvedimento di rimpatrio, è stato emanato in conformità alla delega contenuta nell’art. 47, comma 2, legge 40/98, con la quale il legislatore incaricava il Governo di «emanare, entro il termine di due anni dalla data di entrata in vigore della presente legge, uno o più decreti legislativi 19 Si considera pacifica, ai sensi dell’art. 1 della convenzione de L’Aja del 5 ottobre 1961, resa esecutiva in Italia con legge 742/80, la competenza dell’autorità giudiziaria e amministrativa italiana all’adozione delle misure di protezione del minore straniero che si trovi in Italia. 20 Art. 25, legge 189/02. Il carattere residuale di tale norma, che pertanto non limita a questi soli casi la possibilità per il minore che compia la maggiore età di ottenere il permesso di soggiorno, è sostenuta dalla nota interpretativa del Comitato per i minori stranieri del 14 ottobre 2002. 21 La disciplina relativa al funzionamento del Comitato, al suo iter procedimentale nonché le indicazioni a cui deve attenersi l’autorità di pubblica sicurezza, sono contenute nelle seguenti circolari: – circolare del Presidente del comitato per i minori stranieri dell’11 gennaio 2001, riguardante le Linee guida dell’attività del Comitato e determinante i criteri di valutazione dell’interesse del minore al rimpatrio; – circolare del Ministero dell’interno del 16 marzo 2000, che riferisce alle questure la pubblicazione del regolamento contenuto nel DPCM 535/99; – circolare del Ministero dell’interno del 31 novembre 2000, che stabilisce in quali casi le autorità di pubblica sicurezza debbano rilasciare autorizzazioni al soggiorno per minore età e quali attività siano riconducibili a tali autorizzazioni; – circolare del Ministero dell’interno del 9 aprile 2001, che fornisce alle questure l’interpretazione della disciplina relativa ai minori stranieri non accompagnati effettuata dal Ministero stesso; – circolare del Ministero dell’interno dell’8 giugno 2001, che pone alcune precisazioni in ordine al procedimento del Comitato e alle comunicazioni che devono essere effettuate al Comitato in merito alla presenza di minori sul territorio dello Stato italiano; – circolare del Ministero del lavoro e delle politiche sociali - Comitato per i minori stranieri del 14 ottobre 2003, che interpreta la normativa in materia di minori stranieri non accompagnati alla luce della riforma attuata con la legge 189/02. In particolare, viene sottolineato il carattere residuale della norma contenuta nell’art. 25 della menzionata legge e vengono definiti i rapporti tra il Comitato, l’autorità giudiziaria minorile e le questure. 23 recanti le disposizioni correttive che si dimostrino necessarie per realizzare pienamente i princìpi della presente legge o per assicurarne la migliore attuazione». A questo proposito è stato osservato che tale delega è priva di quei principi e di quei criteri direttivi che l’art. 76 Cost. prevede perché possa effettuarsi un conferimento di delega al Governo, limitandosi a un generico richiamo ai principi contenuti nelle convenzioni internazionali ratificate dall’Italia. In secondo luogo è stato sostenuto che tale delega potrebbe essere considerata in contrasto con l’art. 13 Cost. che riserva all’autorità giudiziaria i provvedimenti limitativi della libertà personale. Recentemente i provvedimenti di rimpatrio sono stati effettuati, in alcune realtà locali, direttamente dalle forze di polizia in modo coatto e contro la volontà del minore, e pertanto sono parsi effettivamente limitativi della libertà personale. La disciplina attuale riserva l’intervento dell’autorità giudiziaria alla sola concessione di un nullaosta al rimpatrio per assenza di procedimenti giurisdizionali, intendendosi per tali soltanto i procedimenti in materia penale. Un’ultima osservazione critica della disposizione in esame è stata effettuata con riferimento alla riserva di legge che l’art. 10, comma 2, Cost. stabilisce per la definizione della condizione giuridica dello straniero. A questo proposito è stato rilevato che, di fatto, la delega “a cascata” effettuata dall’art. 47, comma 2, legge 40/98 e dall’art. 5 DLGS 113/99, rimandando a un regolamento amministrativo la disciplina applicabile ai minori, viola tale riserva di legge. In realtà anche tale regolamento effettua un’ulteriore delega, demandando a una circolare del Presidente del comitato la definizione dei criteri che devono essere considerati nella valutazione della situazione concreta dei minori e, quindi, nell’adozione dei provvedimenti di rimpatrio, ricongiungimento o accoglienza dei minori. Inoltre, la circostanza che la valutazione dell’interesse del minore sia demandata a un’autorità amministrativa, la cui attività deve ispirarsi istituzionalmente ai principi di buona amministrazione, suscita un’ulteriore perplessità se si considera che la costante giurisprudenza della Corte costituzionale ha annoverato il tribunale per i minorenni tra gli istituti che la Repubblica ha predisposto in ossequio all’art. 31 Cost. per l’adempimento del precetto costituzionale che la impegna alla “protezione della gioventù”22. Peraltro, è stato altresì osservato che, se è pur vero che la condizione di “minore non accompagnato” non importa necessariamente la condizione di “minore in stato di abbandono”, è altresì vero che l’indagine sulla condizione del minore viene così demandata in via esclusiva al Comitato dal regolamento contenuto nel DPCM 535/99. Si consideri, poi, che l’autorità amministrativa non può considerare in via esclusiva o preminente l’interesse del minore – come invece prescrivono i principi costituzionali e le convenzioni ratificate dall’Italia – dovendo invece ispirare la propria attività anche ai principi di “buona amministrazione” che le impongono di tenere in considerazione i vari interessi dell’amministrazione compresi quelli dei rapporti con gli altri Stati e quelli economici degli enti locali che si fanno carico dei minori. Con riferimento al secondo ordine di osservazioni critiche si rileva che è stata da alcuni sostenuta un’interpretazione sistematica delle norme in esame. Secondo questa interpretazione l’attività del Comitato dovrebbe avere un carattere meramente esecutivo di quanto stabilito dall’autorità giudiziaria minorile. Tale orientamento ritiene, infatti, che se il legislatore avesse inteso, con la delega contenuta nell’art. 47, comma 2, legge 40/98, rimettere l’intera materia alla normazione secondaria, si sarebbe preoccupato di abrogare quelle norme di carattere primario che, nell’ordinamento giuridico attuale, stabiliscono l’intervento del tribunale per i minorenni. In questo senso è stato sostenuto che l’utilizzo di tale delega per attribuire (mediante l’art. 5 DLGS 113/99) al Comitato la competenza ad adottare i provvedimenti di rimpatrio, ha realizzato un utilizzo eccessivo della delega. È utile a questo punto richiamare sinteticamente quali siano le disposizioni di carattere primario che, nell’ordinamento giuridico attuale, stabiliscono l’intervento del tribunale per i minorenni. • L’art. 33, comma 5, legge 184/83 impone ai pubblici ufficiali di segnalare la presenza dei minori irregolari al tribunale per i minorenni per gli opportuni provvedimenti, compresa la segnalazione alla Commissione per le adozioni internazionali, che a sua volta comunicherà il 22 Corte costituzionale, sentenza n. 78 del 22 febbraio 1989 24 • • • • • • • nominativo al Comitato – in base al regolamento di attuazione della legge 476/98, art. 18 DPR 492/99. L’art. 37 bis, legge 184/83 come modificata dalla legge 476/98, e l’art. 28 DPR 394/99 prescrivono l’obbligo per i pubblici ufficiali di segnalare i minori stranieri in stato di abbandono al tribunale per i minorenni. L’art. 9, legge 183/84 dispone che il minore affidato a persona diversa dal parente entro il quarto grado, deve essere segnalato al giudice tutelare che a sua volta trasmette gli atti al tribunale per i minorenni. Art. 31, comma 4, TU 286/98 riserva all’autorità giudiziaria minorile la decisione di espulsione del minore. L’art. 28, comma 1, lett. a), DPR 394/99 dispone che «se si tratta di minore abbandonato, è immediatamente informato il Tribunale per i minorenni per i provvedimenti di competenza». Art. 403 cc dispone interventi urgenti di protezione per i minori. Tale norma si pone in conflitto con la disposizione contenuta nell’art. 3, comma 5, DPCM 535/99 il quale prevede che «In caso di urgenza, per situazioni in relazione alle quali sia improcrastinabile l’intervento a tutela della salute psicofisica del minore, i poteri del Comitato sono esercitabili dal presidente o da un componente da lui delegato, salva la ratifica da parte del Comitato nella prima riunione successiva all’esercizio dei poteri medesimi. I provvedimenti non ratificati perdono efficacia dal momento in cui sono stati adottati». Art. 343 cc dispone che il minore i cui genitori non possono esercitare la potestà genitoriale, deve essere segnalato al giudice tutelare per l’apertura della tutela. Art. 5 comma 1 della legge 64/94 dispone che « Le decisioni sulle richieste di rimpatrio di minori dal territorio dello Stato, avanzate dalle autorità straniere, ai sensi dell’art. 2 comma 1, e dell’art. 4 della convenzione de L’Aja del 28 maggio 1970, sono adottate dal Tribunale per i minorenni del luogo dove il minore risiede». Il terzo ordine di osservazioni mosse alla riforma in esame riguarda le norme relative al procedimento che si svolge di fronte al Comitato e la tutela accordata al minore destinatario di tale procedimento. 5. Il procedimento del Comitato Occorre prima di tutto prendere in considerazione la disciplina che determina i criteri da adottare da parte del Comitato nella decisione di accoglienza e rimpatrio del minore straniero non accompagnato. Tale disciplina è contenuta nelle circolari dell’11 gennaio 2001 e del 14 ottobre 2002. Con la prima il Presidente del comitato ha definito le linee guida dell’attività del Comitato; con la seconda circolare il Comitato ha aggiornato le proprie linee guida alle norme della riforma contenuta nella legge 189/02. Le osservazioni mosse a questa disciplina riguardano sia il profilo formale sia il profilo sostanziale. Da un punto di vista formale, è stato rilevato che la disciplina relativa alla condizione giuridica del minore straniero in Italia è contenuta, di fatto, in un provvedimento amministrativo che ha il valore di circolare amministrativa. L’aver demandato a tale fonte normativa la disciplina della condizione giuridica del minore straniero ha ridotto fortemente quella particolare tutela che, con la ratifica della Convenzione ONU, l’Italia si è impegnata a far propria nell’adozione ed esecuzione dei provvedimenti che riguardano i minori. Infine, ha suscitato numerose perplessità l’aver delegato la regolamentazione del procedimento avanti al Comitato a un provvedimento del Comitato stesso. Da un punto di vista sostanziale è stato, invece, rilevato che le linee guida in oggetto, dopo un formale richiamo ai principi contenuti nella Convenzione ONU, si limitano ad affermare che il rimpatrio del minore straniero non accompagnato è in linea con i principi dell’ordinamento vigente. La critica è stata rivolta all’assenza, sia nella legge sia nelle circolari, dei criteri di valutazione in concreto del “migliore interesse del minore” con riferimento all’eventuale rimpatrio. È stato osservato 25 che la conseguenza pratica di tale lacuna è consistita nel fatto che, in numerosi casi, le decisioni di rimpatrio sono state motivate esclusivamente con l’affermazione della prevalenza dell’interesse al ricongiungimento con la famiglia. 6. I tempi Il vuoto normativo che è stato segnalato riguarda anche gli aspetti procedurali dell’attività del Comitato che conduce alla decisione di rimpatrio. In particolare si è osservato che non vi sono norme che stabiliscano i tempi in cui il Comitato deve operare. In verità le Linee guida deliberate dal Comitato in data 11 gennaio 2001, rifacendosi alle «raccomandazioni formulate in sede internazionale», dispongono che «le ricerche dei familiari di un minore straniero apparentemente abbandonato, debbono proseguire per almeno due anni prima di potere dichiarare lo stato di abbandono». La circolare del Ministero dell’interno dell’8 giugno 2001 rammenta alle questure che le comunicazioni della presenza di minori stranieri al Comitato «hanno la funzione di permettere al citato organismo, entro un limitato lasso di tempo (sessanta giorni), ogni indispensabile accertamento sullo status del minore stesso e ad intraprendere le opportune iniziative» (venti giorni per l’indagine nel Paese di origine). A questo proposito è stata espressa una triplice perplessità. In primo luogo ci si è interrogati sull’opportunità di demandare al Comitato stesso la fissazione dei termini entro cui deve portare a termine il procedimento amministrativo di cui è titolare. In secondo luogo si è ravvisato un contrasto tra la disciplina derivante dal combinato disposto delle circolari menzionate e della norma primaria generale contenuta nella legge 241/90 che fissa in sessanta giorni il termine generale entro cui i procedimenti amministrativi si devono concludere. Inoltre, si è ritenuto che il termine di due anni sia da considerare un lasso temporale troppo lungo per affermare che il soggiorno del minore debba considerarsi temporaneo. La decisione sul rimpatrio rischia così di pervenire, come di fatto si è verificato in alcuni casi pratici, dopo che il minore aveva intrapreso un percorso educativo e di formazione professionale significativo. Infine, si è rilevato che l’indicazione contenuta nelle circolari è insufficiente per poter fare chiarezza sulla sorte di quei procedimenti che hanno avuto durata maggiore rispetto a quella citata. 7. Contraddittorio nel procedimento e impugnazione del provvedimento Un’altra questione sollevata dall’assenza di riferimenti normativi, riguarda il contraddittorio nel procedimento e l’impugnazione del provvedimento. Con riferimento al primo punto si è osservato nella pratica che, nonostante l’indicazione contenuta nelle Linee guida, il minore viene sentito dall’assistente sociale dell’ente locale soltanto al momento in cui viene rintracciato. È questo il momento in cui viene genericamente informato della possibilità di rimpatrio. Per quanto riguarda, poi, la possibilità di intervenire nel procedimento, per mezzo di rappresentante legale, viene in considerazione l’art. 3, comma 6, del regolamento contenuto nel DPCM 535/99 che stabilisce che «in caso di necessità, il Comitato comunica la situazione del minore al giudice tutelare competente, per l’eventuale nomina di un tutore provvisorio». A questo riguardo è stata sottolineata la specificità di tale norma rispetto a quella, più generale e di carattere primario, contenuta negli articoli 343 e seg. cc, che dispongono l’apertura della tutela per i minori privi di rappresentanza legale. In particolare, sono state poste in rilievo le conseguenze derivanti dall’applicazione della norma regolamentare nei termini di mancata rappresentanza legale nel procedimento amministrativo diretto a decidere del rimpatrio. È apparso, infatti, anomalo che la possibilità di intervenire tramite istanze di accesso ovvero tramite la presentazione di memorie e osservazioni23, sia consentita soltanto a quei 23 Si segnala che, non prevedendo la disciplina specifica alcun particolare strumento di partecipazione al procedimento, deve ritenersi applicabile la disciplina generale contenuta nella legge 241/90. 26 minori per i quali il Comitato stesso abbia deciso, ai sensi dell’art. 3, comma 6, richiedere al giudice tutelare la nomina di un rappresentante legale24. DPCM 535/99, di Con riferimento, infine, all’impugnazione del provvedimento, è stato proposto un triplice ordine di considerazioni. In primo luogo si è osservato che, in assenza di una diversa disposizione, il tribunale competente a decidere dell’impugnazione del provvedimento è il tribunale amministrativo regionale (qui di seguito 25 TAR) . Si realizza, in ultima analisi un trasferimento della competenza a valutare l’interesse del minore dal tribunale per i minorenni al TAR. Tale previsione è ora oggetto di una questione di legittimità avanti alla Corte costituzionale, cui è stato richiesto di pronunciarsi sull’incostituzionalità dell’art. 33, comma 2 bis, TU 286/98, nella parte in cui non prevede la competenza del tribunale per i minorenni in ordine ai ricorsi contro i provvedimenti del Comitato26. In secondo luogo è stata segnalata l’impossibilità di impugnazione qualora non sia stato nominato un tutore. Infine, si è considerata l’incidenza determinata sui motivi di gravame dalla circostanza che i criteri con cui è stato emanato il provvedimento siano contenuti in una circolare: l’impugnazione, infatti, è limitata al motivo di eccesso di potere. 8. Permesso di soggiorno Un’ultima serie di considerazioni deve essere effettuata con riferimento al titolo di soggiorno rilasciato dall’autorità di pubblica sicurezza ai minori stranieri non accompagnati. La materia è regolata nel dettaglio dalla circolare del Ministero dell’interno del 9 aprile 2001 che – richiamando la norma contenuta nell’art. 28, comma 1, lett. a) del DPR 31 agosto 1999, n. 394, Regolamento recante norme di attuazione del testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, a norma dell’articolo 1, comma 6, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 – disciplina il permesso di soggiorno “per minore età” ed è stata aggiornata dalla circolare del Comitato del 14 ottobre 2002 sulla scorta della riforma operata dall’art. 25 della legge 189/02. La norma primaria contenuta nell’art. 28 del DPR 394/99 è molto generica, disponendo che «Quando la legge dispone il divieto di espulsione, il Questore rilascia il permesso di soggiorno: a) per minore età, salvo l’iscrizione del minore degli anni quattordici nel permesso di soggiorno del genitore o dell’affidatario stranieri regolarmente soggiornanti in Italia». La norma contenuta nell’art. 25 della legge 189/02 dispone, invece, che può essere rilasciato un permesso di soggiorno al minore straniero non accompagnato che sia stato ammesso «per un periodo non inferiore a due anni in un progetto di integrazione sociale e civile» e che «si trova sul territorio nazionale da non meno di tre anni». La disciplina contenuta nelle circolari menzionate e nelle disposizioni inviate dal Ministero dell’interno alle questure, richiamando queste norme, stabilisce che in tutti i casi in cui il Comitato non abbia «indicato all’autorità giudiziaria minorile di affidare il minore ai sensi della l. n. 184/83 e alle Questure di rilasciare un Permesso di Soggiorno per affidamento» sia rilasciato un permesso per minore età che non consente l’attività lavorativa e che non può essere convertito in alcun altro titolo senza l’assenso del Comitato. 24 A questo proposito occorre, poi, segnalare che in un caso in cui era stato nominato come tutore l’ente locale del luogo ove risiedeva il minore, l’autorità giudiziaria ha ravvisato un conflitto di interessi. 25 In via principale si considererà competente il TAR Lazio, avendo il Comitato sede presso il Ministero del Lavoro a Roma. Come è noto, però, il criterio della competenza del TAR della regione in cui ha sede l’autorità che ha emesso il provvedimento è derogabile. Si potrà pertanto adire altresì il TAR del luogo di residenza del minore. 26 Questione sollevata dal Tribunale di Vercelli con ordinanza del 7 giugno 2002; la non manifesta infondatezza viene ancorata al principio di uguaglianza in relazione alla disparità di trattamento fra il minore straniero oggetto di rimpatrio assistito e quello per il quale sia stata autorizzata la permanenza o oggetto di espulsione, ex art. 31, commi 3 e 4, TU 286/98. 27 È stato osservato che la norma tace sulle attività consentite dal permesso di soggiorno per minore età. È opinione comune, invece, che il vuoto normativo avrebbe dovuto essere riempito applicando la disciplina contenuta nella norma che regola la fattispecie più vicina a quella non disciplinata dalla norma, nel rispetto dei principi generali a cui si ispira la disciplina in materia. A questo proposito si richiama, infatti, quanto disposto dagli articoli 31 e 32 che prevedono, per i minori affidati a persone regolarmente soggiornanti, il rilascio di un titolo di soggiorno che non limita le attività che il minore può svolgere (attività lavorativa). Con riferimento, poi, alla possibilità di convertire, al compimento della maggiore età, il permesso di soggiorno per minore età in permesso per studio, per lavoro o per ricerca lavoro è stato osservato che la limitazione effettuata dalla circolare del 9 aprile 2000 è priva di supporto nella normativa primaria. Nello specifico, la necessità di un nulla osta da parte del Comitato, per altro non presupposto nel silenzio di tale autorità, non trova riscontro nel diritto positivo se non in quella norma contenuta nell’art. 25 della legge 289/02 che prende in considerazione soltanto alcune fattispecie che il Comitato stesso ha definito di carattere residuale. In riguardo si segnala che i TAR del dell’Emilia-Romagna, del Piemonte e della Toscana27 si sono espressi in favore di una lettura della norma nel senso di ravvisare un onere di valutazione della questura in ordine alla possibilità di rilasciare, in ciascun singolo caso, un permesso di soggiorno per studio, per lavoro o per ricerca lavoro. Il Tribunale ordinario di Torino ha invece affermato che il minore ha il diritto di svolgere attività lavorativa, senza valutazioni discrezionali dell’autorità amministrativa, dichiarando l’inefficacia del permesso di soggiorno per minore età «laddove stabilisce la non validità ai fini lavorativi»28. Le perplessità di ordine giuridico si uniscono necessariamente a quelle di ordine pedagogico, formulate da diverse comunità di accoglienza, in quanto il divieto di lavorare e l’impossibilità di proseguire legalmente il soggiorno in Italia al compimento della maggiore età pregiudicano fortemente la possibilità di elaborare progetti educativi lungimiranti. La conseguenza naturale di questo orientamento della questura, che si aggiunge ai tempi che il Comitato si è riservato per decidere sul rimpatrio, è che molti minori restano illegalmente in Italia pur avendo intrapreso un percorso educativo e formativo significativo. Articolo scritto da Josep Moryerson Coordinatore Segretario di ChildONEurope Consulente legale presso l’Istituto degli Innocenti e da Giovanni Tarzia Consulente legale presso Comunità d’accoglienza per minori stranieri STEFANO SCARPELLI Responsabile Amministrativo del Comitato Minori Stranieri Generalmente quando iniziamo un intervento del Comitato Minori Stranieri premettiamo sempre che parlare di questa materia non è particolarmente semplice. Infatti sia da un punto di vista amministrativo, che da un punto di vista giuridico, che da un punto di vista sociologico, questo fenomeno dei minori stranieri non accompagnati sicuramente ha delle complessità che molte volte si intrecciano tra di loro, alle quali non sempre, purtroppo, si può dare la risposta. Perché dico “la risposta”? Perché in quanto funzionari dello Stato, tutta quella complessità che il Dott. Moyersoen ha evidenziato, dobbiamo applicarla e ciò non è semplice. Non penso solo a noi funzionari dello Stato Centrale, penso anche alle Autonomie locali, agli Enti Locali, ai Servizi Sociali, alle Questure, ai Tribunali a tutti coloro che in questo fenomeno entrano in gioco. Si spera che con l’entrata in vigore del regolamento di attuazione, noi funzionari-operatori 27 TAR Emilia-Romagna, Sezione I, ordinanza n. 50 del 23 maggio 2002; TAR Piemonte, Sezione II, sentenza n. 952 del 14 novembre 2001; TAR Toscana, Sezione I, sentenza n. 880 del 2002. 28 Tribunale ordinario di Torino, Sezione VII, ordinanza del 21 novembre 2001. 28 potremmo cominciare a capire qualcosa su come, eventualmente, continuare a trattare questo argomento. Questo è un problema che noi viviamo quotidianamente, come tutti quelli che lavorano sul settore. Vorrei fare un intervento che essenzialmente ha due aspetti: uno più riflessivo e storico riguardante l'attività del Comitato in questi ultimi anni. Un altro più operativo, finalizzata ad analizzare ciò che potrà avvenire quando arriverà il regolamento d’attuazione. Prima che iniziasse l’attività del Comitato, i Tribunali per Minorenni, purtroppo, spesso, si dichiaravano incompetenti ad analizzare situazioni di minori stranieri che, tendenzialmente, avessero più di 14 anni. È stato anche per questo che è stato istituito all’interno della legge sull’immigrazione, un Comitato predisposto ad hoc per minori. Bisogna considerare che la 286, il Testo Unico, la TurcoNapolitano, per la prima volta ha fatto sì che il minore straniero fosse soggetto specifico di diritti. Precedentemente i minori beneficiavano di diritti in modo indiretto, il soggetto beneficiario era l'adulto o il padre di famiglia, il lavoratore, si valutava la possibilità di ricongiungimento familiare e solamente per alcuni aspetti il minore aveva diritti. Con questa legge, per la prima volta c’è un diritto fondamentale che viene riconosciuto: il diritto del minore all’unità familiare. Forse è per quello che i compiti del Comitato sono stati molto improntati sulla ricostituzione dell’unità familiare, anche in applicazione della Convenzione di Diritti di New York, che prevede anche questo. Sapere se è meglio o è preminente come superiore interesse del minore, che questi viva in famiglia, piuttosto che faccia invece un’esperienza più prettamente lavorativa, riguarda prettamente indirizzi politici. È vero che la Convenzione di New York ha fatto sì che la normativa italiana in materia di minori, specialmente la legge sull’immigrazione in materia di minori, considerasse e tutelasse il minore a 360 gradi, fino al diciottesimo anno di età, in quanto minore. Il problema è che il minore straniero è anche straniero, può essere lavoratore, studente, oppure può essere un soggetto che intende divertirsi fino a diciotto anni, perché un bambino italiano, fino a diciotto anni può decidere, tranquillamente, di divertirsi. Il minore straniero no. Abbiamo una normativa che ipertutela il minore in quanto minore, il quale allo scadere dei diciotto anni, finisce di avere tutti questi diritti e diventa un soggetto straniero con tutte le problematiche relative che per rimanere in Italia deve dimostrare o di lavorare o di studiare. Tutte le altre forme sono molto residuali. Riguardo il settore degli accolti di cui mi occupo faccio notare che in Italia entrano circa 35.000 minori, per soggiorni temporanei. Una buona parte di questi minori vengono dalla Bielorussia. Questo fenomeno è iniziato nel ’94 (prima con l’associazionismo, e poi, successivamente con l’intervento del Comitato) ed ora molti di questi ragazzi stanno diventando maggiorenni. A questi ragazzi è concesso di entrare in Italia per un soggiorno di 90 giorni, facendo attività di formazione. Poi improvvisamente quando raggiungono il diciottessimo anno non possono più entrare. Infatti anche entrare per studio non è semplice, (è di competenza delle Ambasciate), ma è difficilissimo, perché non sono previste quote privilegiate. Un altro compito del Comitato è il censimento che ha consentito di censire le segnalazioni che in questi anni sono arrivate al Comitato. In questo modo si è potuto capire che, generalmente, il minore straniero non accompagnato proviene da certi paesi: Albania, Marocco, adesso molto di più dalla Romania. Si è potuto capire che il ragazzo che arriva ha, generalmente, un’età intorno ai 17 anni. Si è capito anche perché i TM (i Tribunali per i Minorenni) avevano tanti problemi, perché la loro normativa non consente di prendersi in carico un minore straniero di diciassette anni, anche perché generalmente, salvo che non siano dei casi di urgenza, di applicazione di istituti quali l’affidamento e la tutela, normalmente il Tribunale per i Minorenni tende a perseguire un percorso pre-adottivo e questo costituisce un problema per i minori che magari hanno 17 anni. Abbiamo censito segnalazioni, che è una cosa diversa della presenza dei minori, infatti la segnalazione è una comunicazione al Comitato di un rintraccio del minore. Questa segnalazione può 29 avere tanti aspetti: può avere l’identificazione certa del minore, può avere delle informazione utili e necessarie per il rintraccio dei genitori. Noi pensavamo che, come quando un ragazzo italiano si allontana da casa, le informazioni principali siano quella dell’identità e del luogo in cui abitano i suoi genitori. Era un po’ quella l’ottica con cui abbiamo lavorato in questi anni. Sapendo bene che il minore straniero, però, si portava dietro problematiche che non erano tanto legate alla discriminazione in quanto minore. Perché se andiamo a vedere la normativa sul minore straniero non accompagnato, vediamo che ha come tutela di diritti quanto e forse a volte anche di più, di un minore straniero regolare, con regolari genitori sul territorio: la scuola assicurata, la sanità assicurata, il problema riguarda il tipo di soggiorno che hanno questi minori . A 18 anni cambia proprio completamente tutto il percorso di vita di uno straniero ed è lì che avviene la discriminazione, non è tanto sulle forme di tutela che gli vengono garantite, sulla possibilità di andare a scuola. Noi abbiamo avuto casi di minori stranieri non accompagnati che sono stati iscritti regolarmente a scuola, hanno frequentato tutta la scuola, il problema è l’identificazione. Questo è anche un problema di Comuni, a volte delle Questure, perché il Comune se non riesce ad avere un’identità certa di quel soggetto perché si sono persi i documenti, spesso si blocca e non interviene sull’assistenza sociale che è garantita. Bisogna riconoscere che questo è un paradosso della nostra normativa. Ecco perché spero tanto che almeno l’applicazione del l’articolo 25 , indipendentemente da come verrà attuato, possa risolvere la situazione. Ci sono varie linee, si tenta di dare un maggior decentramento all’attività del Comitato. E giustamente, perché chi lavora sul territorio, i Comuni e le Questure, hanno sicuramente una conoscenza della situazione superiore rispetto a noi che stiamo a Roma. Però è anche vero che molte volte, al Comitato sono stati dati molti più compiti, molte più responsabilità di quelle che effettivamente poteva avere, ad esempio l’identificazione (e qui vengo alla parte meno riflessiva e storica), è un problema che c’è sempre stato come pure il censimento. Noi abbiamo censito segnalazioni però i minori di cui arrivava la segnalazione con l’identificazione, quindi con allegato un passaporto, un documento di identità, con un permesso di soggiorno, sono una percentuale molto bassa rispetto a tutte le segnalazioni che riceviamo. I dati che vengono dati dal Comitato (23.000, 20.000, 15.000), fanno riferimento a segnalazioni, non a minori identificati, perché purtroppo molti di questi minori non hanno assolutamente un documento identificativo. Il Comitato è un organo interministeriale con rappresentanti di vari ministeri: Ministero dell’Interno, Ministero di Giustizia, Ministero degli Esteri, l’ANCI per i comuni, l’UPI per le province, c’è anche l’UNHCR. Faccio un esempio sul problema dell’UNHCR, che non è competenza nostra, riguarda i minori che chiedono asilo politico. Era stato inserito proprio perché era un ponte tra la possibilità di richiesta di diritto di asilo e la possibilità di essere trattato come minore straniero non accompagnato. Faccio un esempio: i minori stranieri con richiesta di diritto di asilo, che provengono da paesi soggetti a rischio, sono una parte esigua nel nostro paese,la qual cosa risulta abbastanza strana vista la vicinanza con paesi in cui sono in atto gravi conflitti e guerre. Quello è un altro canale che non è mai stato attivato. Allora, se su 360 casi che come Comitato abbiamo di minori potenziali richiedenti diritto di asilo, solo 10 hanno un’identificazione, voi giustamente direte che gli altri, essendo potenziali rifugiati politici non possono avere un documento. Noi li abbiamo segnalati all’UNHCR. Ma poi? Il Comitato con questo ha tentato di dare un input, essendo un organo amministrativo. Forse il grande fraintendimento è stato questo. Dobbiamo, però sottolineare che da ora in poi, in seguito all’entrata in vigore del Regolamento di Attuazione, i compiti del Comitato sono precisi e specificati; questo si può occupare solo di minori identificati, altrimenti il Comitato fa attività di censimento, che può essere utilissima per studi, ricerche, che ha consentito di fare evidenziare quale è il fenomeno, ma non è ciò che serve agli operatori sociali, ai Servizi Sociali. Come tipologia, il minore straniero non accompagnato, sia da un punto di vista sociologico che giuridico, può scomparire come apparire. Prima della costituzione del Comitato Minori Stranieri e 30 prima che il Ministero dell’Interno cominciasse a rilasciare con le Questure i permessi di soggiorno per minore età, il fenomeno dei minori stranieri non accompagnati, (salvo casi in cui i Comuni, effettivamente, volevano denunciare il fatto che non ce la facevano più territorialmente a gestirli e chiedevano dei rimpatri), era un fenomeno che era scomparso, perché i minori, sia quelli accolti che quelli che uscivano, ottenevano il permesso di soggiorno per affidamento, che consentiva loro la modifica a 18 anni. È ovvio che se viene trattato così, non c’è più minore straniero non accompagnato. Se bastava avere sul territorio un connazionale, non necessariamente parente, al quale un Tribunale per i minorenni, giustamente, affidava quel minore, il minore straniero non accompagnato non esisteva più. Però ricordiamoci che poi, a 18 anni, se quei soggetti non possono spendere nulla sul territorio dello Stato Italiano, in termini di studio, di lavoro o di formazione, non andranno avanti. Potranno arrivare fino a 21 anni, attraverso artifizi amministrativi o giuridici, ma non è certamente in questo modo che si crea integrazione, di ciò siamo profondamente convinti. Adesso la Legge Bossi-Fini prevede per il minore 3 anni di permanenza e 2 anni di progetto. Questa è una competenza che potrà essere del Comitato Minori Stranieri e del Ministero del Lavoro. Siccome questi enti, in particolare quelli penali, dovranno essere iscritti al Registro delle Associazioni, che svolgono attività a favore degli immigrati, potrà essere l’occasione, eventualmente, di fare un albo. Comunque, il Comitato non potrà che occuparsi di quei minori identificati con permesso di soggiorno. Attualmente ci sono 6.000 segnalazioni (sono nomi e cognomi di soggetti) la cui identificazione non spetta al Comitato, ma alle Questure, alle Autorità di Pubblica Sicurezza, non ai Comuni. Ci sono rappresentanti dei Servizi Sociali con tutti i problemi annosi che abbiamo noi, anche di gestione che sanno benissimo quanto è difficile a volte avere l’identità di un minore, quanto è difficile avere i dati familiari e quant’altro sul paese di origine. Il Comitato è stato sempre accusato di fare indagini familiari, o di farne poche, o di farne in maniera lenta; ma bisogna considerare quanto è difficile, a volte impossibile, lavorare negli altri paesi. Ma non tanto territorialmente. L’ex-Dipartimento Affari Sociali, ora Ministero del Lavoro, ha finanziato i programmi in Albania per 30 miliardi. Le strutture c’erano, il territorio era conosciuto. La Romania, bene o male, è uguale. Ci sono Comuni che hanno tentato di fare dei progetti ed hanno trovato le stesse difficoltà. Sembra strano, ma se non c’è l’identificazione e se non ci sono i dati è estremamente difficile poter prendere qualsiasi decisione sulla vita del minore e mai questa potrà prenderla il Comitato. Se i Tribunali dei Minorenni riescono a gestire la loro attività, riuscendo ad avere un coordinamento, o quanto meno prendendosi la responsabilità su situazioni del genere, ben venga! E ovvio, riteniamo sempre che il coordinamento tra istituzioni, essendo questa una maniera complessa, sia l’unica via. Però è vero che non può più essere sempre il Comitato il soggetto che può dare delle risposte a problematiche di un fenomeno che ne ha tantissime. Non è semplicemente un difendere l’attività fatta. Dopo cinque anni sono emerse tante situazioni e tante ne emergeranno successivamente. E questo forse è il motivo, per cui si cerca di fare un’opera di ritorno alle competenze specifiche. I minori identificati, i minori con permesso di soggiorno per minor età saranno 2000, 2500. Stiamo facendo un’operazione proprio di comunicazione. E per gli altri non è che chiudiamo il discorso, mandiamo comunque una lettera di comunicazione, dicendo che se non vengono fornite le indicazioni, non si riesce a poter prendere nessun indirizzo di istruttoria verso quel caso del singolo minore. E su questa opera noi cerchiamo di arrivare, al momento in cui entrerà in vigore il Regolamento di Attuazione, almeno con delle idee chiare, per dirvi, operativamente quali sono le caratteristiche del fenomeno. Vediamo di cercare di coordinare, avendo anche la possibilità di strutturare con decentramento delle competenze sui Servizi Sociali le azioni da intraprendere per affrontare il problema. Ormai sono passati cinque anni, ma ancora concretamente ed operativamente non si riesce a risolvere il problema. 31 Chiudo semplicemente sottolineando un aspetto. Il problema che dicevo dei 18 anni, è fondamentale. Noi stiamo facendo una verifica di questo. Abbiamo due tipi di provvedimenti: i rimpatri assistiti e anche la possibilità del cosiddetto non-luogo a rimpatrio assistito. Stiamo cercando anche di fare un’operazione di comunicazione alle Questure e ai Servizi Sociali (in particolare, prima alle Questure), per sapere se effettivamente questo nostro tipo di provvedimento, (giustamente criticato perché ha carattere amministrativo, non è ben chiaro come si possa ricorrere) dà qualche chance al minore. Questo è un quesito che ci poniamo anche noi. Infatti, stiamo chiedendo alle Questure di Italia che tipo di permesso di soggiorno è stato dato, quindi, modificato, al minore che ha usufruito nel nostro provvedimento. Molte ci rispondono e molte non ci rispondono. Stiamo proprio in una fase per capire se il nostro lavoro serve a qualcosa o non serve. Noi abbiamo anche casi di Questure che ci dicono “guarda, che il minore a cui avete fatto provvedimento, da noi, in Questura, per la modifica, non è proprio venuto”. Quindi potrebbe darsi che la rete dell’intervento sociale sul territorio ha anche altri sbocchi per questi minori. Non lo sappiamo, abbiamo sempre questo carattere sociologico di capire cosa sta succedendo realmente. Infatti l’ottica è quella di essere sempre consci che si sta nel discorso della legge sull’immigrazione: cioè se a 18 anni, ai minori stranieri non accompagnati non è stata data un’opportunità concreta, la situazione diventa drammatica. Con l’ottica del lavoro sul territorio, noi abbiamo cercato sempre di poter fare qualsiasi intervento e qualsiasi attività a favore del minore. Grazie. (Relazione non rivista dall’autore) DIBATTITO CRISTINE BARTOLOMEI Presidente del Tribunale dei Minori di Marsiglia Ringrazio l’ultimo relatore del coraggio con il quale ha parlato di questi temi e di tutti i punti interrogativi che si pone su questa azione che hanno fatto nel corso di questi ultimi tempi con questa nuova legge. È vero che, in Francia, l’espulsione dei minori è vietata fino ai 18 anni, e quindi non è possibile per esempio un rimpatrio per unirsi alla famiglia. Però, è vero, a 18 anni c’è il problema che ci sono molti minori non accompagnati che pur avendo partecipato a dei programmi di inserimento professionale, non hanno nessuna possibilità di avere un permesso di soggiorno. INTERVENTO DEL PUBBLICO Volevo sapere se il rimpatrio è possibile per coloro che hanno meno di 18 anni. STEFANO SCARPELLI Responsabile Amministrativo del Comitato Minori Stranieri Il rimpatrio assistito è previsto per i minori ed è valido fino a 18 anni. Dopo i 18 anni, il minore, in quanto non è più minore, ma maggiorenne è passibile di espulsione. La grande differenza è che i rimpatri assistiti sono dei progetti di rientro nel paese di origine, quindi anche con possibilità di programmi di reinserimento ad hoc del minore. Dopo 18 anni, in quanto adulto, è passibile, se non è regolare, di espulsione. L’espulsione ha anche degli oneri, perché dopo l’espulso non può rientrare in Italia per un certo numero di anni. Molte volte ci è stato detto che il rimpatrio assistito, in certe situazioni, è anche un’opportunità per il minore. 32 CRISTINE BARTOLOMEI Presidente del Tribunale dei Minori di Marsiglia È imposto ai genitori questo rimpatrio assistito? Si impone ai genitori di avere i figli con loro? Il rimpatrio può essere anche rifiutato? STEFANO SCARPELLI Responsabile Amministrativo del Comitato Minori Stranieri Questo è il nostro problema “della volontarietà”. Sul rimpatrio assistito ci sono due problematiche. La prima riguarda la volontarietà o meno del rimpatrio nei confronti del minore, quindi del soggetto proprio che lo riceve. C’è la questione se il minore rifiuta il rimpatrio assistito. Il minore può arrivare a rifiutarsi, come può arrivare ad allontanarsi dai centri una volta che è stato comunicato il rimpatrio. L’altra riguarda il possibile rifiuto dei genitori. Le indagini familiari che generalmente sono propedeutiche dovrebbero verificare non solo la situazione socio-familiare della famiglia finalizzata al rimpatrio, ma anche cosa ne pensano i genitori, le motivazioni per cui il minore è andato via, se ci sono problemi o pericoli; tendenzialmente se c’è una non-volontarietà di rientro da parte dei genitori è proprio per situazioni gravi o perché nell’intervista il genitore ha detto che preferisce che i propri figli rimangano in Italia. Nelle lettere che tante volte i ragazzi inviano alla famiglia, la ringraziano dicendo che stanno benissimo in Italia, che va tutto bene; ed è difficile che un genitore, di fronte ad una lettera del figlio che dice questo, gli chieda di tornare nel suo paese. Però se la non-volontarietà dei genitori dipende da situazioni particolari, che possono mettere a repentaglio la situazione del minore, è ovvio che se ne tiene conto. Comunque il provvedimento del rimpatrio assistito non riguarda esclusivamente i fattori nel paese di origine, ma anche la situazione in Italia, cerchiamo di analizzare la situazione in tutti i suoi aspetti tenendo conto dell’attività che il minore può fare in Italia e all’estero. CRISTINE BARTOLOMEI Presidente del Tribunale dei Minori di Marsiglia Quanti rimpatri sono stati effettuati? STEFANO SCARPELLI Responsabile Amministrativo del Comitato Minori Stranieri Dall’inizio sono stati fatti circa 1400 provvedimenti, complessivamente. Di rimpatri nel paese di origine ce ne sono stati 500. Di non-luogo a provvedere al rimpatrio, che sarebbe quello che consente al minore a rimanere in Italia, circa 950. Ci sono anche tanti rientri volontari dei minori. Ci sono situazioni in cui i minori vogliono rientrare e molte volte non è necessiaria neanche l’attività del Comitato. CRISTINA ROSSETTI Funzionario della Regione Toscana dell’ Area Socio-Assistenziale Minori Volevo fare una precisazione sull’intervento molto bello e molto appassionato che ci ha coinvolto tutti, in merito all’affidamento, perché è una questione abbastanza complessa e che va approfondita. La nostra Legge 184 prevede che il minore abbia il diritto ad essere educato nella propria famiglia. Quando questo non è possibile, c’è l’affidamento o a famiglia affidataria o ad una Comunità per minori. L’affidamento a famiglia affidataria per la Legge 184 è un istituto giuridico che prevede che ci sia la famiglia di origine. Stiamo attenti a non confondere l’istituto dell’affido famigliare con altre 33 forme, che vanno sollecitate, dobbiamo andare nella direzione delle opportunità. Siccome la materia è tanto complessa, le Associazioni di volontariato devono necessariamente lavorare con le Istituzioni ad esempio con la Regione Toscana. Questo rapporto pubblico-privato è un asse portante della legge che non voglio stare a sottolineare, però certe scelte innovative bisogna farle con le Istituzioni che le regolino, perché altrimenti possono essere fuorvianti o anche un po’ pericolose, giàcchè l’affidamento di un minore è una cosa che deve essere regolata e verificata, molto preparata e va sostenuta la famiglia. Quindi, non è perché le Istituzioni non vogliano, ma quando si intraprende un percorso, bisogna intraprenderlo con l’energia e le risorse sufficienti per preparare le famiglie, sostenerle perché non si devono lasciare sole, ma si devono attivare delle forme anche giuridiche e innovative che ce lo permettano. Era solo un chiarimento, perché esiste poi l’affido in base al Codice Civile, l’articolo 333 che è la limitazione della potestà genitoriale. Esistono poi le situazioni del 403; noi come attività amministrativa lavoriamo soprattutto sull’articolo 403 del Codice Civile e sulla Legge 184 per l’affidamento a Comunità per i minori stranieri non accompagnati. È un richiamo per non trovare soluzioni che possano apparire troppo facili e che poi debbano essere sviluppate e sostenute. Sono molto d’accordo con questo, ma mi sembra giusto ricondurle a una cornice nostra di Legislazione Italiana. BENKHDIM SUED Docente comunicazione interculturale Università Cafosacri di Venezia Volevo raccontarvi come è nato l’affidamento familiare. Lavorando all’interno dell’Istituto Penale e iniziando a prendere ragazzi non accompagnati con misure alternative, al Tribunale di Minori di Torino hanno valutato che quasi tutti i ragazzi che avevamo preso, hanno fatto un percorso positivo. E’ stata proprio la richiesta del Tribunale di Minori a incoraggiarci a mettere in piedi un’associazione che si chiama DIAFA, ma viene concesso un affidamento sempre temporaneo e con l’accordo della famiglia di origine (a questo proposito c’è un protocollo di intesa tra il Consolato del Regno del Marocco che prevede che il tutore del minore marocchino sul territorio torinese sia del Tribunale di Minori). L’accordo raccoglie all’interno di questo protocollo di intesa il Comune di Torino, il Consolato del Regno del Marocco e il Tribunale di Minori e solo la settimana scorsa è stata fatta una richiesta ufficiale dalla Regione Piemonte vuole stipulare un nuovo protocollo di intesa che potrebbe interessare tutto il Piemonte. Ovviamente, per le leggi italiane, noi non abbiamo il diritto di prendere un minore non accompagnato direttamente senza un accordo con il Tribunale di Minori e i Servizi Sociali. Lavoriamo anche sulla sensibilizzazione dei nostri Consolati e i nostri Governi di origine con la mediazione del Consolato del Marocco . JOSEPH MORYERSOEN Coordinatore Segretariato di ChildONEurope Rete Europea degli Osservatori Nazionali sull’Infanzia-Istituto degli Innocenti ChildONEurope è una Rete composta da Osservatori Nazionali sull’Infanzia dei Paesi dell’Unione Europea (UE) e raccoglie istituti di ricerca, centri e osservatori che si occupano di documentazione e analisi sulle tematiche dell’infanzia e dell’adolescenza, a livello istituzionale. Quindi va sottolineato che i componenti non sono organismi del mondo no profit, bensì istituzioni in relazione con gli enti pubblici, a volte direttamente integrate nei Ministeri competenti per le tematiche dell’infanzia dei Paesi dell’UE. 34 ChildONEurope nasce nel gennaio 2003, dopo due anni di lavori preparatori da parte del Gruppo intergovernativo permanente L’Europe de l’Enfance, che a sua volta nasce nel 2000 sotto la presidenza francese di turno dell’UE. Attualmente le tematiche dell’infanzia non sono di competenza specifica dell’UE, bensì dei singoli Paesi membri e per questo motivo si è creato un Gruppo intergovernativo, che si incontra ogni semestre, presso il Paese della presidenza di turno, per approfondire e confrontare le esperienze su uno o più temi specifici (per esempio abuso e handicap). In Italia l’incontro si è svolto proprio a Lucca nel settembre del 2003 mentre i prossimi incontri del Gruppo intergovernativo L’Europe de l’Enfance saranno a Dublino il 22 aprile e a Rotterdam il 28 ottobre 2004 e saranno incentrati tra l’altro sul tema della partecipazione dei bambini e dei giovani. Fanno parte della Rete ChildONEurope tutti i Paesi dell’UE. Alcuni partecipano in qualità di Membri: Belgio, Danimarca, Francia, Irlanda, Italia, Lussemburgo, Portogallo e Spagna; gli altri vi partecipano come Osservatori e la differenza consiste nel fatto che il potere decisionale spetta soltanto ai Membri e viene esercitato attraverso l’organo dell’Assemblea. Gli scopi di ChildONEurope sono lo scambio di informazioni su normative, politiche, programmi, dati statistici, studi e ricerche, nonché buone pratiche sulle tematiche legate all’infanzia e all’adolescenza, nonché sulle metodologie di intervento e sugli indicatori. Per esempio, sulla questione dei dati, siamo partiti con alcune indagini, e il primo problema che si è incontrato è quello di individuare degli indicatori comuni per il reperimento dei dati al fine di rendere questi ultimi comparabili. Gli organi di ChildONEurope sono l’Assemblea e il Segretariato. Mentre l’Assemblea è l’organo decisionale, il Segretariato è l’organo di supporto tecnico, documentale e logistico-organizzativo, oltre che propositivo della Rete. I compiti del Segretariato sono stati assegnati al Centro Nazionale di Documentazione e Analisi per l’Infanzia e l’Adolescenza - strumento tecnico-scientifico del Ministero delle Politiche Sociali, per quanto di competenza su infanzia e adolescenza – le cui attività sono gestite dall’Istituto degli Innocenti in Convenzione con il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali. Rispetto alla tematica molto attuale che sono stato invitato ad affrontare all’odierno Seminario, occorre segnalare che si tratta del risultato emerso durante il primo seminario di approfondimento che la Rete ha organizzato, e che si è svolto a Firenze lo scorso 4 dicembre 2003. Al seminario avente per titolo “I minori stranieri non accompagnati: buone pratiche di politiche e programmi nazionali sull’accoglienza, l’integrazione ed il ricongiungimento familiare”, hanno preso parte sia i referenti della Rete stessa (Membri e Osservatori), che i referenti dei Ministeri nazionali competenti sul tema dei minori stranieri, che Organizzazioni Non Governative (ONG) ed enti locali. In apertura del seminario è stato proiettato il video Casa – Marseille per gentile concessione dell’Associazione Jeunes Errants, illustrante il percorso di un minore che dal Marocco giunge in Europa mettendo in evidenza tutti i meccanismi e le procedure alle quali questo è costretto a confrontarsi. La storia raccontata dal video è stata ritenuta interessante proprio per la rappresentatività dell’impatto che questo tipo di flusso migratorio comporta nonché delle sue motivazioni, ed è stata considerata di stimolo per aprire la giornata di riflessione. Per il seminario della Rete ChildONEurope sono stati raccolti normative, dati statistici, politiche, buone pratiche ed esperienze che sono state messe a confronto. Partendo dal dato terminologico, si è optato per il termine unaccompanied foreign children, ossia minori stranieri non accompagnati, in quanto si tratta di un termine in uso da parte del maggior numero dei Ministeri competenti e dei maggiori organismi internazionali. Tale termine è utilizzato anche all’interno della risoluzione del Consiglio dell’UE Un sinonimo molto utilizzato è quello di separated foreign children, ossia minori stranieri separati, in cui l’elemento del “distacco” dai familiari o rappresentanti legali del minore risulta ulteriormente rimarcato. Un secondo gruppo di elementi emersi nel seminario di ChildONEurope è quello relativo all’analisi dei dati statistici, come risulta dalle tabelle 1 e 2 qui sotto riportate. Sulla base delle 35 informazioni raccolte, si possono leggere i primi dati statistici che, anche se non esaustivi e completi, sono molto significativi per fornire uno spaccato generale dell’entità del fenomeno nell’area geografica coperta dalla rete. Nelle tabelle che seguono Francia e Portogallo non sono incluse, in quanto nella propria documentazione la Francia non ha fornito dati statistici sui minori stranieri non accompagnati, mentre il Portogallo ha comunicato che soltanto 10 casi sono stati segnalati nell’anno 2000. Tabella 1 - Minori stranieri non accompagnati STATO ANNO 2002 2.547 2.660 137 Austria Belgio Danimarca Finlandia Irlanda Italia Lussemburgo Olanda Spagna Regno Unito 74 90029 7.04030 11 3.232 6.329 6.200 Totale 29.130 Tabella 2 - Minori stranieri non accompagnati STATO Minori stranieri non accompagnati richiedenti asilo Minori stranieri non accompagnati non richiedenti asilo Austria Belgio Danimarca 1.512 137 2.547 1.148 - Finlandia Irlanda Italia Lussemburgo Olanda Spagna Regno Unito 74 90031 2 3.232 6.200 7.04032 9 6.329 - Totale: 12.057 17.073 29 Questa è una stima di dati raccolti dall’Irlanda. si calcola approssimativamente un numero di minori stranieri non accompagnati compreso tra 800 e 1000 all'anno, da quando sono stato istituito un team di operatori dei servizi sociali che si occupa dei minori stranieri non accompagnati. 30 Dal Rapporto annuale dell’IPRS sulle attività svolte a supporto del Comitato Minori Stranieri Luglio 2002 – Luglio 2003 31 Cfr nota n.3 32 Cfr nota n.4 36 Esaminando la tabella n.1 si può subito constatare che in Italia sono circa 7.040 i minori stranieri non accompagnati che sono stati segnalati nell’arco dell’anno 2.002. Vediamo che l’Italia è lo Stato che ha il numero più elevato di minori stranieri segnalati nell’arco di un anno. Chiaramente non si tratta di un dato assoluto, riferito ai tutti i minori stranieri non accompagnati presenti sul territorio dello Stato, perché tale cifra riguarda solo i non richiedenti asilo dato che si tratta di dati forniti dal Comitato per i minori stranieri che in Italia non è competente per i richiedenti asilo. Seguono la Spagna con 6.329 e il Regno Unito con 6.200. La seconda tabella comprende i dati della prima tabella suddivisi a seconda che si tratti di minori stranieri non accompagnati richiedenti o non richiedenti asilo. La distinzione non è irrilevante, anche tenuto conto del fatto che ci sono Paesi che hanno attivato politiche ed interventi ad hoc per i minori non accompagnati (Italia, Belgio), mentre altri che considerano tutti i minori non accompagnati giunti sul proprio territorio aprendo immediatamente l’istruttoria per l’ottenimento dell’asilo politico (Danimarca, Finlandia, Irlanda, Regno Unito). Risulta evidente che il fenomeno dei minori stranieri non accompagnati tocca non solo Stati del Sud Europa (Italia, Spagna), ma anche del Nord Europa (Regno Unito e Belgio). Infatti le cifre vanno rapportate alla popolazione e pertanto va sicuramente precisato che i 2.660 minori si rapportano ad uno Stato come il Belgio con una popolazione di 10.239.000 abitanti (0,026%), mentre i 7.040 minori si rapportano ad uno Stato come l’Italia con una popolazione di 57.634.000 abitanti (0,012%). Inoltre va segnalato che la somma dei minori stranieri non accompagnati presenti in 10 Paesi dell’UE porta ad una cifra vicina ai 30.000, cifra che sicuramente deve fare riflettere maggiormente, sia a livello nazionale che a livello comunitario (UE). Il seminario di ChildONEurope si è poi sviluppato su tre tematiche: l’accoglienza, il rimpatrio e l’integrazione attraverso lavori di gruppo di cui si riportano in sintesi i risultati per quanto riguarda l’accoglienza e l’integrazione. Il gruppo di lavoro sull’accoglienza, ha lavorato su alcune questioni base e poi ha espresso delle proprie raccomandazioni. Vi hanno innanzi tutto preso parte vari referenti sia dei Ministeri competenti sia degli osservatori o centri di paesi: Belgio, Francia, Italia, Portogallo, Gran Bretagna e Spagna. Nonché referenti dell’UNICEF e degli Enti Locali, delle ONG e della Regione Toscana. Rispetto alla domanda se lo Stato acconsente all’ingresso sul proprio territorio dei minori stranieri non accompagnati, la prima risposta è stata affermativa. Infatti è emerso che nessun Paese espelle in modo esplicito i minori, tuttavia esistono in alcuni Paesi centri di transito considerati come veri e propri centri di detenzione. Questi centri di transito sono zone chiuse in cui il minore rimane fino a che non è stato identificato e non è stata individuata quella che può essere la soluzione da adottare per lo stesso. Inoltre sussistono in alcuni Paesi, centri di accoglienza che vengono utilizzati nel breve periodo con il rischio di aumentare l’emarginazione. Questa è una riflessione che è emersa sulla funzione del centro di accoglienza, che offre grandi opportunità ma solo se utilizzato evitando l’emarginazione. Alcuni adolescenti stranieri non accompagnati vogliono o hanno bisogno di lavorare e non possono, se lavorano o necessitano di lavorare, andare a scuola. Si pone il grande problema di come conciliare l’istruzione rispetto alla formazione professionale, e quindi all’accesso al mondo del lavoro. Un’altra domanda sulla quale ci si è soffermati è stata se i minori stranieri non accompagnati possono essere incarcerati per motivi di immigrazione. A seconda dell’approccio politico che il singolo Paese adotta rispetto ai minori stranieri, ossia se tale tematica è espressione di una politica legata ai flussi migratori, oppure alle problematiche del mondo del lavoro, oppure all’integrazione sociale. A seconda dell’approccio, e quindi anche del Ministero competente, si ha un intervento diverso. 37 Alcuni Paesi hanno ammesso che il minore può essere incarcerato per motivi di immigrazione sul proprio territorio e chiaramente è emerso che non si tratta di una soluzione adeguata per i minori stranieri non accompagnati. Come viene effettuata l’identificazione e come viene determinata l’età. Questo è stato uno dei punti cruciali rispetto all’accoglienza; in un primo momento quando un minore viene rintracciato sul territorio, si tratta di identificare il minore e di capire se è realmente un soggetto avente meno di diciotto anni. Sono emersi vari metodi e varie divergenze rispetto alle modalità e la tempistica dell’identificazione. Per alcuni Stati si fa riferimento a giorni e per altri invece anche a mesi. Spesso l’identificazione stessa è legata alla determinazione dell’età e questa, a sua volta, tra i vari metodi sono emersi come buona pratica vi è quella dei raggi X per l’analisi ossea finalizzata a meglio individuarne l’età qualora non sussistano o non siano reperibili documenti d’identità. È chiaro che anche questo lascia un margine di dubbio che soprattutto riguarda i soggetti che sono a cavallo fra la minor e maggior età, perché non c’è una certezza assoluta della determinazione dell’età anche con questa strumentazione scientifica. Un fattore che si è ritenuto a più voci di sollecitare, è il rapporto con le Ambasciate. Molto spesso le Ambasciate sono portavoce della posizione del Paese di origine in questo caso del minore. Pensiamo per l’Italia all’Albania, al Marocco o alla Romania, Stati da cui proviene il maggior numero di minori stranieri non accompagnati, interloquire con le Ambasciate è necessario anche per individuare una strategia rispetto al Paese di origine. Basti pensate ai protocolli di intesa che possono essere conclusi, agli accordi bilaterali in cui si tenga anche conto nei flussi migratori di questa categoria di soggetti. E’ anche comodo da parte di molti Paesi lasciare che i minori vengano in Europa per essere istruiti, essere formati per poi richiedere che lo Stato di accoglienza li rimandi nello Stato d’origine, come si è dimostrato che alcuni Paesi fanno, perché a quel punto sono forza lavoro e sono anche utile manovalanza per lo sviluppo del proprio Paese. Nel caso in cui il minore è accompagnato da un adulto, una domanda che si è posta è se si analizza la natura della relazione familiare con l’adulto che lo accompagna. Infatti è emerso che occorre fare molta attenzione innanzitutto al punto di vista del minore. L’ascolto del minore è sancito dalle Convenzioni, in primis la Convenzione ONU sui diritti del fanciullo e la Convenzione europea sull’esercizio del diritto dei fanciulli, e anche dalle leggi nazionali. Va tenuto conto che il minore può non dire tutto perché ha paura. Questo aspetto va monitorato sin dal momento in cui il minore entra sul territorio, quindi dal rintraccio, e attraverso il controllo delle frontiere. E poi tenere presente tutta la tematica legata alla tratta o al traffico dei minori (la cui differenze riguarda sostanzialmente il trasferimento di un minore e l’utilizzo ai fini di sfruttamento la prima, l’ingresso in clandestinità la seconda). Molto spesso ci sono casi in cui i minori sono coinvolti in fenomeni di tratta ai fini di sfruttamento nel lavoro, nella prostituzione, nell’accattonaggio per cui è importante tenerne conto sia nel momento dell’identificazione del minore sia rispetto alle indagini che vengo poi svolte nel Paese di origine in cui può non essere sufficiente ascoltare il genitore. Infatti sarebbe utile da analizzare anche il contesto della comunità familiare di origine per avere più elementi e quindi comprendere se il minore è o meno vittima di tratta, magari che vede il coinvolgimento della famiglia di origine, e quindi comprendere la reale relazione esistente tra il minore e l’adulto che eventualmente sostiene di essere un suo parente. Tra le raccomandazioni emerse, va richiamato il fatto che l’UE dovrebbe armonizzare tutte le direttive e politiche in materia di immigrazione e in materia di asilo anche perché questa è una delle competenze che l’UE si è data, visto che sono vari gli atti che trattano di asilo e immigrazione, anche se poi sono sempre gli Stati che sono chiamati ad applicarli. Quindi un maggior raccordo può essere l’elemento utile per conformare le varie normative. Soprattutto ora che entrano a pieno titoli nell’UE dieci nuovi Paesi che sono anche alcuni Paesi d’origine dei flussi migratori. 38 La seconda raccomandazione emersa riguarda il fatto che i Paesi dell’UE dovrebbero ratificare il Protocollo facoltativo sulla vendita, la prostituzione, la pornografia minorile - detta anche pedopornografia - che è il Protocollo aggiuntivo alla Convenzione ONU sui diritti del fanciullo che si occupa in maniera specifica del tema della vendita e della prostituzione dei minori. E infine il rispetto dell’art. 3 della Convenzione ONU sui diritti del fanciullo, secondo cui tutte le decisioni dovrebbero essere prese sempre nell’interesse del minore per tutelarlo nel migliore modo possibile. L’altro gruppo di approfondimento si è concentrato sul tema dell’integrazione ed ha lavorato molto di più sugli aspetti comuni, gli standard minimi e su raccomandazioni, anche qua vi hanno partecipato alcuni Paesi e osservatori nazionali (Danimarca, Francia, Irlanda, Italia e Olanda) e ONG. Gli aspetti comuni emersi sono sicuramente una volontà politica di fornire e rafforzare le risorse dei servizi. La differenza delle normative, delle procedure, delle politiche e delle istituzioni competenti ha reso la comparazione complessa e difficoltosa. E’ emerso che a seconda del Ministero competente, e Assessorato a livello locale (welfare, interni, lavoro, ecc.), diverso era la scelta politica adottata e l’atteggiamento dell’autorità rispetto alla problematica. Il razzismo e la percezione politica dei minori non accompagnati è un altro elemento comune emerso da più fronti. La lentezza e la mancanza di chiarezza delle procedure amministrative, laddove le procedure amministrative sono diverse, laddove non sono chiare. La domanda che questi minori si pongono è “ma posso io restare?” ed è la domanda che si pone in tutto il periodo di vacatio rispetto alla decisione definitiva, cioè rispetto al momento in cui si comunica al minore quello che ne sarà di lui. Quando si apre un’istruttoria, di qualunque genere essa sia, è chiaro che pone degli interrogativi al minore rispetto al suo futuro e alle conseguenze che si ripercuoteranno su di lui finché permane una situazione di provvisorietà e di incertezza che può sfociare anche nella fuga, nella clandestinità e quindi nel coinvolgimenti in circuiti illegali. Altri elementi comuni sono la fuga e la scomparsa di minori non accompagnati. Si è posta l’attenzione al fatto che questi minori possono essere coinvolti nella criminalità organizzata, non solo di stampo mafioso. E’ importante evidenziare che ci sono casi di fuga per vari motivi per esempio dai centri di accoglienza, e questi minori non rientrano nel territorio del Paese d’origine, bensì restano su territorio nazionale in clandestinità. Quindi per sopravvivere è molto facile che vengano adescati da gruppi criminali, per esempio per la vendita di sostanze stupefacenti, oppure per l’accattonaggio, oppure per commettere furti di vario genere. E’ emerso altresì il problema di avere spesso politiche non chiare se non contraddittorie: “si tratta di adulti o di minori?”. Poiché tali minori sono spesso adolescenti prossimi alla maggior età, emergono tutti gli interrogativi che sono stati posti anche durante questo Seminario, come ad esempio il fatto che resta il dubbio sul da farsi al compimento dei diciotto anni; mentre prima dei diciotto anni, se si tratta di un diciassettenne, resta il dubbio se è giusto intervenire o se si preferisce lasciare che questo minore compia diciotto anni con tutte le conseguenze del caso. Non esiste solo chiaramente la possibilità del proseguo amministrativo che è stato citato dal Dott. Scarpelli - soluzione che nasce nel 1934 nei confronti di soggetti prossimi al compimento della maggiore età a rischio di delinquenza - nelle soluzioni più urgenti e particolari. Oggi peraltro tale strumento viene utilizzato non più solo per i minori italiani ma anche per i minori stranieri, con la finalità più di protezione e sostegno verso l’autonomia che per il monitoraggio e controllo sul minore perché non commetta in futuro altri reati se a rischio di delinquenza. Questo fenomeno va incontro ad altri bisogni sociali, pensiamo ad esempio alla tendenza demografica. È in dubbio che rispetto alle scelte politiche adottate o da adottarsi il flusso migratorio influisce anche sulla tematica della demografia, perdendo così di vista le problematiche del singolo caso. L’attenzione a non violare i diritti dei minori, per esempio collocandoli in strutture paragonabili a centri di detenzione. L’intervento si ferma al compimento dei diciotto anni di età e questo è l’altro 39 elemento di ostacolo. Standard minimi: le decisioni devono essere rapide, fondamentale sapere se il minore può restare o meno nel Paese in cui è accolto e soprattutto di capirlo nel più breve tempo possibile per evitare che ci siano rischi di fuga proprio legati anche alla difficoltà di sapere se può rimanere o meno. Interessante è porsi l’interrogativo se i minori sono collocati nelle strutture separatamente o insieme agli adulti. Anche questo è un elemento importante perché mentre nei centri di accoglienza, in genere, sono minori separati dagli adulti se non accompagnati, nei centri di transito questo non accade molto spesso e quindi la promiscuità, l’abuso possono anche essere conseguenze da tenere in conto. Quale tipologia di educazione per i minori stranieri: integrata o specifica. Si fa un lavaggio del cervello e si applica la cultura italiana oppure si tiene conto della loro cultura e si cerca di aiutarli a integrarsi mantenendo comunque dei punti fermi rispetto alla propria cultura d’origine attraverso l’utilizzo di soggetti qualificati come i mediatori culturali. Previsione di assistenza sanitaria, programmi di svago e attività sportive sono standard considerati minimi indispensabili per il minore che non può rimanere in attesa che venga deciso qualcosa sulla sua sorte, magari senza essere ascoltato e senza svolgere alcun tipo di attività durante la sua permanenza nella struttura di accoglienza. La presenza di un rappresentante legale, di un tutore, è risultata necessaria. Ci si è posti l’interrogativo su che tipo di ruolo, supporto può avere tale figura, se solo di tipo giuridico o anche affettivo, ma è risultato evidente la necessità che questa figura sia prevista ogni qualvolta si sia di fronte ad un minore senza familiari entro il quarto grado. Sempre in riferimento agli standard minimi, l’utilizzo dello strumento dell’affido familiare quando si è di fronte a minori di età inferiore ai 12 anni è stata considerata come una buona pratica. La valorizzazione della cultura, della lingua e della religione del Paese di origine dei minori stranieri non accompagnati sempre laddove è compatibile in armonia con a nuova cultura, lingua, religione. L’ipotesi che si prospetta prima sull’intervento di carattere educativo di integrazione e non di ingerenza, è quella di individuare una soluzione di compromesso che consenta di mantenere il giusto equilibrio con entrambe laddove è possibile. Infine rispetto agli staff del personale dei centri di accoglienza, è importante che le strutture demandate a prendere decisioni in merito abbiano uno staff multi-disciplinare e multi-professionale. E’ interessante l’esperienza italiana della composizione dei collegi decisionali dei Tribunali per minorenni in cui non c’è soltanto un giudice togato, giurista di formazione, ma anche giudici onorari che sono esperti di professionalità diverse: psicologi, pediatri, psichiatri, medici, assistenti sociali e criminologi; la soluzione che si intraprende è collegiale e quindi con un confronto tra le varie discipline, e questo vale anche per i centri di accoglienza. Multidisciplinarietà e soprattutto l’attenzione a essere onesti, a comunicare e ascoltare il minore, a conoscere e far conoscere al minore i processi decisionali, a comprendere e far comprendere al minore i bisogni in particolare rispetto allo sviluppo dell’adolescente. Per concludere, è stato sottolineata anche in questo gruppo la necessità di prendere ogni decisione nell’interesse del minore, come ricorda l’articolo 3 della Convenzione ONU sui diritti del fanciullo, così come occorre fornire un supporto al Paese di origine per prevenire il fenomeno dello sfruttamento dell’immigrazione clandestina e occorre rendere i genitori consapevoli dei rischi che corrono i minori stranieri non accompagnati nel percorso migratorio. Molto spesso i genitori, purtroppo, non conoscendo questo fenomeno migratorio, non tengono conto delle conseguenze che questo comporta. Infine qualunque procedura civile, amministrativa o penale a cui i minori stranieri non accompagnati vengono soggetti, deve essere trasparente, chiara e avere una durata determinata. 40 PATRIZIO PETRUCCI Assessore ai rapporti con il Volontariato della Provincia di Lucca Buongiorno a tutti voi, sono l’Assessore per la Promozione del Volontariato della Provincia di Lucca, mi occupo di tutti quelli che sono gli sviluppi delle forme associative e delle Associazioni come quelle che sono presenti oggi pomeriggio e che sono impegnate sul settore dei minori stranieri non accompagnati. Darei la parola a chi vuole intervenire nel dibattito in modo da approfondire i temi affrontati stamani. DIBATTITO IMMIGRATO MAROCCHINO Buonasera a tutti. Mi presento, sono un immigrato marocchino che rappresenta una parte di immigrati che sono residenti nel comune di Capannori che fa parte della nostra Provincia. Prima voglio ringraziare tutti coloro che hanno organizzato questa iniziativa. La frase Minorenne straniero, secondo me non rispecchia la realtà perché un bambino quando nasce non ha nessuna cittadinanza, questa si crea perchè una persona nasce da una parte ben precisa del mondo e non si può permettere ad una persona che non ha compiuto i suoi diciotto anni di decidere se lui è marocchino o italiano. L’Italia ha avuto l’opportunità di avere dei minorenni oltre i tredici, quattordici anni fino ai diciotto, vuol dire che è una materia prima che l’Italia può manipolare come le pare. Dispiace che tutti gli Istituti per la Tutela del Minore non abbiano capito il perché di questa immigrazione del minore. Da una parte c'è una fuga da una guerra che è una realtà politica di un certo Paese, ma di solito è un modo di cambiare vita perché il minore fa parte di una grande società che soffre di tanti problemi sociali. Anche il minore quando ha fame si ribella contro il padre, contro la madre e, se loro non hanno niente da dare, è ovvio che prende la strada del mare per ritrovarsi sull’altra costa in cui pensa di trovare migliori condizioni di vita. A questa situazione economica critica l’Italia ha dato una soluzione, tutelando l’immigrato mandandolo in un istituto per dargli una formazione, però quell’immigrato non è venuto per avere una formazione che magari può avere anche nel suo paese o per imparare un mestiere già da quell’età. Visto che lui ha già corso il pericolo del mare voleva fare come gli altri immigrati adulti, trovare un lavoro. Nelle grandi città troviamo molti minorenni immigrati come preda degli spacciatori, come preda del giro della prostituzione, della pedofilia. PATRIZIO PETRUCCI Assessore ai rapporti con il Volontariato della Provincia di Lucca Darei la parola a Giovanna Giannasi, Rappresentante delle Segreterie e Tecniche delle Articolazioni Zonali delle Conferenze dei Sindaci proprio perché abbiamo voluto “saldare” in questa sessione le esperienze degli Enti Locali con le esperienze delle Associazioni che lavorano quotidianamente e costantemente in sinergia per affrontare questa particolare tematica dell’intervento sociale. GIOVANNA GIANNASI Rappresentante Segreterie Tecniche delle Articolazioni Zonali delle Conferenze dei Sindaci L’immigrazione come fenomeno sociale costituisce un tratto saliente del divenire della società, poiché la presenza dell’altro agisce all’interno della comunità come un potente fattore di messa in gioco e ridefinizione dell’identità sociale. D’altra parte sulle società locali ricade gran parte delle responsabilità operative di risoluzione dei problemi quotidiani che tale presenza fa emergere. Ed è 41 proprio nella quotidianità che si intersecano i fattori per così dire oggettivi di integrazione sociale: il lavoro, la casa, con quelli soggettivi: il progetto migratorio, le relazioni che si costruiscono con la realtà circostante. A livello provinciale l’immigrazione è in aumento soprattutto nelle aree caratterizzate da un mercato del lavoro ricco e con difficoltà a soddisfare la domanda di manodopera. Ad esempio l’area conciaria della Piana o il settore alberghiero della Versilia. La crescita quantitativa si accompagna ad una trasformazione di tipo qualitativo poiché aumentano progressivamente i ricongiungimenti familiari e dunque, anche la componente femminile e giovanile dell’immigrazione. Una trasformazione di questo tipo determina una serie di innovative esigenze espresse dalle famiglie di immigrati, in primis la necessità di garantire alla prole le stesse opportunità formative degli indigeni. A ciò si accompagna la necessità sociale di incentivare interventi volti a migliorare l’integrazione tra immigrati e comunità locale salvaguardando le esigenze culturali, religiose ed economiche di entrambi le parti coinvolte. Tali interventi da attuare risultano inoltre essere particolarmente complessi a causa dell’estrema eterogeneità delle popolazioni migranti che presentano caratteristiche socio-culturali estremamente variegate. A livello di Servizi Sociali il fenomeno migratorio è sempre più esteso. Si può dire che l’intervento destinato ai migranti è talvolta privilegiato rispetto a quello rivolto alla popolazione italiana. L’insediarsi di famiglie immigrate, in particolare famiglie con uno o più minori, comporta la necessità di interventi essenziali quali la casa, il minimo vitale, gli alimenti di prima infanzia, l’inserimento nel Nido e nella Scuola Materna dei minori, con conseguente esenzione dei buoni pasto e dei trasporti. Interventi di alfabetizzazione e di mediazione interculturale sino ad arrivare ad interventi per i primi minori portatori di handicap in situazioni di gravità. Pertanto il Servizio Sociale in questi ultimi anni aveva concentrato i suoi interventi prevalentemente su due direzioni: interventi volti a favorire l’integrazione sociale di quei soggetti con progetto migratorio a lunga scadenza o definitivo; erogazione di contributi di vario tipo, un livello minimo di sussistenza all’immigrato. In quest’ultimo anno ha attivato in forma organica servizi volti a garantire i livelli essenziali di assistenza per questa fascia di popolazione. Il fenomeno dei minori migranti non accompagnati interessa prevalentemente le aree urbane: Lucca, Viareggio, Capannori. La Garfagnana per ora rimane fuori. In prevalenza sono minori di sesso maschile, Lucca e Capannori ha solo uomini; provengono dal Marocco e dall’Albania. Nel 2003 Lucca è intervenuta per 13 minori migranti, Capannori per 2 minori e Viareggio per 8 minori. L’età in prevalenza di questi ragazzi è di sedici, diciassette anni; ora, però, tende ad abbassarsi sino ad arrivare a minori di dodici anni. Questi minori si presentano per lo più alla Questura e chiedono di essere inseriti in una comunità educativa. In passato, molte volte venivano trovati per strada. Sono soli dal punto di vita giuridico, ma c’è quasi sempre una rete o almeno persone da loro conosciute. Si può rilevare che il più delle volte all’uscita di un minore dalla struttura perché maggiorenne, il giorno dopo si presenta alla Questura un minore di uguale nazionalità per essere inserito. Ma di cosa hanno bisogno questi minori? L’inserimento in una comunità che faccia le veci della famiglia di origine, l’alfabetizzazione, il completamento dell’obbligo scolastico e pertanto un percorso educativo e formativo. Anche se da parte loro, in particolare i minori albanesi, la richiesta è subito il lavoro per guadagnare e mandare un aiuto economico alla famiglia di origine. L’ultima cosa, ma non in termini di importanza é la possibilità di trasformare il permesso di soggiorno da minore a permesso di soggiorno per esigenze lavorative. Il fenomeno dei minori migranti non accompagnati si sta sempre più ampliando creando molte difficoltà sia a livello economico – Lucca spende annualmente 500.000 Euro – ma in particolare sia per le difficoltà delle strutture a recepire le esigenze di crescita di questi minori. È necessaria una trasformazione delle strutture stesse nate per accogliere ragazzi italiani in situazione di grave problematicità familiare e che si trovano ad affrontare invece l’accoglienza di questi minori offrendo loro occasioni di crescita, sia a livello educativo che formativo, finalizzate a migliorare l’integrazione 42 tra minori immigrati e comunità locale salvaguardando le esigenze culturali e religiose di questi minori. PATRIZIO PETRUCCI Assessore ai rapporti con il Volontariato della Provincia di Lucca Darei la parola a Federico Fambrini e Sara Vitali. Sarà la presentazione di un’elaborazione effettuata in gruppi di lavoro a cui hanno partecipato appunto i rappresentanti del GVAI (Gruppo Volontari Immigrati), dell’Associazione GHIBLI, dell’ARCI,di PROTEO Centro Studi, del Consorzio SIRIO e del rappresentante dell’UNICEF di Lucca. SARA VITALI Rappresentante delle Associazioni del Territorio della Provincia di Lucca Abbiamo deciso di sintetizzare il lavoro svolto in queste riunioni cercando di esemplificare quelle che sono le prassi e le procedure che quotidianamente ci troviamo ad applicare, sperando di illustrarvi il più semplicemente possibile quello che è il nostro lavoro quotidiano. Siamo partiti innanzitutto dalla definizione di minore straniero non accompagnato presente nel territorio dello Stato. È stato difficile perché in realtà nel nostro territorio della Provincia di Lucca ci sembrava che questo minore non accompagnato non costituisse una problematica, in realtà riflettendo meglio sulla definizione e sulle difficoltà che tutti i giorni dobbiamo affrontare ci siamo resi conto che invece in realtà lo è. Il minore non accompagnato è definito come " quel minore che non ha cittadinanza italiana né degli Stati dell’Unione Europea, che non ha presentato domanda di asilo e che si trova in Italia privo di assistenza e rappresentanza da parte di genitori o di altri adulti fino al quarto grado di parentela per lui legalmente responsabili". Adesso, se prendiamo questa definizione così com’è ci rendiamo conto che questo è un minore completamente solo, che non ha nessuno sul territorio. In realtà ci siamo resi conto che se è affidato legalmente ad adulti entro al quarto grado (che per la legge italiana non sono riconosciuti come tali) in realtà questo minore non è completamente solo ovvero lo è per lo Stato Italiano, non per la sua vita di tutti i giorni. Quindi questa è la seconda tipologia che abbiamo individuato. La terza, se andiamo ancora a cavillare su questa definizione (ci rendiamo conto che questi minori non completamente soli in realtà spesso si trovano affidati non legalmente a parenti che moralmente o materialmente non sono idonei a provvedere alla loro sussistenza), è un minore completamente solo con parenti non idonei. Noi ci siamo trovati a ragionare su queste tre tipologie che in realtà fanno capo ad una definizione sola. Se le prime due tipologie corrispondono più alle problematiche che sono presenti nella zona di Lucca città, delle zone limitrofe, della Garfagnana, la terza tipologia è quella che è pervasa nella Versilia. Adesso andremo ad elencarvi le procedure che ogni tipologia affronta. FEDERICO FAMBRINI Rappresentante delle Associazioni del territorio della Provincia di Lucca Iniziamo a parlare del minore completamente solo. Abbiamo considerato ogni tipologia e per ogni tipo abbiamo creato un percorso del minore quando arriva da noi come Associazione o alle Cooperative sociali che lavorano sul territorio. Per il minore completamente solo abbiamo suddiviso il percorso fino al compimento del diciottesimo anno di età in tre fasi. La prima fase l’abbiamo chiamata di pronta accoglienza. In questa fase quando il minore viene trovato sul territorio, la sua presenza viene comunicata ai Servizi Sociali e viene inserito in Comunità. La cosa importante di questa fase è la segnalazione ai vari Enti da parte delle Associazioni o delle forze pubbliche. È obbligo segnalare la 43 presenza del minore ai Servizi Sociali, alla Questura ufficio minori, alla Procura del Tribunale dei Minori e al Comitato dei minori stranieri. La seconda fase l’abbiamo definita inserimento e integrazione del minore. Cosa avviene in questa fase? Sul minore dopo un’attenta osservazione da parte dei responsabili della Comunità e dei Servizi Sociali,considerando l’età e le attitudini del ragazzo, viene predisposto un progetto individuale. Riguardo all’inserimento scolastico alcune Associazioni sul territorio predispongono progetti di mediazione scolastica, con sostegno extrascolastico, corsi di alfabetizzazione e progetti di sport. Riguardo all’obbligo formativo altre Associazioni si occupano di percorsi per la formazione al lavoro, stage formativi e orientamento ai percorsi formativi. Una cosa molto importante è che per accedere a queste due tipologie di percorso è fondamentale per il minore avere il permesso di soggiorno per minore età. Anche nel passaggio del permesso di soggiorno per minore età intercedono sempre le Associazioni e le Cooperative andando in Questura per il rilascio. La terza fase è quella che abbiamo deniominato di stabilizzazione. In questa fase si crea una nuova esigenza per il minore, la conversione del permesso di soggiorno da minor età a permesso di soggiorno per affidamento che poi è l’input per la stabilizzazione definitiva in Italia anche dopo il compimento del diciottesimo anno di età. In questa fase si creano due percorsi paralleli o la richiesta di affidamento al Tribunale dei Minori o l’apertura di una tutela tramite il Giudice Tutelare. Ognuno dei due casi porta alla conversione del permesso di soggiorno per minor età in permesso di soggiorno per affidamento. Un’altra problematica che si crea nella fase di stabilizzazione è il problema casa. Il minore, al compimento del diciottesimo anno di età si trova, purtroppo, a dover abbandonare la Comunità dove ha vissuto fino a quel momento e quindi nuovamente le Associazioni e le Cooperative che operano nel settore si impegnano a svolgere un’azione di aiuto per cercare un nuovo alloggio. La seconda tipologia di minore è quella del minore non completamente solo, cioè quel minore che ha in Italia parenti entro il quarto grado che per la legge italiana non sono legalmente riconosciuti. Questo tipo di minore ha un percorso un po’ particolare: i parenti che vivono con lui sono in grado di mantenerlo moralmente ed economicamente e quindi vengono direttamente alle Associazioni o agli sportelli delle Cooperative per richiedere i documenti che necessitano per l’apertura di una tutela. Noi come Associazioni aiutiamo il parente a far arrivare dal Paese di origine questi documenti che servono per l’apertura della tutela. Questi sono: la richiesta dell’autorizzazione dei genitori per la tutela, l’atto di nascita del minore, l’atto di nascita del tutore e lo stato di famiglia che dimostra appunto il grado di parentela del tutore. La cosa importante da dire è che ultimamente tutti questi documenti devono avere la postilla cioè il timbro da parte dell’Ambasciata Italiana nel Paese d’origine che garantisce la legalità di questi documenti. Poi il parente col minore viene indirizzato da parte delle Associazioni e le Cooperative verso il Giudice Tutelare per poi arrivare alla Questura per il rilascio di un permesso di soggiorno per affidamento o in casi rari, per famiglia. SARA VITALI Rappresentante delle Associazioni del territorio della Provincia di Lucca La terza tipologia, come avevamo visto in precedenza, riguarda il minore non completamente solo con parenti non idonei. Proprio perché non sono idonei il minore viene trattato e viene seguito con la stessa procedura del minore non accompagnato, quello completamente solo. Quindi il minore si presenta agli sportelli o all’Associazione, ai gruppi in strada e, tramite le Associazioni e le Cooperazioni, sempre con l’aiuto dei Servizi Sociali, viene orientato su quelle tre fasi che avevamo già elencato:la prima fase della pronta accoglienza nelle Comunità e nei Centri di accoglienza, la seconda fase di inserimento e integrazione quindi con eventuali percorsi o di inserimento scolastico o di formazione per il lavoro; la terza fase della stabilizzazione importante poi per la legalizzazione del minore sul territorio italiano nella conversione del permesso di soggiorno per minor età in un permesso di soggiorno per affidamento. 44 Questo che abbiamo elencato è la tipologia che noi Associazioni quando ci siamo riunite avevamo segnalato e sentito come la tipologia più a rischio, perché e più difficile da seguire. In realtà il minore non è solo, spesso è accompagnato, comunque seguito o in qualche maniera controllato da parenti o adulti entro il quarto grado anche se è difficile capire poi se c’è una vera e propria parentela. Di solito se sono parenti non idonei, sicuramente non saranno né materialmente né moralmente idonei a seguirlo, significa che gli stessi parenti vivono situazioni di illegalità o di precarietà materiale. Succede che il parente ha un certo ascendente sul minore e che quindi molto spesso ostacola un’eventuale procedura di legalizzazione o di progetto di vita del minore stesso. Questi sono il tipo di minori più presenti in Versilia e rientrano in una categoria che riteniamo a forte rischio. Tutto questo è una rete molto reale per noi, nel senso che viene da dati reali delle Associazioni e delle Cooperative. È una rete che sicuramente vede le Associazioni e le Cooperative in prima persona a lavorare sodo e con molte difficoltà che potrebbe essere affrontate con maggior possibilità di successo se la rete funzionasse di più . Abbiamo cercato quindi di visualizzare una rete ideale: il minore e tutti gli Enti, Associazionii e figure di riferimento viene trovato dalle forze dell’ordine o in qualche maniera segnalato. Queste hanno il dovere di comunicarlo e di segnalarlo al Comitato dei minori e ai Servizi Sociali. A maggior ragione le Associazioni e le Cooperative svolgono la stessa funzione, ovvero alla presenza del minore segnalano al Comitato dei minori e ai Servizi Sociali la sua permanenza sul territorio per permettere ai Servizi Sociali di prendersene cura o sicuramente di trovargli subito una sistemazione abitativa, presso Comunità e Centri di accoglienza, i quali a loro volta segnalano la presenza del minore alla Questura e cercano di far pervenire al minore il permesso di soggiorno per minore età. FEDERICO FAMBRINI Rappresentante delle Associazioni del territorio della Provincia di Lucca A questo punto subentra il Comitato dei Minori che dovrebbe interagire con la famiglia di origine per vedere in che realtà il minore viveva prima di arrivare in Italia. Se la famiglia di origine è in grado di poter mantenere il minore, il passaggio è abbastanza immediato: Questura – minore – ritorno a casa, se vedete in questa rete reale c’è un percorso di ciclicità, poi nei passaggi della rete reale noi abbiamo visto che invece manca appunto la rete reale di questa ciclicità e di questa fruibilità. Se non viene adottata la strada del rimpatrio allora si fa una segnalazione nuova ai Sevizi Sociali; questi opteranno per l’apertura di un affidamento al Tribunale dei Minori che dovrebbe rispondere in tempo quasi immediato, cosa che spesso non avviene e con l’affidamento si recherebbero in Questura per il rilascio del permesso di soggiorno per affidamento che poi è la carta vincente per poter pensare a rimanere in Italia dopo il diciottesimo anno di età. Quindi vediamo che la differenza sostanziale che c’è tra la nostra rete ideale e la rete reale innanzitutto sono questi tempi molto lunghi da parte di Enti come il Comitato e il Tribunale, non il percorso del minore. Le Associazioni hanno riportato contributi anche riguardo ai bisogni e ai modi per cercare di risolverli. È emersa innanzitutto una problematica fondamentale sul concetto della mediazione. Le Associazioni hanno manifestato questa voglia di capire il concetto della mediazione, hanno pensato alla creazione di nuovi corsi dei mediazione che pensiamo siano fondamentali soprattutto per un rapporto impostato in maniera diversa col minore stesso. Anche il concetto culturale ci sembra non troppo chiaro. Un’altra cosa importante è che ci siamo accorti che all’interno delle Associazioni manca una vera e propria rete rafforzata. Parliamo linguaggi diversi e a volte non riusciamo ad incontrarci su obiettivi comuni. Quindi una cosa che proponevamo, proprio a livello di Associazioni, era quello di supportarci con interventi o incontri periodici, le famose tavole rotonde, di cui tutti noi abbiamo parlato più di una volta ma che poi non si sono mai realizzate. Queste tavole rotonde costituiscono uno strumento efficace per meglio comunicare, 45 confrontarsi e proporre nuovi strumenti di intervento visto che anche il fenomeno dei minori si sta evolvendo e sta assumendo sempre più ampie proporzioni. PATRIZIO PETRUCCI Assessore ai rapporti col Volontariato della Provincia di Lucca Interviene Sonia Ridolfi che parlerà a rappresentanza delle Associazioni e Cooperative che operano all’interno delle strutture residenziali per i minori nel nostro territorio. La relazione è tata elaborata in gruppi di lavoro, a cui hanno partecipato i rappresentanti della Comunità Alloggio di Viareggio gestito dalla CREA, dalla Comunità “Carlo Del Prete” gestita dalla Cooperativa “L’impronta”, Il Villaggio del Fanciullo e la Casa Famiglia Progetto di Protezione Sociale del CEIS. SONIA RIDOLFI Rappresentante delle Comunità per i minori del territorio della Provincia di Lucca Quello che vi illustrerò è il punto di vista delle Comunità e in particolare mi soffermerò poi su alcuni nodi problematici.Le strutture non sono nate per accogliere minori stranieri, ossia sono tutte strutture nate per l’accoglienza di minori italiani e su questa tipologia hanno creato il progetto. Ad eccezione di un’unica struttura, tutte le altre presenti continuano ad avere la permanenza di minori sia stranieri che italiani. E se poi si riduce la problematica ai minori stranieri non accompagnati il numero è limitato rispetto ai minori italiani. Quindi l’adattamento del progetto comunitario è nato dalle esigenze sul territorio, dal fatto che ci fossero tanti minori non accompagnati che avessero bisogno di una risposta soprattutto residenziale. Le modalità di risposta sono state legate soprattutto all’elaborazione di percorsi individuali, ossia a cercare di strutturare all’interno della Comunità dei percorsi che avessero caratteristiche diverse da quelle dei minori italiani. Ovviamente la normativa prevede che all’interno di tutte le strutture per minori siano elaborati i famosi PEI, piani di intervento individualizzati. Quando si parla in questo caso di percorsi individuali si parla di percorsi che vadano al di là di quello che è un banale PEI. Anche il progetto comunitario è stato in qualche modo adeguato per favorire l’accoglienza di diversi soggetti e il piano dell’integrazione. Le strutture sono alla ricerca di una nuova identità proprio nel senso che soprattutto per una struttura che accoglie quasi esclusivamente minori migranti, il processo che le comunità stanno facendo è quello di creare una nuova identità che permetta nella maggioranza dei casi la convivenza di minori stranieri di culture diverse coi minori italiani. I ragazzi ospitati dalle Comunità vanno dai sei ai diciotto anni, ma abbiamo un incremento significativo tra i dodici e i diciotto anni per i minori stranieri. Negli ultimi anni l’età sta tendendo ad abbassarsi, quindi se prima l’incremento era intorno ai quindici, sedici, diciassette anni, ora c’è un abbassamento della fascia di età. I minori stranieri generalmente sono maschi. Le minori straniere, invece, sono femmine, soprattutto quelle che sono accolte nei progetti di protezione sociale che riguarda lo sfruttamento lavorativo e sessuale. Il Paese di provenienza maggiore per i maschi è il Marocco seguito dall’Albania e poi dall’ex Jugoslavia e dalla Somalia. Per le femmine invece il Paese di maggior provenienza è l’Ecuador seguito dalla Romania, dalla Nigeria, dal Marocco e dall’Albania. Tutte le minori che noi abbiamo “censito” (i dati riguardano il 2003), che sono state accolte sono solo quelle soggette allo sfruttamento sessuale e/o lavorativo. Per quanto riguarda la durata del percorso in genere si conclude, come la legislazione stamani ci ha più volte ricordato, col compimento del diciottesimo anno di età o comunque talvolta e in rarissimi casi al termine di un percorso educativo. Talvolta si conclude con l’apparizione improvvisa di qualche parente che decide di prendersi cura del minore. 46 Le ragazze dopo il percorso comunitario vengono inserite in famiglie affidatarie. Si tratta di affidamenti, anche in questo caso decretati dal Tribunale per i Minori e di famiglie particolari che hanno già fatto molte esperienze di affidamento con ragazzi grandi e che vengono seguite non soltanto dalla struttura che in qualche modo si fa da tramite per l’affidamento, ma anche sul sostegno di altre famiglie costituite in una rete di solidarietà. L’intervento educativo prevede la presa in carico globale del minore per un tempo generalmente molto lungo. Per globale qui si intende tutto, questi minori sono soli e hanno bisogno di qualsiasi cosa, quindi non possono che contare sugli educatori della comunità. L’intervento verte principalmente al soddisfacimento dei bisogni primari compresa la lingua. E’ un tipo di intervento comunitario che si basa soprattutto sulla relazione educativa che vuol dire il non lasciare nulla al caso quindi elaborare un programma quotidiano dove ogni cosa che si svolge all’interno della Comunità acquista un significato particolare. La vicinanza, il seguire costantemente il minore in tutte le sue attività cercando di approcciarcisi in maniera empatica, la frequenza della relazione, permette un’osservazione e una conoscenza approfondite, per cui il minore diventa membro di una famiglia. L’ambiente comunitario si avvale dell’opera degli educatori ed i volontari con competenze specifiche. Non tutte le strutture hanno educatori al suo interno, ve ne sono alcune che vertono il loro lavoro soprattutto sull’utilizzo di volontari che vengono adeguatamente formati, si pongono come figure di riferimento stabili e questo fa in modo che la comunità diventi quella cornice di riferimento attorno alla quale tutte le relazioni e le attività possono essere vissute dal minore come prevedibili e rassicuranti. È un po’ il modello della comunità. A questo si affianca l’utilizzazione di poche regole chiare ed esplicite come fonte di stabilità. Stamattina si diceva della difficoltà di questi minori di stare all’interno delle regole. È un’esperienza che tutte le comunità fanno e non solo con i minori emigranti ma in genere con tutti i minori che vengono inseriti nella comunità e ad avere poche regole che siano molto chiare ed esplicite aiuta a dare stabilità, a capire quali sono i confini in soggetti che spesso i confini ce li hanno mal delineati. La metodologia utilizzata si basa su tre cardini: il primo è il lavoro di rete con integrazione di tutte le risorse presenti si territorio, dalla scuola ai centri per l’impiego ai corsi di formazione professionale. Il secondo è il lavoro di equipe e qui ci piacerebbe sognare che un domani questo lavoro di equipe diventi non soltanto il lavoro svolto all’interno della comunità con le figure multiprofessionali, coi vari collaboratori, ma che diventi un lavoro a più mani con i servizi. E poi il progetto educativo individuale inteso nella valenza che gli avevo dato prima quindi non tanto come piano educativo, ma come un progetto particolare che permetta alla struttura che non accoglie solo minori migranti, di dar loro una risposta che sia il più vicina possibile alle loro esigenze, infatti ha come obiettivi di base l’autonomia e l’integrazione sociale. Gli obiettivi perseguiti sono: N Il soddisfacimento dei bisogni primari compresa la lingua. Sono persone sole che hanno bisogno di lavarsi, di avere dei vestiti… hanno bisogno di tutto. N La fuoriuscita da una situazione di pericolo o di alto rischio. Questo vale, sicuramente, per le ragazze sfruttate, ma anche per i maschi che tante volte sono in situazioni di rischio. Prima veniva un po’ fatto notare il quadro della delinquenza minorile dove poi finiscono questi ragazzi. N L’integrazione sociale. N La definizione dell’aspetto legale con particolare attenzione dopo il compimento del diciottesimo anno di età. N L’inserimento in percorsi scolastici e formativi. 47 N La rielaborazione della storia personale con tutte le difficoltà del caso che ci sono e con particolare attenzione alle ragazze sfruttate e anche ai ragazzi dove spesso le esperienze di vita che hanno passato sono caratterizzate da una valenza affettiva molto forte. N L’autonomia. Abbiamo cercato di evidenziare quali erano secondo noi le maggiori problematicità e le criticità più forti. La prima è ottenere una presa in carico istituzionale reale. Al di là della legge che prevede che i minori stranieri non accompagnati presenti sul territorio italiano vengano trattati in pratica come minori italiani, noi intendiamo per presa in carico reale poter arrivare a lavorare con i minori immigrati con gli stessi parametri che abbiamo con i minori italiani, anche perché le problematiche dopo i diciotto anni sappiamo che sono elevate, rischiamo che questi minori escano dalle comunità ed entrino nel giro della criminalità, per cui riteniamo importante poter creare questo lavoro a quattro mani, con verifiche costanti. Il seguire un percorso evolutivo con persone che se pure sono minori di età hanno avuto delle esperienze e hanno un approccio alla vita da adulti. Sul concetto di minore in Italia e di minore negli altri Paesi forse ci si potrebbero scrivere tanti trattati. Noi li trattiamo come minori, come minori vogliamo che vadano a scuola, che facciano tutta una serie di cose che i nostri minori devono fare e che comunque riteniamo adatti per la loro età e magari questi ragazzi fino al giorno prima, erano completamente autonomi e facevano la loro vita. Da qui nasce la difficoltà di trattarli come minori pur essendo adulti di fatto. L’inserimento nei percorsi lavorativi e scolastici l’abbiamo messo per sottolineare il fatto che questi minori spesso hanno delle difficoltà non tanto rispetto alle offerte (della Provincia, dei Comuni, delle Agenzie formative ecc.), ma rispetto ai tempi. Diventa difficile tenere un minore in comunità per due mesi in attesa che parta il corso perché in quel tempo questo può essere tentato di scappare. Quindi la possibilità, in qualche modo, di trovare dei posti dove possano entrare ed uscire meno formalizzati, meno legati all’avvio ufficiale del corso, quindi delle opportunità soprattutto sul piano della formazione professionale e poi degli inserimenti lavorativi, che siano più agili. Abbiamo evidenziato anche i problemi legati alla famiglia di origine sotto due aspetti, da una parte la sua assenza come vicinanza emotiva. Si è detto prima che l’età si sta abbassando, immaginatevi cosa vuol dire avere relazioni con persone senza avere nessuno di significativo per noi vicino. E sia anche per la diversità che hanno della concezione rispetto la minor età e quindi per le richieste che fanno ai ragazzi intese proprio come richieste che per noi sono inaccettabili e che per loro che magari li hanno mandati qua con l’obbiettivo che portino dei soldi o che magari una volta diventati in grado tornino nel loro Paese, ecc. ecc. Come comunità è nel nostro DNA proporre un modello di famiglia tipicamente italiano con delle modalità di relazione, il modo con cui le operatrici e gli operatori si pongono nei confronti dei minori riproponendo quella che è la nostra concezione della famiglia. Si rileva la mancanza di mediatori culturali soprattutto per la zona lucchese, perché in realtà Viareggio ne è ampiamente fornita, e anche la difficoltà di avere all’interno delle strutture delle persone che in qualche modo appartengano alla cultura di provenienza e aiutino nel passaggio. Si sa che poi la devianza trova terreno fertile in tutte quelle situazioni dove noi lasciamo la nostra cultura e cerchiamo in qualche modo di adeguarci passivamente o quasi ad un’altra cultura e quindi le figure che in qualche modo aiutino in questo passaggio a valorizzare la cultura del minore trovando dei punti di integrazione con la società dove vive. Le opportunità del minore dopo la comunità. Col diciottesimo anno di età che cosa succede? Abbiamo pensato anche ad alcuni suggerimenti da mettere in campo. Sicuramente la strutturazione dei protocolli d’intesa nei vari punti rete che in qualche modo facilitino il passaggio di questi minori e che diano la possibilità di strutturare quello che può essere l’intervento più idoneo per le loro esigenze. 48 L’avere la possibilità di orientare il minore nella comunità che è più adatta alle sue esigenze, quindi il non essere catapultato di punto in bianco in una struttura, ma l’avere la possibilità di pensare quale può essere la struttura più adatta per quel minore come lo facciamo con i minori italiani la maggior parte delle volte. Un sostegno scolastico forte e un costante accompagnamento del minore anche dopo la maggior età fino al raggiungimento della piena autonomia. Il fatto che una volta che ha compiuto i diciotto anni si trovi solo, invece la possibilità di strutturare mettendo insieme tutte le risorse che ci sono sul territorio, un accompagnamento che vada al di là del raggiungimento legale della maggior età. PATRIZIO PETRUCCI Assessore ai rapporti col Volontariato della Provincia di Lucca Sono tre interventi che offrono stimoli, spunti. Ora sarebbe prevista l’apertura del dibattito su queste relazioni. DIBATTITO INTERVENTO DEL PUBBLICO Quali sono i risultati rispetto a questi percorsi? SONIA RIDOLFI Rappresentante delle Comunità dei Minori del territorio della Provincia di Lucca Ci sono alcuni ragazzi, soprattutto per i gruppi che hanno al suo interno molte cooperative o che hanno la possibilità di avere delle sistemazioni abitative, che tutt’ora vivono in collegamento con la struttura primaria. Si tratta di ragazzi che stanno facendo l’Università, ma sono pochissimi casi. Comunque laddove è possibile attivare un circuito più ampio le possibilità sono maggiori. Così come molto buoni sono ad oggi gli inserimenti familiari. Sono famiglie, come ho detto prima, molto seguite e quindi richiedono da parte della comunità che le inserisce un lavoro complesso, molto forte. Quindi su questi due ambiti ci sono alcuni risultati positivi. Con il diciottesimo anno di età entrano in campo tutte le Associazioni che fanno quello che è possibile fare, ma credo che l’emergenza abitativa caratterizzi sicuramente tutta la zona della Versilia ma penso anche gran parte della Lucchesia quindi è difficile. Noi stavamo anche pensando a delle soluzioni tipo gruppo-appartamento, ma è difficile poi trovare anche a livello economico il sostentamento per queste attività e la disponibilità dei volontari. Mi sembra che manchi molto. Quando sentivo parlare di quanto viene realizzato in Piemonte, mi è venuto in mente quanto da noi manchi molto l’apporto dell’adulto appartenente alla cultura del minore, come si lavori sui minori fino a diciotto anni, ventuno e poi non ci sia continuità. Questo scambio generazionale, mi sembra che, per ora, sia molto mancante nella nostra zona. OPERATORE SOCIALE FRANCESE Lei ha presentato una tipologia dei minori non accompagnati o “leggermente” accompagnati che dir si voglia e questa è una tipologia che è ovviamente redatta prendendo le mosse dal contingente della situazione amministrativa di questi minori che mi pone due quesiti. Il primo è perché si è fatta questa scelta di lavorare con una tipologia di tipo amministrativo quando invece non sarebbe possibile farlo per i connazionali. 49 Allora perché questo tipo di approccio? Secondo me prendere questo tipo di strada vuol dire mettere una categoria a parte rispetto alle altre. Lei ha avuto anche i mezzi di lavorare su un’altra tipologia e credo che sia diverso da quello che lei ha presentato con degli altri input che non siano ovviamente il modo di accesso su un territorio, ma piuttosto legato a quello che è la storia del bambino e della sua famiglia. I bambini che sono stati maltrattati, per esempio i bambini oggetto di abuso sessuale, i bambini fuggitivi, quelli che sono stati mandati dai genitori o da parenti, che permetterebbe quindi una lettura diversa forse molto più pertinente molto più vicina rispetto a quella che viene fatta nelle case per l’infanzia e che permette quindi di elaborare delle metodiche educative specifiche più adattate. Quindi le chiedo cosa ci può dire sulle metodiche delle scelte secondo la tipologia dei minori dei bambini? Abbiamo parlato dell’accompagnamento giuridico e amministrativo stamattina, quindi vorrei sapere qualcosa di più specifico sulla sua metodica come educatrice e professionista della tutela dei minori. CRISTINA ROSSETTI Funzionario dell’Area Socio-Assistenziale Minori della Regione Toscana In Italia noi si lavora molto sull’attività amministrativa che è quella delle Regioni e degli Enti Locali e dei percorsi che le leggi ci danno per lavorare come attività amministrativa. Si ricorre all’autorità giudiziaria quando proprio non è possibile trovare altre strade di carattere amministrativo. L’autorità giudiziaria interviene in caso di conflitto, in caso di devianza grave, altrimenti tutta l’attività è di carattere amministrativo. La Regione Toscana, non ha fatto la scelta di fare case famiglia per tipologia: minori stranieri, minori abusati, minori handicappati. Le tipologie delle case famiglia sono piccole case, al massimo di otto o dieci posti, dove vanno i bambini con il bisogno. Poi cerchiamo di abbinare la casa famiglia che più si adatta alle caratteristiche del minore. Le case famiglia sono da noi organizzate come piccole case simili ad un modello familiare; gli arredi sono di una casa, non di istituti o grandi strutture. Quindi il minore straniero non accompagnato si ritrova inserito insieme ad un altro minore italiano, non viene separato dagli altri. Quello che stiamo elaborando è che quando i ragazzi crescono, (ma questo è un problema anche per i ragazzi italiani, non c’è differenza) è necessario fare un passaggio graduale in gruppi appartamento per passare dalla casa famiglia all’autonomia completa attraverso questo scalino intermedio. Queste sono le tipologie delle case che la Regione Toscana ha scelto anche per i minori stranieri non accompagnati. Rispetto invece all’intervento delle Associazioni, è che secondo me non ci è stato un passaggio nella relazione che è stata fatta peraltro molto completa, che è quello della tutela giuridica. Questa infatti è la prima risposta che va data ai minori stranieri, prima dell’intervento del Tribunale dei Minori. Senza la tutela giuridica non c’è la possibilità di fare nessun intervento per i minori. Questo era per chiarire che noi lavoriamo molto su questo aspetto, perché non tutte le Nazioni hanno il loro punto di forza nella parte amministrativa, altre hanno carente l’attività giudiziaria, dipende dalle varie realtà. Quindi volevo ribadire che non ci sono case famiglia solo per minori stranieri non accompagnati. NELITA BEGLIUOMINI Coordinatrice della Segreteria Tecnica della Zona Piana di Lucca Nella relazione che ha presentato la collega Giannasi c’era un momento di passaggio che diceva che noi non siamo ancora preparati. Secondo me le strutture che vanno ad ospitare i minori stranieri non accompagnati (noi abbiamo l’Istituto Carlo del Prete, del Comune di Lucca, dove quest’ultimo manda quasi giornalmente i minori stranieri non accompagnati) sono nate come strutture per minori in situazione di problematicità familiare, abusi, maltrattamenti, famiglie inesistenti. Fra le varie scelte di interventi viene scelto il ricovero in strutture, come diceva Rossetti, a forma familiare 50 (in particolare per adolescenti, perché altrimenti si privilegiano altri interventi), però al momento in cui sono entrati in questa struttura minori stranieri non accompagnati, la struttura diventa automaticamente solo per minori stranieri non accompagnati. Noi ne abbiamo 12 all’interno della nostra struttura, è un problema di bisogno, non è un problema di tipologia. Prima di tutto c’è il discorso della tutela, perché noi nel momento in cui ci si presenta un minore non accompagnati, come Comuni dobbiamo tutelare il minore all’interno della struttura e a quel punto io credo anche che le esigenze, i bisogni di questi ragazzi, sono diversificati perché ad alcuni manca la famiglia, c’è una famiglia disastrata, di qua invece c’è una famiglia, ma è lontana. Bisogna vedere come viene condotta l’esperienza ed è fondamentale il confronto che ci deve essere tra le culture d’origine e la cultura italiana perché se questi ragazzi rimangono in Italia, ma con la loro storia, i loro costumi, le loro abitudini e dovranno integrarsi con la realtà italiana ma senz’altro dovranno anche confrontarsi con la loro storia d’origine allora io credo che possano anche convivere. Però la nostra realtà è questa, la “Carlo del Prete” ospita solo minori stranieri. SONIA RIDOLFI Rappresentante delle Comunità per i minori del territorio della Provincia di Lucca Le nostre strutture ad oggi e la “Carlo del Prete” fanno un po’ da eccezione a questa cosa, accolgono utenza diversa, dal bambino abusato al bambino allontanato per gravi difficoltà familiari. Anche tra i migranti abbiamo il migrante non accompagnato, il migrante che è in comunità come pena alternativa, il migrante che ha invece parenti, ma che non sono in grado di occuparsene, quindi abbiamo varie tipologie. Io penso che su questo sta anche la ricchezza dell’avere un posto che in qualche modo non diventi un ghetto. Non intendo un ghetto come si intendeva negli anni passati, ma comunque un nucleo problematico. Credo che la possibilità di integrazione delle culture e la reciproca crescita, sia una possibilità anche per i minori, perché se rimangono in Italia verranno integrati in un tessuto che è poi quello italiano, quindi credo che fare esperienza di vita comune insieme a persone italiane non sia che positivo. In questo senso penso che creare delle strutture specifiche possa avere dei lati positivi rispetto a dei bisogni soprattutto primari, all’aspetto abitativo, all’autonomia, alla sofferenza per le regole e credo che anche in tutte le comunità sapere che nascano delle comunità specifiche per questi minori, in fondo potrebbe sollevare da un problema che spesso crea delle difficoltà quindi non è che sono contraria a priori. Penso che sia un’esperienza difficile da percorrere, ma che valga la pena di farlo. Mi sembra che la richiesta di accoglienza da parte dei minori migranti su Lucca sia molto forte. Io gestisco anche una Comunità su Massa che ha ospitato soltanto due minori in tre anni. Mi sembra che anche su Viareggio la comunità di Via della Gronda abbia minori immigrati, ma anche tanti italiani. Il modello che vi dicevo è quello della casa famiglia come la legge impone, cioè il modello familiare italiano. Da questo fatto nascono le problematiche più grosse, rispetto all’integrazione, il modello che si portano dentro è quello e viene riprodotto nei nostri figli e nelle nostre relazioni. Quindi a meno che tutte queste teorie non siano favole penso che nella realtà o facciamo una struttura gestita da educatori migranti, quindi extracomunitari che si portano dietro il loro modello, oppure difficilmente riusciremo a trovare una risposta. VOLONTARIA del VILLAGGIO del FANCIULLO Sono una volontaria del Villaggio del Fanciullo e mi trovo molto d’accordo con quello che diceva Sonia Ridolfi. Anche il Villaggio del Fanciullo nel tempo si è trasformato perché è nato come Comunità di accoglienza per minori italiani ed è diventato piano piano una Comunità di accoglienza anche per minori stranieri. Tuttavia il fatto che continuino ad esserci dei ragazzi italiani all’interno del 51 Villaggio permette ai minori stranieri che vengono una prima integrazione, un primo confronto anche dal punto di vista dell’apprendimento della lingua o del trovarsi bene nelle scuole italiane. Perché poi anche la scuola è una realtà che va monitorata perché anche nella scuola i minori stranieri tendono a fare isola. Invece, avendo già dei compagni all’interno della Comunità che sono italiani, anche nella scuola viene facilitata l’integrazione quindi io penso che sia importante continuare a mantenere delle Comunità miste. Inoltre i problemi è vero che sono diversi però ritengo anche che quasi da un certo punto di vista il problema che pone un minore straniero non accompagnato sia minore dal punto di vista educativo e psicologico. Nel senso che il minore straniero non accompagnato fa subito una grande investimento affettivo nella Comunità. Ho sentito minori stranieri non accompagnati dire dopo pochi mesi “il Villaggio è casa” perché loro non hanno nessuno e non hanno casa, cosa che riusciva molto difficile ai minori italiani che avevano situazioni familiari problematiche alle spalle e che non riuscivano ad accettare fino in fondo la Comunità come casa. E anche questo ritengo faccia bene a tutt’e due le parti, fa bene ai minori stranieri trovarsi e confrontarsi con minori italiani con situazioni problematiche e questo quindi nel discorso dell’integrazione del proprio vissuto è facilitante, fa bene ai minori italiani trovarsi con dei minori stranieri in condizioni di solitudine che riescono a proiettare la loro vita all’interno di una comunità. Io ritengo che questa sia una grande ricchezza. CARLA BONETTI Operatrice della Cooperativa Crea Faccio una piccola precisazione. Sono Carla Bonetti della Cooperativa CREA di Viareggio che gestisce una comunità mista, quindi con minori italiani e con minori stranieri. Il processo che regolamenta l’ingresso dei minori in Comunità è un procedimento di tipo amministrativo. All’interno della comunità il lavoro che viene fatto con i ragazzi si basa sul progetto educativo individualizzato e questo significa che su ogni minore sia italiano sia straniero viene cucito addosso un progetto in base alle problematiche che quel minore presenta. Può trattarsi di un caso di abuso, di maltrattamento, può trattarsi di una problematica che riguarda indistintamente sia le situazioni dei minori italiani che quelle dei minori stranieri. OPERATORE SOCIALE FRANCESE Poco fa si è parlato delle pratiche educative nei Paesi di accoglienza. Vorrei sapere quali sono le iniziative attuate per lavorare con i Paesi di origine, sapendo che qualsiasi progetto educativo insieme a qualsiasi istituzione, deve prendere in considerazione i contesti sociali e il profilo storico e familiare di questi minori perché è un elemento importante che permette di gestire un’azione educativa valida che possa permettere lo sviluppo della personalità di questi ragazzi. Vorrei conoscere quali sono queste iniziative e quali i programmi di scambio con i Paesi di origine. Questa è la mia domanda. SUOR BARBARA OLIVIERI Volontaria del GVAI Io mi sono chiesta: quand’è che questo ragazzo viene ritrovato? Viene ritrovato nel momento in cui viene portato in galera e viene mandato nel suo Paese di origine. Chiedo, è mai possibile arrivare agli estremi? Non c’è una via di mezzo per recuperare questo ragazzo in qualche modo altrimenti sarebbe un fallimento completo! Quando ho sentito che da alcune strutture sono fuggiti io mi sono chiesta dove saranno andati? Sicuramente finiscono, come dicevano stamattina, in mano alla mafia o a qualcosa del genere. Non c’è proprio niente da fare prima? Non so, fare una ricerca, che la Questura trovi delle soluzioni. È difficile, ma a mio avviso è indispensabile affrontare questo problema. 52 ELEONORA VANNI Operatrice della Cooperativa Crea Vorrei porre delle domande. Una riguarda il modello di Comunità. Alcuni hanno anche fatto degli esperimenti in questo senso, creando Comunità con educatori stranieri. Su questo un primo elemento importante mi veniva in mente sia a proposito delle tipologie che delle categorie di stranieri, noi parliamo di minori stranieri accompagnati, non accompagnati,ma in realtà se noi abbiamo in Comunità una ragazza dell’Ecuador, un ragazzo marocchino, una ragazza rumena non abbiamo minori stranieri non accompagnati,ma tre persone con tre culture profondamente diverse che hanno anche bisogni che sono comuni rispetto alla cura, alla necessità primaria, ma che necessitano dal punto di vista culturale, risposte diverse. Allora che cosa vuol dire una comunità per stranieri? Cioè ne facciamo una per i senegalesi, una per gli ecuadoreñi, una per gli albanesi? Non ha nessun senso. Il senso credo è quello che noi operatori dobbiamo trovare nel lavoro educativo che facciamo il modo di fornirci di strumenti che ci consentano da una parte di elaborare e trasmettere quello che è anche il nostro modello culturale pur nel rispetto della differenze che ci sono all’interno delle Comunità, ma dall’altra di acquisire ed elaborare strumenti che ci consentano di aiutare questi ragazzi a crescere, ad acquisire strumenti per un’integrazione quando loro lo vogliono, all’interno della società italiana però mantenendo, valorizzando la loro cultura, aiutandoli anche a non annullare le loro origini solo per il fatto che noi non abbiamo la competenza necessaria. Allora sicuramente è importante il lavoro della mediazione, dell’aggiornamento degli educatori. D’altra parte noi siamo un Paese di giovane immigrazione, ma di antica emigrazione, scuramente rispetto alla Francia con molta meno esperienza in questo senso. La Comunità che è gestita dalla nostra cooperativa a Viareggio, è nata undici anni fa e allora non avevamo questo tipo di problema, avevamo alcuni dei ragazzi nomadi che transitavano sul territorio. Questa è una problematica che è sorta in questi anni sulla quale abbiamo ancora tanto da riflettere e da lavorare. SARA VITALI Rappresentante delle Associazioni del territorio della Provincia di Lucca Come è stato detto nel precedente intervento siamo nuovi rispetto all’immigrazione e dobbiamo dotarci di strumenti per capirlo e risolverlo . Parto dal presupposto che non abbiamo la seconda e terza generazione di immigrati, quindi non abbiamo genitori che possano trasmettere i valori e le tradizioni culturali alle nuove generazioni. Stiamo acquisendo operatori immigrati per esempio ci sono alcune Cooperative che hanno al loro interno sia nel Consiglio di amministrazione che come operatori stessi, immigrati e credo che questa sia una ricchezza. Non credo ci siano molti educatori provenienti da altri paesi ancora, ma dovrà essere sicuramente un passo successivo. Credo che siano fondamentali i progetti di mediazione culturale nelle scuole. Si dovrebbe dare la possibilità di formare mediatori che provengono da Paesi extraeuropei, spesso queste persone, non hanno competenze italiane e titoli di studio riconosciuti in Italia. Credo che la rete REMI sia un valido strumento da appoggiare e sostenere. SONIA RIDOLFI Rappresentante delle Comunità di minori del territorio della Provincia di Lucca Nel farvi vedere i Paesi di provenienza è emerso che c’è un po’ di diversità ed i dati sono riferiti al 2003, ma non è che una Comunità ospita solo marocchini ed un’altra solo albanesi. Ci sono quindi anche difficoltà a creare situazioni molto specifiche laddove le culture sono diverse, perciò si deve lavorare più verso l’integrazione che verso la specificità. Rispetto al ragazzo che fugge volevo 53 dire due cose. Credo che per chi lavora in una Comunità educativa che il ragazzo fugga, che sia italiano, immigrato, non accompagnato, con parenti, sia sempre un momento di grande angoscia. Le Comunità lavorano sia per gli italiani che per i non italiani. Quando un ragazzo si allontana, a parte le comunicazioni formali necessari per la Questura, i Servizi Sociali,il Tribunale, generalmente si cerca di attivare quella che è la rete intorno al ragazzo, ma questo succede anche per l’italiano che va via e che rientra in famiglia e che non si sa dov’è. Si cerca di attivare tutta una rete di relazioni anche utilizzando conoscenze informali per andare a vedere dov’è finito quel ragazzo e per dargli un’altra opportunità. Non è semplice perché non sempre questi ragazzi si ritrovano. Ci sono anche delle lentezze piuttosto forti nella Questura nell’attivarsi però credo che ognuno debba per lo meno provare a fare quanto gli compete. È un momento di angoscia quando se ne va un ragazzo , soprattutto se non conosciamo dove va, perché è un minore e non solo per il problema della responsabilità, ma soprattutto per l’aspetto della relazione, dell’affetto e del saperlo in pericolo. Operatore sociale di una Cooperativa di Napoli Sono contentissimo di quello che ho sentito riguardo al funzionamento delle Comunità di questo territorio. Invece noi a Napoli, ma non solo nella regione Campania, abbiamo delle fughe continue di minori. Io non lavoro in una Comunità, sono in una Cooperativa però ci relazioniamo con le Comunità. Siamo in cerca di una vera soluzione per i ragazzi che vanno in Comunità perché noi dimentichiamo la loro presenza in Italia. Prima di essere minore per le loro famiglie sono capi famiglia, sono quelli che mantengono le famiglie. Loro non si sentono minori, noi diciamo che lo sono, addirittura a Napoli ci sono tantissime Comunità religiose che da certi ragazzi non vengono accettate. E poi in altre Comunità vengono chiusi a chiave, hanno diritto solo a sette sigarette al giorno e non di più, c’è il diritto una volta la settimana ad allontanarsi solo mezz’ora, però deve essere sempre in vista dell’educatore.Vorrei dopo chiedervi qualche soluzione per sapere come lavorate esattamente per proporre anche sul nostro territorio le vostre modalità operative, in modo da arginare la fuga dei minori. ELIO MOSCARIELLO Assistente Sociale del Comune di Lucca Volevo fare un intervento su quello che è stato detto prima riguardo al fatto che certe Comunità diventano specializzate per i minori stranieri. Secondo me ci sono due cose da dire. La prima è che quando si crea un canale di comunicazione, come in tutte le immigrazioni questo viene usato finché questo non si interrompe. Di conseguenza se un minore entra in quella Comunità e riesce ad avere a 18 anni un permesso di soggiorno valido per lavoro,sicuramente chiamerà un altro minore suo amico, parente o connazionale per fare lo stesso percorso. È il percorso che hanno fatto i nostri genitori migranti quando sono venuti a Milano, Torino o da altre parti. Questo è un meccanismo, ma forse quello più grande al quale bisogna stare attenti è quello dei nostri modelli educativi che proponiamo a questi minori soli o non soli e che è un modello educativo nostro, culturalmente nostro. Freud non è nato in Sudafrica, non è nato in Egitto, è nato in tutt’altro sistema culturale che abbiamo dentro noi come occidentali, come europei, ma non hanno dentro loro gli immigrati perché hanno un’altra storia. È questo il punto che si vuole evidenziare. Noi non stiamo valorizzando sufficientemente la diversità, cioè non lavoriamo abbastanza su quello che hanno loro dentro, lavoriamo invece molto di più nella richiesta di un loro adattamento ad un nostro schema educativo, culturale, economico perché anche qui ci sono esigenze economiche di budget che a volte superano quelle educative. Allora si crea un meccanismo perverso per cui il tipo di offerta crea la risposta al bisogno. Se io creo una comunità con un modello educativo di un certo tipo, chi vi entrerà sarà soltanto quella 54 parte di utenza per la quale io l’ho preparata e non sarà un’altra e questo è pericoloso a meno di non fare scelte precise che poi bisogna giustificare in modo diverso. Invece il processo dovrebbe essere l’opposto: è l’esigenza di rispondere ad un tipo particolare di bisogno che dovrebbe fare da guida per creare il tipo di Comunità. OPERATORE SOCIALE FRANCESE Sono rimasto molto interessato a quanto è stato detto nell’ intervento poco fa e stamattina, lei ha parlato dei professionisti e dei volontari insistendo sul fatto che nella vostra pratica è una cosa che funziona molto bene. Da noi in Francia, secondo la mia esperienza personale, attualmente abbiamo poca esperienza per quanto riguarda l’elaborazione di una pratica professionale dove abbiamo i professionisti e i volontari assieme. Questo non esiste da noi e quindi sarebbe molto interessante fare come fate voi perché questo ci arricchirebbe molto; questo modo di lavorare non lo acquisiremo mai se rimaniamo come siamo oggi sempre più specializzati. Il rischio di questo eccesso di specializzazione sicuramente è controcorrente rispetto alla risposta diversificata che è necessaria per questi ragazzi. I volontari sono scomparsi da tanto tempo negli istituti specializzati e i professionisti non vogliono lavorare da noi con i volontari. Voi lavorate con i volontari e questa è una grande possibilità, vorrei sapere come si attua concretamente questa collaborazione tra i professionisti e i volontari, come rendete possibile questo lavoro congiunto, perché noi non lo abbiamo e quindi dovremmo avere delle indicazioni di massima per fare quello che fate voi in Italia. CRISTINA ROSSETTI Funzionario Area socio-Assistenza Minori della Regione Toscana Molto spesso i nostri operatori vogliono andare sull’alta specializzazione perché è difficile lavorare sulla diversità, ma è questa la ricchezza. Le nostre leggi sono orientate a lavorare insieme perché se non avessimo le leggi neanche noi lo faremmo. Abbiamo leggi sia a livello nazionale sia a livello regionale. Nei regolamenti della casa famiglia noi diciamo che ci devono essere educatori e volontari, lo mettiamo proprio negli atti amministrativi. Quindi è proprio questa ricchezza che è difficile proprio nelle relazioni e nel confronto fra Istituzioni, volontari e queste tipologie di piccole case dove ci sono tanti problemi da affrontare; questa è la grossa scommessa delle nostre strutture in Italia e soprattutto della Toscana. Il collega parlava della Regione Campania che purtroppo ha avuto tanti altri problemi da affrontare rispetto alla stessa Toscana per cui devo dire che nella nostra regione siamo ad un livello superiore perché non abbiamo avuto da affrontare i problemi della Regione Campania, abbiamo realtà diverse. Volevo rispondere sulla questione dei progetti di cooperazione. L’Italia sta cercando con molta fatica di lavorare in progetti di cooperazione, anche in maniera molto piccola, parcellizzata perchè da noi, non c’è un coordinamento forte. Personalmente con la Regione Toscana lavoro ad un progetto di cooperazione in Romania di destituzionalizzazione per far rimanere i ragazzi nel loro territorio di origine. Sono però processi lenti e molto difficili perché è complesso capire le culture, l’organizzazione, anche a livello politico delle diverse realtà. Abbiamo forse una tradizione di decentramento che per esempio in Romania non abbiamo trovato e allora anche progetti di cooperazione che stiamo tentando di fare sono piccoli passi che ancora ci vedono tutti molto impreparati. Capire le diversità, gli stili non è facile. Noi, in Romania, abbiamo avuto un interprete bravissimo, non era un professionista, ma ci ha aiutato a capire la cultura ed i problemi loro in una maniera incredibile che da noi non ci saremmo arrivati nemmeno a parlare fra operatori. Perché trasportare certe esperienze e capirsi non è assolutamente facile, è più facile forse con i ragazzi perché hanno un adattamento e una ricchezza che noi adulti così strutturati sinceramente non abbiamo. 55 SONIA RIDOLFI Responsabile delle Comunità per minori del territorio della Provincia di Lucca Provo a rispondere ai due interventi. Volevo innanzitutto sottolineare questo aspetto. In Italia la legislazione ci aiuta in tutti i campi perché consente di lavorare in sinergia fra Volontariato e Istituzioni, come avviene nella sanità anche se un po’ di crisi si comincia a sentire. Rispetto alle altre due cose l’ho detto nella relazione, la difficoltà a lavorare con delle persone che noi consideriamo sia da un punto di vista giuridico che da un punto di vista emotivo e di bisogni minori di età, ma che in realtà hanno un rapporto con la vita da adulti e che di fatto sono adulti. E lo dicevo proprio rispetto all’obbligo formativo e a tutti questi aspetti che da una parte creano difficoltà, ma noi ci rendiamo conto che per loro l’esigenza primaria non è tanto portare a termine l’obbligo del percorso scolastico, ma è avere un lavoro e successivamente una casa e magari poter mandare giustamente i soldi che guadagnano al loro Paese di origine o comunque rispondere alle esigenze, al mandato che la famiglia ha dato loro chiedendoli di venire in Italia. Noi abbiamo dentro di noi per cultura i nostri mandati intergenerazionali che ci passiamo su altri livelli, se cerchiamo di spostare questo su un piano di vita reale, questi minori hanno dentro un mandato a cui devono dare una risposta. Tant’è vero che mi fece riflettere quando, parlando di questo lavoro con alcuni di noi, emerse proprio in maniera forte il discorso del rapporto con la famiglia di origine proprio nel senso delle richieste del mandato che si trovano ad assolvere in Italia. Rispetto invece a quello che diceva Elio Moscariello le Comunità sono nate per un certi tipo di persone da accogliere, si sono ristrutturate nel tempo anche rispetto ai minori italiani e a fatica si stanno adeguando per rispondere a questi bisogni. Credo che le sollecitazioni che abbiamo come strutture rispetto ai minori sia italiani che non, siano molte e sia difficile dare risposte adeguate. Sicuramente siamo mancanti, abbiamo posto un sacco di problematiche e di suggerimenti proprio per questo, perché ci rendiamo conto delle mancanze, del fatto che gli obiettivi che ci proponiamo siano così tanto lontani da quelli del ragazzo. Si cerca di mettere insieme tutti questi aspetti e ci si trova di fronte una realtà che non si conosce. Tutti noi abbiamo letto centinaia di libri sui minori, sulle culture diverse, ma è difficile entrarci dentro, vedere il mondo con i loro occhi, cercare di capire di che cosa loro hanno realmente bisogno al di là del soddisfacimento dei bisogni primari. PATRIZIO PETRUCCI Assessore ai rapporti con il Volontariato della Provincia di Lucca Volevo intervenire sulla questione del volontariato visto che sono ormai numerosi anni che seguo questo settore. Voglio chiarire che le leggi sono intervenute sulla base di un fenomeno sociale molto ampio che esisteva in Italia ed era quello della partecipazione dei cittadini ad una costruzione di una città più solidale. E questa scelta di fondo che era fortemente motivata ha poi permesso ai volontari di entrare in tantissimi settori della vita italiana. Noi abbiamo presenze del volontariato nel settore sociale, sanitario, ambientale, culturale. C’è sempre questa linea di fondo, più che avere la presenza di tecnici c’è sempre l’idea di avere dei cittadini che partecipano alla costruzione di un sistema sociale. Quindi non è così automatico il trasferirlo o fare leggi perché questo avvenga. Ho un po’ vissuto negli anni passati il rapporto col volontariato europeo, ma c’era sempre questa forte diversificazione tra volontariato italiano e quello di altri paesi europei. Negli altri paesi è più curata la pare tecnica, ci sono più persone che fanno corsi di specializzazione, da noi c’è questa forte carica ideale e motivazionale che ha creato poi un movimento che ha interessato milioni di persone in Italia. Se c’è crisi oggi è dovuta al fatto che si ritorna a ridurre il volontariato al ruolo del servizio, e non si considerano le motivazioni di fondo che sono alla base dell’impegno dei volontari, quale tipo di società più giusta, più solidale, meno egoistica costruire. 56 Rispetto alle esperienze presenti sul territorio che avete ascoltato oggi sono molto figlie di questo spirito e di questa concezione perché poi, pur strutturandosi in Cooperative sociali, Comunità alloggio, quindi in altre forme associative che non siano volontariato, hanno mantenuto l’identità, la caratteristica, lo spirito dell’azione volontaria e su questo si è innescata l’azione delle Istituzioni, tra l’altro non di tutte le Istituzioni perché anche qui da regione a regione diversifichiamo. Ci sono alcune regioni come la Regione Toscana che ha capito l’importanza di questa forma di impegno collettivo dei cittadini e ha fatto sinergia tra Ente Locale e Volontariato. Ora il percorso sarebbe complesso, ma potremmo ragionarne perché in effetti è un’esperienza importante e che noi ci auguriamo continui a dare risultati significativi, proprio perché in ogni struttura ci sia anche un controllo del cittadino che in qualche maniera facendo azione di volontariato, si collega al servizio. Da una parte dà il proprio contributo per farlo, dall’altra analizza quello che fa. Quindi non è semplicemente un intervento professionale e di qualità, è anche un controllo di base . Infatti noi anche qui in Provincia abbiamo costituito un Forum delle Associazioni di Volontariato presenti nella Provincia di Lucca, un Forum che si divide in settore Socio-Sanitario, Protezione Civile, Immigrazione, Aiuti Internazionali, Sport, e questo permette di dialogare costantemente tra l’istituzione Provincia e questo mondo che è frammentato, variegato, diversificato, ma che ha come logica la crescita delle solidarietà. OPERATORE SOCIALE Volevo far presente una lettura che possiamo associare ad esperienze personali.Quando abbiamo portato i ragazzi all’estero per gli scambi, li abbiamo seguiti per un po’ di tempo e sono state fatte delle esperienze lasciando i ragazzi in un Paese per più mesi, quasi un anno affinché si adattassero maggiormente allo Stato in cui erano stati inseriti. In un primo momento si ebbe un adattamento alle abitudini e costumi delle famiglie presso cui erano stati ospitati e poi d’improvviso un grosso crollo dal punto di vista psicologico, che preoccupò molto sia gli insegnanti sia gli operatori ed i medici che poi seguirono questo gruppo. L’esperienza fu pressoché fallimentare. Dico questo perchè bisogna tenere alta la preparazione scientifica all’interno di questo mondo dove noi lavoriamo perché la parte scientifica, direi quasi psicanalitica che studia proprio la psiche umana, delle abitudini, dei costumi, ma soprattutto delle caratteristiche psichiche è la parte che può dare delle conoscenze profonde. Per cui questa è la parte da curare, deve essere proprio la punta del gruppo di formazione perché se non si hanno queste conoscenze il gruppo rischia, pur con la buona volontà, di apparire come improvvisazione. Per cui non andare a toccare l’identità, le abitudini, i costumi, l’affettività, non intaccare le sicurezze che uno si è già costruito altrimenti l’infanzia e la giovinezza non avrebbero senso. Sono percorsi che danno stabilità per cui se vanno toccati bisogna farlo laddove c’è il danno, ma con estrema capacità professionale. Per cui io quello che mi auguro e che considero importante è proprio che ci sia una grossa conoscenza scientifica alla base di tutto. MEDIATORE CULTURALE del Centro di Pronta Accoglienza di Pontedera Mi presento, io sono Mediatore Culturale, interprete in campo sociale con esperienza di interventi presso il CPA, Centro di Pronta Accoglienza di Pontedera. Abbiamo partecipato ultimamente ad un convegno sui diritti dei minori a Pisa con la cooperativa “Il Progetto” e il Centro interculturale “Trasparenza” dove abbiamo invitato il Sindaco di una città palestinese e il Sindaco di una città israeliana. In quel contesto abbiamo cercato di dare il nostro punto di vista arabo-islamico sui diritti dei minori. In questo contesto dove ci permettiamo di arricchire le nostre visioni cercherò di riflettere e di illustrare la visione del concetto culturale arabo-islamico sui diritti dei minori. 57 La visione contemporanea del minore è cominciata con Jean Jacques Rosseau, perché prima il minore veniva considerato un piccolo adulto e tutto quello che lo riguardava veniva ignorato. Di conseguenza l’educazione del minore era imposta secondo lo schema mentale dell’adulto e non seguiva le esigenze dei minori come si evince dal libro “Èmile” opera di Rosseau dove l’autore dichiarava che siamo totalmente ignoranti riguardo l’infanzia e che ogni volta che noi applichiamo il nostro modo di pensare sui minori la nostra ignoranza aumenterà perché cerchiamo sempre l’adulto nel bambino senza considerare il suo status prima di essere adulto. Dopo questa premessa andiamo ad esaminare la visione dei testi sacri riguardo il minore. Malgrado l’antichità dei testi abbiamo trovato che questi hanno diversificato la visione dell’adulto da quella del minore. Insistono sul comportamento da adottare verso di loro. Nel Vangelo, prima lettera di Paolo ai Corinzi 13:11 si dice: “quando ero bambino parlavo da bambino, pensavo da bambino, ragionavo da bambino, ma ora che sono divenuto uomo ho eliminato i tratti del bambino”. Il profeta Mohammed diceva:” mi è stato ordinato di dialogare con la gente secondo la loro ragione”. Rimanendo sempre nel contesto islamico troviamo l’Iman Ali sciita e genero del profeta Mohammed che ha detto:” gioca con tuo figlio per sette anni, educalo per altri sette anni, accompagnalo per altri sette anni, poi lascialo fare ciò che vuole”.Altri filosofi arabi si sono interessati all’educazione del minore ed hanno dedicato molte ricerche specializzate in questo argomento e tra queste c’è un Iman che ha scritto riguardo il comportamento e la cura dei minori considerandone l’età, la mentalità e la loro capacità e ha detto: “ È come il medico, se questo avesse cercato di curare tutti i suoi malati con lo stesso rimedio, questi sarebbero già tutti morti”.” Oppure come gli istruttori, se avesse cercato di far praticare a tutti i loro allievi lo stesso esercizio fisico il cuore di tutti si sarebbe fermato”. Il Corano, testo sacro dei musulmani, ha molto insistito sul minore orfano essendo che il profeta stesso era orfano. Sempre nel Corano troviamo versetti che hanno incaricato il minore di prendersi cura dei propri genitori. Oltre a questo abbiamo trovato le scuole di giurisprudenza islamica che hanno commentato il termine, la tutela che vuol dire che tra le categorie tutelate troviamo anche il minore fino a che arriva all’età adulta. Parallelamente a questa terminologia troviamo un altro termine arabo molto complesso nel suo contenuto, la nozione che esso esprime è una giusta attitudine interiore e di conseguenza di corretto comportamento esteriore nei confronti di tutto ciò con cui veniamo a contatto, a cominciare dal rapporto con noi stessi, quindi col nostro prossimo, alla fine con Dio. Tali nozioni possono portare ad un processo di raffinatezza culturale poiché questo pone in chi manifesta un corretto comportamento che fa agire in modo appropriato. Il modello per eccellenza di questa parola è il Profeta Mohammed, dal quale i genitori di tutto il mondo arabo-islamico cercano di prendere esempio. Questo il quadro generale di un processo culturale e storico dove troviamo il progetto dell’uomo che si realizzerà con il tempo e genererà l’uomo del futuro. Il minore è il prodotto del processo psichico, sociale, culturale ed educativo che subisce durante i suoi primi anni di vita. Tutti gli psicologi, malgrado la diverse scuole di provenienza e le diverse metodologie di analisi adottate, concordano sul fatto che i primi anni di vita del bambino sono quelli che maggiormente influenzano e formano la sua personalità di adulto. Data questa premessa ci chiediamo: qual è la vera identità del minore? È quella racchiusa tra i limiti temporali dalla nascita alla maggior età oppure si può dire che il minore è al posto dell’adulto oppure che il bambino è un adulto minore. Fino ad oggi non è mai stata data importanza al minore nel mondo arabo, la maggior parte delle ricerche e degli studi hanno curato l’uomo come adulto anche se nell’ultimo censimento risulta che più del 50% della popolazione del mondo arabo è inferiore a 18 anni e un terzo di questa popolazione ha almeno sei anni. Ecco perché si dice cha la società araba è una società giovanile. Il minore occupa un posto prioritario nelle società di tutto il mondo, ne fa parte integrante nei suoi pensieri, nei suoi programmi, nei suoi piani mentali, mentre la realtà del minore arabo e non solo 58 palestinese è diversa. Dato che loro sono il prodotto del futuro, anche il futuro in questo mondo è bloccato. Lo spazio di creatività e innovazione è molto stretto, la possibilità di creare o innovare non esiste. Davanti a questo quadro chi è responsabile? La responsabilità dell’assedio dove vivono i minori nel mondo arabo è divisa in diversi settori. I nostri minori sono vittime di povertà, vittime di qualsiasi sistema governativo non democratico che impedisce loro il diritto all’istruzione e che li manda al mercato del lavoro in età precoce. Anche i fortunati tra loro che hanno potuto avere il posto nelle scuole sono caduti vittima di sistemi di istruzione, di insegnamento e di educazione negativi che distruggono in loro ogni sentimento di innovazione e di creatività. Semina piuttosto in loro la paura e il dubbio circa la vita nel futuro, cose che possono influenzare negativamente il minore e sottometterlo ad un’autorità imponendo loro la limitazione di altri che lo hanno preceduto con la sottomissione ai valori della società. Tutto questo viene esercitato attraverso una forma di terrorismo psicologico che nega qualsiasi possibilità di dialogo. Come può una società che non arriva a rispondere a questi bisogni e che non garantisce il minimo vitale per la sopravvivenza cioè alimentazione, sanità, soddisfare i bisogni minori per poi provvedere alla fase che riguarda l’istruzione e l’educazione! Quando Einstein ha parlato sui nostri sistemi relativi ha detto che essi non asfissiano la libertà, ma la uccidono con premeditazione perché sono sistemi basati sul caricamento. L’insegnamento con metodi arcaici elaborati nella maggior parte dei casi da funzionari ufficiali, non lasciano lo spazio al minore di esprimere le proprie tendenze e di manifestare i propri sentimenti. Non basta il contatto sociale che caratterizza la famiglia araba,che è però incapace di garantire ai suoi componenti qualsiasi tipo di protezione e che può fornire solo amore e simpatia per mandarli scalzi, nudi fuori ad affrontare il destino in un mondo pieno di miseria e di sofferenze. La maggior parte dei personaggi famosi ha molto sofferto per la propria sopravvivenza durante la giovinezza, prima di degustare il loro successo davanti alla soglia della vecchiaia. Siamo davanti all’uccisione premeditata dei nostri figli in quanto si nega loro il primo diritto fondamentale: l’istruzione. Fino ad oggi non è stato elaborato nessun piano adeguato su come produrre la cultura nel minore, per questo è necessario che venga applicata una politica coordinata tra tutti i paesi arabi per affrontare questa grave carenza. ANNA LISA FACCINI Funzionario del Comune di Bologna La permanenza nel nostro paese del minore, ha come soglia il diciottesimo anno anche se tutti quanti cerchiamo di derogare cercando di accompagnarlo almeno ad un momento in cui abbia una relativa autonomia economica e abitativa. Quindi questo può essere un percorso che in qualche modo nella nostra città funziona abbastanza perché è stato possibile attivare percorsi di regolarizzazione utilizzando la strada o, (come prevede la Bossi-Fini) dei tre anni di permanenza o dei due anni, oppure attraverso la tutela e l’affidamento abbiamo avuto diverse possibilità di conversione al diciottesimo anno del permesso di soggiorno. Può essere che non sia più così, mi dispiace moltissimo di non aver avuto la possibilità di dibattere con il Rappresentante del Comitato Minori Stranieri perché soprattutto alcune criticità vale la pena di portare in questa sede che sono certamente quella del Comitato Minori Stranieri, del suo funzionamento, del problema dell’identificazione. Abbiamo conosciuto persone che ci hanno fatto presente che oggi voi a Lucca facevate questa iniziativa, ci interessava moltissimo la possibilità di stabilire rapporti diretti con i paesi d’origine. Per noi il Marocco è il secondo paese dei provenienza dei minori a Bologna quindi noi da un po’ di tempo ci rendiamo conto che la possibilità che abbiamo, fatte salve tutte le competenze del Comitato, di attivare rapporti diretti con i paesi sia in termini di conoscenza reciproca sia di diversità di modelli educativi, è importantissima. Approfitteremo di queste due giornate di Conferenza anche per qualche conoscenza diretta che permetta poi degli scambi successivi, perché ci rendiamo conto che avere rapporti con le famiglie di origine, non necessariamente tese al rimpatrio, ma per poter fare progetti educativi a favore dei ragazzi è essenziale. 59 Pensiamo che sia una strada che va percorsa, non so se si parla di cooperazione decentrata, le forme vanno individuate ma sicuramente è importante. Mai faremmo su un adolescente italiano un progetto a prescindere dalla sua famiglia di origine, la stessa cosa è difficilmente sostenibile per un minore che non sia italiano. Sul tema della diversità a noi preoccupa e ci crea problema in particolare l’aspetto della salute mentale rispetto ad alcuni ragazzi. Laddove c’è patologia o dei comportamenti di disagio psichico accentuato gli strumenti di intervento che abbiamo sono molto limitati. I Servizi Sociali si sono trovati a dover affrontare la tematica dei minori stranieri in modo significativo, mentre a me pare che il mondo della sanità sia decisamente un po’ più arretrato rispetto a questo in quanto non ha un impatto così intenso come il nostro con questa realtà. Su questo aspetto va individuata una strategia ed elaborate delle possibilità di intervento perché è un tema significativo. A noi capita di avere difficoltà serie rispetto a minori con disturbi del comportamento che poi innescano situazioni difficili. Un’ultima cosa, esiste da circa un anno un coordinamento nazionale misto tra pubblico e privato che coinvolge diverse realtà a livello nazionale sia come Comuni sia come Privato Sociale che gestisce la pronta accoglienza di minori stranieri, in particolare non accompagnati, che si è già ritrovato diverse volte. Ci sarà un prossimo appuntamento il 16 di aprile a Modena e le premesse sono quelle della necessità di coordinarsi, di individuare strategie comuni, di avere un ambito di confronto circa le modalità di intervento. Sappiamo che anche l’ANCI ha iniziative parallele e questo è un tavolo un po’ più tecnico e quindi sicuramente l’invito è rivolto a tutti quelli che fossero interessati a prendere contatti. La Caritas di Roma che è qui presente ha fatto il motore di questa iniziativa quindi si possono chiedere informazioni. PATRIZIO PETRUCCI Assessore ai rapporti col Volontariato della Provincia di Lucca Anticipiamo l’intervento di Adonella Guidi della Cooperativa sociale “Il Progetto” ADONELLA GUIDI Educatrice della Cooperativa Sociale “Il Progetto” Sono Adonella Guidi della Cooperativa sociale “Il Progetto” e lavoro come educatrice all’interno del CPA una casa famiglia per minori che è stata aperta nel 1995 per volontà del Comune di Pontedera e della Cooperativa sociale “Il Progetto” e che dal 1999 è stata impegnata nell’accoglienza in gran parte dei minori non accompagnati. Rispetto a questo e alla discussione di prima volevo fare un piccolo inciso e riprendere l’intervento del signore francese e cioè che anche per noi la difficoltà, il momento di crisi del passaggio dall’utenza dai minori italiani ai minori stranieri è stata gestita sostanzialmente con la progettazione educativa individualizzata centrando tutto sul progetto educativo e quindi sui bisogni e i diritti diversi ma anche uguali, universali che i minori non accompagnati avevano rispetto ai minori italiani del territorio con cui eravamo abituati a lavorare. Sono qui a presentarvi un’ esperienza che la mia Cooperativa e il mio Centro di accoglienza ha fatto quest’estate e questo autunno con altre comunità della Toscana con la partecipazione di “Save the Children”. E’ un progetto di consultazione dei minori non accompagnati perché all’articolo 2 della Convenzione dei Diritti sull’infanzia si legge “il principio di non discriminazione” cioè si legge che “gli Stati parti si impegnano a garantire al fanciullo capace di discernimento la facoltà di esprimere le proprie opinioni senza distinzione di sesso, di razza, di etnia, di origine nazionale, religiosa”. Quindi un progetto di consultazione dei minori non accompagnati in quanto hanno gli stessi diritti dei minori italiani, dei minori europei o dei minori di tutto il mondo. Si tratta di un progetto di consultazione perché all’articolo 12 della Convenzione sui diritti dell’infanzia si legge che uno dei cardini fondamentali è il diritto alla partecipazione. È proprio in nome di questi due cardini della convenzione 60 che la mia cooperativa insieme a “Save the children” ha portato avanti questo progetto di consultazione. Il progetto nasce all’interno di SCEP che è il “Separated Children in Europe Programme” il programma europeo minori separati. SCEP è nato nel 1997 per iniziativa congiunta dell’Alto Commissariato della Nazioni Unite e dell’organizzazione inglese “Save the Children”, a seguito dell’ emergenza e quindi del grosso numero di arrivi di minori separati, cioè rifugiati o non accompagnati che arrivavano in Europa. L’intento di SCEP è quello di promuovere, orientare e sostenere l’accoglienza dei minori non accompagnati in Europa a partire dall’implementazione della Convenzione dei Diritti. Il progetto ha coinvolto tre realtà della Toscana, cioè due Centri di accoglienza, uno è il Centro di Accoglienza per Minori di Pontedera, l’altro il Centro “Don Zeno” Oasi di Firenze e un’altra realtà che non è un Comunità di accoglienza ma un Centro specifico della Provincia di Firenze gestito da un’associazione, che è l’APES, in associazione con l’ARCI che si chiama “Progetto Pollicino” ed è un progetto di inserimento lavorativo e formazione lavoro di minori stranieri non accompagnati. Queste tre realtà hanno coinvolto per un numero di dieci educatori complessivamente di cui cinque hanno seguito tutte le fasi progettuali dalla ideazione fino ad arrivare alla valutazione del progetto. E complessivamente come target ha individuato 20 minori di cui 12 sono stati i minori non accompagnati in prevalenza di origine albanese e marocchina che hanno seguito tutte le fasi progettuali, 24 invece il numero dei ragazzi che hanno fatto esperienze più parcellizzate del progetto per una serie di motivi di cui magari parlerò dopo. Prima di guardare il video vi dico le tre componenti del progetto. Queste erano: la formazione degli educatori con una giornata specificatamente dedicata alla formazione che era concentrata sugli aspetti della metodologia di consultazione e la metodologia di promozione di strumenti di partecipazione. È stata una giornata che si è svolta a fine giugno da cui ha preso avvio tutto il resto delle fasi del progetto. L’altra componente è stata quella del training con tecniche di “aerosol art”, i graffiti . Abbiamo scelto insieme ai ragazzi questo strumento di facilitazione dell’espressione per rendere più agevole la consultazione e l’espressione del loro punto di vista su quello che volevano dire, quello che volevano esprimere al mondo, alla comunità europea, a noi adulti che abbiamo cura di loro e abbiamo contattato un’associazione di Pisa che svolge dei corsi di formazione in tecniche di writing e quindi di graffiti. La terza componente è stata la vera e propria consultazione per cui abbiamo elaborato degli strumenti appositi per esprimere il loro punto di vista soprattutto quando nel nostro mondo non sono molto considerati. Nel 1997, nel rapporto delle Nazioni Unite sulla condizione dell’infanzia e dell’adolescenza, emergeva che in Italia i minori erano vulnerabili e soggetti a discriminazione, a rischio di esclusione sociale per cui questa credo sia una caratteristica che riunisce sia i minori non accompagnati che i minori italiani. Nel video vedrete non la componente di formazione degli educatori, ma le due componenti cioè il training sul terrazzo del Centro di accoglienza a Pontedera che grazie all’Amministrazione comunale di Pontedera abbiamo potuto dipingere perché ha autorizzato a dipingere il muro con l’uso delle bombolette spray e quindi al disegno dei graffiti. Poi vedrete la parte centrale della consultazione che è stata strategicamente inserita all’interno del Meeting Internazionale Antirazzista che si svolge ogni anno a Cecina e che abbiamo pensato in sede progettuale che fosse il luogo migliore dove i ragazzi potevano esprimersi. È un contenitore ricco, vario con una serie di iniziative dallo sport alle attività sulla spiaggia a dibattiti e ci è sembrato adatto per facilitare la socializzazione da entrambe le parti dei ragazzi stranieri e italiani. Quindi abbiamo deciso di porre la fase centrale del progetto all’interno di questa attività. Alcuni cenni della metodologia che abbiamo adottato. Questa è stata fondamentalmente la chiave di volta per la riuscita del progetto. Per la Cooperativa per cui io lavoro e per “Save the 61 Children” la metodologia fondamentale nel lavoro per la promozione dei diritti di tutti i minori stranieri o italiani che siano, è l’approccio del “child focus” che è un approccio centrato sull’infanzia che stimola ad un lavoro integrato, di comunità che coinvolge a partire dal bambino tutti i soggetti che circondano il bambino. Indirettamente anche le famiglie nei paesi d’origine laddove è possibile uno scambio almeno telefonico, le Istituzioni, le Scuole, gli Enti Locali, tutti. Quindi questo è stato l’approccio che ha permesso a queste realtà che già collaboravano, in una sperimentazione della Regione Toscana, di mettersi tutti insieme, condividere una metodologia e portare avanti sempre insieme quest’esperienza con i ragazzi. Rispetto alla metodologia è stata molto importante la guida fornita da SCEP di cui parlavo prima. Alcuni aspetti fondamentali di quella guida che noi abbiamo ripreso nella parte di formazione degli educatori è stata la chiarezza delle informazioni date in primo luogo a quest’ultimi che dovevano facilitare la partecipazione dei ragazzi e quindi la chiarezza delle informazioni date ai minori. Perché questo permetteva strategicamente di creare un contesto strutturato, chiaro, condiviso, fatto di limiti e confini all’interno del quale i ragazzi avevano una possibilità di scegliere, di decidere e quindi di partecipare partendo dall’approccio che la partecipazione è all’interno di contesti strutturati Un’altra cosa molto importante della metodologia che abbiamo adottato è quello che in inglese viene detto il “child to child” cioè il bambino che insegna al bambino. Come vedrete nel video l’associazione di Pisa che ci ha fornito i ragazzi che hanno fatto il training con i graffiti ha fatto la scelta di portare due ragazzi giovani praticamente coetanei dei nostri ragazzi stranieri non accompagnati che erano due ragazzi di 17 e 18 anni, che per la prima volta provavano questa esperienza di trasferire le proprie competenze ad altri ragazzi più o meno coetanei. Questa cosa è stata da una parte una sfida, dall’altra uno degli aspetti fondamentali della buona riuscita del progetto perché i ragazzi sono riusciti ad entrare in un contatto immediatamente caldo e complice con i loro coetanei e quindi questo ha sbloccato le vergogne, le paure, l’emotività dei ragazzi. Sui contenuti mi fermerei un attimo perché sono quelli che i ragazzi hanno espresso nella fase centrale della consultazione, sono chiaramente riportati nel video per cui non li voglio anticipare. PROIEZIONE DELFILMATO: “ SEPARATED CHILDREN IN ITALY: RAGAZZI CHE SCELGONO IL LORO FUTURO” ADONELLA GUIDI Educatrice della Cooperativa Sociale “Il Progetto” Ripartirei nel dare voce a quello che i ragazzi hanno espresso, ai loro contenuti perché era un progetto di consultazione. Partirei dalla scelta del messaggio da scrivere sul muro: il nome. Avete sentito che io, anche mentre parlavo con i ragazzi, ho molto insistito sul perché avevano scelto il nome. Devo dire che in una discussione che è nata spontanea durante una cena a fine di uno dei momenti di training sul terrazzo, i ragazzi hanno detto che il loro nome è la loro identità, identità che non è quella di essere i minori non accompagnati, di essere un problema in Italia perché non hanno il permesso di soggiorno, perché sono confusi con i minori a rischio di devianza. Loro hanno un nome e un cognome, hanno scelto in un certo senso di venire nel nostro paese, per cui anche rispetto al mandato di cui parlavamo prima, il mandato familiare a mantenere la famiglia, che i ragazzi hanno detto che loro hanno bisogno di lavorare perché devono mandare dei soldi alla famiglia e non solo questo. Loro scelgono di venire in Italia perché nel nostro paese si aprono delle possibilità di futuro diverso per la propria famiglia, per loro, per le relazioni con i coetanei, per le relazioni con l’altro sesso, per le opportunità di crescita, di socializzazione, di diritti che probabilmente in certi casi in Italia trovano maggiormente garantiti. Quindi tenevo a sottolineare queste due cose perché i ragazzi lo hanno affermato con forza, noi 62 abbiamo un nome e un cognome non siamo soltanto i minori non accompagnati o rifugiati, siamo minori, siamo delle persone. L’altra cosa che mi preme sottolineare è l’area delle difficoltà che incontrano in Italia: permesso di soggiorno, la regolarizzazione, la possibilità di fare una vita pulita , una vita all’insegna della legalità a partire da una condizione essenziale che è la “conditio sine qua non” per cui non c’è percorso di legalità, di crescita sana, di cittadinanza ed è la regolarizzazione. La maggioranza dei ragazzi che avete visto avevano un permesso di soggiorno per minore età. Questo non è un problema soltanto degli educatori che stanno in comunità e che vogliono garantire la regolarizzazione ai ragazzi che vedono tutti i giorni, è proprio un problema per questi ragazzi è il problema per cui loro fanno a “testate nel muro” tante volte. È il problema per cui spesso si scatena l’aggressività all’interno delle comunità. L’altra questione è l’ambivalenza della percezione della famiglia di origine e della patria di origine per cui da una parte c’è la mancanza, la nostalgia di casa, la nostalgia degli affetti, dall’altra parte la paura che in nome di questa nostalgia e di questo affetto vengano rimpatriati. Per questi ragazzi il rimpatrio è come una tagliola che gravita sulla loro testa quindi anche su questo hanno proprio espresso questa idea “vogliamo andare i Albania tre volte in un anno però vogliamo poter rimanere in Italia oltre il diciottesimo anno di età”. Loro chiedono a noi adulti equilibrio su questo, a partire dagli educatori che hanno davanti fino a chi comunque ha il compito di legiferare, dare orientamenti e fare normative in nome della tutela dei diritti di questi ragazzi. E qui l’altra cosa che volevo sottolineare è l’accenno che avete visto nel video rispetto alla Commissione Europea. Prima ho detto la chiarezza dell’informazione e ho parlato di SCEP, il programma europeo minori separati. Questo progetto di consultazione aveva l’obiettivo di inserire nel rapporto nazionale sulla condizione di minori non accompagnati in Italia le richieste, i problemi, i punti di vista dei ragazzi. Questo in nome della Convenzione sui diritti di cui parlavo prima quindi l’articolo 12 sui diritti alla partecipazione e l’articolo 2 sul principio di non discriminazione, ma è anche uno degli obiettivi di SCEP che è quello di promuovere la partecipazione, ma anche di orientare tramite linee guida gli Stati parte, le Nazioni Europee e quindi anche l’Italia rispetto a scelte legislative, scelte normative che siano veramente una tutela e una promozione dei diritti di questi ragazzi che siano stranieri, accompagnati, non accompagnati, italiani, di varie età. Rispetto alla Commissione e alla chiarezza di informazioni il passaggio che voglio chiarire è questo: siccome era uno degli obiettivi di SCEP noi ai ragazzi abbiamo detto che erano loro i responsabili di ciò che dicevano ed era responsabilità degli educatori farlo arrivare a chi di competenza. E questo è stato uno degli aspetti più forti dell’entrata in contatto con i ragazzi, perché questo ha dato per la prima volta, l’occasione a loro di sapere che, esprimersi in maniera strutturata dentro un contesto di legalità che è un contesto educativo, di divertimento e di gioco, apre una possibilità per chi dopo continuerà a fare la scelta che loro hanno fatto. DIBATTITO BIANCAMARIA CIGOLOTTI Funzionaria dell’Ufficio Politiche Sociali della Provincia di Lucca Penso che Adonella Guidi abbia toccato quello che quotidianamente molti di voi vivono a contatto con i ragazzi. Anche noi quando abbiamo visto per la prima volta questo filmato, siamo rimasti colpiti perché in pochi minuti e grazie al lavoro che hanno svolto per permettere a questi 63 ragazzi di esprimersi, si capisce quello che vivono i minori non accompagnati, i problemi che si portano dietro e la difficoltà di chi cerca di impegnarsi per aiutarli . Vivendo così si genera l’ansia e si incontrano difficoltà proprio a progettare un futuro. Quindi volevo ringraziare Adonella Guidi che ci ha dato la possibilità di vedere questo video. OPERATRICE SOCIALE Avendo lavorato per un po’ di tempo alla “Carlo Del Prete” e quindi essendomi fatta un po’ di esperienza su questa tematica, ho potuto apprezzare questo video che mi è sembrato veramente molto reale. Infatti anche se si è parlato di modelli educativi si è capito che in effetti il problema forte è quello del permesso di soggiorno. Questi ragazzi, almeno per quello che abbiamo avuto noi come esperienza, vengono con un obiettivo e con delle richieste molto precise. Non c’è bisogno di un modello educativo perché loro una famiglia ce l’hanno, quasi sempre una famiglia normale dove ci sono state delle affettività normali con culture un po’ diverse però dove ci sono degli equilibri. Il problema che ho affrontato all’epoca tra il cambiamento di minori italiani e minori extracomunitari è proprio la differenza fra i due tipi di situazioni. I minori italiani venivano da situazioni di disagio affettivo molto forti, gli extra-comunitari avevano più stabilità. Quindi è chiaro che si doveva trovare un modello educativo e la ricerca era ben diversa per l’approccio con questi ragazzi. Per i ragazzi extracomunitari devo dire la verità è stato molto più semplice l’approccio nonostante la lingua, nonostante la cultura diversa perché erano ragazzi da sedici a diciotto anni quasi tutti con delle scelte già ben definite al momento della partenza dal loro paese. Quindi l’analisi dei bisogni è stata semplice in quanto era specifica nella loro volontà di trovare una sistemazione economica. È chiaro che il problema che è venuto fuori riguarda anche corsi di formazione di avviamento al lavoro che sono pochi, e c’è sempre di mezzo un problema economico e di budget. Quindi, è un po’ difficile questo servizio di rete. Noi ci siamo trovati veramente molto abbandonati riguardo a questo, perché mi ricordo che tre anni fa, quando nel giro di tre mesi l’utenza è completamente cambiata, non sapevamo, veramente, dove rivolgersi le Istituzioni non ci davano risposte chiare e perciò è stato un percorso di ricerca molto faticoso. Gli obiettivi dei ragazzi migranti sono quelli di una sistemazione di lavoro, non sono ragazzi a rischio di devianza, anche se questo può capitare, ma non è il problema principale. Sarebbe meglio un po’ spogliarsi di certi pregiudizi e vedere i ragazzi nella semplicità del loro essere minori, del loro essere ragazzi, ma in una maniera diversa rispetto ai nostri, già un po’ più maturi, con dei programmi ben precisi e aiutarli in questo percorso. In più devo sottolineare che al diciottesimo anno questi ragazzi sono fuori dalla Comunità. Quindi, la nostra preoccupazione quando arriva l’affidamento, è nella ricerca di un posto di lavoro. Il servizio di rete su questi ragazzi si dovrebbe spostare proprio su una ricerca di posti dove ci sono delle disponibilità anche ad accogliere questi ragazzi, che hanno una grandissima volontà di lavorare. Noi abbiamo avuto dei bei successi riguardo a questo. Non ci è scappato nessuno e abbiamo sistemato parecchi a livello lavorativo, perché comunque siamo andati dietro a quelle che allora erano le loro volontà. Tutto questo, si sa, con molta difficoltà per un discorso di budget, di tempi, di lingua, e tutto quello che ne consegue, ma non ho trovato grosse difficoltà con gli immigrati minori. Questo video è stato molto significativo, perché è ben diretto e ci ha fatto capire in modo agevole ed efficace la loro realtà, le loro esigenze, i loro progetti e speranze per l’avvenire. Loro partono con altre aspettative e purtroppo il nostro lavoro è stato quello di poter cambiare, smorzare un po’ le aspettative e indirizzarle su un percorso di formazione che ha allungato i loro tempi. È stata questa la maggiore difficoltà,riuscire ad avere in tempi relativamente brevi il permesso di soggiorno. 64 ADONELLA GUIDI Educatrice della Cooperativa Sociale “Il Progetto” Secondo me l’intervento precedente ha messo l’accento su delle parole chiave. Da una parte le “scelte”, perché questi minori hanno già scelto hanno preso un gommone, sono entrati dentro una nave nascondendosi dentro un camion e sono venuti in Italia. Quindi, la scelta c’è e va di pari passo alla volontà, che deve essere presa in considerazione in base all’età e al grado di maturità. E su questo ribadisco l’articolo 12 della Convenzione, che è proprio una chiave importante per lavorare con tutti i minori, ma in particolare con questi minori di doppia identità, perché stranieri, ma anche perché adulti e bambini, sicuramente è uno strumento forte di lavoro con loro. L’altra riguarda i corsi di formazione. Avete sentito il ragazzo marocchino della Comunità di Cerano che dice “Perché sono così lunghi? Noi abbiamo urgenza di lavorare”. Parlandoci viene fuori che il problema non è soltanto la lunghezza del corso di formazione, il problema è la prospettiva, dopo il corso di formazione perché se questo dura due anni e c’è la possibilità oltre il diciottesimo anno di età di rimanere, i ragazzi ci mettono anche impegno. A volte invece bisogna ricordargli di andare al corso, di non fare assenze. Questo è lavoro nostro, dell’educatore di comunità. Però, poi, alla fine, si rendono conto che c’è una sostanza in quello che fanno, che fanno una cosa per loro importante. Il problema è il corso di formazione finalizzato al rimpatrio assistito, al fatto che, ad un certo punto, può succedere che il Comitato per i Minori dia luogo a procedere al rimpatrio e si cerca una formazione o un tirocinio lavorativo nel paese di provenienza. Un tirocinio formativo che dura 3 mesi, per un costo che è all’incirca di 500 euro pagati nel proprio paese d’origine. Questo è il modello di rimpatrio sul quale non sono d’accordo, salvo alcuni casi in cui è veramente nel superiore interesse del bambino tornare con la propria famiglia, ma sono veramente casi eccezionali. E cosa succede? Succede che dopo 4 mesi, questi minori tornano in Italia con un altro nome, un’altra identità, e vanno in un’altra comunità d’accoglienza. La rete, il contatto, lo scambio tra tutte le Comunità di accoglienza, o comunque le realtà di accoglienza per i ragazzi, non è soltanto una risorsa per gli educatori, che dentro fanno una fatica enorme a mettere a fuoco i problemi e il percorso dei ragazzi. Sono una risorsa anche per i ragazzi, perché veramente delle volte passano da una struttura a un altra con diverse identità, con un altro stato di nascita e per questo, è positivo scambiarsi le informazioni a livello regionale. Alla Conferenza Regionale sull’Immigrazione a Firenze ad aprile del 2003, è stato aperto il tavolo regionale sui minori stranieri non accompagnati, che si è riunito due volte. Cristina Rossetti è la funzionaria della Regione che ha condotto in maniera seria e mirata all’obiettivo quei due momenti di lavoro. Credo, comunque, che un tavolo permanente di confronto tra le comunità di accoglienza e le Istituzioni (provinciali, enti locali e regionali), visto che c’è l’autonomia delle Regioni, e quindi c’è anche un margine di proporre un modello toscano di accoglienza, sia importante, perché questo permette di scambiarsi, non solo tra operatori, ma anche con chi poi dà le linee guida regionali su cosa significa la casa famiglia, cosa significa il percorso di formazione e che risorse si investono per questi percorsi, per questa accoglienza, per questa rete. Quindi, propongo che questo tavolo diventi un tavolo permanente, perché, secondo me, c’è veramente bisogno di confrontarsi al di là delle chiusure piccole che ciascuna delle Comunità subisce perché c’è il rischio di chiudersi su noi stessi, dato i numerosi problemi che si devono quotidianamente affrontare in Comunità. BIANCAMARIA CIGOLOTTI Funzionaria Ufficio Politiche Sociali e della Provincia di Lucca Da quanto è stato detto, dagli scambi che abbiamo avuto prima della Conferenza, con le Associazioni che lavorano sul territorio e in particolare con le Comunità e i contatti anche con Adonella Guidi della Cooperativa Sociale “Il Progetto”, abbiamo visto che c’è anche l’esigenza tra le 65 Comunità di incontrarsi e di confrontarsi sui vari modelli. Infatti in alcune realtà, anche della Toscana,i minori stranieri sono presenti da più tempo, mentre in altri luoghi come Lucca, la loro presenza è un fenomeno più recente. Mi sembra importante perciò che ci siano dei momenti di confronto tra i vari operatori, per conoscere diverse esperienza da poter eventualmente utilizzare nella propria realtà lavorativa. 66 2 GIORNO - 31 MARZO 2004 DAVID PELLEGRINI Assessore Provinciale alle Politiche Sociali e Giovanili della Provincia di Lucca Sono contento di iniziare una giornata che dovrebbe trattare le buone prassi, quindi analizzare più nel dettaglio le esperienze che vengono portate avanti dagli Enti, dalle Associazioni, sia in campo nazionale che internazionale. Di nuovo ringrazio tutti i partecipanti, anche gli amici delle altre nazioni che hanno voluto portare un contributo ad entrambe queste due giornate di lavoro e di approfondimento su questa tematica dei Minori Isolati non accompagnati. Questa mattina abbiamo con noi il Vicepresidente della Regione Toscana, Angelo Passaleva con il quale condividiamo l’impegno su questa problematica a cui do subito la parola per il suo intervento. ANGELO PASSALEVA Vicepresidente della Regione Toscana L’appuntamento odierno si inquadra nel ciclo di incontri che la Regione Toscana sta svolgendo in stretta collaborazione con le Amministrazioni Provinciali: incontri che precedono la Conferenza regionale sull’Immigrazione, prevista per il prossimo autunno. In questo quarto appuntamento sono affrontati vari aspetti, vari temi connessi con l’immigrazione. Il tema dei minori che ieri ed oggi state discutendo, è certo uno dei più significativi e delicati. Voi bene sapete, essendo operatori e conoscitori del problema, che la Conferenza delle Nazioni Unite del 1989 ha voluto predisporre una “carta” per i diritti del bambino, sulla scia della “carta” dei diritto umani, che tutti i Paesi hanno condiviso e che è stata recepita nella legislazione di moltissimi Stati, compreso il nostro. In questa “carta” si stabilisce che il diritto del minore deve prevalere comunque su ogni altro dirtto, proprio perché i minori - essendo i più indifesi - hanno più diritto a una maggiore tutela. Ciò vale per i minori che sono presenti in ogni Stato (che nascono lì, che sono cittadini di quello Stato), ma vale anche, ovviamente, per i minori stranieri che si trovano in qualunque territorio. L’Unione Europea ha recepito, anche nella Carta di Nizza, questi principi. Tanto è vero, che in quella che dovrà diventare la Carta Fondamentale dell’Europa è ribadito il principio del diritto prevalente dei minori. Certamente le difficoltà o le incongruenze maggiori si incontrano proprio per quei minori stranieri che si trovano in un territorio non loro. In Italia la materia è stata regolata dopo la riforma della legge sulla immigrazione: la legge Turco-Napolitano e oggi la legge Bossi-Fini. Credo che Cristina Rossetti abbia fatto, ieri, una relazione chiara e dettagliata per quanto riguarda la situazione in Toscana: mi limiterò quindi ad alcune osservazioni di carattere generale e anche a riferire quelli che sono, attualmente, i dati rispetto alla presenza di minori stranieri in Toscana, nonché ciò che la Regione sta facendo in questa materia. I dati di cui disponiamo si riferiscono alle ultime rilevazioni ufficiali fornite dal Comitato per i Minori Stranieri, al quale, come sapete, devono essere segnalate - per legge - le presenze di minori stranieri non accompagnati nel nostro territorio. I dati del Comitato per i Minori Stranieri non hanno un valore certo, perché non tutti i minori stranieri vengono segnalati. Ci sono anche difformità di interpretazione: spesso minori non accompagnati, ma accolti da familiari di secondo o terzo grado (quindi da parenti molto alla lontana) sono ritenuti “non soli” e quindi non vengono segnalati. 67 Con le ultime rilevazioni - che ormai risalgono a quasi due anni fa - i minori stranieri segnalati tra la metà del 2000 e la fine del 2001 erano 14.000 in Italia. Per effetto del passaggio alla maggiore età, quindi, per l’uscita dalla fascia di età minorile, alla rilevazione della fine del 2001 erano poco più della metà: cioè 7.800 bambini stranieri non accompagnati. La maggior parte di questi, come sapete, provengono dall’Albania. Questa è la situazione italiana, in altri paesi non è così. In Francia, penso che la maggior parte provengano dei Paesi del Magreb; sicuramente gli albanesi non sono i prevalenti in Francia. Da noi è così anche a causa della forte immigrazione che abbiamo avuto, negli anni passati, soprattutto dall’Albania. Segue in ordine di frequenza, ma con uno scostamento assai significativo - il Marocco. In confronto ai 9 mila albanesi presenti alla fine del 2001, i marocchini sono 1.700. Il 50% dei minori stranieri non accompagnati segnalati sono dunque di origine albanese. Poi seguono quelli del Marocco, che sono il 17%, e poi quelli dei Paesi dell’Est: Romania 8%, Jugoslavia 4,9%, e così via, con percentuali minori da altri Paesi, soprattutto africani e dell’est Europa. In Toscana, in particolare, c’è anche una certa quota di minori non accompagnati con origine cinese: nella nostra regione, infatti, è presente una consistente colonia di cinesi. Per quanto riguarda la distribuzione per classi di età - che vale a livello nazionale, ma anche a livello regionale - la grande prevalenza di minori stranieri è compresa nella fascia di età fra i 16 e i 17 anni. Per vari motivi i minori stranieri non accompagnati di età più giovane sono molto meno numerosi: nella fascia tra 0 e 6 anni, in Italia, ce ne sono soltanto 200 segnalati. E’ una cifra proprio trascurabile. Mentre nella fascia tra 16 e 17 anni sono 5.300 circa. Quindi, la stragrande maggioranza sono in questa fascia di età. E vi è anche una differenza significativa, molto forte, rispetto al sesso. La grande maggioranza (l’88%) sono maschi e solo il 12% è composto da femmine. E’ probabile che questa suddivisione non corrisponda, in realtà, alla situazione oggettiva perché, soprattutto nel caso delle minorenni non accompagnate presenti nel nostro territorio, si tratta in buona percentuale di ragazze coinvolte nella tratta della prostituzione che difficilmente vengono conosciute e quindi segnalate. La distribuzione fra le regioni è sbilanciata verso la Puglia: essendo il luogo di arrivo della stragrande maggioranza degli albanesi ed essendo gli albanesi la stragrande maggioranza dei minori non accompagnati nel nostro territorio, è chiaro che la maggior parte delle segnalazioni vengono proprio da quella regione. Dopo si distribuiscono nelle varie regioni, particolarmente in quelle del nord, ma anche in Toscana. Da noi, a fine 2001, avevamo una presenza di 822 minori non accompagnati: il 10% rispetto al totale delle presenze registrate in Italia. La Toscana si colloca al quarto posto, fra le regioni, come numero di presenza di minori non accompagnati. Il problema generale dei minori stranieri non accompagnati credo sia ampiamente noto a tutti.Con la legge Bossi-Fini si è avuto un giro di vite: una restrizione rispetto alle problematiche connesse con il raggiungimento della maggiore età. Voi sapete che nella fase di individuazione, il minore è in carico ai Comuni dove è stato identificato. Viene assegnato con una procedura di affidamento e non può essere altro che così, quando non si riesce a trovare la famiglia di origine. Se non si trova la famiglia di origine, se non è possibile il ricongiungimento, il processo di affidamento diventa definitivo fino al compimento del diciottesimo anno di età. Il problema è cosa accade al momento del diciottesimo anno. La Bossi-Fini prevede che si possa dare il permesso di soggiorno soltanto quando il minore può dimostrare di essere presente sul territorio nazionale da almeno tre anni e di aver svolto almeno per due anni un corso di educazione e di alfabetizzazione: cosa che, data l’età in cui i ragazzi mediamente arrivano nel nostro Paese, diventa praticamente impossibile. Se infatti i ragazzi arrivano tra i 16 e i 17 anni, è chiaro che non possono dimostrare di aver fatto tre anni di presenza nel nostro territorio. E’ anche difficile poter documentare di aver seguito un corso di due anni. 68 Quindi il meccanismo di espulsione scatta quasi inevitabilmente, con la conseguenza che molti di questi giovani, che hanno raggiunto il diciottesimo anno di età, confluiscono nel settore della clandestinità e quindi - inevitabilmente o per lo meno molto facilmente - ricadono nel giro dello sfruttamento e della illegalità. Non solo per la presenza illegale nel nostro territorio, ma anche perché sono preda di organizzazioni criminali che li utilizzano in vario modo, particolarmente nello spaccio, nella prostituzione o comunque nella cosiddetta piccola criminalità: furti, rapine. Questo è un problema serio. Credo che le questioni più rilevanti, per quanto riguarda i minori stranieri non accompagnati, siano quelle legate alla fase di affidamento agli enti locali: spesso diventa molto pesante, non sempre agevole, perché l’affidamento che avviene attraverso la decisione del Tribunale dei Minorenni e che dà come indicazione generica agli enti locali di prendersi cura del minore, implica l’impegno di risorse. Inoltre gli enti locali affidano i minori a piccole strutture di accoglienza (ormai in Toscana non esistono più le istituzioni per i minori soli), a case famiglia oppure a famiglie affidatarie. Sono tutte soluzioni che comportano erogazione di risorse e, quindi, difficoltà da parte dei Comuni, che come noto ottengono sempre minori trasferimenti dallo Stato, compresi i trasferimenti a destinazione specifica che, appunto, dovrebbero riguardare la tutela dei minori non accompagnati. L’altro problema è proprio quello dell’inserimento e dell’accoglienza riferita ai minori che raggiungono la maggior età. In Toscana, proprio con il Piano Integrato Sociale di quest’anno, abbiamo introdotto una misura capace di venire incontro a questa esigenza, soprattutto per quanto riguarda i piccoli comuni. Abbiamo costituito, come risorsa regionale, un fondo di solidarietà per far fronte alle situazioni di emergenza. Lo dico, particolarmente, per i nostri amici non italiani partecipanti alla rete “REMI”. Molti Comuni, di piccole o piccolissime dimensioni, hanno davvero poche risorse, in particolare per le politiche sociali. La presenza di un minore che venga identificato in uno di questi piccoli Comuni significa un quasi esclusivo assorbimento di tali, limitate, risorse soltanto per l’affidamento di quel minore. Se poi i minori sono due o tre, allora si mette davvero in ginocchio il bilancio del Comune. Per questo motivo si è ritenuto di istituire un fondo di solidarietà che verrà utilizzato nelle varie zone in cui è suddiviso il nostro territorio per la gestione delle politiche sociali, in modo di far fronte alle emergenze. Certamente non solo quelle riguardanti i minori stranieri non accompagnati, ma anche quelle relative ai minori italiani che si trovano in condizioni di abbandono e per i quali viene deciso un periodo di affidamento ai servizi o alle strutture convenzionate. Questo fondo di solidarietà, attivato da quest’anno, servirà per tutte le situazioni di emergenza che riguardano i minori: compresi – ripeto - anche i minori stranieri non accompagnati. Il problema più grande è relativo al permesso di soggiorno quando i minori raggiungono la maggior età: giovani uomini e giovani donne, a quel punto, che possono e devono essere inseriti nel nostro Paese perché il provvedimento di espulsione certamente sarebbe iniquo se riferito a persone che hanno seguito percorsi formativi, che hanno imparato la nostra lingua, che sono stati seguiti spesso da una famiglia affidataria o comunque da una piccola struttura di tipo familiare, che hanno quasi sempre imparato un mestiere e che adesso possono avere un lavoro. Ritengo che occorra lavorare per rivedere, su questo punto, la Bossi-Fini (proprio ieri abbiamo approvato in Consiglio Regionale una mozione), anche per andare in una direzione capace di tutelare al meglio i minori. Forse questo stupirà qualcuno dei nostri amici che vengono da altri Paesi, ma va detto che se un bambino nasce in Italia da una coppia di immigrati, egli non è cittadino italiano, continua a essere cittadino straniero. 69 Questo, in effetti, stupisce parecchio: in molti sono convinti che se un bambino nasce in Italia è italiano, anche se è nato da una coppia di immigrati con un permesso di soggiorno o con la carta di soggiorno. Molti, dunque, credono che i bambini - iscritti alle nostre scuole materne o elementari ma di nazionalità diversa - siano a tutti gli effetti, e automaticamente, italiani. Non è così: anche il minore che nasce in Italia può, eventualmente, chiedere la cittadinanza italiana al compimento del diciottesimo anno, purché dimostri che i familiari sono sempre rimasti in Italia dal momento della sua nascita (cosa che non sempre avviene, perché magari c’è un periodo in cui la famiglia rientra nel Paese d’origine). La cosa ancor più drammatica è per i bambini che arrivano in Italia attraverso una procedura di ricongiungimento: i figli piccoli di quelle famiglie che si ricostituiscono nel nostro territorio, non possono diventare cittadini italiani se non dimostrano che la famiglia è sempre rimasta nel nostro paese, che hanno seguito corsi di formazione, ecc. Deve poi essere presentata una domanda, allo scadere del diciottesimo anno ed entro il diciannovesimo. Se non avviene questo, i giovani sono considerati stranieri a tutti gli effetti, Inoltre, almeno ai sensi della Bossi-Fini, se non dimostrano di avere un lavoro e anche un’abitazione, diventano automaticamente pure clandestini. Questo è davvero inaccettabile. In altri Paesi europei non è così: la cittadinanza, anche per i minori stranieri non accompagnati, può essere acquisita allo scadere del diciottesimo anno di età, se la presenza nel Paese di accoglienza dura almeno da alcuni anni. Proprio ieri, su mia proposta, il Consiglio Regionale ha approvato all’unanimità una mozione che invita Giunta e Consiglio a rendersi parte attiva affinché vengano discusse e approvate due specifiche proposte di legge presentate alla Camera. Sono proposte in materia di acquisizione del diritto di cittadinanza italiana proprio per i minori presenti in Italia da almeno sei anni e comunque nati nel nostro territorio. Con questa mozione si invitano i presidenti delle Camere e i capigruppo parlamentari ad avviare la discussione su queste proposte che mi sembrano in perfetta linea con i diritti dei minori. Per quanto riguarda la Regione Toscana, in materia di minori e di minori stranieri, la nostra legge 72/77 e i conseguenti Piani Integrati Sociali prevedono azioni e interventi finalizzati proprio per sostenere l’affidamento di minori stranieri non accompagnati. Sono stanziate risorse specifiche che, ogni anno, vengono messe a disposizioni dei Comuni per le politiche di accoglienza verso l’immigrazione. In Toscana c’è una rete di solidarietà assai diffusa, così come è diffusa la sensibilizzazione per l’affidamento familiare. Esiste una buona rete verso le famiglie per l’accoglienza dei minori in affidamento (italiani o stranieri) sostenuta dai centri per l’affido. Esistono risorse che annualmente la Regione mette a disposizione degli enti locali. Ma, soprattutto, esiste una buona sensibilità da parte delle comunità locali a queste tematiche: sia attraverso le reti di solidarietà, la rete del volontariato, sia attraverso una serie di convenzioni e di rapporti con la cooperazione sociale. Migliorare è sempre possibile, ma si può dire che tutto sommato le risposte sono adeguate rispetto ai bisogni. Rimane il problema di modificare le leggi nazionali, le leggi dello Stato, che in questo campo sono dure e ingiuste finendo per creare condizioni di grande difficoltà per la fase di inserimento e per la fase successiva al raggiungimento della maggior età. Non vorrei aggiungere altro. L’appuntamento è, per tutti, alla prossima Conferenza regionale sulla immigrazione: tutti i temi affrontati nella sessioni preparatorie verranno ripresi e ulteriormente approfonditi. Un particolare ringraziamento per gli amici di “REMI”. Questa rete per i minori stranieri non accompagnati dell’Area Mediterranea, credo che dovrà avere sempre più peso, più 70 importanza nelle nostre politiche. Si tratta infatti di trovare insieme le migliori modalità per far sentire la voce di questi bambini ai governi nazionali, affinché vengano adottati provvedimenti sempre più idonei all’accoglienza e al rispetto del diritto dei minori. È una rete che deve consolidarsi – possiamo ben dire che è ancora nell’età della prima infanzia - perché è nata solo due anni fa a Marsiglia. Deve quindi crescere, imparare a camminare, diventare per lo meno adolescente e, poi, adulta. Già fin da ora possiamo però convenire che i suoi scopi sono di grandissimo valore etico e sociale. Noi proporremo alla Provincia di Lucca di funzionare da capofila, almeno per la Toscana. Proporremo un incontro, più operativo, in occasione del meeting di Cecina, che è una tradizione ormai consolidata in Toscana: uno spazio dove giovani di tutte le nazioni dell’Europa si ritrovano per discutere e per convergere su determinati aspetti legati alla solidarietà. Sarà quella l’occasione per un nuovo, specifico, incontro di “Remì”, per darci obiettivi e organizzazioni più precise, più operative in modo che questa rete possa davvero far sentire la propria voce, il proprio peso a favore dei più deboli, cioè dei bambini più in difficoltà. Vi ringrazio e auguro buon lavoro. Il ringraziamento è davvero non formale: le vostre discussioni e il contributo di tutti voi saranno importanti anche per proseguire e ancor meglio definire la nostra politica regionale. GUILLAUME THIÉRIOT Consigliere del Presidente della Regione PACA Voglio ribadire i ringraziamenti che devo alla Regione Toscana e alla Provincia di Lucca in nome della Regione Provenza, Alpi e Costa Azzurra,della Regione Paca e del suo Presidente, Michel Vossel, che rappresento. Rivolgendomi a voi nella vostra lingua è più probabile che questi ringraziamenti vi vadano diritto al cuore. Grazie di essere stati i primi a raggiungerci nel novembre 2002, quando abbiamo preso l’iniziativa di organizzare una prima Conferenza Euro-Mediterranea sui minori isolati. Grazie di essere stati tra primi a firmare la carta per la protezione dei minorenni isolati e ad aderire a REMI. Grazie di assumere oggi l’arduo compito che è l’organizzazione di una tale conferenza e di contribuire a fare in modo che REMI non sia virtuale, bensì uno spazio di scambi e di incontri, non un tessuto di buone intenzioni, bensì una rete di uomini e di donne impegnati nella protezione dei minorenni in pericolo, minacciati da sé stessi o da quelli che li sfruttano. Sappiamo che nelle nostre regioni e province mediterranee le idee populiste hanno “il vento in poppa”. Ci vuole un certo coraggio politico per affrontare argomenti legati alle immigrazioni, allorché l’esclusione dello straniero è un’idea corrente e portatrice di voti. Vi parlo di una Regione in cui l’estrema destra ha fatto più del 25% dei voti. Oggi, Signor Vicepresidente, Signor Assessore, oltre ai ringraziamenti, voglio rendere omaggio al vostro coraggio politico. Ritornerò un attimo su quello che è la rete REMI, su quella che è la genesi di questa rete, il bilancio che ne possiamo fare dopo un anno e mezzo di esistenza e soprattutto su quelle che sono le prospettive, perché siamo intorno a questo tavolo, rappresentanti politici per affermare la nostra volontà di dare un nuovo impulso molto più forte a questa rete che è stata creata a Marsiglia. Voglio rendere omaggio ai primi che sono stati pionieri di quest’idea di lavorare in partenariato su questo problema di minori isolati e organizzare un meeting a livello euro-mediterraneo. Parlerò perciò, della Associazione Giovani Erranti di Marsiglia (la Direttrice ed altri amministratori sono qui presenti), sono loro che nella loro pratica per primi hanno sviluppato questa pluridisciplinarità, che è una delle caratteristiche di REMI. Questo modo di lavorare, di mettere in comune magistrati, poliziotti, operatori sociali, tutti coloro che sono interessati alle questioni relative a questi minori erranti. Questa Associazione è stata la prima a lavorare all’unisono facendo opera di sensibilizzazione venendo da noi nella Regione PACA e presso altri Enti Locali, Regionali, dicendo che bisognava fare qualcosa e così è stato fatto. 71 Per noi l’idea era di fare una Conferenza Euro-Mediterranea sull’argomento, come quello dei minori isolati, ma a condizione che non fosse solo una conferenza, un incontro, un momento fruttuoso, interessante, per raccontare le nostre esperienze diverse e cercare di diffondere le buone pratiche, ma fosse effettivamente il punto di partenza di un percorso in rete. A partire da tutto questo siamo passati così da una semplice conferenza ad un atto di nascita di questa rete istituzionale di Enti Locali, Province, Dipartimenti, Regioni, Città, interessate da questo fenomeno, che hanno preso a cuore questo problema. Si è dato inizio ad una rete, con un atto simbolico che era la firma di questa Carta per la Tutela dei Minori Isolati, che il vice Presidente della Regione Toscana Passaleva ha firmato con la Regione Toscana e la Provincia di Lucca. Ed è così che questa rete, questo progetto, si è creato con una impronta pluridisciplinare. Alla conferenza del 25 e 26 novembre del 2002 c’erano circa 400 partecipanti che erano magistrati, poliziotti, operatori sociali, eletti e tecnici, delle Amministrazioni Pubbliche, degli Enti Pubblici Locali. Il senso di questa conferenza era proprio questo, dire “noi dobbiamo lavorare in questo modo, ci dobbiamo preoccupare dei minori isolati”. E poi è stata una conferenza tra Enti territoriali, non Stati Nazionali, ma finalmente Enti Locali che sono i primi interessati a quello che si decide a livello nazionale ed anche a livello europeo. Noi dobbiamo rifarci del tempo perso. Abbiamo parlato delle decisioni che sono state prese in Italia. Posso dire che in Francia, la situazione non è così facile per quanto riguarda l’infanzia, per quanto riguarda i diritti, la giustizia in generale. Anche sulla nazionalità, in Francia sono stati necessari vari anni per parlare del ius-soli (il diritto del suolo), rispetto alla ius-sangue,(il diritto del sangue). Ci siamo divisi in un mondo esterno ed in un mondo interno, mentre la cultura ai nostri giorni è sempre più euro-mediterranea. Il fine di questa rete è di non essere più ognuno una piccola regione, una piccola provincia, un piccolo comune, da solo, di fronte agli stati molto potenti, di fronte all’Europa (ancora più potente che gli stati), ma di poter parlare con una sola voce, per essere più forti e meglio compresi, soprattutto per esercitare una certa pressione su queste politiche, che hanno un’influenza diretta sui territori di cui come Enti Locali siamo responsabili. Per la genesi questa Conferenza è stata molto solenne e molto importante. Rivedendovi oggi in questo contesto, ritorno un po’ con la mente a quel momento, ritorno a provare le emozioni della firma di questa Carta per la Tutela dei Minori Isolati. Vi dico gli obiettivi che sono stati assegnati a questa rete, in questa Carta, firmata dai rappresentanti degli Enti Territoriali: sensibilizzare gli stati interessati al fenomeno del vagabondaggio e dello sfruttamento delle reti criminali, dare un aiuto al trattamento delle situazioni individuali dei minori, interessarsi dello scambio di informazioni e di savoir-faire, anche assicurare il collegamento dalle squadre educative dei paesi interessati, organizzare sessioni di formazione internazionale, comuni per i personali che agiscono a livello di gestione della situazione (lavoratori sociali, operatori pubblici e volontari, magistrati, effettivamente giudicanti e della Procura, poliziotti e statali). Questi sono effettivamente gli obiettivi di questa Carta,molto ambiziosi, ma anche per certi apetti modesti, per iniziare con cose concrete. Quindi, organizzare altri incontri come quello di Marsiglia, su una scala minore, ma per arrivare nel vivo del problema, approfondire i diversi temi che sono stati discussi durante le tavole rotonde della Conferenza di Marsiglia. C’è stato un incontro a Tangeri , uno ad Avignone, in Francia, in Provenza e questo quarto incontro a Lucca, dopo Marsiglia. Quindi è stato un elemento molto positivo, vuol dire che la dinamica di REMI, di questo scambio, di questi meeting, di questi incontri è una cosa che è continuata, che vive tuttora e che dà risultati tangibili, effettivi. Ho parlato con il Magistrato degli Operatori Sociali ieri sera e questi contatti portano a risultati concreti, come abbiamo sentito dalle esperienze descritte nella giornata di ieri. Adesso abbiamo una maggiore facilità rispetto a quella che avevamo prima per scambiare queste informazioni e gestire meglio le situazioni specifiche individuali e questo è un aspetto positivo. 72 Il secondo aspetto positivo, il secondo obiettivo, è di essere più numerosi dal punto di vista politico. Ovviamente mi scuso se tratto in separata sede la questione politica, ma sono legittimato dal suffragio universale e quindi abbiamo la responsabilità pubblica di questi Enti Locali. Sono loro che possono avere, sicuramente, un peso maggiore su quelli che sono i poteri nazionali ed europei. Quindi, l’obiettivo è quello di avere ancora di più Enti Territoriali Locali che siano firmatari della Carta, che possano aderire a REMI. Quindi, i primi firmatari, secondo la mia memoria, a Marsiglia, sono stati gli italiani e in questo caso vuol dire che se la nascita è stata fatta a Marsiglia, dobbiamo rendere omaggio all’Italia se REMI ha decollato immediatamente. Ci sono stati vari firmatari italiani più che i francesi, all’inizio: la Regione Toscana, la Campania, la Provincia di Lucca e anche il Comune di Roma. Per la Spagna viene la Catalogna e per la Francia avevamo la Regione Paca e poi abbiamo avuto Parigi, che rappresenta la Conferenza, ma che non aveva firmato in modo ufficiale la Carta sotto il profilo politico e poi è venuto Lione, quindi le tre principali città francesi, perché la città di Marsiglia ha aderito e questo era molto importante dal punto di vista politico, perché potevamo rimproverare REMI di essere un po’ troppo di sinistra e questo poteva frenare alcuni Enti più di destra nell’ entrare in una rete che aveva un altro orientamento. È arrivata Marsiglia e questa è stata una cosa ottimale per dimostrare che la posta in gioco va al di là di quelli che sono i presupposti politici e a livello locale, forse abbiamo una comprensione diversa del fenomeno rispetto a quella nazionale, perché le stesse città hanno un comportamento talvolta diverso. Le città di Marsiglia, Lione e Parigi sono venute dopo e ancora dobbiamo fare altra promozione. È arrivato il Veneto da parte italiana, per la Spagna, l’Andalusia, per la Francia abbiamo avuto anche l’Alta Corsica e poi c’è stato un primo passo, una prima estensione della rete concreta verso il sud del Mediterraneo con Tangeri. Tutte queste sono cose molto positive e importanti; però non bisogna unicamente rifarsi a questi primi risultati dicendo “abbiamo lavorato molto bene, siamo tutti molto felici”. Dobbiamo essere molto onesti e dire che questo bilancio è positivo, ma non è sufficiente. Leggevo gli atti della Conferenza, che sono stati pubblicati e siamo ancora molto indietro rispetto ai nostri obiettivi. Quindi, abbiamo l’ ambizione di creare un centro di risorse sulla questione dei minori isolati a livello euro-mediterraneo, multidisciplinare, con un sito Internet che sia molto attivo, con la diffusione di guide metodologiche. Non abbiamo ancora fatto tutto questo, siamo un po’ indietro, ma credo che potremo sicuramente farlo molto presto. Per andare molto più lontano dovremo passare da una fase dove la rete non sia più virtuale, ma possa diventare una rete concreta. Io sono onorato dicendo che sono presente in questa conferenza a Lucca e parlo come rappresentante della Rete REMI. In realtà non sono rappresentante della Rete Remi, nessuno potrebbe essere un rappresentante di Remi, non è scritto nemmeno nel programma, però siamo semplicemente dei portaparola, siamo paladini di questi valori della rete: buona volontà, una rete di militanti, una rete che tutela i valori dei bambini, bambini in pericolo, bambini vagabondi, ma non è ancora una rete concreta, giuridicamente costituita. Quindi, io, voi, tutti i presenti della Regione Paca e della Regione Toscana potrebbero essere i rappresentanti effettivi. Per fare tutto questo dovremo passare dal virtuale al reale, al molto concreto. C’è stata una riunione a Marsiglia nel mese di giugno con qualcuno della Regione Toscana e anche della Campania; c’è stato un Comitato di Pilotaggio e quindi abbiamo deciso che effettivamente nel 2004 bisognava sicuramente creare questa rete costituita giuridicamente con uno statuto, con un team permanente, con dei fondi, dei capitali messi in comune, finanziati, decisa di presa in comune, all’unisono, con la stessa voce e penso anche i rapporti che ci potrebbero essere con i paese di origine di questi bambini e anche con questa scadenza che lei ha evocato, l’estensione dell’Unione che potrà amplificare la questione, il problema di questi minori erranti. Dovremo parlare con questi paesi di origine, che forse non sono allo stesso livello di decentralità, che abbiamo in Italia o in Spagna e anche la Francia comincia ad essere decentralizzata, cercando di rifarsi del tempo perso. Siete un modello per noi. Per parlare con questi paesi dobbiamo semplicemente parlare con i governi e con i ministeri. Non abbiamo gli Enti Locali, che hanno le stesse competenze, come da noi in Europa, e quindi in questo 73 caso sarà più facile, sarà più legale farlo con le condizioni di causa proprio a livello di collettività, in questa rete basata sulla collettività, ben creata. Credo che dovremo nei prossimi mesi, nelle prossime settimane, discutere lo statuto che dobbiamo adesso redigere soprattutto per trasformare questa Carta (che è una Carta che enuncia dei principi, degli intenti di azione), in uno statuto effettivo che è un livello molto superiore. Dobbiamo discutere di questo statuto. L’idea sarà proprio questa, per conservare quello che è importante, l’approccio multidisciplinare. Questo aspetto è specifico di questa rete, relativamente ad altre reti, ad altri progetti, secondo obiettivi analoghi; però una delle caratteristiche forti è proprio il carattere multidisciplinare, l’unione che esiste tra le Associazioni, gli Enti Locali, i magistrati, i poliziotti, gli operatori sociali, tutti coloro che sono interessati da questo argomento. Credo che nell’architettura di questa rete vi sarà uno statuto di costituenti attivi, membri attivi, Enti Locali, e poi di membri associati; le Associazioni e gli operatori sociali, i magistrati e anche le Organizzazioni Intergovernative (spero che esse lavoreranno molto con noi, in modo attivo), anche all’UNICEF, l’UNHCR. Credo che adesso dovremo sicuramente realizzare questa rete con l’aiuto di altri, con questa doppia qualità di membri attivi, per le collettività decisionali e altri membri associati che ci dovranno aiutare con la loro conoscenza per avere un migliore coordinamento con i vari Enti, a livello dei vari progetti che siano su scale diverse, su territori diversi, ma che siano sempre su obiettivi molto simili e analoghi. Credo che siano queste le prospettive della rete REMI per il prossimo futuro. Credo che sia un vantaggio che nella Regione Paca siamo alla fine di un periodo elettorale e ci sia stata la rielezione della vecchia squadra dei politici, questa è una cosa che ci interessa tutti, soprattutto se vogliamo far persistere con piena consapevolezza e lunga durata la Rete REMI, non semplicemente sponsor, padrini e madrine che ci possono ovviamente proteggere come è stato nel passato, ma avere una casa unica e definitiva con un’associazione concreta che permetterà di andare al di là di quelli che sono i rischi politici. Un’ultima parola per quanto riguarda la questione della libertà di parola dei bambini, la loro sensibilità. Credo che questo sia un argomento molto importante di cui abbiamo parlato. Vorrei semplicemente raccontare un piccolo aneddoto per dimostrarvi fino a che punto dobbiamo sensibilizzare non solamente gli Stati, ma l’Europa e anche la gente. In Provenza abbiamo un Consiglio Regionale dei Giovani tra 15 e 16 anni. Noi diamo a loro degli incarichi di lavorare su argomenti che riguardano la gioventù, per migliorare la politica in materia di tutela dei giovani. Un gruppo del Consiglio lavora proprio sulla cooperazione euro-mediterranea. Hanno previsto di incontrare molto spesso giovani del bacino mediterraneo (algerini, marocchini, ) ed è anche previsto la somministrazione di un questionario nel quale c’è una domanda che viene fatta ai minorenni algerini, ai marocchini: “Avete voglia di emigrare?”. Volete incoraggiare a emigrare, a lasciare il loro paese, che cosa volete? Persone che sono di origine marocchina e algerina non forzatamente hanno tutti la consapevolezza di quello che sarà il loro destino, che decidono di mettere la vita in pericolo, di attraversare il Mediterraneo, di venire dall’Albania o dal Marocco, di venire in Italia o in Spagna, di rischiare di cadere in questa rete di tratta e di sfruttamento sessuale. Anche in questo caso c’è un lavoro molto importante di sensibilità dei giovani, della gente. E da questo lavoro di sensibilità, sicuramente gli Stati Nazionali dovrebbero avere maggiore forza, per innalzare la sensibilizzazione. Non dobbiamo semplicemente affrontare in modo demagogico i problemi, ma dobbiamo prendere atto, cercare di affrontarli direttamente. Quindi, c’è un grosso lavoro da fare a livello della gente, dell’opinione pubblica. Dobbiamo forse inventare questo con dei progetti analoghi con gli altri partner, soprattutto basandoci sulla capacità e la volontà di parlare di queste persone che arrivano nei nostri territori. È tutto, grazie. (Relazione non rivista dall’autore) 74 DAVID PELLEGRINI Assessore alle Politiche Sociali e Giovanili della Provincia di Lucca Mi sembra che alcuni suggerimenti siano sicuramente da riprendere ed anche da concretizzare, come il fatto di dare uno statuto e maggior forza alla Rete. Il Dott. Antonio Torre, che è il Vicepresidente della Provincia di Lucca, è stato per la Provincia il firmatario della Carta della Tutela di Minori Isolati, svolgendo anche il ruolo di Assessore al Lavoro, alla Formazione Professionale; a lui chiediamo un intervento specifico proprio per la nostra Provincia. ANTONIO TORRE Vice Presidente della Provincia di Lucca Visto che ho avuto il piacere di essere presente, nel novembre del 2002, alla firma della adesione della Provincia di Lucca alla Rete REMI a Marsiglia, vorrei tramite Monsieur Thiérot portare un saluto ed un ringraziamento al Presidente della Regione Paca, che, fra le altre cose, è stato riconfermato dalle ultime elezioni con un risultato molto positivo. Questo vuol dire che chi fa alcune scelte importanti che riguardano l’attenzione alle politiche sociali, riesce ad ottenere il consenso. Un saluto, un ringraziamento, per l’accoglienza squisita che ci fu a Marsiglia e perché credo che tutti siamo impegnati a far sì che questa scelta di collaborazione fra le Regioni Euro-Mediterranee per la tutela dei minori, particolarmente dei minori non accompagnati, possa avere uno sviluppo ancora maggiore. La nostra adesione fu motivata anche all’interno di un percorso che la Provincia di Lucca ha intrapreso da tempo per rispondere ai bisogni dell’infanzia, dell’adolescenza e più in generale della famiglia, con un’attenzione particolare verso le nuove generazioni, quale fondamento della nostra società. L’intervento che vorrei fare, cercando di essere il più breve possibile è quello di dare alcune indicazioni , alcune linee di percorso, che come Amministrazione Provinciale cerchiamo di mettere in campo, certamente non da soli, ma con il sostegno e con la collaborazione forte con il mondo delle Associazioni che lavorano per la tutela dei minori e per l’accoglienza dei minori immigrati e degli immigrati in genere e con il coinvolgimento di altri Enti e Istituzioni per superare quelle barriere che di fatto ostacolano l’inserimento sociale e lavorativo, che è una delle problematiche principali che prima venivano accennate. Il Presidente Passaleva ha fatto espliciti riferimenti alla legislazione vigente per quanto riguarda le problematiche dell’immigrazione nel nostro Paese, soprattutto perciò che riguarda ai minori. Poi il loro percorso di raggiungimento di un permesso che possa farli continuare a stare nel nostro Paese e a fare un percorso di integrazione ancora migliore dalla maggior età. Questo percorso prevede che ci siano dei progetti e dei percorsi di inserimento educativo, formativo ed anche lavorativo che facilitano la loro integrazione. Attraverso anche i dati che noi traiamo dall’Osservatorio delle Politiche Sociali della nostra Provincia, con una parte che è dedicata in maniera particolare alla problematica degli immigrati e dei minori immigrati, è possibile cercare di programmare anche alcuni interventi significativi. Vorrei ricordarne soltanto alcuni. Tutti i minori stranieri, anche se privi di permesso di soggiorno, sono soggetti all’obbligo scolastico ed hanno naturalmente diritto di essere iscritti a scuole e di fare un percorso importante per quanto riguarda l’aspetto educativo e scolastico. C’è un importante impegno legato al sostegno linguistico, perché è chiaro che il primo sostegno forte è quello di dare padronanza e conoscenza della nostra lingua, che è il primo mezzo fondamentale per un corretto inserimento. Qui vorrei ricordare gli interventi che vengono fatti in collaborazione con le Associazioni del territorio, con l’ARCI, con l’Associazione Ghibli che sono fondamentali per quanto riguarda questo sostegno alla lingua. 75 Oltre all’aspetto scolastico, vorrei sottolineare che è possibile, attraverso la legislazione attuale, per i minori (italiani e stranieri, naturalmente), oltre al normale percorso scolastico di istruzione, l’assorbimento dell’obbligo formativo attraverso il canale della Formazione Professionale e dell’Apprendistato. Questi sono due canali importanti che possono essere messi a disposizione dei minori stranieri e anche, naturalmente, dei minori stranieri non accompagnati. Per questo l’Amministrazione Provinciale, attraverso i Servizi per l’impiego e per il lavoro, che sono di competenza delle Province (la Regione Toscana ha dato la delega alle Province per tutti questi servizi), vengono svolte attività di orientamento e tutoraggio per quanto riguarda l’assorbimento anche dell’obbligo formativo. E questi interventi si realizzano attraverso i colloqui individuali o di gruppo e sono finalizzati ad aiutare i ragazzi in un inserimento attraverso un percorso che risponda alle loro esigenze e aspettative. Questo percorso tiene conto di quello che a livello legislativo è contemplato adesso nel nostro paese. L’ultima riforma scolastica prevede (con non molti consensi) un abbassamento dell’obbligo scolastico all’età di 14 anni. I ragazzi tra i 14 e i 15 anni non possono essere inseriti nel mondo del lavoro e nemmeno nei corsi di formazione, possono solo iscriversi alla scuola secondaria superiore. A 15 anni possono frequentare corsi di formazione biennale solo se hanno frequentato almeno il primo anno di istruzione superiore. Da 16 anni possono accedere alla Formazione Professionale. Questi sono i percorsi che abbiamo davanti. È stato necessario trovare questa collaborazione con la Regione Toscana, dei percorsi che possono integrare l’obbligo scolastico con l’obbligo formativo, almeno per i ragazzi che non intendono continuare a fare il percorso scolastico (anche se questo, comunque, riteniamo che debba essere sempre il canale più importante da eseguire, perché un completo percorso scolastico è anche garanzia di migliore inserimento nel mondo del lavoro). Abbiamo iniziato una sperimentazione a livello di Province, con un accordo con i Ministeri del Lavoro e dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, appunto con la Regione Toscana, che prevede delle attività diversificate. Un’attività di istruzione e formazione, di orientamento per i ragazzi iscritti al primo anno di un istituto professionale che presentano dubbi o incertezze sulla possibilità di continuare il percorso della scuola. Cioè, di dare, almeno orientamento, per capire se per questi ragazzi è importante continuare il percorso scolastico oppure fare la scelta di un percorso di apprendistato o formazione professionale. Un’attività di percorsi formativi, per chi ha frequentato il primo anno di scuola superiore o ha compiuto 16 anni e può raggiungere una qualifica professionale attraverso un corso di formazione di 2 anni e, la sperimentazione, per esempio, per quest’anno, per la nostra Provincia, prevede corsi per addetti al commercio e addetti alla lavorazione di marmo, metalli e legno, che sono caratteristiche del nostro territorio. Un’altra attività è una attività di istruzione professionalizzante rivolta ai ragazzi che scelgono di restare a scuola e possono integrare il proprio percorso scolastico con moduli professionalizzanti, che consentono di raggiungere, oltre al titolo scolastico, un’ulteriore qualifica professionale. Quindi, una serie di percorsi differenziati che noi offriamo ai minori, tutti i minori, italiani e stranieri, ma che possono essere indicati anche per i minori stranieri non accompagnati che comunque devono farli anche perchè previsti dalla legge per arrivare poi con il diciottesimo anno di età a continuare il possibile inserimento e percorso di presenza nel nostro Paese. Naturalmente il problema che diceva il Presidente Passaleva permane perché un ragazzo arriva nel nostro paese a 16, 17 anni di età, e se la legge non cambia, non si modifica in questo senso, rimane impossibile per lui fare un percorso di 2 o 3 anni di inserimento. Un altro servizio importante che viene messo in campo è quello sempre legato con i Centri per l’impiego, per il lavoro, che riguarda la capacità di fare esperienze, di stage, percorsi di inserimento in aziende, naturalmente con un percorso di tutoraggio, con un tutor che segue il ragazzo in questo inserimento. Questo è un inserimento che, naturalmente, non ha costi per l’azienda, prevede 76 un’assicurazione sull’infortunistica sul lavoro che è garantita dalla Provincia stessa. Anche lo stage può essere un modo per dare orientamento al ragazzo per la scelta lavorativa, può dargli la possibilità di far conoscere le proprie capacità in un’azienda e può essere uno strumento che può far prevedere un inserimento lavorativo e quindi una possibilità importante di continuare la propria presenza, se si parla di minore straniero, all’interno del nostro territorio. Queste sono soltanto alcune indicazioni, in maniera breve, di alcuni percorsi che stiamo cercando di fare e sperimentare nel nostro territorio. Parlo particolarmente dei minori non accompagnati, delle problematiche dell’affido, di avere famiglie affidatarie, di avere Comunità di accoglienza. Questo è il primo problema. Il secondo è quello di offrire percorsi legati all’inserimento. Queste esperienza che stiamo cercando di portare, le proponiamo all’attenzione perché potrebbero essere percorsi significativi che garantiscono una continuità e un inserimento importante, che oltre all’accoglienza permetta poi la stabilità di presenza del minore nel nostro territorio. Anch’io convengo che l’esperienza di confronto che abbiamo iniziato con la Rete euromediterranea debba ulteriormente radicarsi. Ci sono stati dei momenti di incontro, questo è uno di quelli, credo che sia necessario ampliare la Rete e credo che sia importante quello che diceva prima Monsieur Thiérot, cioè che questa Rete si compone di tante reti. È un mettere insieme anche le esperienze delle reti locali, perché una cosa significativa della Rete euro-mediterranea e che aldilà dei contatti e dei rapporti che ci sono stati tra Enti e Istituzioni come la nostra Provincia, la Regione Toscana con la Regione Paca in Francia, con il Comune di Roma e con altri Enti, abbiamo avuto anche rapporti di conoscenza importanti fra Associazioni che si interessano delle problematiche legate ai minori. Associazioni della nostra Provincia che da tempo operano a sostegno dei minori immigrati, hanno avuto rapporti importanti, ad esempio, con l’Associazione dei Giovani Erranti, francese e con altre. Anche questo è stato, ed è un momento da valorizzare, perché dalle esperienze delle Associazioni possiamo avere dei supporti molto significativi. Il mio auspicio è che anche da questo incontro possiamo dare ulteriore continuità a questa esperienza. DAVID PELLEGRINI Assessore Politiche Sociali e Giovanili della Provincia di Lucca Ringrazio il Dottor Torre, anche per aver introdotto questo concetto della formazione e del collegamento con il mondo del lavoro perché penso che, soprattutto per la realtà italiana, ma in generale per la realizzazione del progetto di ogni persona e soprattutto dei minori che vengono nei nostri paesi, sia una delle questioni di vitale importanza per un inserimento a tutti gli effetti proprio dell’essere cittadini. La caratteristica del lavoro è una cosa fondamentale anche nella nostra Costituzione ed in molte costituzioni viene data una grande importanza a questa possibilità. Ora entriamo un poco nel dettaglio, con altri interventi dei vari rappresentanti delle varie esperienze. Prima darei la parola a Monsieur Benauda il Coordinatore UNICEF dell’Algeria e poi a Madame Karadja, Presidente dell’ Ansedi Algeria, come Rappresentante della Rete EuroMediterranea per la Protezione dei Minori Isolati. CHERIF BENAUDA Coordinatore UNICEF di Algeri Cercherò di parlare dell’azione dell’UNICEF in Algeria e soprattutto del settore dei minori isolati o migranti isolati. Prima di tutto vorrei ringraziare anch’io la Provincia di Lucca e tutti coloro che hanno partecipato e lavorato per la preparazione di questo consesso euro-mediterraneo. Vorrei ringraziarli per la loro accoglienza amichevole e calorosa in occasione di questo incontro euromediterraneo. Spero che troveremo poi il tempo per scoprire anche quelle che sono le bellezze nascoste della vostra bellissima cittadina. 77 Prima di tutto vorrei dire due parole sull’UNICEF. Come sapete è il Fondo delle Nazione Unite per l’Infanzia, è l’organizzazione che ha come mandato di occuparsi dei bambini in modo generale. L’UNICEF ha vari rappresentanti anche nei paesi più poveri, meno sviluppati ed ha dei Comitati Nazionali nei paesi più progrediti, più ricchi, come quelli europei. Vorrei salutare il Comitato Italiano per l’UNICEF e anche il settore di Lucca. La presenza dell’UNICEF in Algeria risale ai primi giorni dell’indipendenza di questo paese, e quindi c’è stata una cooperazione molto consolidata con il governo algerino. Senza dare ulteriori dettagli, direi che, in linea di massima, l’UNICEF lavora direttamente nel settore personale e classico, quello della salute, della pubblica istruzione, della tutela del bambino; ma negli ultimi anni ci interessiamo sempre di più a quello che noi definiamo i “fenomeni emergenti”, e fra questi, possiamo parlare dei bambini di strada, del lavoro minorile, dei bambini abbandonati, ed anche dei bambini in situazioni di precarietà, di difficoltà con la legge (bambini che sono detenuti in carcere). E bisogna anche sapere che l’Algeria è un paese di bambini, perché secondo la Convenzione tutte le persone sono bambini prima dell’età di 18 anni; e in Algeria il 48% degli algerini non ha più di 18 anni, quindi, possono considerarsi minori. E se aggiungiamo quelli che non hanno ancora compiuto 20 anni e quelli che hanno addirittura meno di 30 anni, siamo al 72% della popolazione. È un paese estremamente giovane, come altri paesi della regione, del bacino euro-mediterraneo. Ci siamo interessati a questi nuovi fenomeni emergenti e devo dire con tutta franchezza che abbiamo ignorato completamente il fenomeno dei bambini migranti isolati. I rappresentanti dell’Associazione Jeunes Errantes di Marsiglia sono venuti da noi, ci hanno parlato di questo problema e ci hanno invitato a partecipare direttamente alla prima conferenza Euro-Mediterranea su questo argomento. Abbiamo partecipato a questa conferenza con altre Associazioni incaricate ed è proprio in questo modo che siamo stati incoraggiati e spinti a fare molto di più. Nel quadro del Progetto dell’Unione Europea per i Minori Isolati, abbiamo realizzato e condotto uno studio di massima, una inchiesta sulla problematica dei minori migranti algerini. Questo studio è stato fatto con la Dott.ssa Karadja, Presidente dell’Ansedi e da me medesimo. E per la prima volta, abbiamo scoperto questo fenomeno. Da allora siamo stati prodighi nel diffondere questa idea per rendere più consapevoli i politici, i legislatori, i costituenti dell’Assemblea Nazionale, gli eletti. È proprio in questo modo che abbiamo ideato la creazione di una conferenza sulle tematiche euromediterranee verso la fine di quest’anno e credo che tutte le località del bacino mediterraneo saranno invitate a questa conferenza, proprio per parlare di questo problema specifico, proprio per dare corpo ad una rete che sia basata sulla protezione di questi minori, di questi bambini, ma soprattutto per firmare in modo solenne la Carta Euro-Mediterranea, da parte del Comune di Algeri e altri Comuni algerini, che sono i posti di partenza di questi minori. L’UNICEF, nel suo quadro specifico, ha un programma di cooperazione con l’Istituto Nazionale della Magistratura in Algeria, che è un istituto unico che forma i magistrati, che fa del training della magistratura. Questo istituto è molto selettivo, molto quotato dal punto di vista universitario nel nostro paese e forma l’elite della magistratura. In questo quadro abbiamo dei programmi ad hoc molto specifici, dei programmi di conferenze, di workshops, di riunioni, di formazioni, destinati ai magistrati, ma anche ai giudici dei Tribunali Minorili che sono in carica. E vorrei sottolineare un punto che è stato evocato ampiamente ieri, ed è quello dell’interesse superiore del minore per abituare i magistrati, che ignorano in gran parte questa Convenzione e soprattutto fare in modo che questi si abituino ad utilizzare questo strumento. Perché quando si firma una convenzione se non è ratificata dalle autorità dello Stato non è vincolante; risulta vincolante e in questo caso diventa la legge del Paese, quando è stata approvata dall’Assemblea Nazionale Però questo non è il nostro caso, ma non siamo i soli, perché ho già sentito che ci sono paesi avanzati come l’Italia, che si trova con una legge come la Legge Bossi-Fini che un po’ è in contraddizione con il principio affermato a livello internazionale dell’interesse superiore del minore. 78 Detto questo come introduzione è positivo che nel contesto di questa scuola abbiamo enucleato un modulo di formazione, direttamente associato al tema dei bambini erranti. Ecco perché abbiamo intenzione di invitare i magistrati francesi (abbiamo già preso contatto con la Magistratura Francese), perché vengano a dire ai colleghi loro omologhi l’ esperienza che hanno condotto anche con altri paesi del bacino mediterraneo, specialmente con quelli che parlano arabo, perché siamo un paese di lingua fondamentalmente araba e non francese. Un altro punto è che l’UNICEF lavora anche con il Parlamento e con l’Esecutivo e con il mondo associativo per dare corpo in Algeria ad un’istituzione equivalente a quella che avete in Francia o in Italia: il delegato, il difensore del bambino. Come ho detto poco fa, i bambini costituiscono la maggior parte del popolo algerino e sono mal rappresentati come maggioranza che deve invece essere tutelata e protetta. Ci siamo interessati soprattutto ai minori più vulnerabili, soprattutto i bambini erranti, vagabondi. Prima di concludere vorrei dire che l’UNICEF è sempre consapevole di questo fenomeno, perché adesso parliamo di globalizzazione, credo che sia un fenomeno globale, mondiale. Anche noi siamo preoccupati da questo fenomeno del bacino del Mediterraneo, viviamo in questo contesto geografico, questo per noi è più importante che altrove. Vorrei menzionare gli Stati Uniti, che hanno decine di milioni di bambini isolati, emigranti che vengono dei paesi dell’America Latina, è un fenomeno molto importante anche in Asia, non solamente da noi; ma da noi è particolarmente importante e quindi credo che questa sarà una priorità su quella che è l’agenda degli interessi per quanto riguarda la tutela dei minori nel mondo. Vorrei passare la parola alla collega, Madame Karadja, che vi parlerà dei risultati e delle conclusioni di questa inchiesta. (Relazione non rivista dall’autore) MADAME KARADJA Presidente dell’Ansedi- Rappresentante Rete euro-mediterranea per la protezione dei Minori Isolati Anch’io vorrei dirvi che sono stata molto onorata di questa accoglienza e volevo ringraziare tutte le persone, le Associazioni, anche le autorità della Regione Toscana e della Provincia di Lucca. Grazie, grazie di cuore. Però, cosa aspettarci da un paese che è stato sempre un paese di accoglienza come l’Italia? Una terra di accoglienza per diventare poi una terra di migranti e poi nuovamente una terra di accoglienza. Questa è la dialettica di fondo del vissuto, che in questi giorni di conferenza siamo stati molto contenti di avere sentito. Sono state espresse varie preoccupazioni, varie etiche di rapporti, anche molta umanità da parte degli operatori sul territorio, che è naturale, ma anche da parte dei politici e questo è molto positivo perché abbiamo bisogno di politiche che si occupino di quelle che sono le preoccupazioni dell’essere umano. Questa è la loro vocazione. Vi sono state delle regressioni quando le politiche si sono presentate, ma sono certa che le leggi restrittive della libertà e del progresso dell’umanità siano contrastate da varie volontà, da parte nostra metteremo in campo tutte le nostre possibilità perché ciò avvenga. È vero che abbiamo parlato molto della situazione di questi minori, quando sono da questa parte del Mediterraneo, dei problemi che loro debbono affrontare, i problemi che noi dobbiamo affrontare, le soluzioni che vengono ricercate. Ma vorrei portarvi dall’altra parte,nei paesi di provenienza, per vedere come le cose sono possibili, chi sono questi minori candidati all’emigrazione, quali sono i contesti familiari, ambientali e sociali, qual è la loro situazione con relazione all’esistenziale, al loro vissuto, quali sono i motivi che li spingono ad emigrare, a lasciare tutto, casa, famiglia ed andare altrove. Nel contesto di questo piccolo studio che è stato condotto lo scorso anno c’è assenza di statistiche nazionali, perché il fenomeno della migrazione dei giovani, degli adolescenti è nuovo, anche se gli immigranti clandestini sono un fenomeno già noto. Quindi, sulla base della mancanza di 79 questi dati statistici, c’è da dire che la statistica nazionale è molto insufficiente. Non ci sono conoscenze reali del fenomeno quindi, abbiamo dovuto condurre lo studio adottando una metodologia che è relativamente semplice e che permetteva di prendere i carteggi del Dipartimento di Polizia e del Tribunale facendo delle comparazioni a livello regionale, per vedere quello che si era prodotto a livello di emigranti clandestini. C’è stata una collaborazione tra il Dipartimento di Polizia, la Questura e il Tribunale. Abbiamo avuto un gruppo di 120 giovani che hanno già tentato l’esperienza dell’immigrazione clandestina, altri, invece, che sono in fase di realizzarla e altri ci hanno permesso di capire come il fenomeno si è rilevato. Abbiamo trovato un’unica verità. Il metodo è basato sul questionario chiuso e il lavoro del focus-group nelle interviste che saranno esplorative e saranno poi sondate per i risultati. Abbiamo fatto anche dei focus-group con le famiglie. Abbiamo selezionato delle famiglie per queste nostre indagini, che erano molto interessate, che erano d’accordo con il progetto di emigrazione, famiglie che erano completamente contrarie, che non sapevano niente di questo progetto e famiglie che erano, invece, in boo-line, che non sapevano troppo, ma non perché non sapevano cosa volessero, ma in ragione del fatto che vi era un po’ di stanchezza rispetto a questo problema. So che il tempo non permetterà di dare ulteriori dettagli dei dati raccolti, ma semplicemente volevo dare un sunto di alcuni elementi sui tre punti sui quali abbiamo pensato di essere prioritari per sondare questa situazione. Il primo punto è la famiglia, l’ambiente familiare, domestico del bambino; il secondo, il rapporto con la scuola e il terzo elemento è il rapporto con il mondo del lavoro minorile, lavoro che da noi è considerato illegale. Per quanto riguarda il modulo della famiglia, si tratta di famiglie di tipo medio, dove i genitori non sono analfabeti però il livello di istruzione è piuttosto carente, il livello della scolarità è sempre piuttosto medio, con una preponderanza di analfabeti, più nel caso delle madri che in quello dei padri, solamente hanno fatto forse la prima o la seconda elementare. Per quanto riguarda la professione, gli stipendi sono molto bassi, si tratta di operai, di salari, di funzionari di primo livello e la stragrande maggioranza, 54 su 120 famiglie, hanno il minimo salariale garantito dalla legge, intorno a 60 euro al mese. Per quanto riguarda la famiglia, hanno la casa, non sono persone che sono per strada, i candidati all’immigrazione sono persone che abitano in una casa, possiedono una casa o un appartamento di tipo sociale, case popolari o stati di abitazione precaria, ma non sono per strada, hanno un tetto. Il figlio prende sicuramente il posto del padre quando questi non ha più capacità di gestire la famiglia. Rimane questa idea che il giovane ha per obbligo il far fronte ai bisogni della famiglia quando il padre soccombe o muore. In genere i figli più piccoli sono i candidati all’immigrazione clandestina e inoltre nei rapporti con la famiglia vi è un gap tra i più grandi e i più piccoli, vi è una differenza tra il piccolo e il grande rispetto alla famiglia. Il piccolo non comunica con la famiglia come il fratello maggiore per cui può più facilmente lasciare la famiglia ed emigrare. L’età dei genitori è compresa tra 40 e 58 anni e i rapporti nella famiglia sono rapporti piuttosto flessibili soprattutto con la mamma, sono invece un po’ più rigidi e fissi con il padre; la comunicazione non esiste col padre mentre esiste con la madre. Per quanto riguarda i fratelli vi è una sproporzione piuttosto elevata di rapporto di autorità,di quelli più grandi rispetto a quelli più piccoli, ma anche una maggior responsabilità,c’è un senso dei più grandi rispetto ai minori e dei ragazzi rispetto alle ragazze che non è sempre ben accetto da parte di quest’ultime. Quindi nel 37% dei casi vi è una solidarietà abbastanza complessa, perciò è comprensibile che in quest’ordine di idee i più vecchi rispetto ai più giovani hanno più responsabilità e le figlie vengono considerate sotto il controllo dei ragazzi e quindi questo delega l’autorità del padre. E poi constatiamo anche certe rivalità a livello dei fratelli che sono legate ai privilegi e agli interessi che i genitori mostrano rispetto agli uni e agli altri che siano i maggiori o i minori. 80 Per quanto riguarda la scuola, il secondo punto considerato, è che molto spesso vi è una mancanza di istruzione. Per il livello scolastico la scuola elementare o quelle religiose, coraniche, abbiamo 19 come risultato. La popolazione può considerarsi ad un livello medio perché avevamo 87 su 120 che avevano un livello medio e 14 che avevano un livello di istruzione secondario. Su questa popolazione 53 hanno un istruzione scolare volontaria o decisa dalle autorità con un piano di studio che viene stabilito, perché la scolarità è obbligatoria fino ai 16 anni quindi se non ci sono risultati all’età di 16 anni hanno una esclusione brutale e vanno per strada; 49 hanno lasciato in modo volontario la scuola. Quindi tra le cause di questa mancanza di investimento a livello di scolarità c’è l’ostacolo del primo esame, una specie di maturità all’età di 16 anni, poi abbiamo il secondo investimento personale perché la scuola non è interessante perché i modelli non sono legati alla scolarità per sé. Non dico che sia vero però effettivamente si riscontra un alto tasso di disoccupazione dei diplomati, un notevole numero di persone che hanno una formazione e che si trovano in situazioni miserevoli. Quando queste persone si rendono conto che vi è difficoltà nel trovare un posto di lavoro che la famiglia da cui provengono ha difficoltà e non può mantenerli a scuola, mettono questo sulla bilancia e dicono che non vale la pena di fare tutto questo. Quindi abbiamo una economia parallela di strada che permette di vendere le sigarette di contrabbando e dà a questi ragazzi la possibilità di avere del denaro rispetto ad un lavoro che è più precario. Quindi l’impoverimento della famiglia e anche un rifiuto per quanto riguarda la metodica scolastica che non è cambiata, ed è molto poco interessante, comporta che questi ragazzi siano un po’ demotivati nel proseguire gli studi. C’è un rifiuto della scuola perché non vi è stata una riforma scolastica e le metodiche pedagogiche sono ancora vecchie. Per questo la percezione generale della scolarità è negativa e sicuramente si focalizza nell’incoerenza, nella cristallizzazione dei programmi scolastici,in un approccio troppo pedagogico dei docenti. Vi è un fallimento delle metodiche scolastiche che risultano poco motivanti. La problematica pedagogica è rafforzata da quella della famiglia dove il pessimismo e i problemi economici rappresentano fenomeni gravi, poi vi è un’ambivalenza nella visione da parte della famiglia, ovvero il fattore di buon risultato scolastico ha una certa ambivalenza perché talvolta è un elemento di fierezza sociale anche se al tempo stesso si dice che la scuola non serve a niente perché non permette di avere successo. Per quanto riguarda il lavoro minorile, in modo globale questa popolazione lavora in modo piuttosto informale perché la legislazione del lavoro vieta completamente il lavoro minorile. Anche in questo caso ci si è resi conto dell’ampiezza del fenomeno perché fra le cause del lavoro minorile legato a quello che dicevo rispetto alla scuola,c’è il desiderio di guadagnare soldi in modo veloce e bene. Poi il desiderio di imparare un mestiere in modo da essere un po’ più autonomi perché il dispositivo di formazione professionale proposto non risponde ai requisiti, è molto fermo e il piano di azione predisposto non è ancora operativo. Quindi il desiderio di guadagnare e le cause del fallimento scolastico portano il bambino a lavorare. Il vincolo esercitato dai genitori è solamente il 2,4% dei casi, non sono i minori che sono spinti dai genitori, sono loro stessi che decidono da soli. Questi ragazzi diventano sia salariati presso stranieri oppure si mettono con altri ragazzi per la rivendita di vestiti, per vendere sigarette, per piccoli e grandi negozi, anche direttamente gestiti da loro. Un altro tipo di lavoro al di là di questo commercio è l’artigianato;questi ragazzi diventano parrucchieri, cuochi, lavorano molto anche nel settore del catering dei ristoranti che è un lavoro molto duro. Hanno anche dei posti di lavoro che sono non gratificanti, come custodi di parcheggio. Queste sono le varie sfaccettature delle attività lavorative e poi addirittura il carico orario è di dieci ore, quindi sono vincoli molto forti e in netta contraddizione con le regole minime di lavoro e anche di rispetto del minore. Per il reddito, il lavoro è molto precario e molto aleatorio le condizioni sono molto dure, molto difficili e mettono il bambino all’esposizione di tossicità perché a volte vi sono sostanze inquinanti, con problemi fisici e mentali proprio a causa di queste sostanze tossiche con gravi conseguenze dal 81 punto di vista sanitario. La caratteristica di questi minori che vogliono emigrare è di fare degli investimenti specifici. Il tipo di attività che svolgono hanno un po’ influenzato la loro scelta di emigrare perché vogliono sicuramente pensare a migliorare o trovare degli sbocchi rispetto alla mancanza di titoli di studi. Per quanto riguarda queste attività e anche secondo testimonianze di coloro che sono emigrati e che vivono in altri situazioni si capisce che hanno la speranza di arrivare ad un paese diverso con una nuova occupazione. Vediamo che l’abbandono scolastico di più di un milione di bambini ci fa pensare che sicuramente c’è un’estensione del problema che è molto più inquietante per quanto riguarda l’attività minorile. Abbiamo 478 mila bambini che lavorano nei cantieri di lavoro tra i quindici e i diciotto anni nelle condizioni che ho da poco evocato, poi abbiamo cercato anche di vedere quelle che sono state le motivazioni psicologiche e anche esistenziali di questi bambini che vogliono emigrare. Abbiamo trovato una popolazione originaria di alcuni luoghi che sono concentrati intorno ad Algeri, perché anche se vengono da altre zone sono attirati soprattutto dalla regione intorno da Algeri,infatti le altre sono zone molto più agricole, più rurali, molto più interne e quindi è un’immigrazione diversa dall’emigrazione tradizionale. In questi luoghi gli adulti sono emigrati fin dalla notte dei tempi e sono zone ovviamente d’altopiano e di montagna da cui si vuole emigrare, questi sono i bacini più interessanti per le emigrazioni. Sapete che nel nostro paese vi sono state varie turbolenze, vari problemi e in questi ultimi anni, nell’ultimo decennio c’è stata una grandissima violenza, anche con gli attacchi dei terroristi e tutto questo è stato l’origine di una frattura, una spaccatura del tessuto del contesto sociale e causa di varie transumanze: contadini si sono installati in condizioni precarie nei contesti urbani, metropolitani e stanno cercando adesso nuovi orizzonti lavorativi ed abitativi. I mezzi e le strategie che saranno utilizzate sono quelle di emigrare con la nave, i ragazzi non conoscono la topografia, danno adito a reti di scambio di informazione, sanno che partire costa 150 e anche 500 euro, dipende dal prezzo dei vari centri per poter arrivare ad una nave in partenza nel porto, quindi accedono al porto, conoscono topografia e lavorano in modo concertato, creano delle reti di sorveglianza e talvolta questo dura cinque o sei giorni, soprattutto per poter penetrare direttamente all’interno del porto e arrivare a bordo di una nave con quelli che effettivamente li porteranno dall’altra parte verso l’altro paese europeo. Hanno criteri di selezione specifiche: per esempio sanno che devono rimanere tre o quattro giorni e si preparano per affrontare il viaggio, quindi è un processo molto elaborato, portano alcuni cibi o altri a secondo la lunghezza del viaggio, ciò comporta un lavoro ben strategico, ben concertato. Quelli che affrontano il viaggio sono persone forti, molto competenti, piene di vitalità, hanno molta resistenza. Ovviamente i bambini di strada non sono candidati all’emigrazione, sono già persi, non hanno più punti di riferimento, non hanno più vitalità per pensare ad un progetto. Invece gli altri sono in un progetto, sono ben organizzati, sanno affrontare le difficoltà, vi dicono per esempio che non vogliono prendere le navi asiatiche perchè girano delle storie terribili, hanno una loro rete per quanto riguarda le navi europee dicono di fare attenzione perché il sistema di controllo non permette loro di essere accettati in modo facile, rischiano di essere scartati e di non essere ammessi a bordo. Amano invece le navi spagnole e di Panama che secondo loro sono le navi più umane, sono molto più aperte rispetto ai clandestini, sono coloro che sono amici, che non li consegnano ai poliziotti come fanno armatori di altre navi, di altri bastimenti. Quindi se non ce la fanno, continuano a provare a salire sulla nave, non lasciano l’idea, perché sanno che altri compagni ce l’hanno fatta e che potranno farcela anche loro. Il progetto è molto importante ed ha la caratteristica di anticipare l’arrivo, di prefigurare le condizioni reali e fantastiche del luogo di arrivo. La strategia si basa sull’ evitare i documenti per non definire la loro identità, sul fatto di essere o meno minorenni, conoscere la situazione dal punto di vista legislativo; non è una vera e propria rete stabilita però sicuramente sanno gli indirizzi delle famiglie, hanno contatti con i vari vicini e poi sono perfettamente documentati sui luoghi e anche i quartieri a predominanza algerina nelle città europee, sanno dove rivolgersi se si trovano in difficoltà. Affermano inoltre che, nel peggiore dei casi, ritorneranno nelle reti islamiche che hanno la reputazione 82 di essere molto umanitarie per i ragazzi; e quindi l’Islam potrebbe sicuramente aiutarli nella prima fase dell’inserimento sociale, potrebbe sicuramente proteggerli, anche se hanno delle riserve. Sanno che questa rete è una rete specifica, sanno anche che l’attentato dell’undici settembre ha dato sicuramente un colpo duro anche al mondo islamico. Sono consapevoli di quello che è il quadro politico, quindi credo che l’immigrazione sicuramente è rappresentata non solamente come un problema, ma come una soluzione ed è vissuta dai bambini, dalle famiglie come tale, anche se siamo tentati di considerare l’emigrazione clandestina degli adolescenti come un passaggio all’azione con sofferenza sociale e con un’assenza di canali di sublimazione, siamo forzati ad aumentare la qualità dell’investimento a livello progettuale. Non abbiamo trovato nessun disturbo patologico e nessuna forma aggressiva o depressiva in questi giovani, al contrario hanno una buona salute mentale anche vi sono momenti di frustrazione perché alcune aspirazioni non sono state realizzate. Sono molto competenti dal punto di visto organizzativo e sono molto vitali, questo è molto importante per i paesi d’accoglienza per cui questi ragazzi possono essere considerati veri e propri investimenti. Per quanto riguarda le famiglie, ve ne sono solo alcune che sono interessate al progetto. Vi sono casi in cui la mamma vende i gioielli per finanziare la partenza del figlio, altri in cui le famiglie danno il loro consenso e vi sono anche famiglie che hanno paura perché le reti terroriste reclutano molti di questi minori che oziano e non sanno che fare, ma nonostante questo incoraggiano i figli a partire, perché pensano che potranno migliorare la loro vita. Le varie famiglie sono state consultate: vi sono 32 famiglie ambivalenti, 26 famiglie indifferenti e 12 completamente contrarie al progetto. Vorrei concludere senza andare dei dettagli, dicendo che il progetto dell’immigrazione è vissuto dai giovani come una sfida al fallimento scolastico tenendo conto che l’insuccesso nella scuola non è insuccesso sociale e si può avere successo se il contesto sociale permetterà di investire e di realizzare la propria personalità. Il progetto si compone di due parti:una parte riguardante la partenza e un’altra l’ arrivo. La prima parte di questo iter si presenta come un progetto elaborato sulla base di una motivazione reale ovviamente con variabili comuni sulla base di elementi concreti. La seconda parte sembra invece essere ispirata dall’Eldorado grazie ai mass-media, si prendono semplicemente le immagini che danno buon senso al sogno con comportamenti del consumismo soprattutto visti dopo che gli immigrati hanno visitato il paese. Quindi abbiamo il rischio di frattura ed anche di perdita che viene evocato in questa avventura e tutto questo fa pensare ad una forma psicotica che sicuramente dà adito ad una grossa vulnerabilità per quanto riguarda l’ulteriore adattamento. Comunque l’identificazione del mito del rientro, che fa parte del progetto di immigrazione clandestina deve costituire una pista di soluzione e quindi siamo molto felici di partecipare e di poter partecipare sempre di più alla configurazione di REMI, di questa rete che permetterà la realizzazione di una scelta libera. In questo caso abbiamo delle forme di rientro che sono possibili se sono gestite in modo adeguato. Possiamo forse pensare ad un futuro, ad un avvenire, se non abbiamo un passato, se abbiamo rotto col passato? Il nostro ruolo come Associazione, è di potere fare ovviamente questa nuova riunione che è stata interrotta al momento del progetto, perché questo progetto sia qualcosa che possa essere costruito nella realtà e non nel mito e nei fantasmi della mente. Il problema è come possiamo risolvere la questione dell’immigrazione clandestina, fenomeno che si basa su un’equazione, quella dei fattori di interesse da una parte e fattori di repulsione dall’altra. Vi saranno delle economie parallele nei paesi di accoglienza che avranno una manodopera a basso prezzo, ma vi saranno anche delle situazioni che permetteranno di fare luce su questo punto per potere dare corpo a quelli che sono i meccanismi dispositivi che permetteranno affrontare il problema. 83 Vengo da un paese dove tutto questo lo abbiamo visto, lo abbiamo vissuto sulla nostra carne, abbiamo visto le fratture, l’esclusione dei giovani, l’assenza di realizzazione di sé stessi, l’assenza di modelli di identificazione coerenti che permettono di progredire. Tutto questo è pericoloso e causa morte. Come possiamo fare questo senza disinvestire le persone, ma credo che sicuramente questo non darà mai nessun risultato; prima ho pagato il prezzo più forte, perché credo che dovremo permettere ai giovani di valorizzare quello che va bene e fare della prevenzione per nostre società. È vero che il Mediterraneo da un lato ci separa dall’altro ci unisce, è così facile da attraversare, possiamo effettivamente chiudere da una parte o dall’altra, possiamo impedire il passaggio degli uomini, ma non possiamo mai evitare il passaggio delle idee, sono le idee che possono essere fortunate o meno fortunate. Gli uomini che realizzano queste idee, che le praticano diventeranno ciò che noi abbiamo costruito, da una parte o dall’altra. E’ per questo motivo che credo questo Mediterraneo è sempre stato sicuramente il bacino della cultura. Sono convinta che a partire da quello che noi abbiamo fatto assieme con queste riflessioni potremo sicuramente conoscere il modo di rispettare gli altri in luoghi diversi e grazie al riconoscimento reciproco lavorare insieme per risolvere il problema. (Relazione non rivista dall’autore) ABDELOUAHED AZIBOU MOKRAI Presidente dell’Associazione Tadamoun di Tangeri Cerco di parlare in francese, ma anche di dire qualche parola in arabo per permettere lo scambio interculturale, perché è grazie a questo che varie attività e progetti saranno possibili con successo, soprattutto quando si tratta di un fenomeno come quello dell’immigrazione clandestina dei minorenni. Quindi vorrei ringraziare tutti gli organizzatori che ci hanno permesso di essere a Lucca, in questi due giorni, per discutere, per approfondire un argomento che è sempre più scandaloso per noi come cittadini del Magreb, ma anche per i cittadini dei paesi di prima accoglienza. Il problema dell’immigrazione clandestina credo sia un problema naturale, vengo da un paese del Mangreb che non è poverissimo, ma che ha comunque dei vincoli economici e nonostante questo il flusso migratorio, questo spostamento dell’essere vivente, dell’essere umano, è fortissimo e né le frontiere né tanto meno le difficoltà dell’ambiente, (nel sud del Marocco o nell’Algeria abbiamo il deserto) possono ostacolarlo. Volevo iniziare con questa nota introduttiva per dirvi che non sono le misure di sicurezza che fermeranno o freneranno questo flusso dell’immigrazione clandestina:ma è il lavoro della cooperazione, della collaborazione, è avere una visione di partenariato e di scambio globale che possa quindi garantire, assicurare e permettere la riuscita, il successo di ogni progetto che voglia trovare delle situazioni operative che diano adito a soluzioni adeguate per il problema dell’immigrazione. Adesso vorrei parlare della storia dell’immigrazione moderna marocchina, in generale, non solo di quella clandestina, perché quest’ultima fa parte della catena molto complessa dell’immigrazione che è iniziata dagli anni sessanta. Era una partenza come si diceva in Marocco, per costruire il vecchio continente che usciva dal secondo conflitto armato mondiale ed era quindi l’emigrazione degli uomini soprattutto, perché erano gli uomini che avevano deciso di lasciare il proprio paese per andare a cercare un lavoro e migliorare le condizioni di vita e trovare soprattutto risorse che non era possibile trovare in Marocco . Dopo gli anni settanta c’è stato quello che abbiamo definito allora il raggruppamento della famiglia, perché questi uomini avevano bisogno di un congiunto con cui dividere la vita, raccontare i problemi quotidiani del lavoro e soprattutto trovare uno spazio di comunicazione dove fosse possibile essere rassicurati, in seguito sono arrivati i figli. Negli anni ottanta, invece, c’è stato un nuovo aspetto migratorio che ha riguardato le donne. Queste hanno iniziato ad emigrare e vi erano alcune che erano in situazioni di difficoltà, altre divorziate, altre in situazioni socio-economiche difficili, che avevano deciso effettivamente di 84 assumersi i rischi di questa scelta. Però la tappa più scandalosa, come ho detto poco fa, è stata proprio questo fenomeno dell’immigrazione clandestina. Quindi vorrei semplicemente ricordare a questa assise, in arabo si dice: “tutto è vietato e tutto è richiesto; quando vietiamo qualcosa è là dove abbiamo più richiedenti di quello che è vietato” e di conseguenza l’immigrazione clandestina coincide e si sposa perfettamente col sistema del visto d’ingresso che è stato attuato dall’Unione Europea iniziando dagli anni novanta. Prima dell’entrata in vigore del Visto di Soggiorno le persone non pensavano di emigrare in modo clandestino. Queste persone hanno cercato delle alternative, hanno trovato dei mezzi per poter realizzare il loro sogno; perché ognuno di noi ha un sogno in fondo al cassetto. Credo che sia un sogno di adolescente, un sogno dell’infanzia, perché ognuno di noi è stato un bambino, siamo stati tutti adolescenti, tutti noi abbiamo questo sogno di andare altrove, di scoprire nuovi mondi, nuove terre, di darsi all’avventura e niente può fermare questo desiderio. Poco fa Madame Karadja ha parlato soprattutto della questione relativa ai giovani, ai ragazzi, alle ragazze, soprattutto per quanto riguarda le loro speranze di emigrare e abbiamo fatto la stessa cosa a Tangeri, a Casablanca, in ogni città del Marocco. La risposta è sempre stata questa: una grande quantità di gente che voleva emigrare, ma non vuol dire che tutti i bambini e le bambine del Marocco, i ragazzi o tutti i giovani magrebbini abbiano questo sentimento, siano adesso in Italia, in Francia o altrove. La stragrande maggioranza effettivamente sono ancora nel loro paese di origine. Quando vediamo le statistiche relative a questo fenomeno di emigrazione clandestina e alla quantità di minori che esistono sia in Algeria che in Marocco, vediamo che questo numero è molto elevato; sapendo che la popolazione marocchina e quella magrebbina in generale è caratterizzata dalla rappresentatività molto elevata della gioventù: più del 70% della popolazione marocchina è costituita da giovani. Come dicevo poco fa l’ultima maglia di questo fenomeno, è proprio l’emigrazione clandestina, che è iniziata con gli anni novanta. Oggi in Marocco, abbiamo la presentazione di uno studio transfrontaliero, che è stato condotto a Tangeri, in partenariato con altre Associazioni soprattutto spagnole e abbiamo constatato che ci sono dei punti in comune tra le due realtà con Algeri. Abbiamo la presentazione di uno studio sull’immigrazione clandestina dei minori, studio che è stato presentato da noi in Marocco ,cosa che è un po’ raro in questo emisfero sud. Ultimamente abbiamo iniziato a constatare anche il fatto che i minori hanno cominciato ad utilizzare quello che definiamo “las paterras” come dicono gli spagnoli: sono dei piccoli natanti che bastano per dieci persone. Vediamo dei minori che si assumono questo rischio, di viaggiare nelle “paterras”, con questi piccoli pericolosi natanti correndo molti pericoli e ciò costituisce sicuramente uno scandalo. Quando invece parliamo direttamente dei minori isolati, intendiamo ragazzi che sono arrivati al secondo livello, hanno fatto vari tentativi, sono centinaia di migliaia di ragazzi che cercano di andare altrove, dall’altra parte del Mediterraneo. Quando parliamo di questi minori che sono riusciti ad arrivare in una regione europea, che adesso sono presenti nelle città europee, posso fare una differenziazione di tre categorie. Da una parte possiamo definire un tipo di minori, provenienti dall’emigrazione clandestina fortuita, costituito da ragazzi e da ragazze che non hanno un vero e proprio progetto di immigrazione, ma sono semplicemente stati influenzati da amici, da coetanei della stessa età da vicini del loro quartiere che hanno deciso di andarsene, di prendere la nave assumendosi il rischio di essere degli immigranti clandestini. Perché vi parlo di questa categorizzazione? Perché ogni progetto educativo, se vuole essere efficace deve tener conto dell’origine della problematica della situazione di partenza della realtà da cui provengono. Dobbiamo capirla perché sono vari i giovani che sanno e che credono che la sola 85 ragione di vita che spinge i giovani ad emigrare sia la povertà. Sono ragazzi emigranti fortuiti, ragazzi e ragazze non adattati socialmente, appartengono forse ad una classe sociale media, che fa fronte ai loro bisogni, alle prime necessità, ma non sa realizzare i loro sogni e perciò sono spinti a realizzare il loro sogno andandosene. Io avevo lo stesso sogno quando ero giovane. Il secondo tipo di questi ragazzi e ragazze sono i minori che hanno vari problemi sociali. Vari interventi di stamani hanno messo l’accento proprio sull’importanza della scuola, credo che questa sia come un vaccino efficace , che lotta contro qualsiasi forma di disagio, di mancanza di socializzazione. La maggior parte dei ragazzi e delle ragazze che hanno interrotto i loro studi in Marocco, che hanno lasciato la scuola, la prima cosa che fanno è quella di preparare la loro fuga. Il terzo tipo è costituito dai minori in situazioni difficili, in disagio sociale e soprattutto dai ragazzi di strada. Per le due prime tipologie, ( mi riferisco soprattutto ai progetti educativi che possiamo attuare a favore di questi giovani) un progetto di integrazione sociale educativo, è possibile, ma non funziona con la terza tipologia, cioè con i ragazzi e le ragazze di strada, perché questi minori, hanno già vissuto una situazione molto difficile, molto ostica nel loro paese di origine e poi soffrono soprattutto di una lacerazione sociale anche a livello di nucleo familiare che rende ogni progetto educativo molto difficile a svilupparsi a realizzarsi concretamente. Per concludere vorrei parlare riguardo gli scambi di rete. Madame Dominique, mi ha invitato a partecipare a questa conferenza e dal mio arrivo in Francia mi ha chiesto: “Hai preparato qualcosa quando prenderai la parola?” È un argomento che non preparo, che non amo preparare perché lo vivo sulla mia pelle come cittadino e nel quotidiano, anche come professionista, perché ogni giorno vediamo delle immagini di bambini, di bambine come si dice in Spagna “espaldas mojadas”, diciamo spalle bagnate, bagnate dal sudore, questo ti fa male al cuore, allo spirito e quindi quando si tratta di ragazzi, di ragazze che sono in situazione imprevedibile, non parlo di intervento scritto ma parlo di impronta, di messaggio, dal cuore all’impronta. Ritornando al tema degli scambi vorrei sottolineare la loro importanza perchè senza questi non possiamo fare assolutamente niente. Abbiamo iniziato credo già tre anni or sono, avviando un progetto di cooperazione, di collaborazione con i nostri colleghi che si occupano “Des jeunes errantes,” i giovani erranti, a Marsiglia . E’ molto difficile lavorare a livello di Associazioni di culture diverse, di paesi diversi, di lavorare assieme sullo stesso argomento, perché non c’è sempre la stessa impostazione, gli stessi interessi e nonostante questo abbiamo un obbiettivo fondamentale che ci unisce è “il superiore interesse dei minori”. Per lavorare a questo scopo abbiamo cercato di superare tutte le difficoltà e le differenze di metodo. Non vorrei parlare dei dettagli del nostro progetto, è il mio caro collega che lo farà dopo di me, però volevo ricordare solo due piccole cose: la prima, se permettete è che vi è un sociologo magrebino, che rappresentava sempre la storia di ogni popolo come un circuito che gira su sé stesso: inizia con l’infanzia, passa attraverso la fase adolescenziale e la vecchiaia, la fine dolorosa e poi la morte che è l’evento più tragico dell’essere umano, il trapasso. Voglio ricordare la sua teoria, la storia delle civiltà ho ricordato questo sociologo per dire che la storia è molto breve. Pochi anni fa, negli anni trenta, la stessa situazione che viviamo attualmente, la vivevano gli spagnoli: questi con le loro famiglie, con i loro figli si assumevano il rischio di arrivare a Tangeri, oppure in Marocco attraverso lo Stretto di Gibilterra. Dopo cinquant’anni la stessa storia si ripresenta però in un senso completamente opposto. La seconda cosa è che secondo me, io avevo sempre questo desiderio nel mio animo, di arrivare alla Spagna: questa terra la vediamo a portata di mano da Tangeri ed è difficile arrivarci è come un sogno, io avevo dodici anni, avevo sempre questo desiderio di attraversare lo stretto di Gibilterra e ci ho provato varie volte. Questo fenomeno di emigrazione clandestina prima non esisteva. Quando parliamo di emigrazione clandestina, in arabo non diciamo emigrazione clandestina, ma parliamo di qualcuno che vuole andare via. Questa parola viene dalla parola “bruciare”, è come dire “passare col semaforo rosso”, tutto quello che è vietato. Ma quando ovviamente si “sfora”, si va contro la legge, 86 allora si va anche contro la storia. Però non andiamo contro la storia sociale e della famiglia, ma sfora, brucia, semplicemente il suo presente. Perché nessuno può gabbare la propria storia, i propri costumi, la propria lingua e le proprie tradizioni. Non possiamo sradicare la gente delle loro origini. Quindi, ogni progetto educativo a favore di questi giovani deve prendere in conto questi elementi, conservare l’identità. Nessuno ha il diritto di privare qualcuno o di togliere a qualcuno la propria identità, ma questo diritto non sussiste, non c’è. Io ho sempre parlato di progetti di migrazione, però ho fallito perché nel ’74 sono arrivato in Spagna e potete immaginare l’immagine all’epoca. Nel quartiere dove noi vivevamo c’erano vari spagnoli, molto emancipati e molto più aperti dei marocchini, anche per il modo di vestirsi e di comportarsi. Sono storie virtuali che sentivo nel quartiere dove abitavo e questa era l’immagine che mi facevo dell’Europa. Il primo giorno che sono rimasto completamente scioccato è quando mi sono reso conto che c’erano delle donne che erano vestite nello stesso modo che si vestono le donne da noi nel mondo rurale. Mi sono sentito completamente scioccato e frustrato e fino ad oggi sento questo sentimento di frustrazione. Adesso parlerà il mio collega MaliK di un’esperienza di pratica, di vissuto, che è il “neonato” del nostro progetto. (Relazione non rivista dall’autore) MALIK KOUDIL Educatore dell’ Associazione “Giovani Erranti “di Marsilia Durante questo intervento vorrei mettere l’accento proprio sul partenariato che abbiamo attuato direttamente con gli amici marocchini a Tangeri. Un rapporto di partenariato che dura da tre anni e quindi abbiamo imparato moltissime cose e speriamo di imparare altre cose, continuare questa bellissima avventura e portare con noi varie persone durante questa avventura. Prima di tutto vorrei parlare dell’Associazione Giovani Erranti. Ne abbiamo parlato ieri, vari partecipanti lo hanno fatto, ne parlerò molto velocemente, soprattutto per dirvi che cosa è, cosa facciamo o cosa vogliamo fare con voi, quali sono le nostre intenzioni. L’Associazione”Giovani Erranti” lavora da dieci anni, ha varie competenze multidisciplinari per quanto riguarda gli interessi di questi minori,interviene con educatori, psicologi, assistenti sociali e anche con degli psichiatri. L’Associazione lavora in stretta collaborazione con i magistrati che si prendono a cuore queste pratiche ed incoraggiano molto in questo lavoro. L’Associazione lavora a Marsiglia che è una grandissima città, un grande porto, una grande stazione, un incrocio di vari popoli fin dalla notte dei tempi. Ecco quella che è un po’ la storia specifica. Dalle primissime situazioni che abbiamo preso in carico, abbiamo detto che non si poteva lavorare in modo efficace, senza considerare quello che era stato il passato di questi ragazzi, le loro origini, le loro nazionalità, i loro genitori. La prima impostazione era semplice ed è stata quella di entrare in contatto con i genitori, con la famiglia, è stato un lavoro di educazione, un avvicinarsi alle persone dal punto di vista psicologico. Quindi si è telefonato nei paesi di origine, per informarli e abbiamo spiegato il tipo di lavoro svolto e abbiamo chiesto qual era la storia dei loro figli ed il perché della loro emigrazione. Questo lavoro ci ha portato a vedere quello che si è verificato nel luogo stesso di origine e ci siamo resi conto che vi erano delle persone che lavoravano proprio nel loro paese di origine, su questa tematica, che avevano delle competenze, delle conoscenze, che noi non avevamo, perché noi siamo semplicemente una piccola finestra di un grande universo e non conosciamo esattamente tutto quello che succede al di fuori delle nostre frontiere in termini culturali, storici, di avvenimenti che si possono presentare a livello di socio-economia. Ecco perché sicuramente ci siamo avvicinati a queste competenze con l’idea di lavorare assieme, di condividere questa problematica quasi caso per caso. 87 Da un punto di vista pratico oggi siamo in grado di affrontare e dare una prima risposta al fenomeno del minore isolato nell’arco di un tempo relativamente breve. Quando un giovane arriva a Marsiglia in situazione di vagabondaggio, dopo che ci è stato segnalato, gli poniamo delle domande del tipo: “Da dove vieni?” “Chi sono i tuoi genitori?” “Perché sei qua?” “Come possiamo arrivare a contattare i tuoi genitori o qualche parente ?” È un lavoro che facciamo, in stretta collaborazione con la Magistratura, che prende in carico queste situazioni (cerchiamo di rispondere alle domande che ho appena menzionato, con una scadenza temporale di due o tre settimane). Siamo in contatto anche con i nostri partners e quando c’è un giovane appena arrivato che dice che è originario di tale città, di tale Paese, che i suoi genitori sono in un certo modo, facciamo la diagnosi. Lo facciamo in modo immediato ed entriamo in contatto per via telefonica con i genitori e poi cerchiamo di lavorare a livello di Associazione che è focalizzata sulla famiglia, nel cercare di capire perché il minore è emigrato e mettendolo per prima cosa in una situazione di sicurezza. Sono giovani che sono principalmente di passaggio, che non vogliono rimanere a Marsiglia; altri invece che ci hanno ripensato e vogliono tornare dai loro genitori e altri che vogliono rimanere in Francia, imparare un lavoro, un mestiere e diventare cittadini stabili. La prospettiva di queste tre settimane si ritrova poi anche a livello della Magistratura, che si occupa effettivamente di questa fuga del minore. E decidiamo di fare delle ricerche molto più lunghe, perché si tratta di un lavoro che viene fatto in prima necessità per determinare quella che è l’identità del minore, la cittadinanza, la nazionalità; si passa poi ad un periodo di sei mesi, con un lavoro molto più affinato, dove cerchiamo di fare delle ricerche nel paese di origine. Questa è una cosa un po’ complessa almeno dal punto di vista dei problemi di ingerenza in un altro Paese. Credo che non ci sia nessuno stato che permetta troppa ingerenza, di fare delle ricerche o delle indagini in luogo. Per questo cerchiamo di essere molto cauti quando andiamo nei paesi di origine, anche accompagnati da vari addetti per incontrare le famiglie. In questo caso il lavoro è molto più raffinato perché incontriamo i genitori,( con l’Associazione conosciamo già il ragazzo o la ragazza) e cerchiamo di capire quello che è il percorso che lo ha portato da noi in Francia, quelle che sono state le sue sofferenze e tutto questo ci serve a poter inserire il ragazzo o la ragazza in un percorso che sia il più adeguato ed efficace per lui. Vorrei aggiungere una storia che è piuttosto recente. Quattro o cinque anni fa c’era un giovane marocchino che ha deciso di lasciare i suoi genitori all’età di 11 o 12 anni, senza il loro consenso per venire a vivere in Europa senza sapere esattamente cosa l’aspettasse e cosa ci fosse in Europa. Questo giovane dapprima vive in Spagna, poi attraversa la Francia e arriva in Olanda e lo troviamo, dopo 4 o 5 anni a Marsiglia. Lo vediamo, però, come delinquente, perché quando lui arriva in Europa, nelle sue peregrinazioni, evita di essere preso in carico dalle Istituzioni ed entra nel circolo della delinquenza. Quando arriva a Marsiglia viene portato di fronte al giudice, è troppo giovane (i giovani non sempre sono disponibili al programma educativo), per l’inserimento sociale viene inviato in un Centro di Prima Accoglienza, in una Comunità, ma non accetta di entrarvi. Questo giovane scompare per uno o due anni e poi viene in Italia, per un anno o due, a Torino. Ieri una delle colleghe che lavora a Torino ha parlato della problematica dei giovani erranti, di questi giovani che sono messi in casa famiglia. Tutto questo ha suscitato alcune domande. Quando parlavo con lei, le ho detto che noi un mese fa avevamo visto un ragazzo marocchino che era restato un anno e mezzo con una famiglia italiana a Torino ed è così che, poco per volta, arriviamo in un modo totalmente naturale alla storia. Le ho detto il nome del ragazzo, lei lo conosce bene, perché l’ha accompagnato per un anno e mezzo. E questo ragazzo ci chiede aiuto. Quindi, è la prima volta che possiamo entrare in contatto con i genitori, con i nostri soci in Marocco, per iniziare a lavorare in modo operativo, efficace, effettivo, perché il giovane adesso ha questa volontà di fare parte di un percorso educativo. Con questo voglio dire che questi giovani non conoscono le frontiere. Noi siamo tutti a lavorare a livello associativo, di magistratura, di sostegno sociale, lavoriamo sul percorso di questi minori, però dobbiamo condividere, non restare ognuno fermo nella propria azione lavorativa ed operativa. Oggi siamo del tutto convinti di questa concertazione a livello dei Jeunes Errants, dei 88 Giovani Erranti, ma anche a livello del Marocco. Siamo convinti di questa forte concertazione, ma come pure credo gli algerini lo siano. Noi possiamo fare molto di più, lavorare in modo multilaterale, non da soli e dobbiamo sicuramente entrare in contatto con i paesi di origine di questi minori se vogliamo avere successo nel nostro impegno. Grazie. (Relazione non rivista dall’autore) DAVID PELLEGRINI Assessore alle Politiche Sociali e Giovanili della Provincia di Lucca Credo che quest’ultima testimonianza dia anche qualche speranza in più di poter lavorare insieme e che il lavoro di rete arrivi anche a sostenere effettivamente delle soluzioni e dei percorsi che aiutano poi i singoli a trovare la loro strada. Darei la parola a Valeria Rossato del Volontariato Internazionale per lo Sviluppo per una testimonianza ed un contributo . VALERIA ROSSATO Rappresentante del Volontariato Internazionale dello Sviluppo Buongiorno a tutti, faccio parte del VIS (Volontariato Internazionale per lo Sviluppo) un’organizzazione non governativa con sede a Roma, che lavora con progetti di sviluppo in 32 paesi. Il VIS, da diversi anni ha rivolto una forte attenzione al tema migratorio, in particolare alla migrazione minorile. Il VIS è presente in Albania dal 2001, e proprio partendo da qui abbiamo cercato di capire perché pur realizzando interventi a favore dei minori, a favore delle fasce a maggiore esclusione sociale dall’Albania, un numero sempre maggiore, prima di maggiorenni e poi di minorenni albanesi continuassero a raggiungere le coste italiane. Nel 2001 è stato avviato un progetto di ricerca sociologica e giuridica per cercare di capire meglio il contesto da cui maturavano queste decisioni, a livello giuridico per cercare di capire quale fosse la legislazione minorile in merito e a livello di indagine sociologica per cercare di capire direttamente dai minori albanesi, che cosa li spingesse ad emigrare, per capire come meglio agire, sia in una prospettiva di cooperazione internazionale, che di politica interna di prevenzione e di tutela. La ricerca ha rivelato come ciò che maggiormente spinge i minori a partire, non è tanto e solamente una questione economica, una povertà economica, che può esserci o no, quanto la voglia, il bisogno di cercare quello che cercano tutti i ragazzi: una vita normale, la possibilità di andare a scuola, di avere un lavoro, di avere una vita sociale. Purtroppo, dopo la caduta del regime, in tutta questa fase di transizione che l’Albania sta attraversando, quella che è l’agenzia socializzante principale, quindi, la scuola, che dovrebbe gettare le basi per la formazione dell’essere adulto, ha profonde carenze, dovute all’economia, ai cambiamenti a livello politico. E’ la ricerca di un futuro che li spinge a partire anche rischiando la propria vita. Questa ricerca ci ha permesso di conoscere meglio questo contesto sicché nel 2002 abbiamo firmato insieme ad altre Organizzazioni non Governative una convenzione con il Ministero del Lavoro e degli Affari Sociali, in particolar modo con il Comitato Minori Stranieri, per la realizzazione di indagini familiari e degli eventuali rimpatri assistiti dei minori stranieri non accompagnati presenti sul territorio italiano in misura sempre maggiore. Infatti secondo quanto previsto dal Regolamento del Comitato per Minori Stranieri per ogni minore non accompagnato devono essere svolte indagini familiari nel paese di origine che consentano di avere un quadro, il più ampio possibile, della situazione familiare, sociale, economica, della famiglia del minore presente in Italia. Questo progetto, dal 2002, ha messo in luce diverse caratteristiche. Sono state condotte moltissime indagini, recandoci 89 direttamente presso le famiglie (non vengono assolutamente fatte interviste telefoniche perché non avrebbe alcun senso). Gli operatori locali, precedentemente formati, hanno avuto il compito di recarsi presso le famiglie, in modo del tutto amichevole e informale se pur in modo serio e professionale. infatti per cercare di capire meglio la situazione reale, è importante avere la fiducia da parte della famiglia, per cercare di capire meglio la situazione di origine e porsi come amici, nel senso di capir meglio quello che è il contesto, le motivazioni economiche ma anche sociali. Ad esempio, ci possono essere situazioni di villaggi o di quartieri particolarmente pericolosi, situazioni di vendetta, perché in Albania, soprattutto nelle zone nord c’è ancora il problema della vendetta. Tutti questi fattori devono emergere nell’indagine familiare. In primo luogo perché possono aiutare il Comitato ad avere un quadro, oltre che della situazione del minore in Italia, della famiglia di origine. In secondo luogo, perché nel momento in cui ci dovessero essere dei rimpatri, già conoscendo la realtà di origine, si possono prevedere dei possibili percorsi di reinserimento da proporre al minore, in quanto il percorso di reinserimento è tutto misurato sulle esigenze, sui bisogni del minore in primo luogo, e della famiglia. Inoltre durante la realizzazione delle indagini è emerso che in alcuni villaggi c’era una forte concentrazione di ragazzi partiti. Questo è un indice molto importante, perché fa emergere delle situazioni su cui intervenire a livello anche di cooperazione con programmi comunitari. Le indagini si sono rivelate quindi, un buono strumento anche per capire dove è meglio agire, dove ci sono situazioni che magari normalmente non emergono, in questo modo si può capire meglio. Nel momento in cui abbiamo ricevuto dei provvedimenti di rimpatrio di questi minori, la prima cosa che abbiamo fatto è stata comunicarlo nel modo meno traumatico possibile alla famiglia di origine. Nella maggior parte dei casi la famiglia già ne era a conoscenza perché comunque la comunicazione tra il minore in Italia e la famiglia nel luogo di origine è molto forte. Ieri si è parlato sulla volontarietà del rimpatrio, sul fatto che la famiglia accetti o meno il minore che rientra. La famiglia investe denaro e speranze sul minore, non vorrebbe quindi che il minore tornasse senza avere realizzato nulla, soprattutto perché partito per un motivo ben preciso. I minori investono dei soldi, investono la propria vita, rischiano la propria vita per un motivo ben preciso: perché devono lavorare. Comunque qualora viene prospettata alle famiglie la possibilità di un rientro del minore, questi sarà certo ben accolto dall’amore e dall’affetto della famiglia. C’è anche da dire che purtroppo, si registra una cattiva informazione nel contesto di origine, delle realtà estere, dell’Italia; paesi come l’Albania o la Romania hanno ormai un contatto diretto con quello che succede fuori, delle opportunità che possono esserci; si tratta però di visioni parziali. Le reali condizioni di vita di molti minori stranieri in Italia, il fatto che il permesso di soggiorno per minore età in Italia non consenta di lavorare, tutto questo non raggiunge i paesi di origine. Per cui, un ruolo molto importante che i progetti di rimpatrio assistito possono assolvere, è quello di informare. Perché un minore che rientra, o già l’indagine familiare, possono sensibilizzare la famiglia riguardo alla reale situazione, informare sulla legislazione vigente, su quelle che sono le procedure, su quello che potrebbe succedere. Per cui, già nel contatto con la famiglia durante l’indagine familiare, si cerca di prospettar loro delle diverse vie percorribili. Nel momento in cui rientra si cerca di stabilire con il minore un percorso di reinserimento che può essere scolastico, qualora il minore ancora non abbia assolto l’obbligo scolastico, oppure più prettamente formativo diretto all’inserimento presso un’azienda, attraverso stage, tirocini, ma anche e soprattutto attraverso un accompagnamento socio-educativo, umano. Infatti il minore rientrando in patria, ha bisogno di ricucire tutti quei rapporti con la comunità di appartenenza che comunque sono stati interrotti, per breve tempo ma in una fase piuttosto delicata della crescita umana e caratteriale del minore. Inoltre c’è un appoggio alla famiglia, che può essere un appoggio materiale ed un appoggio psicologico. Dipende molto dalla situazione reale e dalle opportunità che offre il contesto, nel senso 90 che c’è differenza a seconda che ci si trovi in una città come Tirana, che offre determinati servizi o in un villaggio in cui la scuola è lontanissima, si è isolati e i servizi sono molto carenti. Questi tipi di rientri, di rimpatri assistiti, se fatti rispettando tutti i diritti del minore, possono essere uno strumento non solo di tutela, ma anche di prevenzione a tutta una serie di problematiche che possono avvenire in seguito. L’intervento realizzato si indirizza dunque sul minore, sulla famiglia, a volte anche nella comunità del villaggio di residenza. In alcuni villaggi infatti non ci sono attività sociali, si cerca, allora di promuovere attività di animazione con i ragazzi, di cui gli stessi minori che rientrano divengono promotori. Questo è importante, perché uno dei fattori fondamentali perché il progetto vada a buon fine è l’adesione completa e partecipata da parte del minore e della famiglia. Per questo è fondamentale il rapporto che si ha con queste persone. Non si può partire da un approccio troppo formale oppure di imposizione. Prima, perché si fallisce in prima linea su tutti i diritti che sono i diritti fondamentali del minore e della famiglia, secondo, perché non si ha proprio successo. Tanto vale non partire per niente con questo tipo di progetto. Lavoro da tre anni con queste tematiche, so che il rimpatrio assistito è diventato uno spauracchio, l’incubo dei ragazzi. Vi assicuro, per l’esperienza che abbiamo avuto in questo periodo, che nei casi in cui veramente è stato effettuato in questo modo, ha avuto successo. Ci sono tantissime alternative che vengono proposte giorno dopo giorno dai centri che ci sono nei paesi ( faccio l’esempio dell’Albania perché è quello dove ho maggior esperienza), centri religiosi o laici, centri professionali, possibilità per il ragazzo di avviare delle microimprese, quindi col tramite microcredito, anche delle cose più banali tipo “l’acquisto di una mucca per una famiglia”, che a noi può sembrare una cosa assurda. Per loro è essenziale, perché può permettere l’autosostentamento a lungo termine. Perché è vero che i ragazzi vogliono quello che vogliono tutti i ragazzi del mondo, però è anche vero che forse i nostri parametri su quelle che sono le esigenze di un minore sono ben diversi da quelli di un minore albanese o rumeno, non perché loro abbiano diritto a meno, ma forse perché noi siamo stati abituati ad avere un po’ troppo. Non lo so, forse sbaglio, però io ho visto che si impara anche in questo modo ad apprezzare quello che veramente è essenziale ed importante. Il dialogo va portato avanti sin dall’inizio, dalle prime fasi, a iniziare dal contatto con il ragazzo in Italia, perché il momento in cui questo viene raggiunto dal provvedimento di rimpatrio non può essere lasciato a meditare da solo su quello che sarà il suo destino. Si cerca di capire con lui, anche da qui, come potrebbe essere il suo rientro, che cosa vorrebbe fare. Ad esempio, c’era un ragazzo rumeno che voleva tanto entrare in un centro sportivo per coltivare la sua passione del calcio. È una cosa che per noi potrebbe essere tanto banale. Lui non poteva, perché il papà non poteva permettersi di mantenere una cosa del genere. Dobbiamo cercare di avere un approccio integrato che prenda in considerazione tutti gli aspetti psicologici, sociologici e giuridici, ma soprattutto che tenga conto dei diritti del minore e dell’importanza di crescere accompagnati e sostenuti da una famiglia, giustamente avendo tutti gli strumenti necessari per la propria crescita e per la propria maturazione. (Relazione non rivista dall’autore) DAVID PELLEGRINI Assessore alle Politiche sociali e Giovanili della Provincia di Lucca Credo che questi interventi debbano poi trovare uno spazio per un minimo di discussione, di domande e anche di approfondimento, così nel momento in cui l’esperienza e la relazione è fresca si riesce anche meglio a continuare una discussione. Prima darei la parola alla Dirigente dell’Area Socio-Assistenziale del Comune di Firenze, per l’esperienza dei minori stranieri non accompagnati con il Comune di Firenze. 91 ANNA BINI Dirigente Area Socio Assistenziale del Comune di Firenze Lavoro al Comune di Firenze come Dirigente dell’Area Socio-Assistenziale. In questo contesto, traccerò un panorama degli interventi e delle politiche attuate nell’Area Minori. La relazione che andrò a fare comprende tre ambiti Il primo riguarda il fenomeno dei minori stranieri non accompagnati nella città di Firenze. Il secondo è un’esperienza molto particolare denominata “Centro Sicuro”. Naturalmente queste azioni hanno comportato la realizzazione di atti e di procedure amministrative fondamentali per realizzare l’indispensabile raccordo con la Magistratura, con la Polizia e gli altri organi coinvolti (Vigili Urbani, ecc.). Il fenomeno dei minori stranieri non accompagnati nella città di Firenze diventa ogni giorno di più degno di attenzione. Abbiamo un’espansione del fenomeno, che di conseguenza determina un grosso impegno per il nostro Comune. Nel 2001 si osserva che le presenze sono per la maggior parte ragazzi albanesi. Anche nel 2002, risulta evidente la prevalenza di albanesi (n.229) sempre maschi di età media (15-16 anni). Nel 2003 le presenze incrementano ulteriormente fino a 405 presenze. La maggior parte dei minori, sono stati inserimenti in Reti di Pronta Accoglienza. Il Comune di Firenze ha quattro Pronte Accoglienze, 15 Comunità Residenziali e 5 strutture MadreBambino con le quali si è definito il rapporto tramite convenzioni e atti convenzionali. Queste strutture sono gestite dal terzo settore (volontariato, associazionismo, cooperative). Inoltre abbiamo attivato anche “Lettere-Contratto” con strutture fuori Firenze ubicate in tutta la Regione Toscana, presso cui sono sistemati minori a seguito di provvedimenti, anche di allontanamento, emessi dal Tribunale o, a volte, perché i Servizi Sociali reputano importante che il minore si allontani dalla famiglia. Naturalmente tutte queste strutture accolgono anche i minori residenti nel Comune di Firenze. I minori stranieri non accompagnati sono, come ho già accennato, quasi esclusivamente sistemati nelle Pronte Accoglienze e solo in parte in Comunità Residenziali. I minori che abitano a Firenze sono in maggior numero nelle Comunità Residenziali e in Case Madre-Bambino, invece i minori stranieri non accompagnati li troviamo quasi tutti nelle Reti Pronta Accoglienza e, nel 2003 n.111, nelle Comunità Educative Residenziali. Vorrei portare la vostra attenzione su un nuovo fenomeno, del quale parlava prima la D.ssa Rossato, l’arrivo dei rumeni. Già nel 2003 abbiamo avuto 219 rumeni a Firenze. L’arrivo di questi ragazzi ha sollevato nuove problematiche relative alle diverse caratteristiche rispetto ai ragazzi albanesi. Questi ultimi infatti arrivano con un sogno, un progetto di vita, una voglia di stare meglio, invece i minori rumeni spesso arrivano con la voglia di essere liberi, di stare per strada. Si tratta di minori prevalentemente di etnia ROM, sono minori erranti, con i quali è difficilissimo costruire un minimo di progetto. Ciò è dimostrato dal fatto che scappano dopo poche ore che sono entrati in Pronta Accoglienza: il tempo di farsi un bagno, di mangiare, di lavarsi e se ne vanno e ritornano nella strada, vanno anche in altre città. Purtroppo abbiamo spesso riscontrato che si prestano al borseggio, al racket della delinquenza. Nel luglio del 2003 c’è stato comunque anche un maggior afflusso di minori albanesi, marocchini, ecc.. Tengo a sottolineare a questo riguardo che noi lavoriamo intensamente con le forze dell’ordine (molti dei casi infatti sono presi in carico a seguito di una loro segnalazione). Stamani il Sig.Thiérot parlava di multidisciplinarietà. Io credo che noi abbiamo attuato la multidisciplinarietà anche con le forze dell’ordine e la Magistratura. A tal riguardo sono stati firmati due protocolli operativi, l’ultimo il 22 di dicembre del 2003. Ieri si è parlato tanto di chi sono questi minori stranieri non accompagnati, come considerarli. Il Comune di Firenze si attiva su due fronti: 92 Ai minori, si garantisce un’accoglienza e misure di protezione attraverso l’inserimento in Centri di Pronta Accoglienza. Quindi si procede alla segnalazione come presenza del minore alla Procura presso il Tribunale dei Minori. In quanto minori stranieri, si procede alla segnalazione anche al Comitato Minori Stranieri in vista del rimpatrio assistito, perché la normativa vigente ci dice “va attuato”, salvo appunto che non esistano gravi motivi. Ci siamo posti la domanda di cosa ha determinato questo grande afflusso di minori a Firenze, probabilmente perché è una città che attrae molto in quanto si è sparsa la notizia che noi dobbiamo comunque accoglierli e trovare una sistemazione adeguata. Se si va ad analizzare il fenomeno dei minori albanesi, si constata che venivano tutti da certe zone: venivano da Valona, da Scutari, c’era stato un tam-tam, per quello si poteva benissimo localizzarli; però noi dovevamo comunque accoglierli e trovare una sistemazione adeguata. Questo ha voluto dire, anche, creare un nuovo Servizio Sociale. A Firenze ci sono dei Servizi Sociali e si occupano del territorio, dei minori residenti (perché anche lì c’è disagio, c’è tanto disagio). Abbiamo creato una staff di assistenti sociali soltanto per i minori stranieri non accompagnati, che fanno questo tipo di lavoro e abbiamo creato la UOM, Unità Operativa Minori, che si occupa esclusivamente di minori stranieri non accompagnati. Sono poche assistenti sociali, però fanno questo tipo di lavoro, proprio perché è un lavoro mirato. Inoltre abbiamo una rete di Pronte Accoglienze sempre disponibili all’accoglienza (paghiamo “vuoto per pieno” cioè paghiamo per i posti offerti dalla Struttura anche se non sono occupati), perché ci deve essere sempre un posto libero per il minore che arriva. E’ in atto la costruzione di una rete di Pronta Accoglienza con lo scopo di accogliere sempre, nell’arco delle 24 ore, a qualsiasi ora, i minori segnalati. Quali sono le caratteristiche delle Pronte Accoglienze? Noi abbiamo voluto comunque prevedere un’attività educativa, con la costante presenza di un educatore, che immediatamente si prende cura del minore. Si tratta di un offerta di ricovero temporaneo in situazioni di abbandono, anche con la presenza di un’equipe educativa nell’arco delle 24 ore. E’ prevista inoltre la figura di mediatore culturale, quindi si predispospone un progetto d’intervento, sempre in collaborazione con i servizi sociali. Talvolta accade, in modo ciclico, che le Pronte Accoglienze non abbiano posti disponibili a sufficienza, e perciò ci rivolgiamo alle Organizzazioni di Volontariato, in attesa che si liberi un posto in Pronta Accoglienza. I problemi principali che in questo momento si trova a affrontare la città di Firenze sono, in primo luogo la difficoltà nel rilascio del permesso per maggior età. La nostra Questura non rilascia il permesso di soggiorno per maggior età se non è nominato un tutore, ma tale nomina presuppone che il Giudice Tutelare abbia svolto tutte le relative indagini ed i tempi necessari a tale iter ovviamente non sono brevi. Intanto spesso accade che i ragazzi siano assolutamente sprovvisti di tutto, e di loro non si conosca nulla. Questo rende molto difficile il lavoro dell’equipe della Pronta Accoglienza, che si trova a fare dei progetti per dei ragazzi che praticamente sono “invisibili”. Vi sono inoltre talvolta delle difficoltà di coordinamento con il Comitato Minori Stranieri, relativamente ai tempi e ai modi dei provvedimenti relativi ai minori. Le Forze dell’Ordine sono spesso in difficoltà per l’accertamento della minor età, in quanto il ragazzo dichiara di essere minorenne anche se non lo è o viceversa. L’accertamento dell’età non è certo semplice (costituzione ossea, ecc. ). Un ultimo elemento critico che vorrei rilevare è il fatto, frustrante per gli operatori del settore, che secondo la normativa vigente il minore una volta raggiunto il 18° anno di età diventa clandestino. Infine vorrei comunicarvi la cifra che è stata spesa per i minori stranieri non accompagnati accolti nelle Pronte Accoglienze e nei Centri Residenziali (escluso il Centro Sicuro), si tratta nel 93 2003 di 2.430.000 euro. Tale importo mi pare significativo in considerazione che ad essa va aggiunta la spesa per i minori residenti nel Comune di Firenze e per il Centro Sicuro. Volevo adesso parlare del “Centro Sicuro”. Questa è una struttura che è parte delle reti dei servizi per i minori non accompagnati e anche per i minori residenti, ma è una cosa un po’ particolare perché è nato da un protocollo operativo tra Comune di Firenze, Prefettura, Tribunale per i Minorenni, Procura della Repubblica Presso il Tribunale per i Minorenni, Organi Di Polizia, Provincia e Provveditorato agli Studi. Lo scopo è tutelare immediatamente i minori che si trovano soli per la strada (minori erranti) e per lo più al di sotto di 14 anni e può accogliere fino ad 8 minori. Si tratta di bambini che hanno alle spalle storie terribili. Il “Centro Sicuro” ha lo scopo immediato di tutelare i minori che si trovano in stato di abbandono materiale ai sensi dell’art. 403 C.C., specialmente in situazioni fortemente a rischio, di sfruttamento o di coinvolgimento in attività criminose, trovati nel territorio del Comune di Firenze dalle Forze dell’Ordine e da queste accompagnate alla struttura. Durante il brevissimo periodo di permanenza al Centro, gli operatori che lavorano al suo interno ed i Servizi interessati sono impegnati in un comune di sforzo di analizzare la situazione di disagio e rischio in cui versa il minore e di coinvolgere i suoi familiari (quando possibile) e le risorse del territorio (pubbliche e del privato sociale) in un percorso sociale ed educativo che possa offrire il superamento dell’emergenza e del bisogno. Le finalità del Centro Sicuro sono tre: 1 garantire una rapida ed efficace risposta alla situazione di emergenza e di necessità di messa in sicurezza del minore; 2 l’attivazione immediata, a partire dal momento dell’ingresso, di un percorso di “presa in carico”; 3 il superamento dell’emergenza attraverso un lavoro di sostegno educativo individualizzato e di supporto ai Servizi ed Autorità competenti. L’inserimento del minore al Centro Sicuro deve coincidere con l’avvio di una strategia riparatrice e preventiva di possibili maggiori e più devastanti danni al suo sviluppo. Il Centro Sicuro, che si configura come luogo di “passaggio”, ha un obiettivo di fondo: quello di offrire un’accoglienza al minore mentre una rete di servizi e persone si adopera per riportarlo di nuovo in famiglia, o per individuare una soluzione alternativa (affidamento o inserimento in struttura educativa) quando ciò non è possibile. I minori inseriti nella struttura vengono condotti direttamente dagli Organi di Polizia che procederanno all’effettuazione delle procedure di identificazione a norma di legge e sentito il parere del Procuratore della Repubblica. Successivamente gli operatori della struttura, nel corso del colloquio di conoscenza con il minore, tenteranno di avere informazioni circa la sua situazione socio-familiare e riferiranno alla Procura della Repubblica presso il Tribunale per i Minorenni. Nel caso il minore abbia parenti sul territorio, questi verranno convocati presso la struttura e la Polizia Municipale procederà alla loro identificazione. Se i documenti presentati dal genitore sono adeguati per un ricongiungimento del minore, la Polizia Municipale compilerà un verbale per il personale della struttura che provvederà, sentito il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale per i Minorenni, alla riconsegna del minore al legittimo genitore. Se i documenti presentati dal genitore non sono adeguati per la riconsegna del minore ovvero se il genitore non si presenta né viene rintracciato nell’arco di un tempo ragionevole, verrà effettuata dal Responsabile della struttura, tempestivamente, una segnalazione alla Procura della Repubblica presso il Tribunale per i Minorenni per un eventuale avvio della procedura di attivazione del Tribunale per i Minorenni all’attuazione di specifici provvedimenti a tutela del minore. Nel Centro è garantita la presenza diurna di un operatore che sorveglia la struttura, informa i genitori che si presentano al Centro sullo stato del bambino e sulle modalità per la sua riconsegna e tiene i contatti con la Polizia Municipale. 94 Gli operatori della Polizia Municipale assicurano una reperibilità durante il periodo diurno, dalle ore 7 alle ore 20,00, e provvedono, con proprio personale, all’identificazione del genitore in luogo idoneo, avendo anche a disposizione all’interno della struttura un proprio ufficio. Durante la notte, dalle ore 20,00 alle ore 7,00, è assicurata la sorveglianza della struttura e degli ospiti da parte degli operatori della Polizia Municipale. DAVID PELLEGRINI Assessore alle Politiche Sociali e Giovanili della Provincia di Lucca Mi sembra che quest’ultimo intervento abbia dato nuovi spunti anche riguardo a come una Amministrazione Pubblica può farsi carico della molteplicità dei problemi. DIBATTITO INTERVENTO del PUBBLICO Finora abbiamo parlato di accoglienza da parte dell’ Amministrazione, ora io vorrei sapere: la popolazione italiana e soprattutto i giovani, come accolgono questi stranieri? CRISTINE BARTOLOMEI Presidente del Tribunale dei Minori di Marsiglia Mi occupo dei bambini del Tribunale di Marsiglia e volevo fare una domanda su questo Centro Sicuro. Vorrei sapere se è un Centro che è chiuso, se i minori possono andare via, se danno il loro consenso a fare parte del Centro, se sono in grado di dare la loro volontà e fino a che punto il giudice può decidere questo soggiorno. Vorrei inoltre sapere se c’è un tetto massimo di durata, se si parla di minorenni sotto i 14 anni, se questi minorenni possono avere accesso anche al programma che è stato fatto per i minori non accompagnati su un biennio per l’inserimento professionale. ANNA BINI Dirigente Area Socio Assistenziale del Comune di Firenze Rispetto alla prima domanda, si deve dire che questa rete di pronte accoglienze, di strutture che abbiamo nel territorio fiorentino, coinvolge molto anche la popolazione giovanile per esempio da parte di Parrocchie, ma anche di Associazioni di Volontariato. Fra l’altro noi siamo convenzionati proprio con le strutture del terzo settore, che fanno molta opera verso il territorio. Questi ragazzi vanno anche a scuola. Per i ragazzi che sono inseriti e che fanno un percorso lavorativo o di scuola, non ci sono problemi finché loro hanno il permesso di soggiorno. A volte sono stati giustamente fermati, sono privi di permesso di soggiorno, perché c’è questa diatriba di cui si parlava prima, che senza la nomina di un tutore non c’è questo permesso di soggiorno e allora in quel caso la cosa diventa più problematica, semplicemente perché siamo in attesa di questo. Noi non abbiamo strutture a gestione diretta, sono tutte strutture del terzo settore; l’unica struttura a gestione diretta è la nostra, ma abbiamo fatto una gara d’appalto, il Centro Sicuro. Credo che il mondo del terzo settore collabori attivamente in questo e so che ci sono iniziative anche con i quartieri. Abbiamo il Progetto Atlante, dove si fanno corsi di formazione insieme ai ragazzi fiorentini, per questo non credo che ci siano grossi problemi a questo livello. La seconda domanda è una domanda molto bella e completa. Intanto, al Centro Sicuro i ragazzi ci stanno al massimo tre giorni. Quindi noi bisogna attivarci immediatamente perché altrimenti in una struttura così chiusa non ci si potrebbe stare. Questa è una cosa che io non ho detto e mi scuso, ma è 95 chiaro che immediatamente ci si deve attivare per capire la storia di questo ragazzo. Molte volte sono storie di violenza, di grave sofferenza. A volte sono le Forze dell’Ordine stesse che ci chiedono su ordine del magistrato di tenere il bambino nel centro perché magari deve testimoniare ad un processo. Non sono storie ordinarie, sono storie un po’ straordinarie nella loro drammaticità. Lì dentro c’è la presenza di educatori e di assistenti sociali che immediatamente ascoltano il bambino e capiscono e di mediatori culturali che lo mettono a suo agio. C’è attività ludica, ci sono delle attività che sono tutte all’interno della struttura, perché finché il Magistrato non ci permette di ridarlo ai genitori, previa identificazione degli stessi (questo è importante e ci sono i Vigili Urbani all’interno della struttura), non possiamo mandarlo fuori, dentro è proprio protetto. Si sta vivendo una situazione non di contenimento, ma di protezione; però non può durare più di due o tre giorni, e subito occorre trovare altre soluzione. GUILLAUME THIÉRIOT Consigliere del Presidente della Regione PACA Come è stato detto stamani mattina noi siamo alla fine delle elezioni e abbiamo una settimana per organizzare il lavoro della Regione, la sua partecipazione in tutte le questioni sociali e anche la rete REMI per i prossimi anni. Quindi sono obbligato ad entrare immediatamente a Marsiglia e vi torno molto contento, pieno di ossigeno, con questo progetto. Da quello che ho potuto sentire in questa conferenza deduco che sono cose molto importanti dal punto di vista informativo e sono rimasto commosso sul merito della questione, sul dramma delle situazioni individuali di questi minori, ma sono anche commosso nel constatare che vi sono vari tentativi, varie esperienze, che sono condotte nelle vari parti di Europa e con una chiara indicazione di uno schema che è pieno di promesse e di speranze. E poi l’illustrazione di questo partenariato multidisciplinare, fra politici e Associazioni. E credo che sia stato presentato oggi un dialogo che funziona al meglio. Quando questo dialogo funziona su questa questione specifica, su questo progetto, è sicuramente per ottenere il massimo. Vi sono riunioni dove le persone si trovano per dire che un altro mondo è possibile e preferisco questo tipo di riunioni dove cerchiamo di mettere in pratica, di inventare quest’altro mondo possibile che un giorno, spero, sarà un mondo reale. Quindi, grazie a tutti e a tutte per tutto quello che fate, per tutto quello che dite, per le vostre azioni, per i vostri convincimenti e per le speranze che date con il vostro lavoro. Grazie. FRANCESCO ANGELINI Presidente VII Commissione Politiche Sociali, Scuola e Cultura della Provincia di Lucca Questo è un’ interessantissima Conferenza a cui io, per motivi di lavoro non ho potuto assistere, mi hanno detto che già stamani mattina siamo entrati nel concreto di ciò che viene realizzato nelle Amministrazioni Pubbliche, su quello che si sta realizzando per questo problema, che per vari aspetti è sempre più pressante nella nostra società. La sezione di oggi pomeriggio si divide in due parti. Una prima estremamente concreta, in cui sono previste le illustrazioni di progetti che vengono realizzati in alcuni comuni. La D.ssa Giovanna Sammarco per l’Ufficio Comunale di Roma, e la D.ssa. M. Giovanna Poli del Comune di Modena, ci relazioneranno circa i loro progetti che stanno in parte portando avanti e in parte studiando per la possibile realizzazione nei loro Comuni. La seconda parte del pomeriggio sarà dedicata a testimonianze di esponenti del governo marocchino. Do la parola alla D.ssa Giovanna Sammarco dell’Ufficio Tutele del Comune di Roma a favore dei minori non accompagnati. 96 GIOVANNA SAMMARCO Responsabile dell’ Ufficio Tutela Pubblica del Comune di Roma Sono la responsabile dell’Ufficio Tutela Pubblica del Comune di Roma e quindi mi occupo anche di minori stranieri non accompagnati. Innanzi tutto ringrazio l’organizzazione di aver dato l’opportunità di testimoniare l’esperienza romana e di ascoltare quella degli altri, soprattutto le esperienze del “prima di arrivare in Italia”. Ho chiesto i dati statistici della Regione Toscana perché quando ieri venivano riportati i dati relativi al numero dei ragazzi ospiti delle case di accoglienza nella provincia di Lucca e nella regione Toscana mi sentivo “disorientata” rispetto ai numeri che abbiamo noi a Roma. I dati che gentilmente la segreteria del convegno mi ha fornito rivelano che la Regione Toscana ha 3.498.000 abitanti, la Provincia di Lucca 381.630 abitanti, il Comune di Lucca, al 31/12/2002, 85.792 abitanti. Il Comune di Roma, con l’ultimo censimento, quello del 2001, siamo a circa 3.400.000 abitanti. Quindi, gli abitanti del Comune di Roma sono quasi come gli abitanti della Regione Toscana. Abbiamo sentito in tutte le lingue in questa sala, quanto sia complesso il problema per la partecipazione di vari attori, sia istituzionali che non; al Comune di Roma a ciò si aggiunge la rilevanza numerica, il dato statistico. Nel 2003, i minori censiti, secondo tutto l’iter del Comitato Stranieri, sono stati circa 1100. Con questo scenario dei numeri cerchiamo di andare ad affrontare poi la problematica. Prima di iniziare consentitemi di ringraziare l’équipe che lavora con me, in particolare l’assistente sociale Claudio Catalucci che mi ha aiutato nella parte tecnologica. La complessità del fenomeno è legata anche alla molteplicità degli attori che entrano in questo processo che noi abbiamo chiamato “Azioni di sistema per gli interventi in favore dei minori stranieri non accompagnati”. Il Comune di Roma è suddiviso in 19 Municipi, i quali gestiscono direttamente i servizi sociali per la porzione di territorio di competenza. Esiste poi un’articolazione centrale, il Quinto Dipartimento, per le “Politiche Sociali e Promozione della Salute”, che si occupa prevalentemente della programmazione. Per cui i servizi sociali, come a Firenze, si articolano su due livelli: il livello centrale per la programmazione e il livello periferico per la gestione. Gli interventi in favore dei minori stranieri non accompagnati sono tra i pochi gestiti a totale carico dal livello centrale, perché questa tipologia di minori non ha delle “radici” territoriali. Al Quinto Dipartimento esistono più uffici che sono coinvolti nel processo di aiuto ai minori stranieri: la Sala Operativa Sociale, attiva 24 ore su 24, che agisce su tutta l’emarginazione del Comune di Roma, l’Ufficio Minori, che segue tutta la programmazione e valutazione della residenzialità e non solo, e l’Ufficio Tutela Pubblica, che si fa carico del ragazzo da quando viene aperta la tutela. Si è cercato, innanzi tutto, di effettuare un coordinamento all’interno del Dipartimento stesso, tra i vari uffici, e con gli Uffici Territoriali, là dove era necessario. C’è stato un intenso lavoro di scambio e di collaborazione per creare una circolarità di informazione e per razionalizzare le risorse e le conoscenze. In genere il primo approccio con il minore straniero non accompagnato avviene tramite la Sala Operativa Sociale e poi inizia l’iter. Il principio alla base degli interventi quello di tutelare il minore. Le finalità e gli obiettivi sono di attuare un sistema funzionale e ottimizzare le risorse. Il metodo, lo abbiamo detto tutti, è la messa in rete, per garantire coerenza nelle scelte e razionalizzare le risorse. In un primo tempo le competenze per i casi dei minori stranieri non accompagnati, compresi i pagamenti delle rette per la loro residenzialità, venivano effettuate direttamente dai Municipi; si verificava, però, che i Municipi che avevano nel proprio territorio Centri di Accoglienza, si trovavano a dover affrontare un aggravio di lavoro ed una spesa troppo elevata, per minori, tra l’altro, non 97 residenti. Per queste ragioni dall’aprile 2003 tutte le rette vengono pagate centralmente dal Dipartimento V. Tornando all’iter, le Forze dell’Ordine procedono all’identificazione del minore; ma nonostante ciò spesso si verificano incongruenze. Ieri sono stati esposti abbondantemente, i motivi per cui i minori non hanno i documenti, non dicono l’età, ecc.. Le Forze dell’Ordine, dopo l’identificazione, segnalano il minore alla Sala Operativa Sociale, che, come già detto è un call center aperto 24 ore su 24, e monitorizza i posti disponibili nei centri di Prima Accoglienza. Il passaggio dalla forza pubblica serve anche perché, essendo Roma una città di transito, a volte capita che i minori sono di passaggio, provenienti da Milano, Firenze,ecc. La segnalazione alle Forze dell’Ordine è importante per ricostruire la provenienza e la storia dei ragazzi. Ripeto: i centri di accoglienza sono aperti 24 ore su 24, sono seguiti da personale specializzato che accoglie il minore e da qui inizia l’iter di aiuto. Nel Comune di Roma i Centri di Prima Accoglienza sono due, per un totale di 55 posti. Abbiamo parlato dei CPA come struttura a bassa soglia. Per struttura a bassa soglia s’intende di intensità assistenziale media. Questo non vuol dire che il minore quando arriva non abbia un’accoglienza appropriata, anzi, c’è uno staff di operatori, dagli assistenti sociali, agli psicologi, ai mediatori culturali, che accolgono il minore per capire e conoscere quali sono le sue esigenze. Purtroppo spesso nell’ arco delle 48 ore o della settimana si verificano degli allontanamenti, che, come è stato detto anche dai rappresentanti del Comune di Firenze, sono nella maggior parte ragazzi nomadi, che non “riescono” a fermarsi. Ma a fronte di questi ragazzi ci sono quelli che rimangono e seguono l’iter, sono ragazzi motivati, che sono venuti per trovare un percorso maggiormente stabile. L’ufficio Minori del Dipartimento V, nell’arco di 48 ore dall’ingresso del minore nel circuito, riceve dal Centro di Pronta Accoglienza la scheda per il censimento su modello prestampato e l’invia al Comitato Minori Stranieri. L’ingresso in seconda accoglienza avviene subito dopo per quei minori che richiedono protezione: ragazze tolte dalla strada o ragazzi ricercati in particolari situazioni di disagio o di rischio. Per questa tipologia di minori vengono effettuati subito degli interventi mirati, inseriti in seconda accoglienza con dei progetti di tutela e di salvaguardia dello stesso. Per gli altri casi, il Centro di Prima Accoglienza, al momento dell’ingresso, invia comunicazione alla Procura, e la richiesta al Giudice Tutelare della tutela pubblica, per richiedere il permesso di soggiorno. Il Giudice Tutelare, a differenza di quello che si è detto per il Comune di Firenze, non fa nessun tipo di indagine, apre la tutela. In genere passa un mese e mezzo o due mesi, e per abbreviare i tempi tecnici per il rilascio del permesso di soggiorno, a volte, si anticipa la richiesta alla Questura, a prescindere dall’arrivo della tutela. Quando arriva il Decreto di Tutela al Sindaco di Roma, l’Ufficio Tutela Pubblica assegna un tutore delegato, assistente sociale che svolge le funzioni connesse alla tutela. Viene poi inviata la comunicazione della tutela: all’Ambasciata del paese d’origine, ovviamente se non è richiesto l’asilo politico, al Comitato Minori Stranieri, alla struttura ospitante, e all’ Ufficio Minori al fine di circolare le informazioni. Inizia, da questo punto, una presa in carico vera e propria del caso per studiare e capire la storia del ragazzo, conoscerlo, ascoltarlo e costruire con lui un progetto su misura (questa sicuramente è l’intenzione, ci si prova) con tutte le difficoltà che sono state esposte da chi mi ha preceduto. Gli operatori dell’Ufficio Tutela Pubblica si fanno carico del progetto d’intervento in favore del minore, in collaborazione con gli operatori dei Centri di Prima Accoglienza: permesso di soggiorno, documentazione sanitaria, iscrizione ai corsi professionali ecc.. 98 Quando si riesce a fare un progetto mirato in base all’esigenze del minore, si invia il minore in seconda accoglienza: trattasi di case famiglia più dimensionate come numero di ospiti, fanno parte di quei parametri di 6 o 8 persone al massimo, per dare la possibilità al minore di seguire un percorso maggiormente mirato ed individualizzato. Ovviamente i progetti vengono monitorati tramite: colloqui col minore, verifiche, accordi con il Comitato Minori Stranieri circa le indagini svolte in patria, perché come si diceva stamattina, questa è la parte fondamentale per capire se il minore ha le possibilità e i presupposti per il rimpatrio o per restare in Italia. Mi volevo un po’ soffermare su questa parte e sul passaggio alla maggiore età. Ieri se ne è parlato tanto e si è detto tante volte che i ragazzi al compimento dei 18 anni vanno per strada. Questo, purtroppo, è una realtà, perché in genere e secondo le finanze delle amministrazioni, a 18 anni si conclude il percorso formativo e anche il percorso di pagamento degli istituti.Tutti sappiamo che a 18 anni, (chi ha dei figli adulti lo sa), non sono per niente autonomi. Statisticamente i ragazzi italiani a 30 anni, purtroppo, non sono indipendenti perché hanno difficoltà a trovare il lavoro, la casa, ecc. Questi problemi sono più gravi per i minori stranieri in quanto sono più svantaggiati rispetto ai minori italiani. Per cui il Comune di Roma ha cercato di risolvere questo problema creando dei “Progetti Ponte”. Questi Progetti sono, allo stato attuale, in uno stadio iniziale; sono progetti pilota, che tentano di trovare una formula per aiutare i ragazzi a “traghettare”, oltre i 18 anni, sino all’autonomia. Il Comune di Roma ha dei Centri di Accoglienza gestiti da un altro ufficio, l’USI, (Ufficio Speciale Immigrazione), per i maggiorenni con permesso di soggiorno, per cui i ragazzi, divenuti maggiorenni, non possono accedervi perché non hanno ancora il rinnovo del permesso di soggiorno. Questo può essere richiesto per la Questura di Roma non prima di un mese dallo scadere dei 18 anni e per il rilascio occorrono dei tempi tecnici che abbondantemente superano i tre mesi, per cui c’era un gap da coprire. E soprattutto, occorreva creare i presupposti: l’alloggio, il lavoro o l’affido familiare (di difficile attuazione) come previsto dalla normativa. Per cui ci si è cercato di dare ai ragazzi prossimi ai 18 anni la possibilità di avere un alloggio ed un percorso formativo. Questa opportunità è stata fornita con un progetto denominato “Scuola di Volo”. Questo progetto è stato accompagnato da accordi con l’Ufficio della Questura e con il Comitato Minori Stranieri. Sono state espresse in più interventi le difficoltà di comunicazione con quest’ultimo organismo. Si cercato di incrementare le comunicazioni con il Comitato Minori Stranieri ed inviare notizie più dettagliate possibili sullo stato del minore e per fornire tutti quegli elementi necessari per valutare la situazione, e per ottenere provvedimenti più adeguati alle reali condizioni dei ragazzi. Nell’anno 2003, se non vado errata coi numeri, abbiamo avuto 9 luoghi a procedere, di cui solo 7 sono stati effettuati. Perciò la comunicazione serve a tutti i livelli, e questo sistema di rete, che stiamo cercando di portare avanti, mettendo insieme i vari pezzi, serve per raggiungere l’obiettivo “the best” per il minore, il maggiore interesse del minore. Il progetto ponte “Scuola di Volo” è stato chiamato così perché vuole supportare i ragazzi nel passaggio dall’età minore all’età maggiore, e consiste nel dare un’accoglienza residenziale al minore e graduare l’assistenza a seconda il grado di autonomia raggiunto dal ragazzo. Vengono messe in atto tutte quelle azioni volte a conoscere il minore per continuare, possibilmente, la formazione pregressa ed individuare la prospettiva futura. I minori vengono avviati in percorsi di formazione lavoro, che una volta conclusi, si cerca di tramutare in lavoro. Quando il grado di autonomia lo consente i ragazzi vengono inseriti in appartamenti dell’organismo che gestisce il progetto. Se necessario il Comune continua a intervenire per un periodo che può essere di 3 mesi rinnovabili, oltre i 18 anni; ciò al fine di dare la possibilità ai nostri utenti di rinforzare la loro autonomia, anche finanziaria. Al raggiungimento di una buona autonomia, il ragazzo contribuisce all’affitto e alla gestione dell’appartamento. Questo progetto è iniziato nel 2004 ed abbiamo già inserito circa 25 ragazzi. Grazie a questo tipo d’ intervento, siamo riusciti a creare quei presupposti per ottenere il rinnovo del permesso di soggiorno al 99 raggiungimento della maggior età: residenza, percorso formativo e la garanzia della presa in carico del Comune. Con queste premesse a volte si è riuscito ad ottenere il rinnovo del permesso di soggiorno anche per quei ragazzi che non avevano tutti i criteri previsti dalla normativa: i 3 anni di permanenza e i 2 anni di percorso formativo. Come è stato detto più volte anche in questa sede, a volte arrivano minori che hanno delle situazioni drammatiche alle spalle e non si ritiene umanamente opportuno il loro rimpatrio. Questi progetti sono nati dalla riflessione fatta dall’Amministrazione Comunale che, aver impegnato tante risorse umane ed economiche per i minori, diveniva un cattivo investimento concludere il loro percorso d’aiuto lasciandoli per strada, facili prede della mala vita organizzata, soprattutto in una città come Roma. La spesa sociale pubblica avrebbe comunque poi degli aggravi in altri settori (impegno delle forze dell’ordine, carceri, ecc.) Per quanto riguarda i dati relativi alle presenze delle etnie in Italia, come riportato in tabella, si nota un dato, confermato anche dall’intervento degli operatori del Comune di Firenze: la maggiore presenza di ragazzi rumeni a fronte della diminuzione del numero di albanesi, storicamente più numerosi. Altro dato interessante, che conferma quanto rilevato in alcune città italiane, è l’aumento dell’immigrazione da parte delle ragazze, che dal 25% sul totale dei minori immigrati nel 2002, è passato al 33% sul totale del 2003. Questo fenomeno è in aumento anche nel primo trimestre del 2004, pur rilevando una piccola flessione, ma probabilmente non sono stati ancora immessi tutti i dati a disposizione. Aggiornamento: Il processo di maggiore comunicazione ed il lavoro di rete svolto tra l’Ufficio Minori e l’Ufficio Tutela Pubblica ha portato a progettare un Gruppo Integrato per l’Accoglienza e la presa in carico dei minori stranieri. Questo progetto, entrato in sperimentazione nel settembre 2004, prevede l’unificazione di parte del personale e delle procedure dei due uffici. Nello specifico questi operatori (tecnici ed amministrativi) lavorano congiuntamente dall’ingresso del minore nel circuito di assistenza pubblica, seguendolo sino alla sua uscita. Questa unificazione si traduce, anche, nell’apertura di un unico fascicolo, nell’esistenza di un solo schedario e di un’accentrata banca dati. Si evitano le difficili fasi dei passaggi del caso tra uffici diversi, con i relativi scambi d’informazioni, eliminando perdite di tempi tecnici e improduttivi scambi cartacei. Si prevede un’unica collaborazione con l’Ufficio del Giudice Tutelare, con il Tribunale per i Minorenni (se incaricato del caso), con il Comitato per i Minori Stranieri, con la Questura, con le AUSL e con il privato sociale che opera sul territorio. Nella pratica un gruppo operativo prende in carico il minore nel momento della sua emersione dalla clandestinità, attraverso le pronte accoglienze, sino alla formulazione di un progetto con lui condiviso, inserendolo nelle strutture di seconda accoglienza. Da questo punto, ci si avvicenda con il secondo gruppo di operatori, i quali si occupano del monitoraggio, la modifica e la prosecuzione del progetto. Questo può prevedere anche una parte di percorso oltre la maggiore età, attraverso le strutture di semiautonomia; sino alla regolarizzazione del minore sul territorio. 100 G R A F IC I & D A T I G r a f ic i e la b o r a ti r e la tiv i a i m in o r i in c a r ic o a ll’U ff ic i o T u te la P u b b lic a . D a ti s ta tis tic i e la b o ra ti d a lla B a n c a D a ti d e ll’U ffic io M in o ri d ip a rtim e n ta le , s v ilu p p a ta c o n u n p r o g e tto L . 2 8 5 /9 7 in c o n v e n z io n e c o n il S e r v iz io S o c ia le In te rn a z io n a le . M a g g io r i p r e s e n z e d i M .S .N .A . in T u te la P u b b lic a a l 2 2 -0 3 -2 0 0 4 2 75 8 0 7 0 A F G H A N IS T A N 6 0 A L B A N IA 5 0 43 E X - J U G O S L A V IA MAR O C C O 4 0 3 0 M O L D A V IA 3 0 2 0 R O M A N IA 15 13 E T IO P IA 1 0 4 4 0 1 101 M .S .N .A . in T u te la P u b b lic a n e l 2 0 0 3 d iv is i p e r n a z io n a lità 3 80 R OM A N IA 70 60 A LB AN IA 50 40 M A RO C CO 30 M O LDA VIA A F G H AN IS TA N 20 10 B R AS ILE IR A Q NIGE R IA R US S IA S IER R A LEO NE UC R A IN A UR UG UA Y 0 P AE SI R OMANIA ALB ANI A MAR OC C O M OLDAVIA B ANGLADE SH AFGHANI ST AN B E LGIO B RASILE B ULGARIA C OLOM BI A IRAQ LIBE R IA NI GERI A P ALE ST INA R USSIA P OLONI A R UANDA SI ER R A LE ONE SALVADOR SOM ALI A UC RAI NA C OSTA D'AVORI O UR UGUAY 4 p r e s e n z e m in i n o r i s t r a n ie r i d is t r ib u it ite p e r s e s s o d a l 0 1 / 0 1 a l 3 1 /1 2 2002 2003 s tru ttu re p r iv a t i 672 46 M ( 7 4 ,7 5 % ) 2004 s tru ttu re p r iv a t i 682 45 M 10 F s t r u t t ur e (6 6 ,8 0 % ) 227 11 ( 2 5 ,2 5 % ) F 339 (3 3 ,2 0 % ) 899 57 (1 0 0 % ) 1021 55 (1 0 0 % ) 956 1076 102 pr i v at i 5 p r e s e n z e m in o r i s t r a n ie r i d is b u iitt e p e r s e s s o d a l 0 1 / 0 1 i s t r iib a l 1 5 /0 3 2002 2003 stru ttu re p r iv a t i 286 18 2004 s tru ttu re p r iv a t i 276 41 M ( 7 8 .5 7 % ) M (7 4 .1 9 % ) 78 F 5 F 7 23 242 43 115 (2 5 .8 1 % ) 364 p r iv a t i ( 6 7 .7 7 % ) 96 ( 2 1 .4 3 % ) stru ttu re 11 ( 3 2 .2 3 % ) 372 48 357 54 (1 0 0 % ) (1 0 0 % ) (1 0 0 % ) (3 9 3 ) in g r e s s i (4 4 9 ) in g r e s s i (4 1 7 ) in g r e s s i 387 420 411 6 p r e s e n z e m in o r i s t r a n ie r i d is t r ib u it i t e p e r n a z io n a l iitt à d a l 0 1 / 0 1 a l 3 1 /1 2 2002 N A Z IO N E A fg h a n is ta n A lb a n ia 2003 2004 stru ttu re p r iv a t i stru ttu re p r iv a t i 4 0 26 0 154 14 98 10 B a n g la d e s h 21 0 7 1 B o s n ia 14 0 19 0 E tio p ia 24 1 22 1 E x -J u g o s la v ia 16 0 5 0 Iraq 23 0 35 0 M arocco 57 16 68 13 M o ld a v ia 51 0 61 0 R o m a n ia 340 18 498 23 U c r a in a 13 0 8 0 (7 1 7 ) (4 9 ) (8 4 7 ) (4 8 ) 7 6 6 (8 0 ,1 2 % ) A lt r e N a z io n i 8 9 5 ( 8 3 ,1 8 % ) 190 181 956 1076 103 stru ttu re p r iv a ti 7 p r e s e n z e m in o r i s t r a n ie r i d is t r iib b u it e p e r n a z io n a l it à d a l 0 1 / 0 1 a l 1 5 /0 3 2002 2003 2004 s tru ttu r e p r iv a t i stru ttu re p r iv a t i stru ttu re p r iv a t i 1 0 5 0 18 0 121 5 71 9 52 9 17 0 5 0 4 0 B o sn ia 6 0 5 0 5 0 E tio p ia 19 1 17 1 9 1 E x -J u g o sla v ia 4 0 3 0 12 0 Ir aq 8 0 3 0 2 0 M arocco 25 1 33 16 25 13 M o ld a v ia 32 0 24 0 37 0 R o m a n ia 57 12 136 18 136 24 N A Z IO N E A fg h a n is ta n A lb a n ia B a n g la d e s h U c r a in a A ltr e N a zio n i 6 0 6 0 8 0 (2 9 6 ) (1 9 ) (3 0 8 ) (44 ) (3 0 8 ) (47 ) 315 352 355 72 68 56 387 420 104 411 FRANCESCO ANGELINI Presidente VII Commissione Politiche Sociali, Scuola e Cultura della Provincia di Lucca Diamo la parola ai rappresentanti del Comune di Modena. Inizialmente ho detto che su quel Comune sono nati degli studi e delle ricerche, sappiamo anche che stanno operando, e molto bene sul loro territorio. Sono con noi la D.ssa Vanna Poli e Maria Grazia Stefanini a cui cedo la parola. VANNA POLI Pedagogista responsabile programma Minori Stranieri Comune di Modena Intanto ringrazio di essere stata invitata dalla Provincia di Lucca, a parlare proprio dentro a un contesto di reti, perché non vorrei ripetere quella che è la progettualità del mio Ente, molto simile al Comune di Roma. Penso che la specificità della progettualità messa in atto a Modena, è proprio quella di aver cercato di creare delle reti a livello locale per cercare di fare i progetti più adeguati per i minori stranieri non accompagnati, (poi spiegherò un po’ quale è il quadro del servizio in cui opero), di aver cercato di stimolare una rete a livello regionale dove le varie città si confrontano sulle prassi, sulle relazioni che hanno con i tribunali, con le questure e con tutti quelli che lavorano con i minori stranieri. Si è cercato di proporre come regione dei progetti di cooperazione internazionale, di partecipare a una rete nazionale, diciamo proprio di verificare, confrontare le prassi nell’intento di trovare buone prassi nell’accoglienza, gestione, sviluppo dei minori stranieri e l’aver cercato di riflettere sul proprio progetto attraverso, adesso due ricerche, che andavano proprio a verificare le motivazioni dei minori presenti sul nostro territorio (le motivazioni che li avevano fatti partire) nel cercare di verificare quali erano stati i risultati a distanza di alcuni anni sugli ex-minori accolti e portati a un livello di autonomia ed ad andare a verificare progetti diversi di accoglienza, tutela e aiuto nello sviluppo del minore. Queste qui sono un po’ le direttrici che hanno sviluppato il progetto sul minore straniero non accompagnato. In particolare, mi occupo dei minori stranieri non accompagnati e delle ragazze vittime di tratta a scopo di sfruttamento sessuale. Questa progettualità, attivata presso il Comune di Modena, vede il Comune in prima linea nel prendersi la tutela dei minori e nel gestire tutti i percorsi socio-educativi di integrazione. Il progetto di accoglienza e di lavoro con i minori assomiglia molto a quello di altri Enti Locali a livello regionale e a livello nazionale, dove c’è un primo Pronto Intervento, un lavoro con i minori per riuscire a capire la storia e le vicende che li hanno portato dentro al Pronto Intervento, un lavoro per cercare nelle loro reti familiari e amicali se c’è la possibilità di affidare questi minori a reti presenti in Italia, ma conosciute dal minore, facendo un grosso lavoro anche di sensibilizzazione di queste famiglie o di queste persone nella collaborazione con l’Ente locale per occuparsi dei minori affidati. Premetto che in questo caso la tutela rimane sempre del Comune, ma c’è l’affidamento alla famiglia o alla persona. C’è stato un lavoro con le Comunità, le prime dedicate a questa materia, dove sono presenti come educatori anche dei mediatori culturali, nel lavorare con le agenzie formative: la scuola in prima battuta, in modo tale che i minori possano essere inseriti in un contesto scolastico senza aspettare molto tempo da quando arrivano in Pronto Intervento. E qui abbiamo lavorato proprio per creare una relazione ed una comunicazione fra servizi. Per esempio, un minore straniero che arriva in un Pronto Intervento a Modena non deve aspettare di entrare in una Comunità per iniziare un suo progetto rispetto alla lingua italiana, alla conoscenza dei servizi, alla conoscenza della città o a un inserimento scolastico, in quanto l’Assessorato all’Istruzione fornisce proprio dei mediatori culturali, dei tutor scolastici, e quindi si dà la possibilità di immettere subito il minore dentro un progetto specifico che lo riguarda. Questo è uno dei tanti esempi. Il lavoro che abbiamo fatto con le scuole di formazione professionale affinché prima facessero dei corsi ad hoc più adeguati a questi minori, e poi successivamente nello sviluppare proprio la possibilità immediata di immettere il minore nei corsi di 105 formazione professionale. Sviluppare possibilità di tirocinio durante la formazione, sviluppare, dare borse di lavoro e di inserimento nel mondo lavorativo. Adesso stiamo cercando di sviluppare invece modalità diverse di accoglienza proprio perché il fenomeno dei minori si è trasformato. Mentre alcuni anni fa avevamo dei minori che arrivavano nella fascia di età di 16-18 anni, quindi con una loro volontà migratoria, una loro idea in testa di inserimento, oggi purtroppo abbiamo un grosso abbassamento dell’età, quindi noi rischiamo di avere dei bambini molto piccoli, 10-11 anni, che hanno bisogno di essere portati, attraverso un grosso sforzo educativo, sociale, ma anche di una forte relazione affettiva, in contesti diversi, che non siano le Comunità, fino al diciottesimo anno di età oppure fino a quando il Comitato Minori Stranieri, che ha l’impegno di verificare nel paese di origine le condizioni, non prenderà una decisione su questo minore. Quindi stiamo cercando di diversificare quelle che sono le risorse, di trovare delle possibilità di affidamento familiare a famiglie della stessa etnia dei minori. Penso che questo sia un discorso molto complesso, molto difficile, proprio perché noi chiediamo a famiglie che hanno vissuto il primo momento di arrivo, di migrazione, di integrazione che stanno cercando di gestire attraverso i propri figli un’integrazione più matura, chiediamo a queste persone di aiutarci a trovare un sistema familiare dove poter crescere questi ragazzi. Abbiamo anche pensato a quello che in fondo è un desiderio: il ritorno dei ragazzi, perché nella ricerca che abbiamo effettuato, nessuno di loro dice che nel momento in cui ci saranno le condizioni per avere le stesse possibilità di sviluppo che hanno nel nostro paese, non desidererebbero ritornare nel loro contesto sociale all’interno della loro famiglia. E da qui è nata l’idea di un Progetto Daphne, di cui vi parlerà in modo più dettagliato Grazia Stefanini, nell’andare a mappare quelle che sono le risorse sociali, formative, istituzionali, di un paese a noi più vicino, che è l’Albania, in modo da creare proprio dei collegamenti fra chi lavora su stati socio-educativi dei minori nel nostro paese e chi sta lavorando in Albania e può essere in grado di riaccogliere il minore, continuando, creando una linea di continuità fra quello che è il progetto concordato con il ragazzo e che sta facendo in Italia, con la possibilità di continuarlo, terminarlo e svilupparlo nel suo paese di origine. Mi rendo conto che sto andando molto velocemente su piani diversi e difficili da poter coniugare nella realtà. Però posso dire che dopo il lavoro fatto di mappatura in Albania, quando parlo con i ragazzi e con i parenti, famiglie, riescono a capire molto velocemente il vantaggio di questo progetto, cioè, la possibilità di essere di aiuto e sostegno per un pezzo di sviluppo del minore nel nostro paese con una possibilità di sbocco nel paese di origine. Anche per loro diventa meno difficile pensare al loro aiuto e al loro sostegno, perché comunque hanno la possibilità di vedere che c’è un posto dove il minore può continuare il suo progetto. Mi sembra che questo sia molto importante anche nei casi dove si vede chiaramente che il minore sviluppa dei sintomi di disagio nel continuare un progetto in Italia, dove proprio restituirlo alla propria cultura, alla propria terra, al proprio ambiente, potrebbe essere di grosso aiuto al minore. Penso soprattutto ai bambini che arrivano oggi, dove la motivazione che hanno dato per arrivare in Italia possono essere anche molto banali, adatte ad un bambino piccolo. Io ho sentito dire “Sono venuto in Italia perché mi hanno promesso che qui mi danno la cioccolata e la playstation”. Molto diverso dal ragazzo che due anni prima arrivava e diceva “Io vorrei fare questo lavoro, vorrei essere formato su questa materia”, dove si faceva un contratto e dove ogni volta che c’era una crisi nel contratto si ritornava a discutere cosa era che non aveva funzionato e quindi si rifaceva un nuovo contratto, un nuovo percorso e una nuova possibilità di proseguire, cosa che oggi non c’è più. Ora lascerei che la D.ssa Stefanini entrasse nei particolari sia delle varie ricerche, che cosa ci hanno detto e perché ci hanno fatto pensare a modificare il nostro Progetto . 106 GRAZIA STEFANINI Ricercatrice del Consorzio Pluriverso e consulente del Comune di Modena per il progetto “Minori Stranieri” Grazie mille. Grazie soprattutto di questa occasione di poter partecipare, prendere parte attiva a queste due giornate, ma anche poter partecipare come uditore, perché io penso che tanto per me come per Vanna sia stato una giornata molto interessante e ricca, soprattutto penso ai contributi che ci sono arrivati dagli ospiti dalla Francia, dall’Algeria e dal Marocco. Molto ricca ripensando anche all’approccio che adesso vi andrò a raccontare che noi stiamo tentando di avere su questo tema dei minori stranieri non accompagnati. Faccio una precisazione: io non lavoro per il Comune di Modena internamente, ma sono una consulente, faccio parte di una organizzazione esterna che, però, è partner con il Comune di Modena, con l’Assessorato alle Politiche Sociali per collaborare su progetti che noi chiamiamo “innovativi” sul tema dei minori stranieri non accompagnati. Progetti innovativi perché? La dottoressa Vanna Poli prima vi parlava di queste iniziative di ricerca che sono state fatte sul territorio modenese, che sono partite dell’esigenza di comprendere, fondamentalmente, il fenomeno della migrazione, dell’arrivo di questi ragazzi presso il territorio di Modena. Abbiamo dei numeri, che sono piuttosto alti per un territorio relativamente piccolo come la città di Modena, quindi, la necessità era quella di capire cosa portasse qui questi ragazzi, capire anche che cosa potessero trovare e quali risposte si potessero mettere in campo per essere più efficaci nel fornire una possibilità di tutela. Questa iniziativa di ricerca che è stata piuttosto approfondita, ci ha portato a trarre alcune conclusioni, per lo meno ad arrivare ad alcune consapevolezze. Consapevolezze forse è una parola ambiziosa, diciamo ad alcune convinzioni. La prima è che, affrontando il problema dei minori stranieri non accompagnati sul nostro territorio, ma anche alzando un po’ lo sguardo e cercando di capire cosa succedeva all’esterno, se non altro a livello italiano, ci siamo resi conto che c’era una frammentazione enorme delle risposte che a livello locale vengono date a questa presenza. Questo vuoi per le possibilità economiche, sociali, intrinseche ad ogni realtà locale, vuoi per il condizionamento che il nostro ordinamento giuridico ci dà o non ci dà, a seconda dei punti di vista. Una grossa frammentazione a livello italiano. Questo sicuramente non giova a una strategia complessiva che potremmo tentare di leggere a livello nazionale di tutela di questi piccoli migranti. L’altra convinzione a cui siamo arrivati è una cosa che è stata ribadita più volte questa mattina, da porta-voci che rappresentano comunità che noi stiamo anche accogliendo, è il fatto che la presenza del minore straniero non accompagnato non è un presenza alla quale poter contrapporre delle risposte che vanno esclusivamente a esplicitare interventi sul piano sociale, perché questo è un fenomeno sociale sicuramente, ma è anche prima di tutto un fenomeno migratorio. In quanto tale, deve essere approcciato con gli strumenti che il flusso migratorio ci chiede di mettere in campo e che non possono prescindere della relazione con il territorio di origine, la relazione con il paese che ha una corresponsabilità su questo movimento di persone. Siamo entrambi responsabili, con ruoli diversi, però siamo chiamati in causa entrambi. Si parla di paesi come Italia, o di paesi di origine come Albania, Marocco, Romania o quale possa essere, ma si parla soprattutto di territori. Modena, ad esempio, se si pensa al Marocco, è apparentata con la provincia di Benimelal. Quindi, vediamo che rispondere alla presenza dei minori stranieri non accompagnati (almeno questa è una riflessione che noi abbiamo fatto a Modena) può essere a volte un richiamo ad alzare lo sguardo e guardare dall’altra parte del mare, appunto, del Mediterraneo, nel paese di origine, nella provincia di origine, se pensiamo al Marocco che è la nostra comunità più presente, alla provincia di Benimelal e capiamo che c’è una parentela innata, che viene prodotta in modo naturale, non per volontà delle Istituzioni che stanno in entrambe le province, ma per semplice movimento, flusso naturale di persone. Per capire cosa noi possiamo offrire a questi ragazzi sicuramente dobbiamo andare a conoscere la loro realtà. Ma non solo conoscerla, ma dobbiamo tentare di collaborare con questi territori che hanno 107 dei percorsi espulsivi rispetto a questi minorenni, ma che possono anche rappresentare dei territori di risorsa, là dove si vada a pensare nei rimpatri assistiti o di risorsa in termini di relazione tra paesi con culture e patrimoni culturali, economici e sociali diversi. È verissimo quello che diceva l’ospite di questa mattina, che non si può pensare ad un progetto di accoglienza senza prima tentare di comprendere la dinamica delle motivazioni che hanno portato qui questo ragazzo, questo minorenne; quali sono le ragioni che lo hanno portato e non è detto che sia necessariamente la povertà, come diceva Valeria Rossato questa mattina. Possono essere diverse, possono essere il fatto che questi ragazzi sono giovani che vogliono vedere il mondo. Tutto questo ci ha portato a tentare di aprirci nuove strade, che vanno aldilà dell’intervento che chiaramente quotidianamente viene messo in pratica nell’accogliere questi minori. Ci ha portato a promuovere un’iniziativa transnazionale, che è il Progetto Daphne, che è un progetto finanziato all’Unione Europea. La Comissione Europea promuove questa linea di finanziamento che si chiama Daphne, che è dedicata al tema della tratta di minori, la violenza sui minori. All’interno di questo quadro noi abbiamo proposto un’iniziativa che andava a mettere insieme alcuni territori italiani (Modena fra questi, chiaramente), e in Spagna e in Grecia, per tentare di arrivare a degli scambi di informazioni. Questo presupponeva che ci fossero dei momenti di ricerca, di raccolta di informazione, in ciascuno dei nostri territori. Ci sono state condotte delle ricerche parallele in vari territori italiani, in Spagna, in Grecia, sul fenomeno della presenza dei minori stranieri non accompagnati, delle dinamiche che li portano nei nostri territori a abbiamo avuto dei momenti di scambio. Questo risponde a quella che è stata una prima consapevolezza: il bisogno di colmare frammentarietà, la conoscenza, di cercare di omogeneizzare per lo meno quelle che possono essere le buone prassi da mutuare, sia a livello italiano che a livello internazionale. Questo Progetto Daphne ci ha fornito la possibilità non solo di capire cosa succede in altri territori oltre a quello italiano, oltre al nostro di Modena. Ci ha anche consentito di avere un quadro più complessivo di questo aspetto del flusso migratorio. Perché comunque è interessante andare a capire cosa succede in Spagna quando arrivano, ad esempio, a Madrid, migliaia di questi ragazzi, molto spesso dal Marocco. I meccanismi che scattano si vede che sono molto spesso gli stessi; gli aspetti di tutela, che la società che lavora nel sociale attiva, sono più o meno gli stessi. È utile andare a confrontarsi su questo perché si possono, appunto, anche mutuare strumenti. Quindi, il Daphne è stata per noi un’esperienza importante che, peraltro, si è conclusa da pochissimo e che ci ha quantomeno consentito di avviare una relazione con realtà che rispondono a questo problema in altri territori italiani e in altri paesi dell’Europa. Un’altra iniziativa che abbiamo tentato di avviare, con la collaborazione forte della sensibilità della nostra Regione, la Regione Emilia-Romagna, sempre nell’ottica di ovviare questa frammentarietà nel cercare una relazione tra territori, abbiamo proposto alla Regione EmiliaRomagna, ed è stato accolto, di creare un tavolo tematico che portasse tutte le province della Regione Emilia-Romagna a trovare un luogo di ragionamento comune, anche di iniziativa comune, sul tema dei minori stranieri non accompagnati. Questo è stato fatto ed è una esperienza che ha avuto ottimi risultati. Fanno parte di questo tavolo tematico i principali Comuni della Regione Emilia-Romagna, tra cui Bologna, che vedo che è presente. La cosa interessante è che non solo si è creato un luogo di riflessione, di scambio, di messa a registro, a sistema, a livello almeno regionale di quelle che sono le strategie di accoglienza, le politiche di accoglienza e le visione che si possono avere su questo tema; ma è nata anche una propositività, in termini progettuali. Questa ha avuto come prima esigenza quella di rivolgersi al dialogo proprio con i paesi di origine ed è nato così un progetto che sta avviandosi adesso e che vede come titolare un parternariato di comuni (il Comune di Modena, il Comune di Bologna, il Comune di Parma e di Piacenza, insieme alla Regione Emilia-Romagna), che hanno preso l’iniziativa di andare in Albania (abbiamo scelto in questo caso l’Albania perché è un paese che comunque continua ad essere 108 apparentato con noi per il flusso migratorio e con il quale abbiamo una facilità di relazione per tradizione storica). Abbiamo costruito un contenitore, che è, appunto, questo progetto, che ci ha consentito di avviare una collaborazione reale sul tema della migrazione dei minori da soli, con l’Albania, in realtà con alcuni territori di questo paese, però, a partire dal livello centrale, cioè, dal Ministero degli Affari Sociali. L’Albania adesso sta, fra l’altro, rielaborando il proprio sistema dei servizi sociali, li sta sviluppando sul territorio nazionale ed è il momento più opportuno anche per noi per riavviare un dialogo al fine di sensibilizzare e di collaborare con il Ministero (è accaduto con i territori che più sono quelli di provenienza dei minori che sono presenti nelle nostre zone) e avviare una collaborazione che va principalmente su due direzioni. La prima è quella di trovare il luogo formale per sviluppare questa collaborazione e probabilmente questo progetto ci darà la opportunità di crearlo, passando chiaramente, dalla Regione quale interlocutore principale. L’altro obiettivo fondamentale è quello di lavorare sulla prevenzione. Ieri si è parlato molto di rimpatrio, oggi c’è stata occasione di tornare su questo argomento. I rimpatri, però, abbiamo visto che sono delle vicende occasionali, delle misure che vengono prese molto spesso o su minori sui quali il Comitato si esprime in questo senso, o per minori che hanno la volontà di ritornare o quando ci sono dei problemi particolari. Non è uno strumento che normalmente viene utilizzato dall’Ente Locale come gli altri strumenti di accoglienza del problema del minore che arriva. Questo è un argomento che va a sostanziare una convinzione che anche in questo caso abbiamo raggiunto: il fatto che, probabilmente, prima ancora che andarsi a concentrare nello sviluppare relazioni con i paesi di origine, sul tema del rimpatrio assistito, è fondamentale andare a collaborare sulla prevenzione e l’informazione rispetto al flusso migratorio che aspetta a questi ragazzi che magari, senza tanto essere consapevoli rispetto a quello che può aspettarli nel partire da casa propria, andranno a incontrare una volta che arrivano da noi. Non sempre loro troveranno la possibilità di essere accolti, noi, purtroppo, abbiamo le mani legate tante volte e lo sappiamo bene. Questo sarà un po’ il cuore dell’iniziativa che porteremmo avanti: cercare di trasmettere informazioni corrette su come si fa a pianificare una migrazione verso il nostro paese. È giusto che queste persone possano pensare di voler migrare qua, non è il “non venire” che li vorremo andare a dire, è il “vieni, sapendo come fare ad arrivare per tutelarti”. Grazie a tutti. FRANCESCO ANGELINI Presidente VII Commissione Politiche Sociali, Scuola e Cultura della Provincia di Lucca Ringraziamo le Dottoresse del Comune di Modena, per il grosso contributo dato al dibattito per la concretezza del loro lavoro, per il fatto che analizzano e ricercano su un problema in divenire, andando poi oltre, andando a metterlo in casa di coloro che potrebbero diventare i nostri ospiti. Potremmo procedere dando la parola a Madame Harrak, Magistrato presso la Corte Suprema al Ministro di Giustizia Marocchina. NAZIHA HARRAK Magistrato della Corte Suprema presso il Gabinetto del Ministero della Giustizia del Marocco Prima di tutto vorrei ringraziare la Provincia di Lucca per l’invito. Vorrei approfittare di questa occasione per ringraziare i miei colleghi, i Magistrati francesi, per l’accoglienza, per gli scambi professionali e culturali. Vorrei anche farmi sentire dall’Associazione Giovani Erranti, soprattutto per render loro un grande omaggio per il lavoro grandioso che è stato fatto e che continua ancora a fare per l’infanzia in generale e l’infanzia in situazione di vagabondaggio. 109 Ho il piacere di parlarvi di qualche aspetto della situazione giuridica della famiglia, della donna e dei bambini in Marocco. Qualcuno si chiederà quale è il rapporto che sussiste tra il nostro argomento del Seminario e gli aspetti giuridici della famiglia, del diritto di famiglia. Credo che questo interesse sia molto specifico, che ci sia un rapporto molto stretto fra l’argomento della Conferenza, i minori in situazione di vagabondaggio e l’aspetto giuridico, che riguarda la famiglia, il nucleo familiare, poiché una buona strutturazione, una buona normativa insieme alla famiglia non può essere che un fattore positivo che favorisce la diminuzione del disequilibrio del tasso di divorzio e conseguentemente anche la riduzione del numero di minori in situazione difficile che sarebbero candidati all’emigrazione clandestina. L’argomento che devo affrontare oggi riguarda il Codice della Famiglia. Questo codice ha un grande successo in Marocco. Mai nessuna legge come questa ha avuto un tale successo, una legge che come cosa essenziale ha recepito il consenso nazionale da parte di tutti i preposti. Il nostro punto di vista è questo: questa legge è il modo di rendere stabile la democrazia in Marocco, poiché dopo vari anni anche di azioni di militanti di partiti politici, di organismi e associazioni non governative, associazioni di diritti dell’ uomo, di donne che hanno proclamato, ovviamente, il Codice della Famiglia o il Codice dello Statuto Personale, Il Re, Sua Maestà, aveva dato il suo assenso favorevole, però non ha potuto avere questa legge sotto forma di dahir. E questa è stata una delle prime prerogative che è stata garantita dalla Costituzione, ma il Re, Sua Maestà, ha preferito lasciare questa legge al dibattito e al Parlamento, al dibattimento parlamentare. Ho avuto la possibilità di partecipare ai dibattimenti, in seno alla Commissione dei Diritti dell’Uomo in sede parlamentare e posso garantirvi che questa legge, è stata analizzata in modo approfondito e tutti i partiti hanno discusso, però quello che ho constatato è che vi era sempre un consenso. Tutti si trovavano d’accordo sul fatto che la difesa dei diritti dell’uomo sia una priorità nazionale per il mio paese, che lavora per l’unificazione e il rafforzamento delle libertà individuali e collettive nella convinzione che questo costituisca un elemento essenziale per lo sviluppo socioeconomico e culturale. Il Regno del Marocco dal 1990 ha sempre intrapreso tutta una serie di misure, sia dal punto di vista normativo che dal punto di vista istituzionale, per rendere più radicale la cultura del diritto dell'uomo e le variazione giuridiche a livello internazionale. Queste azioni sono state concretizzate con un ampio movimento di riforme e di adattamento specifico dei testi delle leggi, come il Codice Penale e il Codice della Famiglia. Vorrei presentarvi le principali novità del Codice della Famiglia, adottate ed entrate in vigore pochi mesi fa. Questo nuovo Codice della Famiglia ha varie innovazioni piuttosto audaci, che sono fondamentali e possono contribuire alla risoluzione dei problemi fra le spose e i mariti o i genitori e i figli. Questo Codice dà vari vantaggi alla famiglia come base della società. Ci sono varie disposizioni per quanto riguarda le vertenze che riguardano statuto personale ad un procedimento giudiziario che possa favorire la possibilità di tutela e motivazione dei giudizi, delle sentenze e anche ricorrere in appello. Nel Codice della Famiglia il legislatore ha permesso ai mariti e alle mogli di descrivere la loro condizione nell’atto di matrimonio. Queste condizioni sono degli impegni fra le due parti per l’identificazione di una famiglia che sia basata sul compromesso in conformità delle condizioni vincolanti dal punto di vista giuridico e giudiziario, non solo da un punto di vista religioso, come era prima. Il nuovo Codice della Famiglia comporta e tratta la questione dell’accordo sul modo di organizzare e gestire i beni acquistati prima del matrimonio, organizza gli aspetti per quanto riguarda la custodia dei figli, l’educazione dei figli dopo il divorzio, se questo sopraggiunge, riducendo il ruolo del giudice al solo controllo di questo accordo, in modo tale da conservare gli interessi dei bambini. Il Codice della Famiglia dà un’importanza notevole al bambino e alla donna come componenti principali della famiglia. Per quanto riguarda i minori, si può dire che il nuovo Codice della Famiglia ha potuto stabilire quello che è l’equilibrio in sé nella famiglia ed è soprattutto a favore dei bambini, dei figli. Inoltre, il 110 governo del Marocco non ha cessato di dimostrare la sua volontà di sostenere tutte le azioni condotte a favore dell’infanzia, sia con azioni governative e della società civile, sia attraverso la sua apertura alla cooperazione internazionale. L’interesse è anche dato alla donna che ha diritto, dopo avere raggiunto l’età legale, di sposarsi liberamente ed è diventata responsabile degli affari domestici. La donna ha varie prerogative nell’educazione dei figli e ha il diritto di partecipare insieme al padre alla tutela dei diritti del bambino. Nel caso di nuovo matrimonio, il legislatore le dà il diritto di tenere con sè i figli fino all’età di 7 anni. In modo generale possiamo dire che con il nuovo Codice della Famiglia abbiamo una consacrazione del principio dell’uguaglianza fra l’uomo e la donna a livello di giustizia ed uguaglianza e soprattutto il rafforzamento dei diritti del bambino. Effettivamente possiamo dire che siamo di fronte ad un vero e proprio progetto di una nuova società. Per quanto riguarda l’uguaglianza a livello di responsabilità, la famiglia sarà data in responsabilità congiunta ai due coniugi. Di fronte a questo nuovo codice, abbiamo abbandonato la regola dell’ubbidienza della moglie al marito come controparte del mantenimento della moglie. In questo codice abbiamo abolito la regola che rendeva sottomessa la donna nel matrimonio, alla tutela di un componente della famiglia. La donna maggiorenne può fare la propria scelta ed esercita la propria volontà con pieno consenso. Un altro aspetto dell’uguaglianza fra la donna e l’uomo, per quanto riguarda l’età del matrimonio che è stabilita in modo uniforme, all’età di 18 anni, invece che di 18 per l’uomo e di 15 per la donna, come era previsto nel vecchio codice. Il ripudio e il divorzio sono stati definiti come una dissoluzione dei legami matrimoniali che esercitano il marito e la moglie con il controllo giudiziario. Un nuovo aspetto, perché nel vecchio testo il ripudio e il divorzio rappresentavano una prerogativa esercitata dal marito in modo discrezionale e soprattutto abusivo. Con questo nuovo codice abbiamo creato il nuovo principio, del divorzio consensuale con controllo del giudice, un aspetto molto recente nell’attività forense di questo codice. La poligamia è ormai sottomessa all’autorizzazione del giudice, delle condizioni legali, che sono molto rigide. Il giudice deve sincerarsi che non ci sia nessuna presunta disuguaglianza ed essere convinto delle capacità del marito a trattare la seconda moglie nello stesso modo che la prima cioè garantire le stesse condizioni di sussistenza alla seconda moglie e ai figli. La donna può addirittura chiedere al marito di non risposarsi, considerando che questo è uno dei suoi diritti. In assenza di questa condizione, la prima moglie deve essere avvisata che il marito sarà in grado di sposarsi e la seconda informata che ha già una moglie. La moglie può utilizzare il matrimonio del marito per chiedere il divorzio, proprio per lesione di cui si è resa oggetto. L’attuazione del Tribunale di Famiglia e anche la creazione di un fondo di aiuto familiare sono delle misure per permettere un’ottima attuazione efficace del Codice della Famiglia. Sono disposizioni che erano prima inesistenti nel vecchio testo. La tutela della moglie nell’esercizio del divorzio, nella nuova procedura può garantire i diritti della donna. Poi il giudice deve rafforzare i mezzi attraverso la famiglia ed esigere anche il fatto di assolvere il marito senza che il divorzio sia pertanto registrato, il ripudio verbale da parte del marito non è più valido. Il divorzio è ormai giudiziario e vi è un rafforzamento del diritto della donna a chiedere il divorzio per il danno subito (donne che sono state picchiate o che non hanno mezzi di sussistenza). Il divorzio può essere pronunciato dal giudice alla richiesta della moglie. Inoltre, se manca una delle condizioni stipulate nell’atto di matrimonio, questo può giustificare la richiesta di divorzio da parte della donna. Nel vecchio testo era molto difficile per la moglie dimostrare la lesione, il torto. E per quanto riguarda la ripartizione dei beni acquistati durante il matrimonio e il principio della separazione dei beni, la legge ha introdotto la possibilità delle mogli di trovarsi d’accordo in un documento separato dell’atto matrimoniale per definire un quadro per la gestione dei beni acquistati e percepiti durante il matrimonio. In caso di dissenso, si dovrebbe fare ricorso al giudice che si basa 111 sulle condizioni generali idonee della prova per valutare il contributo specifico di ognuno dei due coniugi ai beni acquistati durante il matrimonio, questa possibilità era inesistente nel vecchio testo. Per quanto riguarda il rinforzo dei diritti dell’infanzia o dei figli, in questo caso possiamo parlare anche di varie leggi che sono state vagliate a livello internazionale. Il Marocco ha aderito a queste leggi soprattutto quella riguardante l’interesse superiore del bambino e non la discriminazione a livello sessuale. Il Marocco ha aderito a varie disposizioni e convenzioni internazionali per quanto riguarda il diritto di famiglia e nel Codice della Famiglia abbiamo avuto una consacrazione di questi principi. Per quanto riguarda la custodia dei figli, la nuova legge ha introdotto anche la possibilità della donna di avere in certe condizioni la custodia dei figli anche dopo essersi nuovamente risposata, o anche se è andata ad abitare in un altro luogo; può avere nuovamente la custodia dopo causa volontaria o involontaria che è stato origine della destituzione della custodia dei figli. La custodia dei figli è data alla madre, poi al padre e poi alla nonna materna e in casi di impossibilità il giudice decide di affidarli a quello più indicato ad assumerlo tra i vari parenti del bambino in considerazione dell’interesse superiore di quest'ultimo. Nel vecchio testo l’intervento del giudice nell’interesse del bambino non esisteva. Il testo si limitava a enucleare i parenti dei genitori che avevano richiesto la custodia senza prendere atto delle loro effettive capacità a farsi carico del bambino. La tutela del bambino, per quanto riguarda il riconoscimento di paternità in caso di nuovo matrimonio, non sarebbe formalizzata da un atto per dei motivi di forza maggiore e attraverso l’allargamento delle prove legali da presentare in attività forense. Nel vecchio testo la regola era il non riconoscimento del bambino. La sola prova di paternità consisteva nella produzione di dodici testimoni, che era una procedura piuttosto complessa ed arcaica. Per quanto riguarda la custodia dei figli, una garanzia è possibile. Si tratta di dare una accettazione decente secondo quello che è lo statuto sociale prima del divorzio, un obbligo diverso rispetto agli alimenti. Nel vecchio testo gli alimenti erano derisori e non erano specificati per quanto riguarda i beni pagati per i figli. Per concludere possiamo dire che il Marocco vive una rivoluzione dolce il cui obiettivo è quello di creare uno stato di diritto, una vera democrazia che sia rispettosa dei diritti umani, delle libertà, di tutte le garanzie fondamentali. (Relazione non rivista dall’autore) FRANCESCO ANGELINI Presidente VII Commissione Politiche Sociali, Scuola e Cultura della Provincia di Lucca Passerei ora la parola alla D.ssa Dominique Lodwick, Direttrice dell’Associazione”Giovani Erranti” di Marsiglia. DOMINIQUE LODWICK Direttrice dell’Associazione”Giovani Erranti” di Marsiglia Prima di iniziare vorrei prendere atto del senso di responsabilità e la grande modestia dei magistrati marocchini che questi ultimi anni, con tutto il lavoro che hanno fatto sul Codice della Famiglia, sul Diritto di famiglia, hanno avuto comunque il tempo e la gentilezza di parlare con noi,dei loro problemi, dei minori isolati e dei piccoli marocchini. Ma devo dire che i magistrati marocchini sono molto modesti, hanno dato testimonianza di una grande genialità per quanto riguarda l’Europa. Quindi, grazie tante, Naziha. Siamo in un sistema di lavoro, in un contesto lavorativo da due giorni, che è ottimale, perché è una cosa che non ha ambiguità, è molto chiara. Parlo come Direttrice dell’Associazione “Giovani Erranti”di Marsiglia e come un educatore, un professionista nel quadro associativo. Prendo un po’ le 112 distanze, però sono autorizzata a dire la mia opinione. Siamo in una situazione molto chiara, perché abbiamo sentito i rappresentanti di almeno quattro Enti molto importanti: la Provincia di Lucca, la Regione Toscana, la Regione Paca e la città di Roma, che indirettamente si è espressa in questo consesso. Sono quattro enti firmatari della Carta Euro-Mediterranea della Rete REMI che riguarda la tutela dei minori isolati. Non voglio parlare riguardo a quello che è stato detto questa mattina dai vari rappresentanti politici, che sono stati molto chiari, perché noi non siamo invitati a discutere se bisogna o no occuparsi dei bambini. Questo lo sappiamo, dobbiamo occuparcene, dal punto di vista politico ci sono vari orientamenti e quindi la domanda che si pone è quella di sapere come bisogna occuparsene di questi minori e come possiamo migliorare la presa in carico di questi bambini. Siamo vari partner presenti a questa Conferenza,e avendo in questi due giorni fatto dei censimenti, ho costatato che sono presenti 15 Associazioni, italiane, francesi, algerine, marocchine, come vedete una categoria molto ampia e nutrita di partner. Queste Associazioni hanno messo assieme dei professionisti, e poco importa che siano volontari o che siano degli stipendiati, sono persone come degli stake-holders, degli attori che sono direttamente sul campo, che sono a contatto con il pubblico, che devono gestire questo problema. Una seconda categoria di partner sono coloro che hanno la capacità di prendere decisioni sociali, amministrative e giudiziarie, posizione molto difficile, perché sono loro che dovranno prendere delle decisioni importanti e che potranno determinare quello che è l’avvenire di questi minori o almeno il loro avvenire immediato per i giorni, per le settimane e mesi che verranno. La terza categoria di partner sono gli eletti, i politici. Credo che tutti noi dobbiamo, sicuramente, occupare la nostra funzione, in modo tale da poter progredire con molta chiarezza, quindi essere consapevoli dei nostri incarichi. Vorrei rivolgermi ai miei colleghi, ai partner, ai professionisti, alle Associazioni, alle persone che sono direttamente in campo e che su base giornaliera, quotidiana, devono trattare queste cose col pubblico. È molto importante mettersi bene d’accordo e che si parli senza reticenze su un certo numero di cose, in modo chiaro, netto senza cose fuorvianti. Abbiamo la possibilità di lavorare effettivamente in una Rete che si chiama REMI alla quale hanno aderito vari Enti, vari Organismi. Si tratta di una decisione politica. Ma non sono i politici, ovviamente, che sono in campo, che giorno dopo giorno cercano di rispondere o di inventare risposte migliori per rispondere ai bisogni di questo pubblico e di questi minori. Credo che noi abbiamo una grossa responsabilità,dobbiamo fare un lavoro che nessuno potrebbe mai fare al nostro posto. Credo che noi possiamo chiedere ai politici di darci degli orientamenti, di sostenerci; ma dobbiamo, da parte nostra, essere chiari, fare delle proposte di azioni concrete perché ognuno resti al proprio posto, però con le proprie responsabilità. Molto spesso noi professionisti abbiamo subito questa forma di ingiunzione paradossale. Ci dicono di occuparci di questi problemi, ma non troppo, perché se ce ne occupiamo troppo, i bambini credono che potranno restare, che saranno tutti regolari e la cosa non sarà possibile per problemi di ordine pubblico, di sicurezza. C’è un modo come professionisti e come cittadini di trattare il problema, ovvero lavorare senza farsi problemi o toppe domande di coscienza e il sabato invece scendere in piazza per aiutare i manifestanti. Credo che non sia coerente e che siamo veramente stanchi di questo tipo di funzionamento. In questo caso, l’azione da mettere in campo è questa: "integrare i valori in cui crediamo in modo tale da lavorare in modo consono, in modo diretto, nel modo più intelligente possibile”. In linea di massima di fare in modo che il lavoro degli educatori, del magistrato, dei servizi sociali abbia un senso. Propongo di partire con delle piccole idee molto semplici, cercando in modo molto deciso di prendere un po’ le distanze da questo argomento molto complicato, molto appassionante,ma anche a volte troppo astratto. Penso che quando mi alzo alla mattina, se la legge fosse cambiata e l’immigrazione fosse incoraggiata, allora non avremmo più bambini non regolari. Per questo motivo io credo che il piccolo Mustafa oppure Ibraibib, di 15 o 16 anni, non sarebbe arrivato nascosto in un cargo nel pontile del bastimento, però immediatamente avrebbe qualche difficoltà ad essere distante dalla sua famiglia, dai suoi genitori, a scoprire una cultura diversa della sua a cui era stato abituato e la 113 rete criminale sarebbe scomparsa, non ci sarebbero più criminali, non più razzismo e alla stessa maniera questi bambini sarebbero pronti ad integrarsi, ad adattarsi alla società occidentale. E noi, i professionisti, gli educatori, forse non avremmo più niente da fare. E credo che se così fosse forse vi sarebbe una parte di queste persone che sarebbero sempre in difficoltà, potremmo vedere unicamente tutto quello che è stato fatto da tutti quanti i bambini, giovani, adolescenti che sono passati in Europa e sono andati a lavorare nell’economia ultraliberale inglese, senza che mai un Servizio Sociale francese o inglese li avesse incontrati. Ce ne sono molti di questi ragazzi. Partendo da questa idea, da questa storia di mobilità abbiamo dei bambini, dei minori, che sono più in difficoltà di altri e anche se, effettivamente, le leggi che riguardano l’immigrazione fossero cambiate, dobbiamo sempre, comunque, lavorare. Oggi la globalizzazione spinge la gioventù a muoversi continuamente e ad avere una grande capacità di adattamento. Questi ragazzi, sono la forma la più spettacolare, più estrema, di un movimento molto più generale, che oggi verte su tutta la gioventù delle nostre Province. Queste sono le due idee che io ho e credo che bisogna lavorare per trovarci delle risposte pedagogiche. Ora le proposte. Vi farò alcune proposte semplici e sulle quali si può lavorare nei prossimi giorni. La prima proposta è di aiutarci e di lavorare con noi per la creazione di entità interassociative nei paesi di origine. Stamattina avete sentito il signor Azibou che ha parlato del partenariato tra le due Associazioni, l’installazione di una piccola piattaforma, di una piccola struttura, a Tangeri, in Marocco, la cui creazione è sostenuta, incoraggiata dalle autorità del Marocco, che ha come primo obiettivo di permettere di avere dei genitori o qualcuno che si possa mobilitare ogni volta che un’Associazione ha bisogno, che si ritrovino i genitori di un ragazzo. Questa piccola struttura funziona già in modo sperimentale. Noi contattiamo e sollecitiamo i nostri amici marocchini, andiamo là, facciamo una ricerca di questi genitori e quindi voi stessi potete entrare in contatto con la famiglia di questi bambini. Questa è la prima proposta, la prima azione all’interno di questa struttura. La seconda è sviluppare o permettere lo sviluppo di azioni di formazione. Per questo non sono, naturalmente, le persone del nord che vengono al sud ad insegnare come si deve fare. Per queste azioni formative siamo noi stessi che dobbiamo andare a formarci e permettere alla gente del sud di venire da noi a formarsi. Da ieri mattina sono state dette molte cose interessanti e ciò che ha detto Sued dell’Università di Venezia sulle questioni interculturali, è veramente un argomento molto appassionante. In un intervento di ieri mattina, è stato detto che favoriremo la devianza se non lavoriamo insieme, se non lavoriamo nella cultura di origine di questi ragazzi. Bisogna trovare i punti di appoggio per la loro integrazione, i punti di forza, la loro capacità di integrare la cultura del paese di accoglienza, questa è l’ interculturalità. Bisogna formarci insieme, nel paese d’origine e nel paese di arrivo; noi andiamo regolarmente in Marocco, invitiamo i partner francesi. Perché i partner italiani non potrebbero venire anche loro per organizzare delle sedute di formazione con noi? Potreste accogliere nelle vostre Associazioni dei professionisti marocchini che sarebbero contentissimi di venire a lavorare con voi nelle vostre equipe, lavorare vicino ai mediatori culturali e nello stesso tempo apprendere, trovare anche loro degli strumenti. Una cosa molto semplice che non costerebbe cara. La terza idea in questa entità nei paesi di origine è quella di raccogliere tutti i dati. Da molti anni lavoriamo con dei marocchini vedendo quanti bambini arrivano, su Paca, su Les Bouches du Rhône, e ci sono oggi vari Enti firmatari di REMI. È molto semplice, abbiamo la rete, conoscete questa rete, dei ricercatori, dei consulenti, gente che sappia lavorare con questi strumenti e appunto, riunire tutti questi dati. E qui mi rivolgo verso Madame Harrak, rappresentante del Ministero della Giustizia, perché so che è una delle preoccupazioni del Ministero della Giustizia Marocchina, del Segretariato di Stato alla Gioventù. Tutti questi dati interessano il governo marocchino che è più implicato nella cosa; e anche tutto ciò che riguarda i villaggi di origine, le famiglie, il tipo di famiglia, dove sono, come trovare una collaborazione e un punto d’incontro tra i politici e ciò che facciamo qui in Europa. Non ci deve essere nessuna ambiguità. Nell’ultimo seminario fatto a Tangeri, quattro rappresentanti dei ministri 114 marocchini che partecipavano, hanno detto molto chiaramente che noi eravamo, che voi eravate invitati a cooperare e a lavorare con i Servizi marocchini. Per il Marocco abbiamo quest’entità che si crea e le cose dovrebbero funzionare . Abbiamo ascoltato tutte le cifre, i dati, i budget, gli aiuti sociali all’infanzia per occuparsi dei minori, sono delle cifre allucinanti. Due milioni di euro lì, un milione di euro là. Un’entità, una piccola struttura, un piccolo centro di risorse in Marocco, ha 50.000 euro per anno? Penso che tra 16 Enti forse riusciremmo a racimolare 50.000 euro. Per il Marocco in questa piccola entità interassociativa siamo solo due; possiamo essere molti di più, così lavoreremo meglio. Siamo partiti insieme per fare il sostegno delle famiglie. In Algeria durante un po’ di tempo le cose sono andate lentamente, perché c’è stato hanno un terremoto terribile e abbiamo aspettato un po’ per andarvi. In Algeria abbiamo la stessa idea, di creare una piccola piattaforma interassociativa che sia una base, che chiameremo forse” le piccole strutture REMI”, voi dovete decidere se aderirvi. E poi si parte dal lavoro che è stato realizzato da Madame Karadja e che è stato presentato stamani, questo studio che completiamo noi con i nostri dati francesi, che ci permettono di identificare ad Algeri due tre quartieri da cui provengono questi bimbi. Si parte da un’idea, di una collaborazione tra L’Associazione dei “Giovani Erranti”, quella di Madame Karadja ed un’altra che non è potuta venire oggi e che lavora in Algeria. L’idea semplice è di partire con queste Associazioni algerine mettendo insieme le nostre competenze. Il primo punto è cercare di lavorare con le madri, vicino alle famiglie, per capire perché questo ragazzo è partito, per prevenire altre partenze, altri problemi. La seconda idea è riunire tutti i dati e la terza di avere informazioni. Per l’Algeria si può fare prestissimo, basta averne la volontà e utilizzare un poco i nostri mezzi e la nostra esperienza. La seconda pista di lavoro da seguire è cercare di sviluppare i programmi di formazione transnazionale. Non lo svilupperemo ora, ma conosciamo tutti gli istituti di formazione, scuole per lavoratori sociali, tutta una serie di luoghi dove si fa formazione; e lì credo che i professionisti mobilitino assolutamente tutte le risorse esistenti perché sia possibile lavorare in uno spirito e una prospettiva transnazionale. Non si tratta di essere il migliore operatore europeo, credo che bisogna pensare le cose con i partner dei paesi di origine. Non è possibile pensare un progetto al posto dei loro genitori, al posto dei loro concittadini, non è un buon approccio educativo. Il terzo orientamento è la mobilitazione di quelli che prendono le decisioni a livello del paese. Credo che dobbiamo migliorare la nostra comunicazione verso le Istituzioni Europee e Nazionali. C’è stata una piccola esperienza per i giovani maggiorenni. Quando legalmente non si può lavorare con dei maggiorenni che sono diventati clandestini, irregolari, come possiamo arrivarci? Come si arriva a comunicare e a lavorare caso per caso? Credo che anche in questo caso noi professionisti abbiamo una grossa responsabilità. Farò un esempio. In Francia, per i Magistrati o i Prefetti, dobbiamo noi, a volte, negoziare con loro e convincerli e ciò avviene non facendo delle sfilate, delle manifestazioni. Se abbiamo lavorato sul fascicolo, ricostruito tutta la storia e il percorso, non dico che questo funziona al massimo, però in generale se si lavora sul fascicolo, se abbiamo degli argomenti, se permettiamo all’altro, qualsiasi sia la sua funzione, di fare in modo che la sua funzione abbia un senso, caso per caso, si arriva a far muovere le cose. Non abbiamo scelta, non si può scegliere su questi argomenti, si tratta di persone, si tratta di destini, ci sono delle storie di vita e bisogna lavorare caso per caso ed imparare a comunicare, non si può semplicemente rimanere sul piano ideologico. E i professionisti hanno qualcosa da costruire, dobbiamo lavorare tra di noi e con gli altri. In questi istituti europei credo che ci siano due piste da seguire, due cose che si possano fare. Vi ricordo che la Conferenza Euro-Mediterranea si faceva sotto il patrocinio del Segretario Generale del Consiglio dell’Europa. Credo di aver capito che il Consiglio dell’Europa era un po’ la coscienza dell’Europa, dell’Unione Europea, e lì c’è forse qualcosa da capire. L’Europa attualmente moltiplica le cellule, la concertazione su dei temi che vertono sulle nostre problematiche: la tratta dei bambini, il traffico di bambini. So che in questo gruppo di lavoro c’è il Forum Europeo per la Sicurezza Urbana, ecco un relais possibile a condizione 115 che noi siamo capaci di alimentare quelle commissioni, gruppi di lavoro, con dei dati, con dei contributi. Altro esempio è tutto il lavoro fatto dal Signor Moryersoen con le sue riunioni molto regolari in cui si trovano tutti i rappresentanti degli Stati Europei. Se siamo capaci di trasmettere un certo numero di contributi alle organizzazioni che sono incaricate di lavorare, forse riusciamo a far passare un certo numero di proposte. C’è anche l’Ufficio Internazionale di Emigrazione che sviluppa un certo lavoro e fa diversi studi. Però, auspicherei, di fare molta attenzione sul modo in cui utilizziamo l’appoggio di Bruxelles. C’è stato sul progetto Daphne, ci sono stati tanti progetti a Bruxelles. Pochi sono passati. È chiaro che oggi, quando le Associazioni, le Organizzazioni, gli Enti, le Università rispondono a Bruxelles per i progetti tra stati europei o stati dell’est, questi progetti possono passare; ma per sviluppare dei progetti con i paesi del sud, siamo molto meno sicuri di avere un appoggio perché gli interessi politici non sono gli stessi. Abbiamo visto in Francia come ci siamo fermati con la Romania, perché la Romania si deve integrare nell’Unione Europea, i poveri dell’est è una questione europea, e ci mobiliterà tutti. Ma il Magreb, oggi, non interessa veramente all’Europa. Dunque c’è una vera strategia da studiare. Non si può dire che è una rete euro-mediterranea. Bisogna che gli operatori facciano una buona proposta, e voi, a livello di negoziati politici, dovete darci il vostro contributo. È una problematica nord-sud, che non è molto attuale ora, più che altro predomina il rapporto est-ovest. L’ultima pista di lavoro è la creazione di fondi di solidarietà e l’aiuto allo sviluppo dei microprogetti. Ci sono gli aspetti finanziari, naturalmente, che hanno una certa importanza. Credo che attualmente delle fondazioni, dei fondi privati si trascurino e a volte si buttino un po’ a cassaccio nei progetti e che ci siano delle risorse che si possono mobilitare. A Marsiglia, qualche mese fa, abbiamo avuto dei problemi con i bambini degli zigani, dei romeni che dormivano nelle strade e che non volevano andare negli istituti. Avevamo dei bambini zingari, delle mamme con i bambini che erano per strada. C’è una fondazione privata che ha risposto alla nostra domanda e che è venuta per aiutarci a fare un microprogetto che valuteremo con loro e che ci permette di sperimentare un certo numero di cose. Credo che oggi a Roma ci sia una giornata di lavoro sui bambini della strada, la precarietà; e la fondazione privata che ci ha aiutato, che è la Fondazione Nazionale Carrefour è presente ora a Roma e parlerà di azioni sostenute in Francia. Sono delle piste di lavoro per ottenere questi fondi di solidarietà, l’aiuto ai microprogetti. Semplicemente voglio dirvi che il nostro sito, i nostri telefoni, il nostro centro di risorse, sono interamente a vostra disposizione. Siamo lì per potere vagliare le vostre proposte. Potete vedere i nostri documenti. I prossimi due appuntamenti che vi proponiamo sono a giugno a Tangeri e forse novembre in Algeri, perché possiate aiutarci a preparare questi incontri e versare i vostri contributi. (Relazione non rivista dall’autore) FRANCESCO ANGELINI Presidente della VII Commissione Politiche Sociali, Scuola e Cultura della Provincia di Lucca La Direttrice ha fatto quattro proposte molto concrete. Vediamo quanti tra di noi riusciranno a dare una mano. 116 MANUELA JUNTAS LOPEZ Rappresentante della Regione Andalusia Buona sera, ringrazio chi ha organizzato questo incontro per aver invitato l’Andalusia e anche per l’esito/risultato che ha ottenuto questa conferenza. Anche se non era stata prevista una traduzione dallo spagnolo, non voglio comunque andarmene da qui senza raccontarvi cosa succede in Andalusia per quanto riguarda il fenomeno dei minori migranti non accompagnati. Come sapete tutti, la nostra regione è la porta di accesso per questi minori, che ci arrivano con mezzi che mettono a rischio la loro vita e in una situazione di grande pericolo, con barche malandate: l’anno scorso arrivarono due navi solo di minori, una con 29 minori e l’altra con 24, che arrivando nel nostro paese si giocano la vita. I minori che arrivano sulle nostre coste hanno gli stessi diritti dei minori che sono sotto la protezione e la giurisdizione dell’Andalusia. Ieri qualcuno ha detto che ci sono problemi con l’assistenza sanitaria ai minori che hanno problemi psichiatrici: in Andalusia tutti i minori hanno diritto all’assistenza sanitaria, che è universale, e i minori migranti anche. Hanno diritto all’istruzione, ma il problema è che usano l’Andalusia di passaggio, non ci si fermano: arrivano sognando un mondo migliore e lo cercano scappando alla povertà delle loro famiglie, perché credo, infatti, che molti bambini partano istigati dalle proprie famiglie per avere una vita migliore. I minori arrivano da noi in condizioni di salute limite perché devono sopportare molto freddo nella traversata ed hanno anche problemi di bruciature a causa del gasolio della barca, fame, come è logico, e quindi la prima fase è quella dell’accoglienza, delle visite mediche. Il problema è che in media si fermano nove giorni e quando arrivano i risultati delle analisi mediche e sarebbero pronte le cure, già se ne sono andati. Il problema principale che ci preme è la protezione. Ai minori che si fermano si insegna un mestiere e quando sono maggiorenni possono usare questa esperienza. Se ci sono minori che hanno famiglia che raggiungono le nostre coste, si cerca di riunirli alle famiglie attraverso il consolato e si cerca la famiglia. Abbiamo anche degli intermediatori culturali nei centri di accoglienza che vanno facilitando i rapporti con i minori, non sempre semplici: i ragazzi, infatti, sanno che se hanno più di 18 anni sono automaticamente rimpatriati e così molte volte si deve fare la prova ossiometrica per sapere l’età. Molte volte si vedono ragazzi con la barba che dicono di essere minorenni, ma che, visto che non hanno documenti con loro, non sappiamo quale sia la verità. E anche la prova ossiometrica non è affidabilissima, perché lascia un margine di incertezza di 20 mesi e sappiamo che i ragazzi mentono perché l’ultima cosa che vogliono è tornare nelle loro famiglie. Altri, dopo aver passato lo Stretto di Gibilterra, si pentono e vogliono tornare indietro e piangono come bambini e non vogliono più continuare l’avventura iniziata. Altri minori si fermano in Andalusia e c’è un programma che si chiama di MAYORIA DE EDAD (della Maggiore Età), per coloro che erano stati seguiti da minori, ma che ora cominciano ad avere un po’ di autonomia: stanno con una persona che li tutela e imparano un mestiere o studiano e si integrano pian piano nella società. Si rispettano ovviamente le tradizioni culturali dei minori, come il Ramadan, i pasti sono come i loro e c’è rispetto della loro religione e cultura. A Tetuan abbiamo tre centri in cui i minori alloggiano e imparano un mestiere perché abbiano un futuro. Credo che il problema dei minori migranti si possa risolvere solo lavorando alla prevenzione in Marocco, perché per noi che stiamo in Europa tutto questo che facciamo per questi giovani è molto costoso e spesso è anche inutile, perché girano costantemente per l’Europa senza fermarsi in un paese. Dobbiamo prendere decisioni a livello della Unione Europea, per aiutare questi giovani ad imparare un mestiere nel loro paese. La soluzione sta nell’intensificare il lavoro in Marocco. (Relazione non rivista dall’autore) 117 FRANCESCO ANGELINI Presidente della VII Commissione Politiche Sociali, Scuola e Sport della provincia di Lucca Anche per loro i problemi sono tanti, anche se sono forse facilitati per il fatto che hanno in gran parte bambini marocchini, mentre nelle nostre realtà, come abbiamo visto dallo schema presentato dal Comune di Roma, abbiamo un ventaglio molto più vasto. DIBATTITO Intervento del Pubblico Un’informazione supplementare riguardante i bambini isolati che hanno dei progetti di migrazione. Notiamo sempre di più, l’arrivo di bambini che vengono da paesi Sub-sahariani, come Niger, Mali, Nigeria, Ghana, che utilizzano l’Algeria e anche il Marocco come paesi di transito. Prima erano soltanto uomini, ora ci sono più donne maggiorenni e si trovano molti minori tra di loro, che sono in difficoltà, per un motivo o, per un altro, per continuare il loro progetto e quindi rimangono bloccati in Algeria. Parlo dei candidati che vogliono emigrare in Europa e delle decine e decine di bambini. E quindi ci troviamo di fronte a una problematica nuova che va affrontata in modo diverso con l’apporto di tutti. CARLO CORONATO Rappresentante della Comunità Internazionale Bahai Sono Carlo Coronato della Comunità Internazionale Bahai che da anni è impegnata a livello mondiale, insieme all’UNICEF e quindi alle Nazione Unite, per affrontare queste problematiche che ormai non sono più di regioni o di nazioni, ma sono del mondo intero. Auspicherei che le organizzatori e le persone che in queste due giorni a Lucca hanno affrontato con molta competenza questa problematica, si facciano anche promotori verso le Nazione Unite di qusto problema. Dobbiamo capire che tutte le problematiche, dal terrorismo alla fame mondiale, non possono essere che risolte da un governo mondiale. Se non lottiamo tutti perché questo caos, questa confusione nel mondo non abbia un cervello che guida tutte le difficoltà dell’umanità, non riusciremo mai a risolvere con le azioni più forti che avranno sempre degli interessi economici da portare avanti a tutti i livelli e dimenticandosi dei diritti umani, e soprattutto dei più deboli, quindi, dei bambini. Io direi che tutti noi nel nostro cuore e nella nostra azione dovremmo portare avanti questo discorso di dotarci finalmente di un potere sopranazionale perché né le nazioni né le religioni, se non trovano una via di unità, di concordia, di dialogo vero, non riescono più a dare risposte valide a questi problemi. DAVID PELLEGRINI Assessore alle Politiche Sociali e Giovanili della Provincia di Lucca Mi sembra che questi due giorni sia emerso, come già era scontato, che la realtà dell’argomento che abbiamo affrontato è sicuramente molto complessa, differenziata anche da paese a paese e quindi non si possono fare delle generalizzazioni, tanto più non me la sento io di farle come conclusioni. Sono un piccolo Assessore di provincia e di fronte a questi problemi mi sento un po’ schiacciato; però voglio dare il mio contributo, non mi tiro indietro di fronte a alcune cose che sono state dette. Soprattutto consentitemi una piccola generalizzazione sulla necessità della presa in carico delle singole situazioni e della loro diversità, questo che credo che sia un po’ il problema centrale, con 118 modalità diverse, ma sicuramente la necessità di avvertire il problema e che ciascuno, in funzione del ruolo che ricopre, tenti di dare la risposta più ampia possibile. Però vorrei anche che ognuno misurasse le forze per non fare dei proclami, aver la presunzione di mettere delle bandierine, dell’etichette per essere migliore o peggiore degli altri. Quindi, un invito anche al realismo. Proprio per essere realisti, io nelle conclusioni, parto della cosa più realistica: la pubblicazione degli atti di queste due giornate. Questo è la cosa che sicuramente mi sento in grado di assicurare perché c’è la necessità da parte di tutti di capire meglio, anche per la difficoltà talvolta anche della lingua, la profondità di tanti interventi che sono stati fatti, e ognuno per ripensare al proprio ruolo. Abbiamo voluto in questa Conferenza una partecipazione forte della Rete REMI e quindi io raccolgo l’invito che veniva fatto di dare un contributo nostro come Provincia e come firmatari dell’accordo tra gruppi, a rendere più istituzionale questa Rete e quindi a dare una sorta di statuto che possa essere una base per avere nuove adesioni, non formali ma sostanziali, adesioni di altre istituzioni che vogliono approfittare di questa Rete per approfondire le problematiche, per conoscere meglio le realtà, per un maggior confronto tra le diverse pratiche, tra Stato e Stato, tra realtà e realtà, così da rispondere anche localmente in modo più adeguato ai bisogni. Sicuramente io vedo in questo rafforzamento della Rete REMI un aiuto per un miglio rapporto tra gli stati, perché è vero quello che veniva detto nell’ultimo intervento, anche in direzione delle Nazione Unite, però credo che governo globale e governo locale debbano in qualche modo procedere di pari passo. Non ci possono essere delle imposizioni dall’alto, ma una costruzione anche di tante realtà che poi probabilmente le due direzioni si devono incontrare in qualche modo. Allora il fatto di aggregare nuove realtà credo che può servire per risolvere poi problemi anche a livello locale. Il reperimento di nuove risorse, perché in fondo se è vero che alcuni progetti richiedono meno risorse, altri ne richiedono di più, a seconda anche dello Stato, quindi è necessario anche un’autocritica sull’utilizzo delle risorse, ma comunque quantomeno di risorse è giusto anche parlare, perché in fondo sono scelte anche politiche dove mettiamo le risorse. Su questo credo che è importante acquisire più forza da parte di una rete, di un contesto, perché le risorse vengono messe anche in questo settore e per fare, soprattutto un’opera di formazione-informazione. In questo credo che non si può prescindere dall’apporto, ad esempio in Italia, del volontariato, del terzo settore (credo che questi termini hanno degli omologhi negli altri stati). Io come rappresentante di un’istituzione pubblica credo ovviamente nel valore, nell’importanza delle scelte però credo anche che per un’effettiva presa in carico a 360 gradi il pubblico non è sufficiente da solo, non può arrivare là dove, invece, tante associazioni possono fare molto di più, non con una delega, ma con un rapporto di collaborazione dove ognuno fa il proprio ruolo a pieno. C’è già un impegno di elaborare una bozza di statuto, di farlo conoscere a tutti i membri della Rete attuale, in modo che ognuno possa aggiungere, correggere, dare il proprio contributo, e sicuramente nel prossimo mese di maggio o non oltre l’estate, sia possibile arrivare a individuare quale possa essere la forma anche burocratica, tra virgolette, per dare questa collaborazione tra diversi soggetti, con modalità diverse, anche tra ruolo più politico, ruolo più collaborativo con le associazioni. Sicuramente sono aspetti da approfondire nell’ottica di un’efficacia maggiore e di una risposta al bisogno. Non mi vedrebbero coinvolto se fosse solo per avere delle etichette da mettere, perché deve essere tutto nell’ottica di una effettiva risposta a dei bisogni. Infine a livello più nostro, la Regione Toscana che è uno dei partner della Rete REMI, ci chiedeva come Provincia, di darle una mano a livello regionale per una maggiore collaborazione con tutte le province della Regione. Questo interessa meno, forse, agli amici delle altre regioni, però mi pare un altro risultato, forse più a scala locale, che ritengo possa essere importante per un coinvolgimento di una rete più efficace a livello locale tra le province e almeno tra i maggiori comuni della Regione Toscana. In particolare questo collegamento potrà essere realizzato anche per la prossima Conferenza dell’Immigrazione, che stamattina il Vicepresidente Passaleva ha annunciato per il prossimo ottobre, dove il gruppo di lavoro regionale per la preparazione di questa Conferenza e in particolare per la 119 trattazione dell’argomento nostro, sui minori stranieri non accompagnati, credo che debba trovare un momento di collegamento anche con la Rete REMI nella quale la stessa Regione è a pieno titolo inserita. Per non moltiplicare e differenziare le cose, ma utilizzare al meglio gli strumenti che ci sono, anche con una razionalizzazione delle risorse. Perché se no, si moltiplicano le riunioni, si moltiplicano i discorsi. Credo che il lavoro di questi due giorni sia prezioso anche per portarlo avanti, non ricominciare sempre da capo, ma vedere come poter continuare un percorso. Credo che queste siano le cose realistiche che forse deluderanno qualcuno, ma io preferisco essere abbastanza realistico e con i piedi per terra. Credo che su questo è possibile tentare di fare un lavoro insieme e continuare il percorso facendo delle verifiche anche man mano che andiamo avanti, per non commettere errori, ma per avere un consenso generale, sia dei paesi che in genere sono paesi che accolgono, come anche dei paesi da cui provengono questi ragazzi, e quindi per questo aiuto, interscambio di mentalità che è una sorta di contaminazione reciproca, però che aiuta sicuramente a trovare le soluzioni che non sono forse né dell’uno né dell’altro ma che favoriscono la realizzazione dei progetti di vita dei ragazzi, e sento in modo particolare a partire del mio territorio, della Provincia di Lucca. Grazie a tutti della partecipazione e vediamo, con i prossimi appuntamenti, di continuare la discussione e la realizzazione anche di qualche proposta concreta. 120 Protocollo d’intesa per la protezione dei minori isolati tra le città, i dipartimenti, le province e le regioni euromediterranee: PREAMBOLO Le sottoscritte collettività, facenti parte dei paesi firmatari della Convenzione Internazionale dei diritti dell'infanzia, prendendo atto del crescente numero di minori isolati ed erranti presenti nei loro territori che vivono in condizioni di grave pericolo per la propria integrità fisica e morale, in quanto privati della protezione naturale delle loro famiglie, diventano facile preda di una pluralità di reti criminali di sfruttamento, convengono di creare un sistema comune di protezione e di assistenza di questi bambini in conformità alle disposizioni della Convenzione Internazionale ed in modo particolare degli art. 2,3, 4 e 5. I partner convengono di creare un sistema comune denominato "REMI Rete euro mediterranea per la protezione dei minori isolati" I componenti di questa rete si impegnano a : sensibilizzare gli stati interessati dal fenomeno dell'erranza e dello sfruttamento dei giovani da parte di reti criminali; apportare un aiuto al trattamento di situazioni individuali dei minori interessati, attraverso lo scambio di informazioni e del saper fare di gruppi locali; assicurare il raccordo tra i gruppi educativi dei paesi interessati; organizzare delle sessioni di formazione internazionali comuni per il personale che si occupa di queste situazioni: assistenti sociali del settore pubblico e associativo, magistrati, polizia e funzionari. Ogni anno si terrà una riunione plenaria in una delle collettività firmatarie per fare il bilancio dell'attività e fissarne gli orientamenti futuri. 121 INDICE PRESENTAZIONE ..............................................................................................................................1 CONFERENZA SUI MINORI MIGRANTI NON ACCOMPAGNATI ............................................3 1° GIORNO – 30 MARZO 2004 ..........................................................................................................7 ANDREA TAGLIASACCHI Presidente della Provincia di Lucca ......................................................................................................7 ROSSANA SEBASTIANI Dirigente Servizio Politiche Sociali e Sport della Provincia di Lucca .................................................8 CRISTINA ROSSETTI Funzionario Area Socio-Assistenziale Minori della Regione Toscana ........................................ 8 ROSSANA SEBASTIANI Dirigente Servizio Politiche Sociali e Sport della Provincia di Lucca ....................................... 11 BENKHDIM SUED Docente comunicazione interculturale Università Càfoscari di Venezia ................................... 13 ROSSANA SEBASTIANI Dirigente Servizio Politiche Sociali e Sport della Provincia di Lucca ...............................................16 JOSEPH MORYERSOEN Coordinatore Segretario di ChildONEurope Consulente legale presso l’Istituto degli Innocenti .... 17 STEFANO SCARPELLI Responsabile Amministrativo del Comitato Minori Stranieri ................................................. 28 CRISTINE BARTOLOMEI Presidente del Tribunale dei Minori di Marsiglia ..............................................................................32 STEFANO SCARPELLI Responsabile Amministrativo del Comitato Minori Stranieri ............................................................32 CRISTINE BARTOLOMEI Presidente del Tribunale dei Minori di Marsiglia ...............................................................................33 STEFANO SCARPELLI Responsabile Amministrativo del Comitato Minori Stranieri ............................................................33 CRISTINE BARTOLOMEI Presidente del Tribunale dei Minori di Marsiglia ...............................................................................33 STEFANO SCARPELLI Responsabile Amministrativo del Comitato Minori Stranieri ............................................................33 CRISTINA ROSSETTI Funzionario della Regione Toscana dell’ Area Socio-Assistenziale Minori .....................................33 BENKHDIM SUED Docente comunicazione interculturale Università Cafosacri di Venezia............................................34 JOSEPH MORYERSOEN Coordinatore Segretariato di ChildONEurope Rete Europea degli Osservatori Nazionali sull’Infanzia-Istituto degli Innocenti...................................................................................................34 PATRIZIO PETRUCCI Assessore ai rapporti con il Volontariato della Provincia di Lucca ...................................................41 IMMIGRATO MAROCCHINO.........................................................................................................41 PATRIZIO PETRUCCI Assessore ai rapporti con il Volontariato della Provincia di Lucca ....................................................41 GIOVANNA GIANNASI Rappresentante Segreterie Tecniche delle Articolazioni Zonali delle Conferenze dei Sindaci..........41 122 PATRIZIO PETRUCCI Assessore ai rapporti con il Volontariato della Provincia di Lucca ....................................................43 SARA VITALI Rappresentante delle Associazioni del Territorio della Provincia di Lucca .......................................43 FEDERICO FAMBRINI Rappresentante delle Associazioni del territorio della Provincia di Lucca ........................................43 SARA VITALI Rappresentante delle Associazioni del territorio della Provincia di Lucca ........................................44 FEDERICO FAMBRINI Rappresentante delle Associazioni del territorio della Provincia di Lucca ........................................45 PATRIZIO PETRUCCI Assessore ai rapporti col Volontariato della Provincia di Lucca ........................................................46 SONIA RIDOLFI Rappresentante delle Comunità per i minori del territorio della Provincia di Lucca ........................46 PATRIZIO PETRUCCI Assessore ai rapporti col Volontariato della Provincia di Lucca ........................................................49 SONIA RIDOLFI Rappresentante delle Comunità dei Minori del territorio della Provincia di Lucca ...........................49 OPERATORE SOCIALE FRANCESE..............................................................................................49 CRISTINA ROSSETTI Funzionario dell’Area Socio-Assistenziale Minori della Regione Toscana .......................................50 NELITA BEGLIUOMINI Coordinatrice della Segreteria Tecnica della Zona Piana di Lucca ....................................................50 SONIA RIDOLFI Rappresentante delle Comunità per i minori del territorio della Provincia di Lucca .........................51 VOLONTARIA del VILLAGGIO del FANCIULLO ........................................................................51 CARLA BONETTI Operatrice della Cooperativa Crea ......................................................................................................52 OPERATORE SOCIALE FRANCESE..............................................................................................52 SUOR BARBARA OLIVIERI Volontaria del GVAI...........................................................................................................................52 ELEONORA VANNI Operatrice della Cooperativa Crea ......................................................................................................53 SARA VITALI Rappresentante delle Associazioni del territorio della Provincia di Lucca ........................................53 SONIA RIDOLFI Rappresentante delle Comunità di minori del territorio della Provincia di Lucca..............................53 Operatore sociale di una Cooperativa di Napoli .................................................................................54 ELIO MOSCARIELLO Assistente Sociale del Comune di Lucca ............................................................................................54 OPERATORE SOCIALE FRANCESE..............................................................................................55 CRISTINA ROSSETTI Funzionario Area socio-Assistenza Minori della Regione Toscana ...................................................55 SONIA RIDOLFI Responsabile delle Comunità per minori del territorio della Provincia di Lucca ...............................56 PATRIZIO PETRUCCI Assessore ai rapporti con il Volontariato della Provincia di Lucca ....................................................56 OPERATORE SOCIALE ...................................................................................................................57 MEDIATORE CULTURALE del Centro di Pronta Accoglienza di Pontedera ..................................................................................57 123 ANNA LISA FACCINI Funzionario del Comune di Bologna ..................................................................................................59 PATRIZIO PETRUCCI Assessore ai rapporti col Volontariato della Provincia di Lucca ........................................................60 ADONELLA GUIDI Educatrice della Cooperativa Sociale “Il Progetto” ............................................................................60 ADONELLA GUIDI Educatrice della Cooperativa Sociale “Il Progetto” ............................................................................62 BIANCAMARIA CIGOLOTTI Funzionaria dell’Ufficio Politiche Sociali della Provincia di Lucca .................................................63 OPERATRICE SOCIALE ..................................................................................................................64 ADONELLA GUIDI Educatrice della Cooperativa Sociale “Il Progetto” ............................................................................65 BIANCAMARIA CIGOLOTTI Funzionaria Ufficio Politiche Sociali e della Provincia di Lucca .......................................................65 2 GIORNO - 31 MARZO 2004 ..........................................................................................................67 DAVID PELLEGRINI Assessore Provinciale alle Politiche Sociali e Giovanili della Provincia di Lucca.............................67 ANGELO PASSALEVA Vicepresidente della Regione Toscana ...............................................................................................67 GUILLAUME THIÉRIOT Consigliere del Presidente della Regione PACA ................................................................................71 DAVID PELLEGRINI Assessore alle Politiche Sociali e Giovanili della Provincia di Lucca................................................75 ANTONIO TORRE Vice Presidente della Provincia di Lucca ...........................................................................................75 DAVID PELLEGRINI Assessore Politiche Sociali e Giovanili della Provincia di Lucca.......................................................77 CHERIF BENAUDA Coordinatore UNICEF di Algeri.........................................................................................................77 MADAME KARADJA Presidente dell’Ansedi- Rappresentante Rete euro-mediterranea per la protezione dei Minori Isolati.....................................................................................................79 ABDELOUAHED AZIBOU MOKRAI Presidente dell’Associazione Tadamoun di Tangeri...........................................................................84 MALIK KOUDIL Educatore dell’ Associazione “Giovani Erranti “di Marsilia..............................................................87 DAVID PELLEGRINI Assessore alle Politiche Sociali e Giovanili della Provincia di Lucca................................................89 VALERIA ROSSATO Rappresentante del Volontariato Internazionale dello Sviluppo.........................................................89 DAVID PELLEGRINI Assessore alle Politiche sociali e Giovanili della Provincia di Lucca ................................................91 ANNA BINI Dirigente Area Socio Assistenziale del Comune di Firenze ...............................................................92 DAVID PELLEGRINI Assessore alle Politiche Sociali e Giovanili della Provincia di Lucca................................................95 CRISTINE BARTOLOMEI Presidente del Tribunale dei Minori di Marsiglia ...............................................................................95 124 ANNA BINI Dirigente Area Socio Assistenziale del Comune di Firenze ...............................................................95 GUILLAUME THIÉRIOT Consigliere del Presidente della Regione PACA ................................................................................96 FRANCESCO ANGELINI Presidente VII Commissione Politiche Sociali, Scuola e Cultura della Provincia di Lucca ..............96 GIOVANNA SAMMARCO Responsabile dell’ Ufficio Tutela Pubblica del Comune di Roma ....................................................97 FRANCESCO ANGELINI Presidente VII Commissione Politiche Sociali, Scuola e Cultura della Provincia di Lucca ............105 VANNA POLI Pedagogista responsabile programma Minori Stranieri Comune di Modena ...................................105 GRAZIA STEFANINI Ricercatrice del Consorzio Pluriverso e consulente del Comune di Modena per il progetto “Minori Stranieri”......................................................................................................107 FRANCESCO ANGELINI Presidente VII Commissione Politiche Sociali, Scuola e Cultura della Provincia di Lucca ............109 NAZIHA HARRAK Magistrato della Corte Suprema presso il Gabinetto del Ministero della Giustizia del Marocco ....109 FRANCESCO ANGELINI Presidente VII Commissione Politiche Sociali, Scuola e Cultura della Provincia di Lucca ............112 DOMINIQUE LODWICK Direttrice dell’Associazione”Giovani Erranti” di Marsiglia.............................................................112 FRANCESCO ANGELINI Presidente della VII Commissione Politiche Sociali, Scuola e Cultura della Provincia di Lucca....116 MANUELA JUNTAS LOPEZ Rappresentante della Regione Andalusia..........................................................................................117 FRANCESCO ANGELINI Presidente della VII Commissione Politiche Sociali, Scuola e Sport della provincia di Lucca .......118 CARLO CORONATO Rappresentante della Comunità Internazionale Bahai ......................................................................118 DAVID PELLEGRINI Assessore alle Politiche Sociali e Giovanili della Provincia di Lucca..............................................118 Protocollo d’intesa per la protezione dei minori isolati tra le città, i dipartimenti, le province e le regioni euromediterranee:.......................................................................................121 125