atti della conferenza sui minori non accompagnati

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atti della conferenza sui minori non accompagnati
ATTI DELLA CONFERENZA
SUI MINORI NON ACCOMPAGNATI
PRESENTAZIONE
Il fenomeno migratorio verso l’Europa e più in generale verso i paesi ricchi, è destinato ad accentuarsi,
soprattutto se non riusciremo a promuovere uno sviluppo effettivo dei paesi più poveri. Nessun Stato
per quanto forte e organizzato è finora riuscito a dare risposte adeguate ed efficaci a questa ondata di
immigrati, che è costituita sempre più da persone giovani, spesso minorenni.
Nelle loro migrazioni, a volte involontarie, i minori stranieri vivono in una condizione di abbandono
ed illegalità che li espone al rischio di abusi, sfruttamento ed emarginazione sociale.
Ciò richiede alle Amministrazioni locali e a quanti si occupano a diverso titolo di minori, nuove
modalità di lavoro per rispondere ai bisogni di questi nuovi cittadini.
È quindi quanto mai urgente ed importante progettare interventi efficaci, in grado di garantire una
reale integrazione dei minori migranti.
La Regione Toscana ha richiesto ad ogni Provincia del territorio di approfondire una tematica relativa
ai cittadini stranieri, in preparazione alla Conferenza regionale sull’immigrazione e questa
Amministrazione ha ritenuto importante affrontare quella dei minori stranieri non accompagnati.
Nasce così l’idea di una Conferenza sui minori migranti che sia anche punto di incontro della Rete
REMI (Rete Euro-Mediterranea per la protezione dei Minori isolati) il cui obiettivo è quello di creare
un sistema comune di assistenza dei minori non accompagnati in conformità alle disposizioni della
Convenzione Internazionale sui diritti dell’Infanzia; rete per la quale la Regione Toscana e la
Provincia di Lucca hanno firmato un protocollo d’intesa che le impegna ad azioni di sensibilizzazione
e alla promozione di momenti di formazione e scambio di buone pratiche tra quanti si occupano di
queste situazioni.
L’obiettivo della Conferenza è quello di affrontare questa tematica per analizzarne gli aspetti
legislativi, organizzativi, di buone prassi in modo da individuare strategie di risposta comuni ed
efficaci nella costruzione di prospettive reali per minori.
La pubblicazione degli atti della Conferenza è una prima azione per affrontare con maggiori
conoscenze una problematica particolarmente delicata e complessa.
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CONFERENZA
SUI MINORI MIGRANTI NON ACCOMPAGNATI
Lucca
Palazzo Ducale Sala Maria Luisa - Sala Accademia 1
30-31 Marzo 2004
1 Giorno 30 MARZO 2004
Ore 9, 00
Saluti Autorità
Coordina Rossana Sebastiani
Dirigente Servizio Politiche Sociali e Sport Provincia di Lucca
9,30
Apertura dei lavori
Intervengono:
Andrea Tagliasacchi
Presidente della Provincia di Lucca
Cristina Rossetti
Funzionario Area Socio-Assistenziale Minori della Regione Toscana
Chi è il minore
Introduzione audiovisiva a cura di Marco Vanelli
Cineforum Cinit “Ezechiele 21,17”
Benkhdim Sued
Docente comunicazione interculturale Università Càfoscari di Venezia
“I modelli educativi e culturali dei minori migranti non accompagnati”
11,30
Il quadro legislativo in materia di minori stranieri
Intervengono:
Joseph Moryersoen
Coordinatore Segretariato di ChildOnEurope Rete Europea degli Osservatori Nazionali
sull’Infanzia – Istituto degli Innocenti
”L’evoluzione della normativa sui minori stranieri non accompagnati”
Stefano Scarpelli
Responsabile Amministrativo del Comitato Minori Stranieri
DIBATTITO
Joseph Moryersoen
Coordinatore Segretariato di ChildONEurope Rete Europea degli Osservatori Nazionali
sull’Infanzia – Istituto degli Innocenti
“Accoglienza e integrazione dei minori migranti non accompagnati nei paesi
dell’Unione Europea”
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Coordina Patrizio Petrucci
Assessore ai rapporti con il Volontariato della Provincia di Lucca
15,15
Il quadro Organizzativo in materia di minori stranieri non accompagnanti
Intervengono:
Giovanna Giannasi
Rappresentante Segreterie Tecniche delle Articolazioni Zonali delle Conferenze dei
Sindaci
“Il Servizio Sociale a tutela del Minore Straniero”
Federico Fambrini e Sara Vitali
Rappresentanti delle Associazioni del territorio
“Le Associazioni: accoglienza e integrazione dei minori non accompagnati”
Sonia Ridolfi
Rappresentante delle Comunità per i minori del territorio
“Le comunità per minori nella realtà della Provincia di Lucca”
DIBATTITO
21,00
Adonella Guidi
Educatrice della Cooperativa Sociale “Il Progetto”
“Separated Children in Italy: ragazzi che scelgono il loro futuro”
Presentazione del Video e dei risultati del Progetto a cura di Save the Children e della
Coop. Sociale “Il Progetto”
2 GIORNO 31 MARZO 2004
9, 00
Apertura dei lavori
Coordina David Pellegrini
Assessore Politiche Sociali e Giovanili della Provincia di Lucca
Intervengono:
Angelo Passaleva
Vice Presidente della Regione Toscana
Guillaume Thiériot
Consigliere del Presidente della Regione PACA
Antonio Torre
Vice Presidente della Provincia di Lucca – Assessore al Lavoro e alla Formazione
Professionale
Benauda Cherif
Coordinatore UNICEF di Algeri
Ore 10,30
Buone Prassi per i minori migranti non accompagnati
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Intervengono:
Madame Karadja
Presidente dell’Associazione Ansedi – Rappresentante Rete euro-mediterranea per la
protezione dei Minori Isolati
“Minori Stranieri algerini: l’immigrazione clandestina verso la Spagna”
Mokrai Azibou
Presidente dell’Associazione Tadamoun di Tangeri
Malik Koudil
Educatore dell’Associazione “Giovani erranti” di Marsilia
Rappresentanti Rete euro-mediterranea per la protezione dei Minori Isolati
“Sostegno alle famiglie dei minori non accompagnanti”
Valeria Rossato
Rappresentante del VIS - Volontariato Internazionale per lo Sviluppo
“Tutela e promozione umana dei minori migranti non accompagnati”
ore 15,00
Coordina Francesco Angelini
Presidente VII Commissione Politiche Sociali, Scuola e Cultura
Anna Bini
Dirigente Area D’Intervento Socio Assistenziale del Comune di Firenze
“L’Esperienza dei minori stranieri non accompagnati del Comune di Firenze”
Giovanna Sammarco
Responsabile Ufficio Tutela Pubblica del Comune di Roma
“Azione di sistema per gli interventi a favore dei minori stranieri non accompagnanti”
M. Vanna Poli
Pedagogista Responsabile Programma minori stranieri del Comune di Modena
Grazia Stefanini
Ricercatrice Consorzio Pluriverso e consulente del Comune di Modena per il Progetto
“Minori Stranieri”
"L’esperienza del Comune di Modena sui minori stranieri non accompagnati”
Madame Harrak
Magistrato della Corte Suprema presso il Ministero della Giustizia del Marocco
“Dispositivi normativi sull’infanzia e la famiglia in Marocco”
Meriem Belala – Presidente dell’Associazione Femmesen Detresses dell’Algeria e
Dominique Lodwik – Direttrice dell’Associazione Giovani Erranti di Marsilia
“Prospettive di Cooperazione in Algeria”
DIBATTITO
18,00
Conclusioni a cura di David Pellegrini
Assessore Politiche Sociali e Giovanili della Provincia di Lucca
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1° GIORNO – 30 MARZO 2004
ANDREA TAGLIASACCHI
Presidente della Provincia di Lucca
Ringrazio tutti i presenti, tutti coloro che parteciperanno a questo dibattito, la Dottoressa
Sebastiani, gli assessori, l’assessore Pellegrini, l’assessore Torre, che hanno lavorato per questa
iniziativa, che mi sembra molto importante. L’Amministrazione Provinciale sta dando grande
importanza, perché è una scelta di fondo a cui crediamo molto, al ruolo che, nel mondo globale,
possono svolgere le comunità locali, per affrontare questioni che in realtà, se le guardiamo come ci
sono presentate attraverso i mass-media, sono disarmanti e scoraggianti.
C’è un ruolo che non riguarda soltanto le grandi nazioni, ed è il ruolo delle comunità locali, delle
relazioni fra comunità locali per costruire una comunità solidale, per riuscire ad affrontare con
concretezza alcuni problemi del mondo di oggi.
Sicuramente la scelta di fondo è una scelta che pensa ad una comunità allargata, una comunità
solidale, che mette al centro i valori della tolleranza, del rispetto degli altri e soprattutto della pace,
perché se riuscissimo a dirottare tutte le nostre energie intellettuali, umane, verso questi obiettivi,
molto probabilmente anche il problema che abbiamo di fronte in questo convegno potrebbe essere
affrontato con più determinazione. Non dico con più ottimismo, perché la speranza è forte, credo, in
tutti noi.
C’è una frase di Tonino Guerra che mi ha sempre colpito fin da quando ho fatto la scelta di
impegnarmi in politica " per essere dei buoni governanti bisognerebbe riuscire a tornare
bambini." In realtà è una frase provocatoria ma per certi versi non è mai così attuale come nel mondo
di oggi; in realtà Tonino Guerra pronunciò questa frase in un momento drammatico della storia
dell’umanità, la seconda guerra mondiale e quindi nel momento delle grandi tragedie ad essa
collegate. In fondo il mondo in cui viviamo oggi è un mondo che ha questo tipo di dimensioni e in
molti viaggi che noi abbiamo fatto come Amministrazione Provinciale ci è spesso capitato in tanti
paesi di vedere che i minori sono i più colpiti delle guerre di oggi, che coinvolgono e colpiscono
sempre di più i civili e i bambini. Mi è capitato di vederlo in Sud America, in Algeria, in tante realtà
del mondo. E di fronte a queste grandi ingiustizie anche fenomeni come quello dell’emigrazione e
dell’immigrazione è evidente che ci ripropongono lo stesso tema. Inoltre dobbiamo costatare che nel
mondo occidentale non siamo preparati ad affrontare un problema come quello dell’immigrazione. È
strano, se pensiamo che, prima di altri, anche noi siamo stati un popolo di migranti. Ma queste sono
cose che fanno parte della nostra storia e che spesso ci dimentichiamo. In realtà le cose che poi
incidono nelle scelte quotidiane, in quelle dei governi, spesso sono velate da forti pregiudizi e quindi
credo che diventi fondamentale il ragionamento che facevo all’inizio: la forza delle comunità, la forza
del cittadino consapevole che metta al centro i valori della tolleranza, della pace, della solidarietà.
Bisogna essere consapevoli di che cosa sta dietro allo sradicamento di un popolo, di un cittadino e
soprattutto al possibile sradicamento dalla propria comunità di un bambino. Non c’è solo una
dimensione politica, c’è anche una dimensione psicologica, perché in realtà il bambino è molto più
fragile, molto più sensibile e vede il mondo con occhi che ormai forse noi abbiamo dimenticato e
quindi una ferita può essere molto più profonda. Credo che lo sradicamento di un minore dalla propria
terra, dalla propria famiglia, dalle proprie abitudini sia qualche cosa di inimmaginabile dal punto di
vista psicologico. Una comunità che dovrebbe accogliere queste persone e che non si pone queste
questioni non può dirsi una comunità civile. Bisognerebbe farlo presente anche con maggiore
provocazione alle sceneggiate che ci vengono tutti i giorni proposte nei talk-show della nostra
televisione nei nostri mass-media. Credo che il tema che affrontiamo stamattina sia un grande tema e
noi siamo convinti e consapevoli che moltissime persone, associazioni e professionalità che stanno
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negli Enti pubblici, negli Enti locali, nelle Comunità, nelle Associazioni del Volontariato, possano fare
tanto in questa direzione.
Credo che i lavori di questi giorni possano essere un segnale forte in questa direzione, anche di
valutazione attenta di leggi, di proposte e di iniziative, perciò vi ringrazio nuovamente per aver
partecipato a questo convegno e auguro buon lavoro a tutti. Grazie.
ROSSANA SEBASTIANI
Dirigente Servizio Politiche Sociali e Sport della Provincia di Lucca
Grazie al Presidente per le sue parole. Io vorrei fare presente che questa conferenza nasce da una
collaborazione con la Regione Toscana, perché in preparazione della Conferenza regionale che si terrà
in autunno a Firenze è stato chiesto alle Province toscane un impegno sia nell’ambito dell’attività
dell’Osservatorio proprio per conoscere in modo più profondo il fenomeno migratorio, sia a livello
qualitativo che quantitativo ed anche un approfondimento da parte di ogni Provincia su una tematica
particolare. La Provincia di Lucca in base anche ad esperienze passate di approfondimento su questa
tematica e alla stipula di un protocollo al quale partecipano la Regione Toscana e diverse realtà sia
italiane che straniere, per la costituzione della “Rete Euro-Mediterranea Minori Isolati”, ha deciso di
approfondire la tematica dei minori non accompagnati.
Prende ora la parola la Dottoressa Cristina Rossetti della Regione Toscana.
CRISTINA ROSSETTI
Funzionario Area Socio-Assistenziale Minori della Regione Toscana
Sostituisco la Dirigente, Dottoressa Faenzi che stamattina per altri impegni istituzionali non ha
potuto partecipare; mi occupo, come funzionario regionale, dell’Area Socio-Assistenziale Minori un
argomento molto attinente alla discussione di oggi, attinente, e non esclusivo, come spiegherò
successivamente .
Giustamente il Presidente della Provincia richiamava prima alla realizzazione dei diritti dei minori
perché oggi parliamo tanto dei diritti dei minori, la letteratura, anche giuridica, ormai ha fatto dei
passi notevoli avanti nel decantare, scrivere sui diritti dei minori, però poi sappiamo benissimo quanto
sia difficile realizzarli. È molto più facile enunciarli che poi attuarli con azioni e opportunità precise
soprattutto per quanto riguarda i minori stranieri non accompagnati. Perché se è già difficile garantire i
diritti ai cittadini e in particolare ai cittadini minori ancora di più la complessità, i bisogni, le risorse e
le risposte che dobbiamo affrontare tutti insieme per cittadini minori stranieri non accompagnati è
ancora più articolata e complessa. Ma perché questi minori, questi ragazzi vengono in Italia? Molto
spesso ormai le comunità per minori sono occupate principalmente da minori stranieri non
accompagnati, molti sono in carcere e ciò contribuisce a dare un’immagine di devianza di questi
minori. Però sappiamo benissimo che questi ragazzi anche se vanno in carcere non possono usufruire
di alcuna forma alternativa come i nostri ragazzi per cui se, sono soli e incappano in esperienze
negative è chiaro che la prima risposta per loro diventa il carcere. Ma molti ragazzi vengono nel nostro
paese soprattutto perché si trovano in gravi ristrettezze economiche, vengono per costruirsi un futuro,
però poi la situazione, come diceva il Presidente della Provincia, non è facile. Si trovano lontani dai
loro contesti di vita, si trovano da soli privi anche di tutele giuridiche, un aspetto molto grosso da
affrontare prima ancora della tutela assistenziale.
Sappiamo benissimo che per la legge 149 anche se questi ragazzi vanno in comunità il tutore non
può essere più il responsabile della comunità per minori. Ma qui si apre una questione molto grossa
riguardo le tutele, perché la prima garanzia per il ragazzo che è solo è la tutela giuridica. A chi poi
affidare la tutela giuridica? Questa rappresenta gli interessi del minore a 360 gradi, solo
successivamente entra in campo la tutela assistenziale.
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La Regione Toscana già con la legge regionale 72 del 1997 aveva previsto in un articolo di legge
l’Ufficio di Pubblica Tutela, riguardante tutti gli aspetti dei cittadini che si trovano in difficoltà con
un’attenzione particolare anche ai minori. Questo ufficio è ancora in fase di elaborazione perché la
realizzazione è molto complessa e articolata. Oggi è molto più attuale anche la discussione perché
conoscete le proposte nazionali sul garante dei minori e in particolare sul garante a livello nazionale e
a livello regionale, non tutti sono d’accordo su questa figura unica perché considerata troppo debole
come rappresentanza degli interessi dei cittadini in generale e dei cittadini minori nello specifico, per
cui si riapre tutta la discussione rispetto all’ufficio di pubblica tutela.
La legge regionale 72 del ’97, che riguardava proprio l’organizzazione dei servizi socioassistenziali nella nostra regione, non solo ha dedicato uno spaccato importante alle politiche per
l’infanzia e per l’adolescenza; (la Toscana è ricca di servizi per i minori sia quelli diretti alla
normalità, pensiamo a tutta la rete degli asili nido, le scuole materne, servizi di supporto alla
genitorialità); ma è anche ricca di servizi per quei minori che si trovano in difficoltà. Tutta la rete dei
servizi di sostegno alle famiglie di origine, l’affidamento familiare per i bambini che non possono
rimanere nel proprio ambiente, le comunità per minori, tutto il lavoro che abbiamo fatto sull’adozione,
anche se degli obbiettivi raggiunti non ci dobbiamo mai gloriare, ma dobbiamo sempre essere critici
per andare avanti e per essere in grado di tutelare maggiormente i diritti dei minori.
Sulla questione specifica dei minori stranieri, la legge 72 aveva dedicato molta attenzione…
(“aveva”, perché è in atto una revisione alla legge regionale 72), all’infanzia e all’adolescenza, e già,
nel ’97, garantiva le risposte anche ai cittadini minori stranieri non accompagnati. In un articolo,
(l’articolo 3 della legge 72), si dice che i minori stranieri non accompagnati hanno diritto alle stesse
prestazioni dei minori cittadini italiani. Quindi, già nel ’97 la legge regionale aveva enunciato il
principio che i minori stranieri dovevano essere tutelati a pieno titolo.
Purtroppo fra i principi e le realizzazioni, ci sono vari interconnessioni fra le quali molto
importanti sono chiaramente le risorse economiche. I minori stranieri non accompagnati fanno parte
del fenomeno migratorio in generale. Su questo punto, non c’è mai stata chiarezza a chi poi devono
fare riferimento e non è una questione di poco conto. Se devono far parte, come sostiene anche
l’ANCI e la regione Toscana, del fenomeno immigratorio, è chiaro allora che nella legge
sull’immigrazione dovrebbe esser compresa anche una quota di risorse da destinare al fenomeno dei
minori stranieri non accompagnati. Altrimenti si rischia di far ricadere sui bilanci sociali tutte le
situazioni dei minori in difficoltà, non avendo fondi specifici da destinare a questi settori d’intervento.
La legge 285 aveva dato un respiro molto ampio all’articolo 4, cioè alle risposte socio-assistenziali per
i minori. Ora, giustamente, la 285 è confluita nel fondo delle politiche sociali nazionali, però il
fenomeno dei minori stranieri, che è un fenomeno molto ampio, non è mai stato considerato da un
punto di vista di risorse. D’altro canto, però, gli Enti Locali, anche se non hanno avuto finanziamenti
specifici, hanno dato grosse risposte ai bisogni dei minori, associando alle risposte dei bisogni anche
le risorse economiche. Pensiamo a tutti gli inserimenti che sono stati fatti anche nelle comunità per
minori, con dei progetti di intervento individualizzati. Qui vorrei veramente richiamare l’attenzione
sugli operatori, in particolare sugli assistenti sociali che lavorano in silenzio, ma in maniera costante
sui progetti individualizzati, affinchè questi ragazzi possano trovare poi percorsi di vita e diritti
garantiti.
C’è però un punto molto importante e ambiguo della legge che prevede che a 18 anni i ragazzi
non possono rimanere in Italia, per cui di fatto se rimangono diventano clandestini, con la
conseguenza che i progetti e tutto il lavoro che è stato fatto su di loro rischia di essere vanificato.
I piccoli Comuni, in questo scenario, sono quelli che si trovano in maggiore difficoltà, ma anche i
Comuni più grandi, perché ora cominciano, come risorse economiche, a trovarsi in forti difficoltà. E
allora cosa succede poi nella realtà? Che i piccoli Comuni cercano di disinteressarsi dei minori
stranieri non accompagnati dicendo “rivolgetevi al Comune più grande, perché è in grado di garantire
certi diritti”. Questo è però abbastanza pericoloso, perché porta diversi rischi fra i quali uno dei più
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gravi è una concentrazione del fenomeno. La Regione Toscana ha sempre portato avanti le politiche
dei servizi alle persone dislocate sul territorio, evitando le grosse concentrazioni. L’altro rischio è la
carenza di risorse economiche: come fanno i piccoli Comuni a far fronte a queste emergenze?
La Regione, nel piano d’azione “Diritti dei minori” che il Consiglio Regionale, ha approvato il 23
dicembre 2003, (dopo il piano d’azione del governo, il piano d’azione “Diritti dei minori” è il primo
piano d’azione di una Regione che viene approvato) ha esplicitato anche rispetto ai minori stranieri,
alcune questioni determinanti. Una, la questione del bilancio, in quanto si dice non debba essere
demandata tutta al socio-assistenziale senza una compartecipazione, con una grossa programmazione
di chi si occupa dei bilanci dell’immigrazione.
L’altro aspetto si richiama ad un fondo di solidarietà. Credo che quasi nessuna zona abbia istituito
il fondo di solidarietà e ciò dispiace, perché, era un’enunciazione molto all'avanguardia che era stata
fatta dalla Regione, sia nel piano sociale integrato che sul piano d’azione. Come Regione stiamo
lavorando perché nel prossimo piano questo fondo di solidarietà venga gestito dalla Regione Toscana
come esempio da seguire poi delle zone.
La Regione, anche per altre questioni dei minori, ha già individuato che non tutti i Comunii
possono dare le stesse risposte, se non c’è una rete di solidarietà anche fra gli stessi Comuni. In questo
senso il fondo di solidarietà della zona era proprio un esempio per dire: “là dove capita la situazione
anche al piccolo Comune, questo è in grado di gestire il bisogno e di dare la risposta adeguata”.
In questa prospettiva, non importa che ogni zona, ogni piccolo Comune crei la struttura, ci si può
valere di strutture situate in zone limitrofe. E' necessario cominciare a ragionare sull’ambito
territoriale d’esercizio, individuare qual è il migliore, la zona, la sovrazona, il Comune, anche
nell’area socio-assistenziale. Per i minori per il modello dell’adozione si è copiato un po’ la Sanità,per
capire la programmazione oggi, in base alle risposte che dobbiamo dare, a quale livello si devono
dare, perché altrimenti poi diventa un problema di risorse. Ma le risorse diventano anche un aspetto
importante della programmazione; perché molto spesso si creano anche delle risposte, dei doppioni,
perché cambiamo strada di una zona a un’altra, da un ambito territoriale a un altro. E allora bisogna in
questo avere molta attenzione di cominciare a differenziare le risposte che devono rimanere vicino ai
contesti di vita dei cittadini, le risposte che dobbiamo organizzare a livello di zona, le risposte che
dobbiamo organizzare a livello sovrazonale anche se la titolarità sia della presa in carico che
dell’onere economico deve rimanere a quel Comune dove il bisogno si è verificato. Su questo la
Regione Toscana ha anche emanato una Circolare richiamando l’attenzione a questi aspetti che non
sono indifferenti.
L’anno scorso la Regione ha organizzato il Convegno Regionale sull’Immigrazione e all’interno
del Convegno aveva creato un gruppo di lavoro proprio sui minori stranieri non accompagnati. Dal
gruppo, dove erano presenti operatori di tutto il territorio, operatori di altre regioni, associazioni di
immigrati, era stato prodotto un documento concordato che ora dovrebbe servire come base per
lavorare sulle linee del prossimo convegno. Credo , però,che per i minori stranieri non accompagnati
le cose purtroppo non siano andate avanti a livello generale; quindi vi leggerò alcuni punti che
abbiamo concordato perché credo che rimangano elementi di discussione per il prossimo convegno
sperando che nel frattempo qualcosa si modifichi, anche se sono processi molto lenti.
Noi nel gruppo di lavoro avevamo scritto che fra gli obiettivi ipotizzati a livello nazionale doveva
essere costituito un tavolo di lavoro in sede di conferenza unificata per esprimere una strategia
concordata tra Regione, ANCI, Amministrazioni centrali come richiesto dall’ANCI in molti
documenti. Il tavolo almeno è stato istituito, un piccolo passo avanti lo abbiamo fatto e io domani non
potrò seguire i lavori di questo convegno perché l’argomento minori stranieri non accompagnati per la
prima volta verrà trattato nella sede tecnica del tavolo alla conferenza Stato-Regioni. Quindi anche se
il processo è lento, qualcosa si comincia a muovere; perché per la prima volta domani è argomento di
discussioni al tavolo tecnico della conferenza Stato-Regioni. L’altro obiettivo era riconoscere ai
Comuni che per legge hanno la titolarità della protezione del minore e quindi hanno la titolarità di
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garantire ai minori stranieri non accompagnati la tutela e l’assistenza, dare ai Comuni sostegni
finanziari per il riconoscimento di queste competenze. Fra l’altro la questione dei minori stranieri,
come legge, oggi si pone in un momento ancora di grosso cambiamento perché da una parte c’è la
legge sull’immigrazione che, come legge, è una competenza nazionale; però poi nel frattempo per la
riforma del Titolo Quinto tutta la materia socio-assistenziale è passata di competenza delle Regioni.
Quindi anche come scenario legislativo è un momento di grosso cambiamento.
A livello regionale avevamo ipotizzato di armonizzare soprattutto le procedure per i minori
stranieri non accompagnati, perché, anche nel territorio della Regione Toscana, anche se abbiamo un
Tribunale per i Minorenni unico nell’ambito regionale che ci avrebbe dovuto facilitare, le procedure
poi sono molto differenziate in base al territorio dove il ragazzo si trova. Veniva rimarcato che in base
proprio alla legge regionale 72 e del 97 gli oneri economici del minore straniero non accompagnato
dovessero rimanere a carico del Comune dove sorge il bisogno. Molto spesso questo articolo di legge
non viene rispettato in primis dagli operatori e poi dagli enti locali.
A livello nazionale chiedevamo che fosse prevista una quota da destinare al fenomeno migratorio
dei minori stranieri non accompagnati e soprattutto anche che il Governo chiedesse un fondo europeo
per questo fenomeno. Oggi la rappresentanza anche della Rete Remì è finalizzata a creare proprio una
rete di sinergie a livello europeo sul fenomeno, su questa questione che ci interessa tutti. Io concludo
solo col dire che prima che Funzionario della Regione Toscana, io mi sono sempre considerata e me lo
ricordo tutti i giorni, di essere un cittadino. Quindi, se vogliamo stare, come diceva prima il Presidente
della Provincia, dalla parte dei minori che veramente abbandonano tutto per tentare di farsi una vita e
un futuro migliore (e non solo per loro, ma anche per le loro famiglie), bisogna veramente aiutarli
concretamente in questo percorso. Grazie.
ROSSANA SEBASTIANI
Dirigente Servizio Politiche Sociali e Sport della Provincia di Lucca
Grazie alla Dott.ssa Rossetti che ci ha già introdotto nel vivo della materia di queste giornate. Tra
l’altro vorrei ricordare che proprio ieri sera c’è stato alla televisione un filmato di Save the Children
che metteva in evidenza come in Italia i minori non accompagnati sono 134.000, non tantissimi, ma un
numero discreto. Quindi riuscire per loro a trovare modalità migliori e più proficue di integrazione sul
territorio è senz’altro una scommessa che va giocata tutta.
Vorrei illustrare brevemente l’organizzazione delle giornate perché come dicevamo in apertura
gli interventi del pomeriggio sono finalizzati sia ad approfondire queste tematiche che a creare un
collegamento con la Rete Remi che ha presente sul territorio nazionale diversi soggetti. Infatti ad essa
hanno aderito sia la Regione Toscana che la Provincia di Lucca ma, anche altre Regioni, alcuni
Comuni, come il Comune di Roma e diverse Associazioni.
Vorrei ringraziare la Cooperativa Crea, il GVAI, il Ghibli che a livello locale collaborano con noi
nella realizzazione di questo programma. A livello della Rete REMI sono presenti in sala
rappresentanti della Spagna, della Francia, del Marocco e dell’Algeria ed inoltre diverse Associazioni.
Sono presenti le associazioni Giovani Erranti, l’Associazione che poi ha promosso la realizzazione di
questa Rete e noi dobbiamo ringraziarla per il grosso apporto che dà alla continuità di questo
programma, l’Associazione Tadamonte di Tangeri e Donne in difficoltà e l’Associazione Ansedi,
Associazione nazionale di sostegno ai bambini in difficoltà.
Abbiamo previsto tre sessioni nell’organizzazione della Conferenza, una sessione che dovrebbe
approfondire maggiormente gli aspetti legislativi viste le numerose modifiche che si sono avute dal
1998 ad oggi, sia a livello parlamentare che di Governo e che hanno portato ad un’articolazione della
legislazione vigente in materia sempre più complessa e a volte di difficile applicazione. Noi vogliamo
comunque approfondire sia il quadro legislativo attualmente vigente sia alcune delle problematiche
che sono particolarmente significative ed importanti per l’integrazione dei minori non accompagnati.
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La seconda sessione della Conferenza dovrebbe approfondire gli aspetti organizzativi, gli
interventi che gli Enti attuano sul territorio, in collaborazione con le Associazioni, per garantire la
tutela dei diritti dei minori che sono presenti sul territorio, perché l’obiettivo degli Enti è la tutela. E’
ugualmente poi importante anche garantire il rispetto della cultura d’origine da cui il minore proviene
e l’integrazione sociale e civile nel nostro contesto sociale. Nel pomeriggio sono previsti interventi da
parte sia di rappresentanti delle Zone Socio-Sanitarie che delle Associazioni che sul territorio
collaborano con le Istituzioni nella realizzazione di interventi di accoglienza. Altri interventi sono
previsti da parte dei rappresentanti delle Comunità per minori e di Associazioni che curano
l’inserimento dei minori non accompagnati.
La terza sessione riguarda lo scambio di esperienze di buone prassi, che è l’obiettivo prioritario
della rete REMI, cioè favorire una sensibilizzazione su queste problematiche, uno scambio tra le
diverse realtà, sia nazionali che internazionali, che già svolgono esperienze significative. Ci sembra il
modo migliore per sviluppare questa tematica che ha, oltre il contributo di tutti coloro che ci lavorano,
necessità di ulteriori stimoli e approfondimenti.
Noi vorremo entrare nel vivo di questa Conferenza in un modo più diretto proponendo un profilo
del minore straniero, che aldilà delle parole ci possa comunicare veramente alcune sensazioni
riguardo alla situazione in cui si trova a vivere il minore che parte dal proprio paese per andare in un
paese straniero, da quale progetto, da quali aspirazioni parte, quali difficoltà trova nell’impatto con
una realtà che tante volte non è quella immaginata. Per questo avevamo pensato di proporre alla vostra
attenzione questa tematica da un lato con la realizzazione di un filmato che ha prodotto per noi il
Cineforum Ezechiele di Lucca e dall’altro con le parole di una persona che ha maturato un’esperienza
sul nostro territorio nazionale, ma ha la cultura, del minore che proviene da un paese straniero. E
quindi, con le parole di Benkhdim Sued, alla quale, dopo il filmato, vorrei lasciare la parola. Con
questo intervento vorremmo dare una prospettiva diversa, emotivamente più coinvolgente con cui sia
possibile calarci nella realtà del minore che affronta questa esperienza. Ora vi leggerò una traccia della
relazione di Marco Vanelli, che ha curato la realizzazione del video.
Il titolo del filmato è “Minori tra due mondi”.
“Diviso in cinque parti, il video illustra più che raccontare, alcuni spaccati di vita di minori
extracomunitari che vivono o sopravvivono nel nostro mondo. Il primo episodio consiste in una voce,
la voce di un giovane tunisino che afferma di possedere due terre, due patrie, due modi di vita, cui è
ugualmente attaccato: l’Italia, che lo accoglie pur nella difficoltà di un inserimento; e la Tunisia,
povera, ma piena di vitalità. Idealmente la sua storia si fonde con quella del ragazzo marocchino, che
trova intorno a sé, nella grande città italiana dove si muove, appena tollerato, dei segni che li
ricordano la terra di origine: il fumo di un latte caldo si fonde nella mente con quello del tè bevuto al
suo paese, assieme agli amici, giocando a carte, mentre il rapace tenuto in mostra per le strade
assolate e polverose del Nordafrica si ricollega ai piccioni che volano nel cielo grigio delle nostre
latitudini. In tutti i casi è importante tenere vivo il filo della memoria, come per i bambini africani,
che dietro ai vetri di una finestra, vedono nevicare. Dove sono nati non c’era la neve. C’era miseria,
lavoro duro nei campi e per le strade, ma forse c’era anche un sorriso in più. Allo stesso modo, l’altro
ragazzino di colore guarda per strada le famiglie europee, felici, e ricorda il proprio villaggio di
capanne, dove il nonno vive ancora, e dove si aggira una iena, che lo fa sobbalzare nel sonno.
Nostalgia o scampato pericolo? Nell’ultimo episodio il rapporto si inverte: non è più un presente in
bianco e nero contrapposto alla memoria colorata e libera della patria; ma un contesto multietnico,
dove bambini di tutte le razze, a colori, suonano all’unisono dei tamburi. Per contro, il ricordo è
triste, e sa di guerra, di miseria, di navi della speranza e di una lingua italiana imparata per
disperazione. Ma i tamburi ritornano nel finale, dove delle mani infantili disegnano stelle (forse della
bandiera europea), accanto a un vocabolario, su cui si possono cercare, in italiano, parole come
pace, solidarietà, futuro.”
Vorrei ora lasciare spazio alle immagini e poi alle parole di Benkhdim Sued.
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BENKHDIM SUED
Docente comunicazione interculturale Università Càfoscari di Venezia
In realtà sono molto emozionata, lavoro da anni con i minori non accompagnati, ma la visione
del filmato mi ha risvegliato emozioni e ricordi che solo il linguaggio delle immagini ha il potere di
fare. Spero di non impoverire molto queste immagini così belle, emozionanti, ma anche tristi di
ragazzi facendo notare come il filmato colga un elemento fondamentale della cultura mangrebina che
è il rapporto con la natura e gli animali; nella lingua araba quasi tutti i termini che parlano di minori
appartengono alla natura. Il raggio del sole quando si avvicina al tramonto ha il significato della
fragilità come pure il cammello che si mette a disposizione per far salire l’uomo perché nessun uomo
sarebbe capace di farlo. Il regista ha toccato quasi tutti i termini arabi , ha molta professionalità anche
se il filmato è espresso in italiano.
Il fatto di abbinare sempre il minore alla natura è importante perchè quasi tutti i termini in
arabo che parlano di bambini o minori, vengono descritti secondo animali o elementi della natura. La
nostra cultura ha una ricchezza incredibile della cultura orale che non viene mai scritta o registrata da
nessuna parte. E l’inizio con l’immagine della stazione. È vero, quasi tutti gli immigrati iniziano la
loro avventura così. Anch'io sono partita venti anni fa dal Marocco, da Casablanca da una terra tutta
rossa arrivando a Copenaghen, in Danimarca, una terra tutta bianca e veramente io non dimenticherò
mai il primo impatto. Scendendo dall’aereo l’assistente che mi stava accompagnando fuori (sono
partita dal mio paese con le scarpe da ginnastica e una giacca molto leggera), mi ha detto “metta
qualcosa di pesante”. Io la guardo sorridendo e le dico “no, no, va bene”, lei mi guarda un po’
veramente stupita. Si aprono le porte dell'areoporto, era un freddo enorme. L' immagine del ragazzino
che dorme nel cassonetto dei rifiuti, rende bene la situazione di molti immigrati.
È vero, io avevo più possibilità perché sono andata dopo la mia laurea, ma l'impatto con il
freddo diventa veramente un’impresa molto difficile. Quella mia esperienza del freddo della terra tutta
bianca mi ha costretto a stare a letto per quasi un mese e da lì ho imparato che prima di viaggiare
bisogna chiedere come è il clima, cosa che, quando un ragazzino non accompagnato lascia il suo
paese, non può assolutamente prevedere. Le stazioni sono il punto di arrivo e di partenza, ma spesso
diventano centri di accoglienza per questi ragazzi appena arrivati in Europa. Questi ragazzi vivono con
il terrore di essere sempre arrestati o rimandati a casa loro; nel filmato questa situazione è resa
dall’immagine di due agenti di polizia e dei ragazzini impauriti, guardinghi, attenti, per paura di essere
presi.
L'immagine del latte, ricorda qualcosa di caldo, il rituale del tè alla menta, cerimonia molto bella
che evoca il ritorno alle radici, alla maternità, al bisogno di affetto e protezione. Il filmato rimanda
immagini di ragazzi poveri, ma sorridenti a sottolineare la speranza e la voglia di vivere di queste
persone. La musica finale ci vuole sottolineare l'idea del vivere insieme iniziando a fare delle cose
insieme come appunto può essere il linguaggio universale della musica. Altra cosa interessante è il
dizionario e il disegno della stella. Noi speriamo veramente che i loro sogni vengano realizzati. Il
dizionario e il passaporto, il permesso per vivere tranquilli, imparare le prime parole significa anche il
segno di massima integrazione e inserimento nei paesi di arrivo.
Il commento che ho voluto fare del filmato mi ha permesso di entrare nel merito del problema.
Mi dispiace molto per il regista perchè non sono una grande commentatrice di film, però so cosa
significa quando queste parole si sentono veramente e partono anche da dentro perché lavorando con i
ragazzi immigrati ho avuto modo di costatare quanto sia dura la loro realtà. Questa è la mia storia: io
vivo a Torino, dall’87 e lì lavoro… Sono venuta dalla Danimarca con una richiesta dal Ministero
della Giustizia negli anni ’80 quando i minori non accompagnati hanno cominciato a fare ingresso
negli Istituti Penali. Si trattava di ragazzini che parlavano solo arabo o dialetti maghrebini, ma gli
operatori parlavano solo italiano e perciò ho iniziato il mio lavoro di mediatrice.
Negli anni ’80 non c’era ancora una grande cultura di accoglienza rispetto ai minori non
accompagnati. La cosa veramente che mi ha spaventata in quegli anni è che molti ragazzi finivano
13
dentro per mancanza di documenti ed entravano in contatto spesso con altri ragazzi che avevano anche
dei reati abbastanza gravi e in questo modo si veniva a creare una commistione deleteria per
l'educazione di questi minori. Si pose così l'esigenza di trovare altre alternative. E così grazie a un
Tribunale di Minori molto sensibile abbiamo cominciato a formare degli operatori che operassero non
solo negli Istituti Penali, ma anche nelle Comunità per accogliere questi ragazzi. Purtroppo, in quasi
tutti i paesi soprattutto in l’Italia, i progetti dell’accoglienza hanno una scadenza limitata, addirittura in
alcune zone il finanziamento per i minori dura solo i primi sei mesi dell’anno. Perciò abbiamo pensato
di dare un’alternativa più continuativa, puntando molto sulle famiglie straniere e per la prima volta
abbiamo cominciato a formare delle famiglie marocchine che hanno cominciato a prendere in
affidamento i ragazzi.
È ovvio, una famiglia immigrata che sta facendo fatica ad integrarsi, ha paura ad accogliere un
ragazzo che magari ha avuto precedenti penali e perciò necessita del massimo sostegno, ma bisogna
portare le Istituzioni a riconoscere questi progetti. Un progetto alternativo ha una durata e una
scadenza e pone una serie di problemi sul futuro del ragazzo beneficiario dello stesso.Quando il
progetto scade questo ragazzo dove va a finire? Per questo, quando si lavora su progetti alternativi
nelle Comunità, si lavora sul rientro presso la famiglia di origine. E qui nascono un'altra serie di
problemi di difficile soluzione, sia perché spesso le famiglie non esistono, sia perché non sono in
grado di riaccogliere il minore. E quindi all’inizio degli anni ’90 la scoperta più pesante che abbiamo
fatto è che questi ragazzi dopo la misura alternativa diventano i corrieri della droga, vengono chiamati
“cavalli” e vengono utilizzati anche come assaggiatori della droga. Inoltre dato che hanno collaborato
con l’Istituzione, il “giro” non si fida e quindi dà loro il lavoro più pesante. Quando finiscono in
carcere devono scontare anche pene molto pesanti, condanne anche abbastanza lunghe. Perciò quando
noi cerchiamo di accompagnare un ragazzo verso un progetto alternativo, perché conta sulla nostra
fiducia abbiamo l’obbligo anche della continuità. Siccome spesso le Istituzioni non garantiscono una
continuità interna bisogna attivarsi con le famiglie, dando loro una formazione, un sostegno, un
accompagnamento. Purtroppo non ci sono tante famiglie disponibili per mancanza di alloggi, di tanti
altri requisiti, però se abbiamo lavorato per diciassette anni e abbiamo sensibilizzato tredici famiglie in
Piemonte per noi già questo è un grande passo.
Fino a due anni fa abbiamo partecipato ad una ricerca sui minori non accompagnati, che è stata
pubblicata e si intitola “La fatica di crescere” (la pubblicazione è fatta in italiano, in francese e in
inglese), nella quale abbiamo affrontato il problema non solo a livello locale, perché la criminalità
organizzata è un fatto globale , ma a livello internazionale. Oggi le mafie non lavorano più soltanto in
Italia, ma possono essere in qualsiasi parte del mondo. Se chiedi ad un ragazzino questo, non dà mai
una risposta. Anche rispetto al suo viaggio è difficile avere informazioni perché i ragazzi subiscono
molti passaggi: c’è chi li ha ospitati per due, tre giorni, una settimana, chi li ha dato da mangiare, chi
li ha dato da cambiare vestiti e così via e non sono certo centri di accoglienza o di assistenza. Quando
noi cominciamo con il nostro lavoro di educazione alla legalità mettendo i tasselli troviamo una
grande e capillare organizzazione radicata in varie parti del mondo.
Molto spesso questi ragazzi soprattutto Maghrebini, provenienti da villaggi poveri o da quartieri
popolari delle grandi città, si vestono con vestiti firmati, sono attratti da questi simboli del benessere,
altri soprattutto quelli provenienti dalla Romania hanno bisogno di stabilità perché provengono da
situazioni familiari disgregate. Cosa possiamo offrire? In genere il patto che facciamo con i ragazzi è
“io ti offro stabilità, un progetto, una formazione per il tuo futuro, ma chiedo anche tanto da te, non è
che devo solo darti”. Ma io quando dico “io” significa ovviamente tutte le Associazioni, Istituzioni
con le quali collaboriamo. “Io ti chiedo una cosa che è molto cara quando ti sei realizzato: di diventare
un nostro socio, un volontario”. È vero, i ragazzi che abbiamo seguito diciassette anni fa oggi hanno
più di trent’anni, sono genitori di bambini e sono i nostri grandi sostenitori.
Il problema che hanno molti ragazzi non accompagnati è quello di non andare mai a cercare i
servizi; è per questo che deve muoversi l’Associazione e lo fa con un’unità mobile organizzata con
degli oggetti dei paesi di provenienza andando a trovare i ragazzi nelle case abbandonate, nel giro
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dove spacciano, dove rubano. I ragazzi hanno solo un numero di telefono del loro sfruttatore, del
piccolo sfruttatore, perché quelli grandi non si vedono mai e noi gli lasciamo un altro numero di
telefono. E’ difficile che un ragazzo della strada venga da noi, deve veramente o fare finta di essere
malato e quindi dimostrare di aver bisogno dell’ospedale e addirittura abbiamo visto alcuni ragazzi
che spacciano fare finta di vendere la roba ad un poliziotto o ad un carabiniere per finire in carcere
perché dalla strada non possono mai assolutamente togliersi. Hanno i loro controllori e anche noi
dobbiamo muoverci con grande attenzione. Un ragazzo di diciassette anni che ha cambiato casa
diciotto volte vuol dire che ha grosse difficoltà a fare questo. Se ogni ragazzo guadagna da mille euro
a due alla settimana per il suo sfruttatore, è ovvio che togliendo almeno una decina di ragazzi dalla
strada al mese, abbiamo tolto tanta ricchezza a questi sfruttatori.
E dall’unità mobile cominciamo il nostro primo lavoro, ma abbiamo visto che molti ragazzi non
accompagnati non riescono a reggere un programma con degli orari ben precisi perché da un ragazzo
che non ha mai conosciuto le regole, non possiamo pretendere dal primo giorno che abbia una vita
normale e tranquilla. Non solo, sono ragazzi che si vergognano tanto quando entrano a scuola e non
sanno magari neanche scrivere il loro nome quindi dobbiamo inventare qualcosa che li faccia stare
bene, ma che li lasci anche liberi di esprimersi. Vediamo che sono ragazzi che nella strada, nel freddo,
nello sfruttamento maturano un senso di rabbia e anche di rifiuto verso l’adulto, verso l’educazione.
Noi dobbiamo avvicinarli con qualcosa, senza parole perché basta sentire il profumo dell’hennè, ma
non solo (la nostra scuola si chiama “la scuola dell’affetto”) perché l’hennè deriva da una parola araba
che significa “affetto”, e quindi questi ragazzini con il disegno cominciano ad esprimersi, a disegnare
delle cose che noi non abbiamo mai saputo, dato che non è stato possibile avere un colloquio con
loro. Io ho seguito dei ragazzi per sei anni, ma per la prima volta vedendo un disegno fatto da uno di
loro ho capito il tragico viaggio che ha intrapreso da Casablanca a Genova (sono partiti in sette e sono
arrivati solo in due perché gli altri compagni di viaggio sono morti). In un altro disegno ho visto un
camion in una zona di Casablanca e un bambino solo a metà per terra. E da lì veramente ho capito
come fanno molti ragazzi per partire; salgono in due su una moto, uno dei due cerca di aprire il telo
del camion da sopra, i camion che arrivano in Spagna, in Francia, in Italia e il ragazzo che si siede
dietro la moto sale sul camion. Spesso succede che non misura molto bene la distanza e cade sulla
strada, in questo disegno il ragazzo caduto ha sbattuto contro la spalletta di un ponte ed è morto perché
poi è stato investito da altri camion.
Sono delle storie molto pesanti. Anche se gli psicologi ritengono che il colloquio non si fa a tre, e
poi quando un ragazzo non parla l’italiano come si fa ad avere un vero dialogo? E allora sarebbe
necessario prevedere figure di “etnopsichiatri “che sono capaci a far raccontare ai ragazzi questi
episodi e questa esperienza di vita molto difficile. Vuole il caso che un artista italiano, Michelangelo
Pistoletto, ha visto questi disegni nel 2002 e si è reso disponibile per portare i loro quadri ad una
mostra internazionale dell’arte sociale. I ragazzi hanno partecipano ed hanno vinto il premio
internazionale dell’arte sociale, è stata un’emozione grandissima. Così alcuni ragazzi che hanno
vissuto sempre in mezzo alla strada e non sono mai stati valorizzati, hanno cominciato ad
accompagnare il loro lavoro in quasi tutti i musei europei ed a settembre vanno anche fuori Europa. Io
credo in questa cosa, non bisogna solo promuovere il lavoro dei ragazzi, ma rendere loro stessi
promotori di queste iniziative. E grazie a questa mostra e al premio che hanno vinto abbiamo messo a
disposizione un laboratorio multimediale di formatori danesi che hanno loro insegnato ad essere
operatori televisivi. Erano dieci ragazzi non accompagnati, cinque ragazze di seconda generazione,
oggi hanno i contratti più belli in Europa e quindi lavorano con molti canali televisivi hanno una
grande professionalità e un permesso di soggiorno per poter girare, ma non più come clandestini, ma
come operatori che vedono il mondo con altri occhi.
Sono ragazzi che magari vengono dalle campagne e da quartieri popolari. Soprattutto i ragazzini
che hanno vissuto in campagna hanno bisogno di vedere qualcosa di concreto. Io mi ricordo quando
gli operatori chiedevano ai nostri ragazzi “puoi dirmi il tuo progetto di vita?”. Il ragazzo si spaventa
perché i progetti nei nostri paesi sono legati a imprenditoria a fare aziende, mettere in piedi qualche
15
cosa di grande e interessante. Allora come rendere queste cose al loro livello? E non solo questo,
bisogna dare ai ragazzi qualcosa che è semplice da realizzare, quindi abbiamo messo in piedi il
laboratorio dell’arte bianca, perché a loro basta mettere insieme un po’ di farina, acqua e sale e si
produce il pane e quindi loro almeno che sono stati sempre emarginati, che non hanno combinato
niente, che non hanno mai studiato, possono almeno iniziare a realizzare qualcosa con le loro mani. E
quando è nato questo laboratorio per noi l’essenziale era introdurre anche delle figure adulte e per
questo noi abbiamo messo a disposizione un progetto che si chiama “allargare la genitorialità”. Sono
famiglie mangrebine che vengono a fare il pane con i ragazzi e con il tempo diventano anche i loro
genitori. In arabo si dice che quando si fa il patto del sale si fa un patto di amicizia per tutta la vita.
Sono cose tradizionali però le vedo veramente realizzabili e concrete. Oggi la cosa più bella che ho
visto è che molti ragazzi non accompagnati insegnano tanto ai ragazzi di seconda generazione, quando
vengono affidati a queste famiglie. Perché il ragazzo che è venuto con il ricongiungimento familiare
non è obbligato ad andare a lavorare o a fare sacrifici. È ovvio che ha qualche problema di
integrazione, vive due mondi, però ha la famiglia alle spalle che lo aiuta e gli dà sicurezza affettiva.
Sono molto contenta di vivere e lavorare in Italia. Io ho visto il lavoro del volontariato, è di una
ricchezza incredibile. Quando alcuni miei colleghi francesi o spagnoli vengono, mi chiedono come
mai anche nelle Istituzioni c’è molto volontariato, mentre dovrebbe essere divisa dal volontariato. Io
dico che senza volontariato l’Italia non può andare avanti, perché i progetti finiscono, hanno delle
scadenze e il volontariato è il motore che continua questa vitalità e questa opera che non ferma gli anni
del minore alla scadenza di un progetto, ma continua a vivere. È grazie al volontariato che i nostri
minori crescono.
Quando si parla di minori non accompagnati cerco sempre di valorizzare molto alcune loro
caratteristiche. Non voglio che siano sempre solo una categoria assistita, hanno veramente una scuola
di una ricchezza incredibile. Oggi io se tengo un master di comunicazione interculturale all’Università
di Venezia è grazie a loro. Vengono operatori e studenti da tutto il mondo perché mi hanno prestato i
loro occhi per vedere il mondo, il loro mondo è di una ricchezza che non è ancora tutta scritta.
Bisogna imparare anche questa loro grande cultura. Vi invito anche a riflettere, oggi noi abbiamo nel
nord molti ragazzi non accompagnati che appartengono a famiglie, ma che sono scappati magari dalla
Spagna, dalla Francia ma anche dal sud dell’Italia. Vengono dichiarati minori non accompagnati. È
inutile sprecare tante risorse se un minore ha fatto già progetti di due anni, tre anni in questi paesi;
allora perché noi continuiamo a sostenere ragazzi per i quali magari è meglio tornare in Spagna o in
Francia? Dobbiamo anche collaborare fra i nostri paesi, vedo che oggi sono presenti alcuni
rappresentanti. Se non maturiamo una cultura di grande collaborazione stiamo perdendo tante
generazioni.
Finisco con una frase sempre positiva. Oggi i ragazzi che seguiamo nei nostri laboratori mi
affascinano per le tante lingue che parlano. Se oggi vediamo una ragazzina nata a Torino da una
mamma maghrebina e da un papà tunisino quando racconta le sue giornate lo dice in italiano, quando
canta e balla lo dice in maghrebino e quando si arrabbia lo fa in tunisino. E questa è la ricchezza delle
nuove generazioni italiane. Grazie
ROSSANA SEBASTIANI
Dirigente Servizio Politiche Sociali e Sport della Provincia di Lucca
Grazie a Benkhdim Sued per il suo intervento veramente molto partecipato ed incisivo ed anche
per l’immagine finale che ci dà l’idea d’ integrazione di mondi diversi.
Ci sono alcune variazioni sul programma previsto. Interverrà con una relazione sul quadro legislativo
il Dottor Joseph Moryersoen Segretario di ChildONEurope Rete Europea degli Osservatori Nazionali
sull’infanzia; gli altri interventi per motivi logistici di assenza dei relatori non avranno luogo.
16
Il minor numero di interventi forse ci darà la possibilità di approfondire e sviluppare meglio
questa parte riguardante l’aspetto legislativo che essendo abbastanza complesso, spesso può creare
difficoltà nell’interpretazione e applicazione della normativa.
Do la parola al Dott. Moryersoen che interviene sul quadro legislativo in materia di minori
stranieri. A conclusione della mattinata anticiperemo anche l’intervento che il Dott. Moryersoen
avrebbe fatto domani mattina perché ha altri impegni di lavoro.
JOSEPH MORYERSOEN
Coordinatore Segretario di ChildONEurope Consulente legale presso l’Istituto degli Innocenti
La condizione giuridica del cosiddetto “minore straniero non accompagnato”1 ha subito in Italia,
dal 1998 a oggi, profonde modifiche a causa di una serie di interventi normativi di Parlamento e
Governo. Le norme entrate in vigore sono contenute in provvedimenti formalmente eterogenei che
disciplinano le diverse problematiche dell’identificazione, dell’affidamento, della tutela,
dell’accoglienza, dell’autorizzazione al soggiorno o del rimpatrio del minore straniero non
accompagnato. La formazione progressiva della disciplina ha comportato alcuni problemi di
coordinamento fra le norme approvate. Le conseguenti lacune e la difformità delle prassi adottate
dagli enti pubblici e dalle autorità di pubblica sicurezza rendono importante un esame attento
dell’intero corpo normativo.
Occorre, d’altro canto, osservare che la normativa che si intende esaminare costituisce il primo vero
tentativo del legislatore italiano di disciplinare compiutamente la materia2.
Si è quindi ritenuto opportuno presentare lo stato attuale della disciplina applicabile ai minori stranieri
non accompagnati e dar conto di alcune riflessioni mosse a suo riguardo, in relazione sia alle norme
stesse sia alla loro applicazione concreta.
1. Normativa di riferimento
Si ritiene innanzi tutto utile richiamare le norme che si occupano dei minori presenti sul territorio
nazionale.
Normativa internazionale di carattere primario
•
•
Convenzione ONU sui diritti del fanciullo fatta a New York il 20 novembre 1989 (di seguito
Convenzione ONU), ratificata e resa esecutiva con legge 176/91. Tale convenzione stabilisce i
principi che gli Stati parti si impegnano a introdurre nei rispettivi ordinamenti e ai quali si
devono ispirare i procedimenti giurisdizionali e amministrativi che riguardano ogni persona di
minore età.
Convenzione di Lussemburgo del 20 maggio 1980 e convenzione de L’Aja del 25 ottobre 1980
sui provvedimenti di affidamento e sottrazione di minori ratificate e rese esecutive con legge
64/94. In particolare l’art. 5, comma 1, della legge dispone che «Le decisioni sulle richieste di
rimpatrio di minori dal territorio dello Stato, avanzate dalle autorità straniere, ai sensi
1
Con il termine minore si indica qualunque persona di età inferiore ai 18 anni, ai sensi dell’art. 1 della Convenzione di
New York sui diritti del fanciullo. Va ricordato che mentre in inglese si usa sempre child e in francese enfant, in italiano si
usano indifferentemente quali sinonimi anche i termini “minorenne”, “adolescente”, “bambina/o” o “fanciulla/o”, questi
ultimi due connotati altresì nel genere.
2
A questo proposito si può osservare che prima del 1998 i riferimenti normativi ai minori stranieri erano molto rari. Basti
pensare alla legge 39/90 relativa alla competenza del preside a chiedere i permessi di soggiorno, alla segnalazione ai
tribunali per i minorenni che richiedevano lo status di rifugiati ecc.
17
•
•
dell’articolo 2, paragrafo 1, e dell’articolo 4 della convenzione L’Aja del 28 maggio 1970,
sono adottate dal Tribunale per i minorenni del luogo dove il minore risiede».
Convenzione europea sull’esercizio dei diritti dei fanciulli del 25 gennaio 1996, ratificata e resa
esecutiva in Italia con legge 77/03. Tale trattato, approvato a Strasburgo dall’Assemblea del
Consiglio d’Europa, contiene una serie di disposizioni volte a rafforzare la tutela e il rispetto
dei diritti dei minori.
Direttiva 2003/9/CE del Consiglio dell’Unione europea del 27 gennaio 2003 recante norme
minime relative all’accoglienza dei richiedenti asilo negli Stati membri. Tale direttiva richiede
tra l’altro agli Stati membri di adottare rapidamente misure volte ad assicurare la necessaria
rappresentanza dei minori stranieri non accompagnati.
Normativa nazionale di carattere primario
•
•
•
•
•
•
•
•
•
Articoli 2, 3, 29, 30, 31, 37 della Costituzione. Dal quadro complessivo di tali norme risulta che
la Carta costituzionale considera il minore come un soggetto meritevole di una tutela specifica
nelle diverse dimensioni della sua persona, come essere umano, in particolare come figlio e
come lavoratore.
Articolo 33 del Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e
norme sulla condizione dello straniero disposto con DLGS 25 luglio 1998, n. 286, che istituisce
il Comitato per i minori stranieri (di seguito Comitato), accenna alla possibilità del rimpatrio
assistito e delega a un successivo regolamento la definizione dei compiti del Comitato.
Articoli 33 e 37 bis della legge 4 maggio 1983, n. 184, Diritto del minore ad una famiglia –
come modificata dalla legge 31 dicembre 1998, n. 476, Ratifica ed esecuzione della
Convenzione per la tutela dei minori e la cooperazione in materia di adozione internazionale,
fatta a L’Aja il 29 maggio 1993. Modifiche alla legge 4 maggio 1983, n. 184, in tema di
adozione di minori stranieri – che dispongono la competenza del tribunale per i minorenni a
valutare l’interesse del minore straniero, rendendo applicabili tutti gli istituti di tutela previsti
per i minori italiani.
Articoli 343 e seguenti del codice civile che riguardano l’apertura della tutela.
Articolo 403 del codice civile che dispone interventi urgenti di protezione per i minori.
Articoli 4 e 9 della legge 184/83 – come modificata dalla legge 476/98 – che disciplinano i casi
in cui un minore debba essere affidato a persone diverse dai suoi genitori.
Articolo 19, comma 2, del testo unico disposto con DLGS 286/98 che dispone il divieto di
espulsione del minore.
Articolo 5 del DLGS 29 marzo 1993, n. 119, Disciplina del cambiamento delle generalità per la
protezione di coloro che collaborano con la giustizia – emanato su delega contenuta
nell’articolo 47 della legge 6 marzo 1998, n. 40, Disciplina dell’immigrazione e norme sulla
condizione dello straniero – che riserva alla competenza esclusiva del Comitato le decisioni
relative ai minori stranieri non accompagnati.
Articolo 25 della legge 30 luglio 2002, n. 189, Modifica alla normativa in materia di
immigrazione e di asilo (cosiddetta legge Fini-Bossi), inerente ai minori affidati al compimento
della maggiore età.
Atti internazionali non vincolanti
•
•
Decisione 97/420/GAI del Consiglio dell’Unione europea del 26 giugno 1997 sul seguito
dell’attuazione degli atti adottati in materia di asilo. Tale risoluzione definisce i criteri e le
condizioni minime perché si possa procedere al rimpatrio dei minori.
Raccomandazioni del Comitato ONU sui diritti del fanciullo conseguenti alla discussione dei
rapporti periodici del Governo italiano sull’applicazione in Italia della Convenzione ONU. Le
raccomandazioni conclusive sull’ultimo rapporto presentato dall’Italia sono state adottate il 31
18
•
gennaio 2003; due paragrafi sono dedicati agli interventi richiesti al Governo italiano per una
politica di rispetto e protezione dei diritti dei minori non accompagnati.
Risoluzione del Parlamento europeo del 15 gennaio 2003 sulla situazione dei diritti
fondamentali nell’Unione europea (2001) (2001/2014 (INI)). Tale risoluzione sollecita tra
l’altro la presenza di personale medico e giuridico qualificato per i minori non accompagnati
nei centri di accoglienza e nei centri di detenzione.
Normativa nazionale di natura secondaria
•
•
–
–
–
•
•
•
•
•
•
•
•
Circolare del Ministero dell’interno del 26 aprile 1999, sul rilascio dei visti per il
ricongiungimento familiare in favore di minori affidati.
Decreto del Presidente del consiglio dei ministri 9 dicembre 1999, n. 535, Regolamento
concernente i compiti del Comitato per i minori stranieri, a norma dell’articolo 33, commi 2 e
2-bis, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, ossia il regolamento emanato ai sensi
dell’articolo 17, comma 3, legge 40/98 che stabilisce:
la definizione di “minore straniero non accompagnato”;
i compiti del Comitato per i minori stranieri;
che i rimpatri devono essere effettuati nel rispetto della legge e delle convenzioni
internazionali.
Circolare del Ministero dell’interno del 23 dicembre 1999, relativa al DPR 31 agosto 1999,
Regolamento di attuazione del testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina
dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero.
Circolare del Ministero dell’interno del 16 marzo 2000, che attribuisce alle questure la
pubblicazione del regolamento contenuto nel DPCM 535/99.
Osservazioni del Presidente del comitato per i minori stranieri - Presidenza del consiglio dei
ministri - Dipartimento per gli affari sociali. Testo approvato dal Comitato nella riunione del 2
maggio 2000.
Circolare del Ministero dell’interno del 31 novembre 2000, che stabilisce in quali casi le
autorità di Pubblica Sicurezza debbano rilasciare autorizzazioni al soggiorno per minore età e
quali attività siano riconducibili a tali autorizzazioni.
Linee guida del Comitato per i minori stranieri - Presidenza del consiglio dei ministri Dipartimento per gli affari sociali, deliberate nella riunione dell’11 gennaio 2001. Tale
circolare definisce i criteri di valutazione dell’interesse del minore al rimpatrio.
Circolare del Ministero dell’interno del 9 aprile 2001, che fornisce alle questure
l’interpretazione della disciplina relativa ai minori stranieri non accompagnati redatta dal
direttore centrale del Ministero.
Circolare del Ministero dell’interno dell’8 giugno 2001, che fornisce alcune precisazione in
ordine al procedimento del Comitato e alle comunicazioni della presenza di minori che devono
essere effettuate al Comitato.
Nota del Comitato del 14 ottobre 2002, volta a fornire un’interpretazione dell’art. 25 della
legge 189/02.
2. Il migliore/superiore interesse del minore
La Convenzione ONU prevede all’art. 3 che
In tutte le decisioni relative ai fanciulli, di competenza sia delle istituzioni pubbliche o private di
assistenza sociale, dei tribunali, delle autorità amministrative o degli organi legislativi, l’interesse
superiore del fanciullo deve essere una considerazione preminente.
19
Innanzi tutto è opportuno ricordare che il termine “superiore” proviene dalla traduzione del
termine the best inglese, lingua ufficiale del documento, e pertanto l’interesse andrebbe inteso proprio
in senso di “il migliore” piuttosto che utilizzato in senso comparatistico così come risulta dalla
traduzione italiana che ha destato non poche difficoltà interpretative e applicative.
Con la ratifica della Convenzione ONU le sue norme sono entrate a far parte integrante
dell’ordinamento giuridico italiano, facendo sì che anche un principio programmatico come quello
dell’art. 3 divenisse un principio cardine dell’ordinamento giuridico e, come tale, un fondamentale
criterio interpretativo delle singole norme per superare eventuali loro ambiguità3.
Va sottolineato, inoltre, che l’interesse superiore del minore non va esaminato in modo astratto,
bensì il suo contenuto si deve sostanziare in relazione al singolo caso concreto, dato che le esigenze
del singolo possono variare in relazione alla situazione specifica in cui quest’ultimo, in qualità di
soggetto in formazione, viene a trovarsi di volta in volta. A titolo esemplificativo si possono
richiamare una serie di criteri che consentono di procedere alla valutazione del superiore interesse del
minore al fine di verificare, in concreto, la sussistenza delle condizioni e dei presupposti per
l’attuazione dei diritti del minore.
Partiamo dalla combinazione dell’art. 3 e dell’art. 29 della Convenzione ONU con le norme della
Costituzione italiana – dall’art. 2, in primis – che distintamente esplicitano i presupposti in base ai
quali è reso possibile «lo sviluppo delle sue facoltà e delle sue attitudini mentali e fisiche in tutta la
loro potenzialità» in modo da prepararlo ad assumere «le responsabilità della vita in una società
libera», «nel rispetto dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali». Al fine di avviare tale
percorso attuativo a cui gli Stati si sono impegnati attraverso la ratifica del trattato, il minore dovrebbe
beneficiare: di un livello di vita sufficiente per consentire il suo sviluppo fisico, mentale, spirituale,
morale e sociale4; del miglior stato di salute possibile e di beneficiare di servizi medici e di
riabilitazione5; di educazione e formazione lavorativa in funzione delle capacità6; di protezione contro
lo sfruttamento economico e la costrizione ad alcun lavoro che comporti rischi o sia suscettibile di
porre a repentaglio la sua educazione o di nuocere alla sua salute o al suo sviluppo fisico, mentale,
spirituale, morale o sociale7.
Va, peraltro, richiamato che una cosa è il riconoscimento di tali diritti, tutt’altro è la loro
attuazione necessariamente demandata a figure adulte di riferimento, intese sia come legami affettivi
sia come organi statali cui è demandata la responsabilità di garantire e di predisporre strumenti
congrui e accessibili per l’esplicarsi del superiore interesse del minore così precisato.
Rispetto ai legami affettivi, è fuori discussione che il primario riferimento è da associare alla famiglia
naturale quale unità fondamentale della società e ambiente naturale per la crescita e il benessere di
tutti i suoi membri e, in particolare, dei fanciulli. Il fanciullo, ai fini dello sviluppo armonioso e
completo della sua personalità, deve crescere in un ambiente familiare in un clima di felicità, di amore
e di comprensione. Infatti è a tale nucleo che il legislatore, nazionale e internazionale, assegna il
compito di tutela e guida del minore «secondo le inclinazioni naturali», sottolineando che «il minore
ha diritto a essere educato nella propria famiglia»8. Un conto è la situazione che si verifica in presenza
non solo di una famiglia consapevole delle proprie responsabilità e che intenda garantire al minore il
proprio percorso formativo così come delineato, ma anche che risieda in un ambito territoriale (Stato)
che abbia risorse e organi ed enti che predispongono le misure idonee, necessarie e opportune allo
scopo, anche nel caso in cui la famiglia stessa, senza propria responsabilità, non sia in grado di attuare
in pieno il proprio compito.
3
Moro A.C., Diritti del minore e nozione di interesse, in «Cittadini in crescita», anno 1, n. 2-3, 2000, p. 9-24
Art. 27 della Convenzione ONU
5
Art. 24 della Convenzione ONU
6
Art. 28 della Convenzione ONU
7
Art. 32 della Convenzione ONU
8
Art. 147 codice civile (cc), art. 30 Cost., Convenzione ONU, art. 1 legge 184/83
4
20
Ed è proprio per assicurare tale diritto del minore di crescere nella propria famiglia d’origine che
sono state individuate, dalle fonti legislative più volte richiamate, le forme di aiuto e di sostegno da
porre in essere tutte le volte in cui la famiglia stessa non sia in condizione di provvedervi, ciò in
quanto l’incapacità dei genitori, ad esempio, mai può essere individuata nell’indigenza, nella
irregolarità della presenza e tanto meno nella cultura di provenienza del nucleo familiare anzi,
l’identità del minore è diritto pari agli altri e pertanto meritevole di tutela. È infatti previsto che, ove i
genitori o le altre persone cui il minore è affidato non avessero i mezzi economici per provvedere al
mantenimento e all’istruzione del minore, dovrebbe essere lo Stato, con misure appropriate, a fornire
loro assistenza e sostegno9.
Il problema si pone, al contrario, quando non vi sono le condizioni perché la famiglia d’origine,
temporaneamente o in via definitiva – per volontà propria, per forza maggiore, per una
contestualizzazione di vari fattori ambientali, economici culturali – non offra alcuna garanzia per una
“armoniosa” crescita e per lo sviluppo del minore. In tale caso vengono in rilievo a pieno titolo, e non
esclusivamente come misure di sostegno, gli strumenti predisposti dallo Stato e pertanto nel primo
caso, ovvero per impossibilità temporanea, si evidenzia l’istituto dell’affidamento quale forma di
protezione sostitutiva, in conformità alle legislazioni nazionali «il minore temporaneamente privo di
un ambiente familiare idoneo […] è affidato ad altra famiglia, preferibilmente con figli minori, o a una
persona singola», oppure ad una comunità di tipo familiare, in grado di «assicurargli il mantenimento,
l’educazione, l’istruzione e le cure affettive di cui ha bisogno»10.
In sostanza, la famiglia naturale viene al primo posto e, in subordine, un’altra famiglia –
nell’ordine: nucleo familiare normalmente inteso, persona singola, comunità di tipo familiare – che dia
garanzie nel senso voluto e in ultima analisi «è consentito l’inserimento del minore in una comunità di
tipo familiare o, in mancanza, in un istituto di assistenza pubblico o privato, che abbia sede
preferibilmente nel luogo più vicino a quello in cui stabilmente risiede il nucleo familiare di
provenienza»11. Per l’ordinamento italiano, la competenza ai fini dell’affidamento è dei servizi sociali
nel caso in cui vi sia il consenso da parte dei legali rappresentanti del minore – genitori o tutore – e del
tribunale per i minorenni nel caso in cui il consenso manchi12.
Nel secondo caso, ovvero qualora la difficoltà o la mancanza della famiglia d’origine sia
definitiva, il minore stesso è tutelato tramite l’istituto della tutela che prevede che «se entrambi i
genitori sono morti o per altre cause non possono esercitare la potestà dei genitori, si apre la tutela»13
laddove non è ancora chiarito in via interpretativa se la stabile lontananza dei genitori possa essere
ricompresa nell’ambito d’applicazione della norma, essendovi sul punto orientamenti difformi. In tal
caso competente sarà il giudice tutelare presso il tribunale ordinario.
Nell’ipotesi, poi, che il minore si trovi in situazione di abbandono – minori privi di assistenza
morale e materiale da parte dei genitori o dei parenti tenuti a provvedervi, purché la mancanza di
assistenza non sia dovuta a forza maggiore di carattere transitorio14 – il tribunale per i minorenni è
competente a dichiarare lo stato di adottabilità, presupposto per l’inserimento stabile e definitivo del
minore in altra famiglia.
In conclusione, il legislatore italiano ha previsto tramite le forme di sostegno da parte dello Stato
alla famiglia d’origine o tramite l’istituto dell’affidamento, della tutela e dell’adozione, dei
meccanismi giuridici attraverso i quali il minore sia comunque garantito da forme di rappresentanza e
di tutela per l’attuazione dei suoi diritti.
3. Definizione di minore straniero non accompagnato
9
Articoli 18, comma 2, e 27 comma 3 Convenzione ONU, art. 31 Cost.
Art. 2, commi 1 e 2 della legge 184/83, nonché art. 20, commi 1 e 3, della Convenzione ONU
11
Art. 2, comma 2, legge 184/83.
12
Art. 4, comma 2, legge 184/83, che prevede l’applicazione della procedura ex articoli 330 e seg. cc.
13
Art. 343 cc.
14
Art. 8, legge 184/83
10
21
Dopo aver considerato quali strumenti il legislatore italiano ha predisposto per la migliore cura
dell’interesse del minore, conformemente alla legislazione internazionale di riferimento, nella
medesima prospettiva si può affrontare il tema specifico della disciplina applicabile al minore
straniero non accompagnato che si trovi sul territorio italiano.
A questo proposito occorre, innanzi tutto, definire l’ambito di applicazione della disciplina che si
intende esaminare. Tale ambito è delimitato dalla definizione di “minore straniero non
accompagnato”. La definizione in oggetto è contenuta nella norma regolamentare di cui al secondo
comma dell’art. 1 del regolamento del Comitato per i minori stranieri15 che definisce come “minore
straniero non accompagnato presente nel territorio dello Stato” «il minorenne non avente cittadinanza
italiana o di altri Stati dell’Unione europea che, non avendo presentato domanda di asilo, si trova per
qualsiasi causa nel territorio dello Stato privo di assistenza e rappresentanza da parte dei genitori o di
altri adulti per lui legalmente responsabili in base alle leggi vigenti nell’ordinamento italiano».
Una prima osservazione relativa a tale definizione deve essere fatta specificando il significato
dell’espressione «privo di assistenza e rappresentanza da parte dei genitori». Tale espressione non può
essere intesa in modo tale da far coincidere la nozione di minore straniero non accompagnato con
quella di minore in stato di abbandono: un minore non accompagnato dai genitori può non essere in
stato di abbandono quando per esempio è accolto da parenti entro il quarto grado, moralmente e
materialmente idonei a provvedervi, che però non ne hanno la rappresentanza legale; così come un
minore, pur convivente con i genitori, può trovarsi in stato di abbandono quando questi non si curano
di lui e lo maltrattano. Una seconda osservazione deve essere svolta con riferimento al fatto che,
secondo la definizione in esame, oltre ai minori privi di adulti di riferimento sono da intendere come
“non accompagnati” anche i minori affidati di fatto ad adulti – inclusi i parenti entro il quarto grado –
che non ne siano tutori o affidatari in base a un provvedimento formale, in quanto questi minori sono
comunque privi di rappresentanza legale in base alla legge italiana.
A questo proposito è utile ricordare che, secondo un diverso orientamento – peraltro non
condiviso dal Comitato e da numerose questure – i minori accolti da parenti entro il quarto grado non
sono da considerarsi “minori non accompagnati” in quanto essi sarebbero legittimamente affidati dai
genitori nell’ambito del gruppo parentale. Tale orientamento è fondato sull’opinione che l’affidamento
consensuale del minore16 si realizzi anche qualora manchi il consenso formalmente espresso dai
genitori, sempre che esso sia altrimenti desumibile17. Nella pratica si sono verificati casi in cui il
giudice minorile competente ha disposto giudizialmente l’affido al parente entro il quarto grado,
sostenendo l’inesistenza di un affido consensuale in mancanza dell’atto di assenso dei genitori; in altri
casi il giudice si è dichiarato incompetente, riconoscendo validità all’affido realizzato mediante
consenso non formalmente espresso18. A fronte di una prassi giurisprudenziale di merito orientata
come indicato, si deve riscontrare che le autorità di pubblica sicurezza, in mancanza di un affido
formale, hanno sistematicamente segnalato la presenza del minore al Comitato il quale, non
dichiarando la propria incompetenza, ha di fatto esteso anche a tali casi l’applicabilità del trattamento
previsto per i minori stranieri non accompagnati.
Si è pertanto creata, con riferimento a queste fattispecie, una situazione di difficoltà di
coordinamento tra i soggetti che si occupano del minore.
4. La competenza del Comitato per i minori stranieri
15
DPCM 535/99
Art. 4, legge 184/83
Questo orientamento si fonda sul silenzio del legislatore in merito alla necessità di un consenso formalmente espresso. Si
è inoltre osservato che l’art. 9, comma 4, legge 184/83 impone un obbligo di comunicazione unicamente per le ipotesi di
accoglienza del minore da parte di persone diverse dai parenti entro il quarto grado. A contrariis si può desumere che il
legislatore non abbia considerato meritevole di controllo, e quindi di una specifica disciplina, il caso di specie.
18
Si segnala, per altro, che l’affidamento consensuale disposto dai servizi locali in mancanza di un consenso formalmente
manifestato dai genitori, può essere realizzato nella pratica in forme differenti:
1. il giudice tutelare può nominare un tutore ex articoli 343 e seg. cc, che dà poi il consenso all’affidamento;
2. il consenso all’affidamento può essere manifestato dall’istituto di pubblica assistenza ovvero, in genere, l’ente locale in
quanto esercente i poteri tutelari ex art. 402 cc.
16
17
22
Definiti i limiti della materia, occorre ora esaminare i profili problematici della disciplina che ha
esteso la competenza del Comitato alla valutazione dell’interesse del minore e all’adozione dei
provvedimenti necessari alla sua tutela19.
Si consideri innanzi tutto la disciplina contenuta nel combinato disposto degli articoli 33, TU
286/98 – come modificato dall’art. 5, DLGS 113/99 – e 32, TU 286/98 – come modificato dall’art. 25
della legge 189/02. In particolare, l’art. 33 TU 286/98 demanda al Presidente del consiglio di ministri
di stabilire, con regolamento, i compiti del Comitato definendo, per inciso, che a tale autorità è
rimessa la decisione sulla sorte dei minori stranieri non accompagnati. L’art. 32 TU 286/98,
presupponendo la competenza del Comitato, regola poi alcuni casi in cui al minore straniero che
diventi maggiorenne può essere rilasciato un’autorizzazione al soggiorno che gli consenta di lavorare
o di studiare.
In particolare viene prevista la possibilità di rilasciare un permesso di soggiorno al minore
straniero non accompagnato che sia stato ammesso «per un periodo non inferiore a due anni in un
progetto di integrazione sociale e civile gestito da un ente pubblico o privato che abbia rappresentanza
nazionale e che comunque sia iscritto nel registro istituito presso la Presidenza del Consiglio dei
ministri» e che quest’ultimo garantisce e prova che «l’interessato si trova sul territorio nazionale da
non meno di tre anni»20.
Tale disciplina, che deve essere integrata con quanto disposto dal DPCM 535/99 e da alcune
circolari ministeriali21, sembra dunque stabilire la competenza del Comitato a valutare l’interesse del
minore straniero non accompagnato e a deciderne l’eventuale rimpatrio. In tal senso sono rilevanti sia
le Linee guida del Comitato emanate con circolare dell’11 gennaio 2001 sia la nota del Comitato del
14 ottobre 2002. In particolare, quest’ultima stabilisce in quali casi «il Comitato emette un
provvedimento di non luogo a provvedere al rimpatrio nel quale viene indicato alla autorità giudiziaria
minorile di affidare il minore ai sensi della legge 184/83».
Si rileva che a questa disciplina è stato mosso un triplice ordine di osservazioni critiche: di
sospetta illegittimità costituzionale, di scarso coordinamento con la normativa precedente e di lacuna
per quanto concerne la disciplina del procedimento amministrativo in cui si realizza l’attività del
Comitato.
In primo luogo si osserva che l’art. 5 DLGS 113/99 che attribuisce al Comitato la competenza ad
adottare il provvedimento di rimpatrio, è stato emanato in conformità alla delega contenuta nell’art.
47, comma 2, legge 40/98, con la quale il legislatore incaricava il Governo di «emanare, entro il
termine di due anni dalla data di entrata in vigore della presente legge, uno o più decreti legislativi
19
Si considera pacifica, ai sensi dell’art. 1 della convenzione de L’Aja del 5 ottobre 1961, resa esecutiva in Italia con legge
742/80, la competenza dell’autorità giudiziaria e amministrativa italiana all’adozione delle misure di protezione del minore
straniero che si trovi in Italia.
20
Art. 25, legge 189/02. Il carattere residuale di tale norma, che pertanto non limita a questi soli casi la possibilità per il
minore che compia la maggiore età di ottenere il permesso di soggiorno, è sostenuta dalla nota interpretativa del Comitato
per i minori stranieri del 14 ottobre 2002.
21
La disciplina relativa al funzionamento del Comitato, al suo iter procedimentale nonché le indicazioni a cui deve
attenersi l’autorità di pubblica sicurezza, sono contenute nelle seguenti circolari:
– circolare del Presidente del comitato per i minori stranieri dell’11 gennaio 2001, riguardante le Linee guida dell’attività
del Comitato e determinante i criteri di valutazione dell’interesse del minore al rimpatrio;
– circolare del Ministero dell’interno del 16 marzo 2000, che riferisce alle questure la pubblicazione del regolamento
contenuto nel DPCM 535/99;
– circolare del Ministero dell’interno del 31 novembre 2000, che stabilisce in quali casi le autorità di pubblica sicurezza
debbano rilasciare autorizzazioni al soggiorno per minore età e quali attività siano riconducibili a tali autorizzazioni;
– circolare del Ministero dell’interno del 9 aprile 2001, che fornisce alle questure l’interpretazione della disciplina
relativa ai minori stranieri non accompagnati effettuata dal Ministero stesso;
– circolare del Ministero dell’interno dell’8 giugno 2001, che pone alcune precisazioni in ordine al procedimento del
Comitato e alle comunicazioni che devono essere effettuate al Comitato in merito alla presenza di minori sul territorio
dello Stato italiano;
– circolare del Ministero del lavoro e delle politiche sociali - Comitato per i minori stranieri del 14 ottobre 2003, che
interpreta la normativa in materia di minori stranieri non accompagnati alla luce della riforma attuata con la legge 189/02.
In particolare, viene sottolineato il carattere residuale della norma contenuta nell’art. 25 della menzionata legge e
vengono definiti i rapporti tra il Comitato, l’autorità giudiziaria minorile e le questure.
23
recanti le disposizioni correttive che si dimostrino necessarie per realizzare pienamente i princìpi della
presente legge o per assicurarne la migliore attuazione». A questo proposito è stato osservato che tale
delega è priva di quei principi e di quei criteri direttivi che l’art. 76 Cost. prevede perché possa
effettuarsi un conferimento di delega al Governo, limitandosi a un generico richiamo ai principi
contenuti nelle convenzioni internazionali ratificate dall’Italia.
In secondo luogo è stato sostenuto che tale delega potrebbe essere considerata in contrasto con
l’art. 13 Cost. che riserva all’autorità giudiziaria i provvedimenti limitativi della libertà personale.
Recentemente i provvedimenti di rimpatrio sono stati effettuati, in alcune realtà locali, direttamente
dalle forze di polizia in modo coatto e contro la volontà del minore, e pertanto sono parsi
effettivamente limitativi della libertà personale. La disciplina attuale riserva l’intervento dell’autorità
giudiziaria alla sola concessione di un nullaosta al rimpatrio per assenza di procedimenti
giurisdizionali, intendendosi per tali soltanto i procedimenti in materia penale.
Un’ultima osservazione critica della disposizione in esame è stata effettuata con riferimento alla
riserva di legge che l’art. 10, comma 2, Cost. stabilisce per la definizione della condizione giuridica
dello straniero. A questo proposito è stato rilevato che, di fatto, la delega “a cascata” effettuata
dall’art. 47, comma 2, legge 40/98 e dall’art. 5 DLGS 113/99, rimandando a un regolamento
amministrativo la disciplina applicabile ai minori, viola tale riserva di legge. In realtà anche tale
regolamento effettua un’ulteriore delega, demandando a una circolare del Presidente del comitato la
definizione dei criteri che devono essere considerati nella valutazione della situazione concreta dei
minori e, quindi, nell’adozione dei provvedimenti di rimpatrio, ricongiungimento o accoglienza dei
minori. Inoltre, la circostanza che la valutazione dell’interesse del minore sia demandata a un’autorità
amministrativa, la cui attività deve ispirarsi istituzionalmente ai principi di buona amministrazione,
suscita un’ulteriore perplessità se si considera che la costante giurisprudenza della Corte costituzionale
ha annoverato il tribunale per i minorenni tra gli istituti che la Repubblica ha predisposto in ossequio
all’art. 31 Cost. per l’adempimento del precetto costituzionale che la impegna alla “protezione della
gioventù”22. Peraltro, è stato altresì osservato che, se è pur vero che la condizione di “minore non
accompagnato” non importa necessariamente la condizione di “minore in stato di abbandono”, è
altresì vero che l’indagine sulla condizione del minore viene così demandata in via esclusiva al
Comitato dal regolamento contenuto nel DPCM 535/99. Si consideri, poi, che l’autorità amministrativa
non può considerare in via esclusiva o preminente l’interesse del minore – come invece prescrivono i
principi costituzionali e le convenzioni ratificate dall’Italia – dovendo invece ispirare la propria
attività anche ai principi di “buona amministrazione” che le impongono di tenere in considerazione i
vari interessi dell’amministrazione compresi quelli dei rapporti con gli altri Stati e quelli economici
degli enti locali che si fanno carico dei minori.
Con riferimento al secondo ordine di osservazioni critiche si rileva che è stata da alcuni sostenuta
un’interpretazione sistematica delle norme in esame. Secondo questa interpretazione l’attività del
Comitato dovrebbe avere un carattere meramente esecutivo di quanto stabilito dall’autorità giudiziaria
minorile. Tale orientamento ritiene, infatti, che se il legislatore avesse inteso, con la delega contenuta
nell’art. 47, comma 2, legge 40/98, rimettere l’intera materia alla normazione secondaria, si sarebbe
preoccupato di abrogare quelle norme di carattere primario che, nell’ordinamento giuridico attuale,
stabiliscono l’intervento del tribunale per i minorenni. In questo senso è stato sostenuto che l’utilizzo
di tale delega per attribuire (mediante l’art. 5 DLGS 113/99) al Comitato la competenza ad adottare i
provvedimenti di rimpatrio, ha realizzato un utilizzo eccessivo della delega.
È utile a questo punto richiamare sinteticamente quali siano le disposizioni di carattere primario
che, nell’ordinamento giuridico attuale, stabiliscono l’intervento del tribunale per i minorenni.
•
L’art. 33, comma 5, legge 184/83 impone ai pubblici ufficiali di segnalare la presenza dei
minori irregolari al tribunale per i minorenni per gli opportuni provvedimenti, compresa la
segnalazione alla Commissione per le adozioni internazionali, che a sua volta comunicherà il
22
Corte costituzionale, sentenza n. 78 del 22 febbraio 1989
24
•
•
•
•
•
•
•
nominativo al Comitato – in base al regolamento di attuazione della legge 476/98, art. 18 DPR
492/99.
L’art. 37 bis, legge 184/83 come modificata dalla legge 476/98, e l’art. 28 DPR 394/99
prescrivono l’obbligo per i pubblici ufficiali di segnalare i minori stranieri in stato di
abbandono al tribunale per i minorenni.
L’art. 9, legge 183/84 dispone che il minore affidato a persona diversa dal parente entro il
quarto grado, deve essere segnalato al giudice tutelare che a sua volta trasmette gli atti al
tribunale per i minorenni.
Art. 31, comma 4, TU 286/98 riserva all’autorità giudiziaria minorile la decisione di espulsione
del minore.
L’art. 28, comma 1, lett. a), DPR 394/99 dispone che «se si tratta di minore abbandonato, è
immediatamente informato il Tribunale per i minorenni per i provvedimenti di competenza».
Art. 403 cc dispone interventi urgenti di protezione per i minori. Tale norma si pone in conflitto
con la disposizione contenuta nell’art. 3, comma 5, DPCM 535/99 il quale prevede che «In caso
di urgenza, per situazioni in relazione alle quali sia improcrastinabile l’intervento a tutela della
salute psicofisica del minore, i poteri del Comitato sono esercitabili dal presidente o da un
componente da lui delegato, salva la ratifica da parte del Comitato nella prima riunione
successiva all’esercizio dei poteri medesimi. I provvedimenti non ratificati perdono efficacia
dal momento in cui sono stati adottati».
Art. 343 cc dispone che il minore i cui genitori non possono esercitare la potestà genitoriale,
deve essere segnalato al giudice tutelare per l’apertura della tutela.
Art. 5 comma 1 della legge 64/94 dispone che « Le decisioni sulle richieste di rimpatrio di
minori dal territorio dello Stato, avanzate dalle autorità straniere, ai sensi dell’art. 2 comma 1, e
dell’art. 4 della convenzione de L’Aja del 28 maggio 1970, sono adottate dal Tribunale per i
minorenni del luogo dove il minore risiede».
Il terzo ordine di osservazioni mosse alla riforma in esame riguarda le norme relative al
procedimento che si svolge di fronte al Comitato e la tutela accordata al minore destinatario di tale
procedimento.
5. Il procedimento del Comitato
Occorre prima di tutto prendere in considerazione la disciplina che determina i criteri da adottare
da parte del Comitato nella decisione di accoglienza e rimpatrio del minore straniero non
accompagnato. Tale disciplina è contenuta nelle circolari dell’11 gennaio 2001 e del 14 ottobre 2002.
Con la prima il Presidente del comitato ha definito le linee guida dell’attività del Comitato; con la
seconda circolare il Comitato ha aggiornato le proprie linee guida alle norme della riforma contenuta
nella legge 189/02. Le osservazioni mosse a questa disciplina riguardano sia il profilo formale sia il
profilo sostanziale.
Da un punto di vista formale, è stato rilevato che la disciplina relativa alla condizione giuridica del
minore straniero in Italia è contenuta, di fatto, in un provvedimento amministrativo che ha il valore di
circolare amministrativa. L’aver demandato a tale fonte normativa la disciplina della condizione
giuridica del minore straniero ha ridotto fortemente quella particolare tutela che, con la ratifica della
Convenzione ONU, l’Italia si è impegnata a far propria nell’adozione ed esecuzione dei provvedimenti
che riguardano i minori. Infine, ha suscitato numerose perplessità l’aver delegato la regolamentazione
del procedimento avanti al Comitato a un provvedimento del Comitato stesso.
Da un punto di vista sostanziale è stato, invece, rilevato che le linee guida in oggetto, dopo un
formale richiamo ai principi contenuti nella Convenzione ONU, si limitano ad affermare che il
rimpatrio del minore straniero non accompagnato è in linea con i principi dell’ordinamento vigente.
La critica è stata rivolta all’assenza, sia nella legge sia nelle circolari, dei criteri di valutazione in
concreto del “migliore interesse del minore” con riferimento all’eventuale rimpatrio. È stato osservato
25
che la conseguenza pratica di tale lacuna è consistita nel fatto che, in numerosi casi, le decisioni di
rimpatrio sono state motivate esclusivamente con l’affermazione della prevalenza dell’interesse al
ricongiungimento con la famiglia.
6. I tempi
Il vuoto normativo che è stato segnalato riguarda anche gli aspetti procedurali dell’attività del
Comitato che conduce alla decisione di rimpatrio.
In particolare si è osservato che non vi sono norme che stabiliscano i tempi in cui il Comitato deve
operare. In verità le Linee guida deliberate dal Comitato in data 11 gennaio 2001, rifacendosi alle
«raccomandazioni formulate in sede internazionale», dispongono che «le ricerche dei familiari di un
minore straniero apparentemente abbandonato, debbono proseguire per almeno due anni prima di
potere dichiarare lo stato di abbandono». La circolare del Ministero dell’interno dell’8 giugno 2001
rammenta alle questure che le comunicazioni della presenza di minori stranieri al Comitato «hanno la
funzione di permettere al citato organismo, entro un limitato lasso di tempo (sessanta giorni), ogni
indispensabile accertamento sullo status del minore stesso e ad intraprendere le opportune iniziative»
(venti giorni per l’indagine nel Paese di origine).
A questo proposito è stata espressa una triplice perplessità.
In primo luogo ci si è interrogati sull’opportunità di demandare al Comitato stesso la fissazione dei
termini entro cui deve portare a termine il procedimento amministrativo di cui è titolare. In secondo
luogo si è ravvisato un contrasto tra la disciplina derivante dal combinato disposto delle circolari
menzionate e della norma primaria generale contenuta nella legge 241/90 che fissa in sessanta giorni il
termine generale entro cui i procedimenti amministrativi si devono concludere. Inoltre, si è ritenuto
che il termine di due anni sia da considerare un lasso temporale troppo lungo per affermare che il
soggiorno del minore debba considerarsi temporaneo. La decisione sul rimpatrio rischia così di
pervenire, come di fatto si è verificato in alcuni casi pratici, dopo che il minore aveva intrapreso un
percorso educativo e di formazione professionale significativo.
Infine, si è rilevato che l’indicazione contenuta nelle circolari è insufficiente per poter fare
chiarezza sulla sorte di quei procedimenti che hanno avuto durata maggiore rispetto a quella citata.
7. Contraddittorio nel procedimento e impugnazione del provvedimento
Un’altra questione sollevata dall’assenza di riferimenti normativi, riguarda il contraddittorio nel
procedimento e l’impugnazione del provvedimento.
Con riferimento al primo punto si è osservato nella pratica che, nonostante l’indicazione contenuta
nelle Linee guida, il minore viene sentito dall’assistente sociale dell’ente locale soltanto al momento
in cui viene rintracciato. È questo il momento in cui viene genericamente informato della possibilità di
rimpatrio.
Per quanto riguarda, poi, la possibilità di intervenire nel procedimento, per mezzo di rappresentante
legale, viene in considerazione l’art. 3, comma 6, del regolamento contenuto nel DPCM 535/99 che
stabilisce che «in caso di necessità, il Comitato comunica la situazione del minore al giudice tutelare
competente, per l’eventuale nomina di un tutore provvisorio». A questo riguardo è stata sottolineata la
specificità di tale norma rispetto a quella, più generale e di carattere primario, contenuta negli articoli
343 e seg. cc, che dispongono l’apertura della tutela per i minori privi di rappresentanza legale.
In particolare, sono state poste in rilievo le conseguenze derivanti dall’applicazione della norma
regolamentare nei termini di mancata rappresentanza legale nel procedimento amministrativo diretto a
decidere del rimpatrio. È apparso, infatti, anomalo che la possibilità di intervenire tramite istanze di
accesso ovvero tramite la presentazione di memorie e osservazioni23, sia consentita soltanto a quei
23
Si segnala che, non prevedendo la disciplina specifica alcun particolare strumento di partecipazione al procedimento,
deve ritenersi applicabile la disciplina generale contenuta nella legge 241/90.
26
minori per i quali il Comitato stesso abbia deciso, ai sensi dell’art. 3, comma 6,
richiedere al giudice tutelare la nomina di un rappresentante legale24.
DPCM
535/99, di
Con riferimento, infine, all’impugnazione del provvedimento, è stato proposto un triplice ordine di
considerazioni.
In primo luogo si è osservato che, in assenza di una diversa disposizione, il tribunale competente a
decidere dell’impugnazione del provvedimento è il tribunale amministrativo regionale (qui di seguito
25
TAR) . Si realizza, in ultima analisi un trasferimento della competenza a valutare l’interesse del
minore dal tribunale per i minorenni al TAR. Tale previsione è ora oggetto di una questione di
legittimità avanti alla Corte costituzionale, cui è stato richiesto di pronunciarsi sull’incostituzionalità
dell’art. 33, comma 2 bis, TU 286/98, nella parte in cui non prevede la competenza del tribunale per i
minorenni in ordine ai ricorsi contro i provvedimenti del Comitato26.
In secondo luogo è stata segnalata l’impossibilità di impugnazione qualora non sia stato nominato
un tutore.
Infine, si è considerata l’incidenza determinata sui motivi di gravame dalla circostanza che i criteri
con cui è stato emanato il provvedimento siano contenuti in una circolare: l’impugnazione, infatti, è
limitata al motivo di eccesso di potere.
8. Permesso di soggiorno
Un’ultima serie di considerazioni deve essere effettuata con riferimento al titolo di soggiorno
rilasciato dall’autorità di pubblica sicurezza ai minori stranieri non accompagnati.
La materia è regolata nel dettaglio dalla circolare del Ministero dell’interno del 9 aprile 2001 che –
richiamando la norma contenuta nell’art. 28, comma 1, lett. a) del DPR 31 agosto 1999, n. 394,
Regolamento recante norme di attuazione del testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina
dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, a norma dell’articolo 1, comma 6, del
decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 – disciplina il permesso di soggiorno “per minore età” ed è
stata aggiornata dalla circolare del Comitato del 14 ottobre 2002 sulla scorta della riforma operata
dall’art. 25 della legge 189/02.
La norma primaria contenuta nell’art. 28 del DPR 394/99 è molto generica, disponendo che
«Quando la legge dispone il divieto di espulsione, il Questore rilascia il permesso di soggiorno: a) per
minore età, salvo l’iscrizione del minore degli anni quattordici nel permesso di soggiorno del genitore
o dell’affidatario stranieri regolarmente soggiornanti in Italia». La norma contenuta nell’art. 25 della
legge 189/02 dispone, invece, che può essere rilasciato un permesso di soggiorno al minore straniero
non accompagnato che sia stato ammesso «per un periodo non inferiore a due anni in un progetto di
integrazione sociale e civile» e che «si trova sul territorio nazionale da non meno di tre anni».
La disciplina contenuta nelle circolari menzionate e nelle disposizioni inviate dal Ministero
dell’interno alle questure, richiamando queste norme, stabilisce che in tutti i casi in cui il Comitato
non abbia «indicato all’autorità giudiziaria minorile di affidare il minore ai sensi della l. n. 184/83 e
alle Questure di rilasciare un Permesso di Soggiorno per affidamento» sia rilasciato un permesso per
minore età che non consente l’attività lavorativa e che non può essere convertito in alcun altro titolo
senza l’assenso del Comitato.
24
A questo proposito occorre, poi, segnalare che in un caso in cui era stato nominato come tutore l’ente locale del luogo
ove risiedeva il minore, l’autorità giudiziaria ha ravvisato un conflitto di interessi.
25
In via principale si considererà competente il TAR Lazio, avendo il Comitato sede presso il Ministero del Lavoro a Roma.
Come è noto, però, il criterio della competenza del TAR della regione in cui ha sede l’autorità che ha emesso il
provvedimento è derogabile. Si potrà pertanto adire altresì il TAR del luogo di residenza del minore.
26
Questione sollevata dal Tribunale di Vercelli con ordinanza del 7 giugno 2002; la non manifesta infondatezza viene
ancorata al principio di uguaglianza in relazione alla disparità di trattamento fra il minore straniero oggetto di rimpatrio
assistito e quello per il quale sia stata autorizzata la permanenza o oggetto di espulsione, ex art. 31, commi 3 e 4, TU
286/98.
27
È stato osservato che la norma tace sulle attività consentite dal permesso di soggiorno per minore
età. È opinione comune, invece, che il vuoto normativo avrebbe dovuto essere riempito applicando la
disciplina contenuta nella norma che regola la fattispecie più vicina a quella non disciplinata dalla
norma, nel rispetto dei principi generali a cui si ispira la disciplina in materia. A questo proposito si
richiama, infatti, quanto disposto dagli articoli 31 e 32 che prevedono, per i minori affidati a persone
regolarmente soggiornanti, il rilascio di un titolo di soggiorno che non limita le attività che il minore
può svolgere (attività lavorativa).
Con riferimento, poi, alla possibilità di convertire, al compimento della maggiore età, il permesso
di soggiorno per minore età in permesso per studio, per lavoro o per ricerca lavoro è stato osservato
che la limitazione effettuata dalla circolare del 9 aprile 2000 è priva di supporto nella normativa
primaria. Nello specifico, la necessità di un nulla osta da parte del Comitato, per altro non presupposto
nel silenzio di tale autorità, non trova riscontro nel diritto positivo se non in quella norma contenuta
nell’art. 25 della legge 289/02 che prende in considerazione soltanto alcune fattispecie che il Comitato
stesso ha definito di carattere residuale. In riguardo si segnala che i TAR del dell’Emilia-Romagna, del
Piemonte e della Toscana27 si sono espressi in favore di una lettura della norma nel senso di ravvisare
un onere di valutazione della questura in ordine alla possibilità di rilasciare, in ciascun singolo caso,
un permesso di soggiorno per studio, per lavoro o per ricerca lavoro. Il Tribunale ordinario di Torino
ha invece affermato che il minore ha il diritto di svolgere attività lavorativa, senza valutazioni
discrezionali dell’autorità amministrativa, dichiarando l’inefficacia del permesso di soggiorno per
minore età «laddove stabilisce la non validità ai fini lavorativi»28.
Le perplessità di ordine giuridico si uniscono necessariamente a quelle di ordine pedagogico,
formulate da diverse comunità di accoglienza, in quanto il divieto di lavorare e l’impossibilità di
proseguire legalmente il soggiorno in Italia al compimento della maggiore età pregiudicano fortemente
la possibilità di elaborare progetti educativi lungimiranti.
La conseguenza naturale di questo orientamento della questura, che si aggiunge ai tempi che il
Comitato si è riservato per decidere sul rimpatrio, è che molti minori restano illegalmente in Italia pur
avendo intrapreso un percorso educativo e formativo significativo.
Articolo scritto da Josep Moryerson Coordinatore Segretario di ChildONEurope Consulente legale
presso l’Istituto degli Innocenti e da Giovanni Tarzia Consulente legale presso Comunità
d’accoglienza per minori stranieri
STEFANO SCARPELLI
Responsabile Amministrativo del Comitato Minori Stranieri
Generalmente quando iniziamo un intervento del Comitato Minori Stranieri premettiamo sempre
che parlare di questa materia non è particolarmente semplice. Infatti sia da un punto di vista
amministrativo, che da un punto di vista giuridico, che da un punto di vista sociologico, questo
fenomeno dei minori stranieri non accompagnati sicuramente ha delle complessità che molte volte si
intrecciano tra di loro, alle quali non sempre, purtroppo, si può dare la risposta. Perché dico “la
risposta”? Perché in quanto funzionari dello Stato, tutta quella complessità che il Dott. Moyersoen ha
evidenziato, dobbiamo applicarla e ciò non è semplice.
Non penso solo a noi funzionari dello Stato Centrale, penso anche alle Autonomie locali, agli Enti
Locali, ai Servizi Sociali, alle Questure, ai Tribunali a tutti coloro che in questo fenomeno entrano in
gioco. Si spera che con l’entrata in vigore del regolamento di attuazione, noi funzionari-operatori
27
TAR Emilia-Romagna, Sezione I, ordinanza n. 50 del 23 maggio 2002; TAR Piemonte, Sezione II, sentenza n. 952 del 14
novembre 2001; TAR Toscana, Sezione I, sentenza n. 880 del 2002.
28
Tribunale ordinario di Torino, Sezione VII, ordinanza del 21 novembre 2001.
28
potremmo cominciare a capire qualcosa su come, eventualmente, continuare a trattare questo
argomento. Questo è un problema che noi viviamo quotidianamente, come tutti quelli che lavorano sul
settore.
Vorrei fare un intervento che essenzialmente ha due aspetti: uno più riflessivo e storico riguardante
l'attività del Comitato in questi ultimi anni. Un altro più operativo, finalizzata ad analizzare ciò che
potrà avvenire quando arriverà il regolamento d’attuazione.
Prima che iniziasse l’attività del Comitato, i Tribunali per Minorenni, purtroppo, spesso, si
dichiaravano incompetenti ad analizzare situazioni di minori stranieri che, tendenzialmente, avessero
più di 14 anni. È stato anche per questo che è stato istituito all’interno della legge sull’immigrazione,
un Comitato predisposto ad hoc per minori. Bisogna considerare che la 286, il Testo Unico, la TurcoNapolitano, per la prima volta ha fatto sì che il minore straniero fosse soggetto specifico di diritti.
Precedentemente i minori beneficiavano di diritti in modo indiretto, il soggetto beneficiario era
l'adulto o il padre di famiglia, il lavoratore, si valutava la possibilità di ricongiungimento familiare e
solamente per alcuni aspetti il minore aveva diritti. Con questa legge, per la prima volta c’è un diritto
fondamentale che viene riconosciuto: il diritto del minore all’unità familiare. Forse è per quello che i
compiti del Comitato sono stati molto improntati sulla ricostituzione dell’unità familiare, anche in
applicazione della Convenzione di Diritti di New York, che prevede anche questo.
Sapere se è meglio o è preminente come superiore interesse del minore, che questi viva in
famiglia, piuttosto che faccia invece un’esperienza più prettamente lavorativa, riguarda prettamente
indirizzi politici. È vero che la Convenzione di New York ha fatto sì che la normativa italiana in
materia di minori, specialmente la legge sull’immigrazione in materia di minori, considerasse e
tutelasse il minore a 360 gradi, fino al diciottesimo anno di età, in quanto minore.
Il problema è che il minore straniero è anche straniero, può essere lavoratore, studente, oppure può
essere un soggetto che intende divertirsi fino a diciotto anni, perché un bambino italiano, fino a
diciotto anni può decidere, tranquillamente, di divertirsi. Il minore straniero no. Abbiamo una
normativa che ipertutela il minore in quanto minore, il quale allo scadere dei diciotto anni, finisce di
avere tutti questi diritti e diventa un soggetto straniero con tutte le problematiche relative che per
rimanere in Italia deve dimostrare o di lavorare o di studiare. Tutte le altre forme sono molto
residuali.
Riguardo il settore degli accolti di cui mi occupo faccio notare che in Italia entrano circa 35.000
minori, per soggiorni temporanei. Una buona parte di questi minori vengono dalla Bielorussia. Questo
fenomeno è iniziato nel ’94 (prima con l’associazionismo, e poi, successivamente con l’intervento del
Comitato) ed ora molti di questi ragazzi stanno diventando maggiorenni. A questi ragazzi è concesso
di entrare in Italia per un soggiorno di 90 giorni, facendo attività di formazione. Poi improvvisamente
quando raggiungono il diciottessimo anno non possono più entrare. Infatti anche entrare per studio
non è semplice, (è di competenza delle Ambasciate), ma è difficilissimo, perché non sono previste
quote privilegiate.
Un altro compito del Comitato è il censimento che ha consentito di censire le segnalazioni che in
questi anni sono arrivate al Comitato. In questo modo si è potuto capire che, generalmente, il minore
straniero non accompagnato proviene da certi paesi: Albania, Marocco, adesso molto di più dalla
Romania. Si è potuto capire che il ragazzo che arriva ha, generalmente, un’età intorno ai 17 anni. Si è
capito anche perché i TM (i Tribunali per i Minorenni) avevano tanti problemi, perché la loro
normativa non consente di prendersi in carico un minore straniero di diciassette anni, anche perché
generalmente, salvo che non siano dei casi di urgenza, di applicazione di istituti quali l’affidamento e
la tutela, normalmente il Tribunale per i Minorenni tende a perseguire un percorso pre-adottivo e
questo costituisce un problema per i minori che magari hanno 17 anni.
Abbiamo censito segnalazioni, che è una cosa diversa della presenza dei minori, infatti la
segnalazione è una comunicazione al Comitato di un rintraccio del minore. Questa segnalazione può
29
avere tanti aspetti: può avere l’identificazione certa del minore, può avere delle informazione utili e
necessarie per il rintraccio dei genitori. Noi pensavamo che, come quando un ragazzo italiano si
allontana da casa, le informazioni principali siano quella dell’identità e del luogo in cui abitano i suoi
genitori. Era un po’ quella l’ottica con cui abbiamo lavorato in questi anni. Sapendo bene che il
minore straniero, però, si portava dietro problematiche che non erano tanto legate alla discriminazione
in quanto minore. Perché se andiamo a vedere la normativa sul minore straniero non accompagnato,
vediamo che ha come tutela di diritti quanto e forse a volte anche di più, di un minore straniero
regolare, con regolari genitori sul territorio: la scuola assicurata, la sanità assicurata, il problema
riguarda il tipo di soggiorno che hanno questi minori .
A 18 anni cambia proprio completamente tutto il percorso di vita di uno straniero ed è lì che
avviene la discriminazione, non è tanto sulle forme di tutela che gli vengono garantite, sulla possibilità
di andare a scuola. Noi abbiamo avuto casi di minori stranieri non accompagnati che sono stati iscritti
regolarmente a scuola, hanno frequentato tutta la scuola, il problema è l’identificazione. Questo è
anche un problema di Comuni, a volte delle Questure, perché il Comune se non riesce ad avere
un’identità certa di quel soggetto perché si sono persi i documenti, spesso si blocca e non interviene
sull’assistenza sociale che è garantita. Bisogna riconoscere che questo è un paradosso della nostra
normativa. Ecco perché spero tanto che almeno l’applicazione del l’articolo 25 , indipendentemente da
come verrà attuato, possa risolvere la situazione. Ci sono varie linee, si tenta di dare un maggior
decentramento all’attività del Comitato. E giustamente, perché chi lavora sul territorio, i Comuni e le
Questure, hanno sicuramente una conoscenza della situazione superiore rispetto a noi che stiamo a
Roma.
Però è anche vero che molte volte, al Comitato sono stati dati molti più compiti, molte più
responsabilità di quelle che effettivamente poteva avere, ad esempio l’identificazione (e qui vengo alla
parte meno riflessiva e storica), è un problema che c’è sempre stato come pure il censimento. Noi
abbiamo censito segnalazioni però i minori di cui arrivava la segnalazione con l’identificazione,
quindi con allegato un passaporto, un documento di identità, con un permesso di soggiorno, sono una
percentuale molto bassa rispetto a tutte le segnalazioni che riceviamo.
I dati che vengono dati dal Comitato (23.000, 20.000, 15.000), fanno riferimento a segnalazioni,
non a minori identificati, perché purtroppo molti di questi minori non hanno assolutamente un
documento identificativo. Il Comitato è un organo interministeriale con rappresentanti di vari
ministeri: Ministero dell’Interno, Ministero di Giustizia, Ministero degli Esteri, l’ANCI per i comuni,
l’UPI per le province, c’è anche l’UNHCR. Faccio un esempio sul problema dell’UNHCR, che non è
competenza nostra, riguarda i minori che chiedono asilo politico. Era stato inserito proprio perché era
un ponte tra la possibilità di richiesta di diritto di asilo e la possibilità di essere trattato come minore
straniero non accompagnato. Faccio un esempio: i minori stranieri con richiesta di diritto di asilo, che
provengono da paesi soggetti a rischio, sono una parte esigua nel nostro paese,la qual cosa risulta
abbastanza strana vista la vicinanza con paesi in cui sono in atto gravi conflitti e guerre. Quello è un
altro canale che non è mai stato attivato.
Allora, se su 360 casi che come Comitato abbiamo di minori potenziali richiedenti diritto di asilo,
solo 10 hanno un’identificazione, voi giustamente direte che gli altri, essendo potenziali rifugiati
politici non possono avere un documento. Noi li abbiamo segnalati all’UNHCR. Ma poi? Il Comitato
con questo ha tentato di dare un input, essendo un organo amministrativo. Forse il grande
fraintendimento è stato questo. Dobbiamo, però sottolineare che da ora in poi, in seguito all’entrata in
vigore del Regolamento di Attuazione, i compiti del Comitato sono precisi e specificati; questo si può
occupare solo di minori identificati, altrimenti il Comitato fa attività di censimento, che può essere
utilissima per studi, ricerche, che ha consentito di fare evidenziare quale è il fenomeno, ma non è ciò
che serve agli operatori sociali, ai Servizi Sociali.
Come tipologia, il minore straniero non accompagnato, sia da un punto di vista sociologico che
giuridico, può scomparire come apparire. Prima della costituzione del Comitato Minori Stranieri e
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prima che il Ministero dell’Interno cominciasse a rilasciare con le Questure i permessi di soggiorno
per minore età, il fenomeno dei minori stranieri non accompagnati, (salvo casi in cui i Comuni,
effettivamente, volevano denunciare il fatto che non ce la facevano più territorialmente a gestirli e
chiedevano dei rimpatri), era un fenomeno che era scomparso, perché i minori, sia quelli accolti che
quelli che uscivano, ottenevano il permesso di soggiorno per affidamento, che consentiva loro la
modifica a 18 anni. È ovvio che se viene trattato così, non c’è più minore straniero non accompagnato.
Se bastava avere sul territorio un connazionale, non necessariamente parente, al quale un Tribunale
per i minorenni, giustamente, affidava quel minore, il minore straniero non accompagnato non esisteva
più.
Però ricordiamoci che poi, a 18 anni, se quei soggetti non possono spendere nulla sul territorio
dello Stato Italiano, in termini di studio, di lavoro o di formazione, non andranno avanti. Potranno
arrivare fino a 21 anni, attraverso artifizi amministrativi o giuridici, ma non è certamente in questo
modo che si crea integrazione, di ciò siamo profondamente convinti. Adesso la Legge Bossi-Fini
prevede per il minore 3 anni di permanenza e 2 anni di progetto. Questa è una competenza che potrà
essere del Comitato Minori Stranieri e del Ministero del Lavoro. Siccome questi enti, in particolare
quelli penali, dovranno essere iscritti al Registro delle Associazioni, che svolgono attività a favore
degli immigrati, potrà essere l’occasione, eventualmente, di fare un albo. Comunque, il Comitato non
potrà che occuparsi di quei minori identificati con permesso di soggiorno.
Attualmente ci sono 6.000 segnalazioni (sono nomi e cognomi di soggetti) la cui identificazione
non spetta al Comitato, ma alle Questure, alle Autorità di Pubblica Sicurezza, non ai Comuni. Ci sono
rappresentanti dei Servizi Sociali con tutti i problemi annosi che abbiamo noi, anche di gestione che
sanno benissimo quanto è difficile a volte avere l’identità di un minore, quanto è difficile avere i dati
familiari e quant’altro sul paese di origine.
Il Comitato è stato sempre accusato di fare indagini familiari, o di farne poche, o di farne in
maniera lenta; ma bisogna considerare quanto è difficile, a volte impossibile, lavorare negli altri paesi.
Ma non tanto territorialmente. L’ex-Dipartimento Affari Sociali, ora Ministero del Lavoro, ha
finanziato i programmi in Albania per 30 miliardi. Le strutture c’erano, il territorio era conosciuto. La
Romania, bene o male, è uguale. Ci sono Comuni che hanno tentato di fare dei progetti ed hanno
trovato le stesse difficoltà.
Sembra strano, ma se non c’è l’identificazione e se non ci sono i dati è estremamente difficile
poter prendere qualsiasi decisione sulla vita del minore e mai questa potrà prenderla il Comitato. Se i
Tribunali dei Minorenni riescono a gestire la loro attività, riuscendo ad avere un coordinamento, o
quanto meno prendendosi la responsabilità su situazioni del genere, ben venga! E ovvio, riteniamo
sempre che il coordinamento tra istituzioni, essendo questa una maniera complessa, sia l’unica via.
Però è vero che non può più essere sempre il Comitato il soggetto che può dare delle risposte a
problematiche di un fenomeno che ne ha tantissime.
Non è semplicemente un difendere l’attività fatta. Dopo cinque anni sono emerse tante situazioni e
tante ne emergeranno successivamente. E questo forse è il motivo, per cui si cerca di fare un’opera di
ritorno alle competenze specifiche. I minori identificati, i minori con permesso di soggiorno per minor
età saranno 2000, 2500. Stiamo facendo un’operazione proprio di comunicazione. E per gli altri non è
che chiudiamo il discorso, mandiamo comunque una lettera di comunicazione, dicendo che se non
vengono fornite le indicazioni, non si riesce a poter prendere nessun indirizzo di istruttoria verso quel
caso del singolo minore. E su questa opera noi cerchiamo di arrivare, al momento in cui entrerà in
vigore il Regolamento di Attuazione, almeno con delle idee chiare, per dirvi, operativamente quali
sono le caratteristiche del fenomeno. Vediamo di cercare di coordinare, avendo anche la possibilità di
strutturare con decentramento delle competenze sui Servizi Sociali le azioni da intraprendere per
affrontare il problema. Ormai sono passati cinque anni, ma ancora concretamente ed operativamente
non si riesce a risolvere il problema.
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Chiudo semplicemente sottolineando un aspetto. Il problema che dicevo dei 18 anni, è
fondamentale. Noi stiamo facendo una verifica di questo. Abbiamo due tipi di provvedimenti: i
rimpatri assistiti e anche la possibilità del cosiddetto non-luogo a rimpatrio assistito. Stiamo cercando
anche di fare un’operazione di comunicazione alle Questure e ai Servizi Sociali (in particolare, prima
alle Questure), per sapere se effettivamente questo nostro tipo di provvedimento, (giustamente
criticato perché ha carattere amministrativo, non è ben chiaro come si possa ricorrere) dà qualche
chance al minore. Questo è un quesito che ci poniamo anche noi. Infatti, stiamo chiedendo alle
Questure di Italia che tipo di permesso di soggiorno è stato dato, quindi, modificato, al minore che ha
usufruito nel nostro provvedimento. Molte ci rispondono e molte non ci rispondono. Stiamo proprio in
una fase per capire se il nostro lavoro serve a qualcosa o non serve. Noi abbiamo anche casi di
Questure che ci dicono “guarda, che il minore a cui avete fatto provvedimento, da noi, in Questura,
per la modifica, non è proprio venuto”. Quindi potrebbe darsi che la rete dell’intervento sociale sul
territorio ha anche altri sbocchi per questi minori. Non lo sappiamo, abbiamo sempre questo carattere
sociologico di capire cosa sta succedendo realmente. Infatti l’ottica è quella di essere sempre consci
che si sta nel discorso della legge sull’immigrazione: cioè se a 18 anni, ai minori stranieri non
accompagnati non è stata data un’opportunità concreta, la situazione diventa drammatica. Con l’ottica
del lavoro sul territorio, noi abbiamo cercato sempre di poter fare qualsiasi intervento e qualsiasi
attività a favore del minore. Grazie.
(Relazione non rivista dall’autore)
DIBATTITO
CRISTINE BARTOLOMEI
Presidente del Tribunale dei Minori di Marsiglia
Ringrazio l’ultimo relatore del coraggio con il quale ha parlato di questi temi e di tutti i punti
interrogativi che si pone su questa azione che hanno fatto nel corso di questi ultimi tempi con questa
nuova legge. È vero che, in Francia, l’espulsione dei minori è vietata fino ai 18 anni, e quindi non è
possibile per esempio un rimpatrio per unirsi alla famiglia. Però, è vero, a 18 anni c’è il problema che
ci sono molti minori non accompagnati che pur avendo partecipato a dei programmi di inserimento
professionale, non hanno nessuna possibilità di avere un permesso di soggiorno.
INTERVENTO DEL PUBBLICO
Volevo sapere se il rimpatrio è possibile per coloro che hanno meno di 18 anni.
STEFANO SCARPELLI
Responsabile Amministrativo del Comitato Minori Stranieri
Il rimpatrio assistito è previsto per i minori ed è valido fino a 18 anni. Dopo i 18 anni, il minore, in
quanto non è più minore, ma maggiorenne è passibile di espulsione. La grande differenza è che i
rimpatri assistiti sono dei progetti di rientro nel paese di origine, quindi anche con possibilità di
programmi di reinserimento ad hoc del minore. Dopo 18 anni, in quanto adulto, è passibile, se non è
regolare, di espulsione. L’espulsione ha anche degli oneri, perché dopo l’espulso non può rientrare in
Italia per un certo numero di anni. Molte volte ci è stato detto che il rimpatrio assistito, in certe
situazioni, è anche un’opportunità per il minore.
32
CRISTINE BARTOLOMEI
Presidente del Tribunale dei Minori di Marsiglia
È imposto ai genitori questo rimpatrio assistito? Si impone ai genitori di avere i figli con loro? Il
rimpatrio può essere anche rifiutato?
STEFANO SCARPELLI
Responsabile Amministrativo del Comitato Minori Stranieri
Questo è il nostro problema “della volontarietà”. Sul rimpatrio assistito ci sono due problematiche.
La prima riguarda la volontarietà o meno del rimpatrio nei confronti del minore, quindi del soggetto
proprio che lo riceve. C’è la questione se il minore rifiuta il rimpatrio assistito. Il minore può arrivare
a rifiutarsi, come può arrivare ad allontanarsi dai centri una volta che è stato comunicato il rimpatrio.
L’altra riguarda il possibile rifiuto dei genitori. Le indagini familiari che generalmente sono
propedeutiche dovrebbero verificare non solo la situazione socio-familiare della famiglia finalizzata al
rimpatrio, ma anche cosa ne pensano i genitori, le motivazioni per cui il minore è andato via, se ci
sono problemi o pericoli; tendenzialmente se c’è una non-volontarietà di rientro da parte dei genitori è
proprio per situazioni gravi o perché nell’intervista il genitore ha detto che preferisce che i propri figli
rimangano in Italia. Nelle lettere che tante volte i ragazzi inviano alla famiglia, la ringraziano dicendo
che stanno benissimo in Italia, che va tutto bene; ed è difficile che un genitore, di fronte ad una lettera
del figlio che dice questo, gli chieda di tornare nel suo paese. Però se la non-volontarietà dei genitori
dipende da situazioni particolari, che possono mettere a repentaglio la situazione del minore, è ovvio
che se ne tiene conto.
Comunque il provvedimento del rimpatrio assistito non riguarda esclusivamente i fattori nel paese di
origine, ma anche la situazione in Italia, cerchiamo di analizzare la situazione in tutti i suoi aspetti
tenendo conto dell’attività che il minore può fare in Italia e all’estero.
CRISTINE BARTOLOMEI
Presidente del Tribunale dei Minori di Marsiglia
Quanti rimpatri sono stati effettuati?
STEFANO SCARPELLI
Responsabile Amministrativo del Comitato Minori Stranieri
Dall’inizio sono stati fatti circa 1400 provvedimenti, complessivamente. Di rimpatri nel paese di
origine ce ne sono stati 500. Di non-luogo a provvedere al rimpatrio, che sarebbe quello che consente
al minore a rimanere in Italia, circa 950. Ci sono anche tanti rientri volontari dei minori. Ci sono
situazioni in cui i minori vogliono rientrare e molte volte non è necessiaria neanche l’attività del
Comitato.
CRISTINA ROSSETTI
Funzionario della Regione Toscana dell’ Area Socio-Assistenziale Minori
Volevo fare una precisazione sull’intervento molto bello e molto appassionato che ci ha coinvolto
tutti, in merito all’affidamento, perché è una questione abbastanza complessa e che va approfondita.
La nostra Legge 184 prevede che il minore abbia il diritto ad essere educato nella propria famiglia.
Quando questo non è possibile, c’è l’affidamento o a famiglia affidataria o ad una Comunità per
minori. L’affidamento a famiglia affidataria per la Legge 184 è un istituto giuridico che prevede che ci
sia la famiglia di origine. Stiamo attenti a non confondere l’istituto dell’affido famigliare con altre
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forme, che vanno sollecitate, dobbiamo andare nella direzione delle opportunità. Siccome la materia è
tanto complessa, le Associazioni di volontariato devono necessariamente lavorare con le Istituzioni ad
esempio con la Regione Toscana. Questo rapporto pubblico-privato è un asse portante della legge che
non voglio stare a sottolineare, però certe scelte innovative bisogna farle con le Istituzioni che le
regolino, perché altrimenti possono essere fuorvianti o anche un po’ pericolose, giàcchè l’affidamento
di un minore è una cosa che deve essere regolata e verificata, molto preparata e va sostenuta la
famiglia.
Quindi, non è perché le Istituzioni non vogliano, ma quando si intraprende un percorso, bisogna
intraprenderlo con l’energia e le risorse sufficienti per preparare le famiglie, sostenerle perché non si
devono lasciare sole, ma si devono attivare delle forme anche giuridiche e innovative che ce lo
permettano.
Era solo un chiarimento, perché esiste poi l’affido in base al Codice Civile, l’articolo 333 che è la
limitazione della potestà genitoriale. Esistono poi le situazioni del 403; noi come attività
amministrativa lavoriamo soprattutto sull’articolo 403 del Codice Civile e sulla Legge 184 per
l’affidamento a Comunità per i minori stranieri non accompagnati. È un richiamo per non trovare
soluzioni che possano apparire troppo facili e che poi debbano essere sviluppate e sostenute. Sono
molto d’accordo con questo, ma mi sembra giusto ricondurle a una cornice nostra di Legislazione
Italiana.
BENKHDIM SUED
Docente comunicazione interculturale Università Cafosacri di Venezia
Volevo raccontarvi come è nato l’affidamento familiare. Lavorando all’interno dell’Istituto Penale
e iniziando a prendere ragazzi non accompagnati con misure alternative, al Tribunale di Minori di
Torino hanno valutato che quasi tutti i ragazzi che avevamo preso, hanno fatto un percorso positivo.
E’ stata proprio la richiesta del Tribunale di Minori a incoraggiarci a mettere in piedi un’associazione
che si chiama DIAFA, ma viene concesso un affidamento sempre temporaneo e con l’accordo della
famiglia di origine (a questo proposito c’è un protocollo di intesa tra il Consolato del Regno del
Marocco che prevede che il tutore del minore marocchino sul territorio torinese sia del Tribunale di
Minori). L’accordo raccoglie all’interno di questo protocollo di intesa il Comune di Torino, il
Consolato del Regno del Marocco e il Tribunale di Minori e solo la settimana scorsa è stata fatta una
richiesta ufficiale dalla Regione Piemonte vuole stipulare un nuovo protocollo di intesa che potrebbe
interessare tutto il Piemonte.
Ovviamente, per le leggi italiane, noi non abbiamo il diritto di prendere un minore non
accompagnato direttamente senza un accordo con il Tribunale di Minori e i Servizi Sociali.
Lavoriamo anche sulla sensibilizzazione dei nostri Consolati e i nostri Governi di origine con la
mediazione del Consolato del Marocco .
JOSEPH MORYERSOEN
Coordinatore Segretariato di ChildONEurope Rete Europea degli Osservatori Nazionali
sull’Infanzia-Istituto degli Innocenti
ChildONEurope è una Rete composta da Osservatori Nazionali sull’Infanzia dei Paesi dell’Unione
Europea (UE) e raccoglie istituti di ricerca, centri e osservatori che si occupano di documentazione e
analisi sulle tematiche dell’infanzia e dell’adolescenza, a livello istituzionale. Quindi va sottolineato
che i componenti non sono organismi del mondo no profit, bensì istituzioni in relazione con gli enti
pubblici, a volte direttamente integrate nei Ministeri competenti per le tematiche dell’infanzia dei
Paesi dell’UE.
34
ChildONEurope nasce nel gennaio 2003, dopo due anni di lavori preparatori da parte del Gruppo
intergovernativo permanente L’Europe de l’Enfance, che a sua volta nasce nel 2000 sotto la
presidenza francese di turno dell’UE. Attualmente le tematiche dell’infanzia non sono di competenza
specifica dell’UE, bensì dei singoli Paesi membri e per questo motivo si è creato un Gruppo
intergovernativo, che si incontra ogni semestre, presso il Paese della presidenza di turno, per
approfondire e confrontare le esperienze su uno o più temi specifici (per esempio abuso e handicap).
In Italia l’incontro si è svolto proprio a Lucca nel settembre del 2003 mentre i prossimi incontri del
Gruppo intergovernativo L’Europe de l’Enfance saranno a Dublino il 22 aprile e a Rotterdam il 28
ottobre 2004 e saranno incentrati tra l’altro sul tema della partecipazione dei bambini e dei giovani.
Fanno parte della Rete ChildONEurope tutti i Paesi dell’UE. Alcuni partecipano in qualità di
Membri: Belgio, Danimarca, Francia, Irlanda, Italia, Lussemburgo, Portogallo e Spagna; gli altri vi
partecipano come Osservatori e la differenza consiste nel fatto che il potere decisionale spetta soltanto
ai Membri e viene esercitato attraverso l’organo dell’Assemblea.
Gli scopi di ChildONEurope sono lo scambio di informazioni su normative, politiche, programmi,
dati statistici, studi e ricerche, nonché buone pratiche sulle tematiche legate all’infanzia e
all’adolescenza, nonché sulle metodologie di intervento e sugli indicatori. Per esempio, sulla questione
dei dati, siamo partiti con alcune indagini, e il primo problema che si è incontrato è quello di
individuare degli indicatori comuni per il reperimento dei dati al fine di rendere questi ultimi
comparabili.
Gli organi di ChildONEurope sono l’Assemblea e il Segretariato. Mentre l’Assemblea è l’organo
decisionale, il Segretariato è l’organo di supporto tecnico, documentale e logistico-organizzativo, oltre
che propositivo della Rete. I compiti del Segretariato sono stati assegnati al Centro Nazionale di
Documentazione e Analisi per l’Infanzia e l’Adolescenza - strumento tecnico-scientifico del Ministero
delle Politiche Sociali, per quanto di competenza su infanzia e adolescenza – le cui attività sono
gestite dall’Istituto degli Innocenti in Convenzione con il Ministero del Lavoro e delle Politiche
Sociali.
Rispetto alla tematica molto attuale che sono stato invitato ad affrontare all’odierno Seminario,
occorre segnalare che si tratta del risultato emerso durante il primo seminario di approfondimento che
la Rete ha organizzato, e che si è svolto a Firenze lo scorso 4 dicembre 2003. Al seminario avente per
titolo “I minori stranieri non accompagnati: buone pratiche di politiche e programmi nazionali
sull’accoglienza, l’integrazione ed il ricongiungimento familiare”, hanno preso parte sia i referenti
della Rete stessa (Membri e Osservatori), che i referenti dei Ministeri nazionali competenti sul tema
dei minori stranieri, che Organizzazioni Non Governative (ONG) ed enti locali. In apertura del
seminario è stato proiettato il video Casa – Marseille per gentile concessione dell’Associazione
Jeunes Errants, illustrante il percorso di un minore che dal Marocco giunge in Europa mettendo in
evidenza tutti i meccanismi e le procedure alle quali questo è costretto a confrontarsi. La storia
raccontata dal video è stata ritenuta interessante proprio per la rappresentatività dell’impatto che
questo tipo di flusso migratorio comporta nonché delle sue motivazioni, ed è stata considerata di
stimolo per aprire la giornata di riflessione.
Per il seminario della Rete ChildONEurope sono stati raccolti normative, dati statistici, politiche,
buone pratiche ed esperienze che sono state messe a confronto. Partendo dal dato terminologico, si è
optato per il termine unaccompanied foreign children, ossia minori stranieri non accompagnati, in
quanto si tratta di un termine in uso da parte del maggior numero dei Ministeri competenti e dei
maggiori organismi internazionali. Tale termine è utilizzato anche all’interno della risoluzione del
Consiglio dell’UE Un sinonimo molto utilizzato è quello di separated foreign children, ossia minori
stranieri separati, in cui l’elemento del “distacco” dai familiari o rappresentanti legali del minore
risulta ulteriormente rimarcato.
Un secondo gruppo di elementi emersi nel seminario di ChildONEurope è quello relativo
all’analisi dei dati statistici, come risulta dalle tabelle 1 e 2 qui sotto riportate. Sulla base delle
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informazioni raccolte, si possono leggere i primi dati statistici che, anche se non esaustivi e completi,
sono molto significativi per fornire uno spaccato generale dell’entità del fenomeno nell’area
geografica coperta dalla rete. Nelle tabelle che seguono Francia e Portogallo non sono incluse, in
quanto nella propria documentazione la Francia non ha fornito dati statistici sui minori stranieri non
accompagnati, mentre il Portogallo ha comunicato che soltanto 10 casi sono stati segnalati nell’anno
2000.
Tabella 1 - Minori stranieri non accompagnati
STATO
ANNO 2002
2.547
2.660
137
Austria
Belgio
Danimarca
Finlandia
Irlanda
Italia
Lussemburgo
Olanda
Spagna
Regno Unito
74
90029
7.04030
11
3.232
6.329
6.200
Totale
29.130
Tabella 2 - Minori stranieri non accompagnati
STATO
Minori stranieri non accompagnati
richiedenti asilo
Minori stranieri non accompagnati
non richiedenti asilo
Austria
Belgio
Danimarca
1.512
137
2.547
1.148
-
Finlandia
Irlanda
Italia
Lussemburgo
Olanda
Spagna
Regno Unito
74
90031
2
3.232
6.200
7.04032
9
6.329
-
Totale:
12.057
17.073
29
Questa è una stima di dati raccolti dall’Irlanda. si calcola approssimativamente un numero di minori stranieri non
accompagnati compreso tra 800 e 1000 all'anno, da quando sono stato istituito un team di operatori dei servizi sociali che
si occupa dei minori stranieri non accompagnati.
30
Dal Rapporto annuale dell’IPRS sulle attività svolte a supporto del Comitato Minori Stranieri Luglio 2002 – Luglio 2003
31
Cfr nota n.3
32
Cfr nota n.4
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Esaminando la tabella n.1 si può subito constatare che in Italia sono circa 7.040 i minori stranieri
non accompagnati che sono stati segnalati nell’arco dell’anno 2.002. Vediamo che l’Italia è lo Stato
che ha il numero più elevato di minori stranieri segnalati nell’arco di un anno. Chiaramente non si
tratta di un dato assoluto, riferito ai tutti i minori stranieri non accompagnati presenti sul territorio
dello Stato, perché tale cifra riguarda solo i non richiedenti asilo dato che si tratta di dati forniti dal
Comitato per i minori stranieri che in Italia non è competente per i richiedenti asilo. Seguono la
Spagna con 6.329 e il Regno Unito con 6.200.
La seconda tabella comprende i dati della prima tabella suddivisi a seconda che si tratti di minori
stranieri non accompagnati richiedenti o non richiedenti asilo. La distinzione non è irrilevante, anche
tenuto conto del fatto che ci sono Paesi che hanno attivato politiche ed interventi ad hoc per i minori
non accompagnati (Italia, Belgio), mentre altri che considerano tutti i minori non accompagnati giunti
sul proprio territorio aprendo immediatamente l’istruttoria per l’ottenimento dell’asilo politico
(Danimarca, Finlandia, Irlanda, Regno Unito).
Risulta evidente che il fenomeno dei minori stranieri non accompagnati tocca non solo Stati del
Sud Europa (Italia, Spagna), ma anche del Nord Europa (Regno Unito e Belgio). Infatti le cifre vanno
rapportate alla popolazione e pertanto va sicuramente precisato che i 2.660 minori si rapportano ad
uno Stato come il Belgio con una popolazione di 10.239.000 abitanti (0,026%), mentre i 7.040 minori
si rapportano ad uno Stato come l’Italia con una popolazione di 57.634.000 abitanti (0,012%).
Inoltre va segnalato che la somma dei minori stranieri non accompagnati presenti in 10 Paesi
dell’UE porta ad una cifra vicina ai 30.000, cifra che sicuramente deve fare riflettere maggiormente,
sia a livello nazionale che a livello comunitario (UE).
Il seminario di ChildONEurope si è poi sviluppato su tre tematiche: l’accoglienza, il rimpatrio e
l’integrazione attraverso lavori di gruppo di cui si riportano in sintesi i risultati per quanto riguarda
l’accoglienza e l’integrazione.
Il gruppo di lavoro sull’accoglienza, ha lavorato su alcune questioni base e poi ha espresso delle
proprie raccomandazioni. Vi hanno innanzi tutto preso parte vari referenti sia dei Ministeri competenti
sia degli osservatori o centri di paesi: Belgio, Francia, Italia, Portogallo, Gran Bretagna e Spagna.
Nonché referenti dell’UNICEF e degli Enti Locali, delle ONG e della Regione Toscana.
Rispetto alla domanda se lo Stato acconsente all’ingresso sul proprio territorio dei minori stranieri
non accompagnati, la prima risposta è stata affermativa. Infatti è emerso che nessun Paese espelle in
modo esplicito i minori, tuttavia esistono in alcuni Paesi centri di transito considerati come veri e
propri centri di detenzione. Questi centri di transito sono zone chiuse in cui il minore rimane fino a
che non è stato identificato e non è stata individuata quella che può essere la soluzione da adottare per
lo stesso.
Inoltre sussistono in alcuni Paesi, centri di accoglienza che vengono utilizzati nel breve periodo
con il rischio di aumentare l’emarginazione. Questa è una riflessione che è emersa sulla funzione del
centro di accoglienza, che offre grandi opportunità ma solo se utilizzato evitando l’emarginazione.
Alcuni adolescenti stranieri non accompagnati vogliono o hanno bisogno di lavorare e non
possono, se lavorano o necessitano di lavorare, andare a scuola. Si pone il grande problema di come
conciliare l’istruzione rispetto alla formazione professionale, e quindi all’accesso al mondo del lavoro.
Un’altra domanda sulla quale ci si è soffermati è stata se i minori stranieri non accompagnati
possono essere incarcerati per motivi di immigrazione. A seconda dell’approccio politico che il
singolo Paese adotta rispetto ai minori stranieri, ossia se tale tematica è espressione di una politica
legata ai flussi migratori, oppure alle problematiche del mondo del lavoro, oppure all’integrazione
sociale. A seconda dell’approccio, e quindi anche del Ministero competente, si ha un intervento
diverso.
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Alcuni Paesi hanno ammesso che il minore può essere incarcerato per motivi di immigrazione sul
proprio territorio e chiaramente è emerso che non si tratta di una soluzione adeguata per i minori
stranieri non accompagnati.
Come viene effettuata l’identificazione e come viene determinata l’età. Questo è stato uno dei
punti cruciali rispetto all’accoglienza; in un primo momento quando un minore viene rintracciato sul
territorio, si tratta di identificare il minore e di capire se è realmente un soggetto avente meno di
diciotto anni.
Sono emersi vari metodi e varie divergenze rispetto alle modalità e la tempistica
dell’identificazione. Per alcuni Stati si fa riferimento a giorni e per altri invece anche a mesi. Spesso
l’identificazione stessa è legata alla determinazione dell’età e questa, a sua volta, tra i vari metodi sono
emersi come buona pratica vi è quella dei raggi X per l’analisi ossea finalizzata a meglio individuarne
l’età qualora non sussistano o non siano reperibili documenti d’identità. È chiaro che anche questo
lascia un margine di dubbio che soprattutto riguarda i soggetti che sono a cavallo fra la minor e
maggior età, perché non c’è una certezza assoluta della determinazione dell’età anche con questa
strumentazione scientifica.
Un fattore che si è ritenuto a più voci di sollecitare, è il rapporto con le Ambasciate. Molto spesso
le Ambasciate sono portavoce della posizione del Paese di origine in questo caso del minore.
Pensiamo per l’Italia all’Albania, al Marocco o alla Romania, Stati da cui proviene il maggior numero
di minori stranieri non accompagnati, interloquire con le Ambasciate è necessario anche per
individuare una strategia rispetto al Paese di origine. Basti pensate ai protocolli di intesa che possono
essere conclusi, agli accordi bilaterali in cui si tenga anche conto nei flussi migratori di questa
categoria di soggetti. E’ anche comodo da parte di molti Paesi lasciare che i minori vengano in Europa
per essere istruiti, essere formati per poi richiedere che lo Stato di accoglienza li rimandi nello Stato
d’origine, come si è dimostrato che alcuni Paesi fanno, perché a quel punto sono forza lavoro e sono
anche utile manovalanza per lo sviluppo del proprio Paese.
Nel caso in cui il minore è accompagnato da un adulto, una domanda che si è posta è se si analizza
la natura della relazione familiare con l’adulto che lo accompagna. Infatti è emerso che occorre fare
molta attenzione innanzitutto al punto di vista del minore. L’ascolto del minore è sancito dalle
Convenzioni, in primis la Convenzione ONU sui diritti del fanciullo e la Convenzione europea
sull’esercizio del diritto dei fanciulli, e anche dalle leggi nazionali.
Va tenuto conto che il minore può non dire tutto perché ha paura. Questo aspetto va monitorato sin
dal momento in cui il minore entra sul territorio, quindi dal rintraccio, e attraverso il controllo delle
frontiere. E poi tenere presente tutta la tematica legata alla tratta o al traffico dei minori (la cui
differenze riguarda sostanzialmente il trasferimento di un minore e l’utilizzo ai fini di sfruttamento la
prima, l’ingresso in clandestinità la seconda). Molto spesso ci sono casi in cui i minori sono coinvolti
in fenomeni di tratta ai fini di sfruttamento nel lavoro, nella prostituzione, nell’accattonaggio per cui è
importante tenerne conto sia nel momento dell’identificazione del minore sia rispetto alle indagini che
vengo poi svolte nel Paese di origine in cui può non essere sufficiente ascoltare il genitore. Infatti
sarebbe utile da analizzare anche il contesto della comunità familiare di origine per avere più elementi
e quindi comprendere se il minore è o meno vittima di tratta, magari che vede il coinvolgimento della
famiglia di origine, e quindi comprendere la reale relazione esistente tra il minore e l’adulto che
eventualmente sostiene di essere un suo parente.
Tra le raccomandazioni emerse, va richiamato il fatto che l’UE dovrebbe armonizzare tutte le
direttive e politiche in materia di immigrazione e in materia di asilo anche perché questa è una delle
competenze che l’UE si è data, visto che sono vari gli atti che trattano di asilo e immigrazione, anche
se poi sono sempre gli Stati che sono chiamati ad applicarli. Quindi un maggior raccordo può essere
l’elemento utile per conformare le varie normative. Soprattutto ora che entrano a pieno titoli nell’UE
dieci nuovi Paesi che sono anche alcuni Paesi d’origine dei flussi migratori.
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La seconda raccomandazione emersa riguarda il fatto che i Paesi dell’UE dovrebbero ratificare il
Protocollo facoltativo sulla vendita, la prostituzione, la pornografia minorile - detta anche
pedopornografia - che è il Protocollo aggiuntivo alla Convenzione ONU sui diritti del fanciullo che si
occupa in maniera specifica del tema della vendita e della prostituzione dei minori. E infine il rispetto
dell’art. 3 della Convenzione ONU sui diritti del fanciullo, secondo cui tutte le decisioni dovrebbero
essere prese sempre nell’interesse del minore per tutelarlo nel migliore modo possibile.
L’altro gruppo di approfondimento si è concentrato sul tema dell’integrazione ed ha lavorato molto
di più sugli aspetti comuni, gli standard minimi e su raccomandazioni, anche qua vi hanno partecipato
alcuni Paesi e osservatori nazionali (Danimarca, Francia, Irlanda, Italia e Olanda) e ONG. Gli aspetti
comuni emersi sono sicuramente una volontà politica di fornire e rafforzare le risorse dei servizi. La
differenza delle normative, delle procedure, delle politiche e delle istituzioni competenti ha reso la
comparazione complessa e difficoltosa. E’ emerso che a seconda del Ministero competente, e
Assessorato a livello locale (welfare, interni, lavoro, ecc.), diverso era la scelta politica adottata e
l’atteggiamento dell’autorità rispetto alla problematica.
Il razzismo e la percezione politica dei minori non accompagnati è un altro elemento comune
emerso da più fronti. La lentezza e la mancanza di chiarezza delle procedure amministrative, laddove
le procedure amministrative sono diverse, laddove non sono chiare. La domanda che questi minori si
pongono è “ma posso io restare?” ed è la domanda che si pone in tutto il periodo di vacatio rispetto
alla decisione definitiva, cioè rispetto al momento in cui si comunica al minore quello che ne sarà di
lui. Quando si apre un’istruttoria, di qualunque genere essa sia, è chiaro che pone degli interrogativi al
minore rispetto al suo futuro e alle conseguenze che si ripercuoteranno su di lui finché permane una
situazione di provvisorietà e di incertezza che può sfociare anche nella fuga, nella clandestinità e
quindi nel coinvolgimenti in circuiti illegali.
Altri elementi comuni sono la fuga e la scomparsa di minori non accompagnati. Si è posta
l’attenzione al fatto che questi minori possono essere coinvolti nella criminalità organizzata, non solo
di stampo mafioso. E’ importante evidenziare che ci sono casi di fuga per vari motivi per esempio dai
centri di accoglienza, e questi minori non rientrano nel territorio del Paese d’origine, bensì restano su
territorio nazionale in clandestinità. Quindi per sopravvivere è molto facile che vengano adescati da
gruppi criminali, per esempio per la vendita di sostanze stupefacenti, oppure per l’accattonaggio,
oppure per commettere furti di vario genere.
E’ emerso altresì il problema di avere spesso politiche non chiare se non contraddittorie: “si tratta
di adulti o di minori?”. Poiché tali minori sono spesso adolescenti prossimi alla maggior età,
emergono tutti gli interrogativi che sono stati posti anche durante questo Seminario, come ad esempio
il fatto che resta il dubbio sul da farsi al compimento dei diciotto anni; mentre prima dei diciotto anni,
se si tratta di un diciassettenne, resta il dubbio se è giusto intervenire o se si preferisce lasciare che
questo minore compia diciotto anni con tutte le conseguenze del caso.
Non esiste solo chiaramente la possibilità del proseguo amministrativo che è stato citato dal Dott.
Scarpelli - soluzione che nasce nel 1934 nei confronti di soggetti prossimi al compimento della
maggiore età a rischio di delinquenza - nelle soluzioni più urgenti e particolari. Oggi peraltro tale
strumento viene utilizzato non più solo per i minori italiani ma anche per i minori stranieri, con la
finalità più di protezione e sostegno verso l’autonomia che per il monitoraggio e controllo sul minore
perché non commetta in futuro altri reati se a rischio di delinquenza.
Questo fenomeno va incontro ad altri bisogni sociali, pensiamo ad esempio alla tendenza
demografica. È in dubbio che rispetto alle scelte politiche adottate o da adottarsi il flusso migratorio
influisce anche sulla tematica della demografia, perdendo così di vista le problematiche del singolo
caso.
L’attenzione a non violare i diritti dei minori, per esempio collocandoli in strutture paragonabili a
centri di detenzione. L’intervento si ferma al compimento dei diciotto anni di età e questo è l’altro
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elemento di ostacolo. Standard minimi: le decisioni devono essere rapide, fondamentale sapere se il
minore può restare o meno nel Paese in cui è accolto e soprattutto di capirlo nel più breve tempo
possibile per evitare che ci siano rischi di fuga proprio legati anche alla difficoltà di sapere se può
rimanere o meno.
Interessante è porsi l’interrogativo se i minori sono collocati nelle strutture separatamente o
insieme agli adulti. Anche questo è un elemento importante perché mentre nei centri di accoglienza, in
genere, sono minori separati dagli adulti se non accompagnati, nei centri di transito questo non accade
molto spesso e quindi la promiscuità, l’abuso possono anche essere conseguenze da tenere in conto.
Quale tipologia di educazione per i minori stranieri: integrata o specifica. Si fa un lavaggio del
cervello e si applica la cultura italiana oppure si tiene conto della loro cultura e si cerca di aiutarli a
integrarsi mantenendo comunque dei punti fermi rispetto alla propria cultura d’origine attraverso
l’utilizzo di soggetti qualificati come i mediatori culturali.
Previsione di assistenza sanitaria, programmi di svago e attività sportive sono standard considerati
minimi indispensabili per il minore che non può rimanere in attesa che venga deciso qualcosa sulla sua
sorte, magari senza essere ascoltato e senza svolgere alcun tipo di attività durante la sua permanenza
nella struttura di accoglienza.
La presenza di un rappresentante legale, di un tutore, è risultata necessaria. Ci si è posti
l’interrogativo su che tipo di ruolo, supporto può avere tale figura, se solo di tipo giuridico o anche
affettivo, ma è risultato evidente la necessità che questa figura sia prevista ogni qualvolta si sia di
fronte ad un minore senza familiari entro il quarto grado.
Sempre in riferimento agli standard minimi, l’utilizzo dello strumento dell’affido familiare quando
si è di fronte a minori di età inferiore ai 12 anni è stata considerata come una buona pratica.
La valorizzazione della cultura, della lingua e della religione del Paese di origine dei minori
stranieri non accompagnati sempre laddove è compatibile in armonia con a nuova cultura, lingua,
religione. L’ipotesi che si prospetta prima sull’intervento di carattere educativo di integrazione e non
di ingerenza, è quella di individuare una soluzione di compromesso che consenta di mantenere il
giusto equilibrio con entrambe laddove è possibile.
Infine rispetto agli staff del personale dei centri di accoglienza, è importante che le strutture
demandate a prendere decisioni in merito abbiano uno staff multi-disciplinare e multi-professionale.
E’ interessante l’esperienza italiana della composizione dei collegi decisionali dei Tribunali per
minorenni in cui non c’è soltanto un giudice togato, giurista di formazione, ma anche giudici onorari
che sono esperti di professionalità diverse: psicologi, pediatri, psichiatri, medici, assistenti sociali e
criminologi; la soluzione che si intraprende è collegiale e quindi con un confronto tra le varie
discipline, e questo vale anche per i centri di accoglienza. Multidisciplinarietà e soprattutto
l’attenzione a essere onesti, a comunicare e ascoltare il minore, a conoscere e far conoscere al minore i
processi decisionali, a comprendere e far comprendere al minore i bisogni in particolare rispetto allo
sviluppo dell’adolescente.
Per concludere, è stato sottolineata anche in questo gruppo la necessità di prendere ogni decisione
nell’interesse del minore, come ricorda l’articolo 3 della Convenzione ONU sui diritti del fanciullo,
così come occorre fornire un supporto al Paese di origine per prevenire il fenomeno dello sfruttamento
dell’immigrazione clandestina e occorre rendere i genitori consapevoli dei rischi che corrono i minori
stranieri non accompagnati nel percorso migratorio. Molto spesso i genitori, purtroppo, non
conoscendo questo fenomeno migratorio, non tengono conto delle conseguenze che questo comporta.
Infine qualunque procedura civile, amministrativa o penale a cui i minori stranieri non accompagnati
vengono soggetti, deve essere trasparente, chiara e avere una durata determinata.
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PATRIZIO PETRUCCI
Assessore ai rapporti con il Volontariato della Provincia di Lucca
Buongiorno a tutti voi, sono l’Assessore per la Promozione del Volontariato della Provincia di
Lucca, mi occupo di tutti quelli che sono gli sviluppi delle forme associative e delle Associazioni
come quelle che sono presenti oggi pomeriggio e che sono impegnate sul settore dei minori stranieri
non accompagnati. Darei la parola a chi vuole intervenire nel dibattito in modo da approfondire i temi
affrontati stamani.
DIBATTITO
IMMIGRATO MAROCCHINO
Buonasera a tutti. Mi presento, sono un immigrato marocchino che rappresenta una parte di
immigrati che sono residenti nel comune di Capannori che fa parte della nostra Provincia. Prima
voglio ringraziare tutti coloro che hanno organizzato questa iniziativa.
La frase Minorenne straniero, secondo me non rispecchia la realtà perché un bambino quando
nasce non ha nessuna cittadinanza, questa si crea perchè una persona nasce da una parte ben precisa
del mondo e non si può permettere ad una persona che non ha compiuto i suoi diciotto anni di decidere
se lui è marocchino o italiano. L’Italia ha avuto l’opportunità di avere dei minorenni oltre i tredici,
quattordici anni fino ai diciotto, vuol dire che è una materia prima che l’Italia può manipolare come le
pare. Dispiace che tutti gli Istituti per la Tutela del Minore non abbiano capito il perché di questa
immigrazione del minore.
Da una parte c'è una fuga da una guerra che è una realtà politica di un certo Paese, ma di solito è
un modo di cambiare vita perché il minore fa parte di una grande società che soffre di tanti problemi
sociali. Anche il minore quando ha fame si ribella contro il padre, contro la madre e, se loro non hanno
niente da dare, è ovvio che prende la strada del mare per ritrovarsi sull’altra costa in cui pensa di
trovare migliori condizioni di vita. A questa situazione economica critica l’Italia ha dato una
soluzione, tutelando l’immigrato mandandolo in un istituto per dargli una formazione, però
quell’immigrato non è venuto per avere una formazione che magari può avere anche nel suo paese o
per imparare un mestiere già da quell’età. Visto che lui ha già corso il pericolo del mare voleva fare
come gli altri immigrati adulti, trovare un lavoro. Nelle grandi città troviamo molti minorenni
immigrati come preda degli spacciatori, come preda del giro della prostituzione, della pedofilia.
PATRIZIO PETRUCCI
Assessore ai rapporti con il Volontariato della Provincia di Lucca
Darei la parola a Giovanna Giannasi, Rappresentante delle Segreterie e Tecniche delle Articolazioni
Zonali delle Conferenze dei Sindaci proprio perché abbiamo voluto “saldare” in questa sessione le
esperienze degli Enti Locali con le esperienze delle Associazioni che lavorano quotidianamente e
costantemente in sinergia per affrontare questa particolare tematica dell’intervento sociale.
GIOVANNA GIANNASI
Rappresentante Segreterie Tecniche delle Articolazioni Zonali delle Conferenze dei Sindaci
L’immigrazione come fenomeno sociale costituisce un tratto saliente del divenire della società,
poiché la presenza dell’altro agisce all’interno della comunità come un potente fattore di messa in
gioco e ridefinizione dell’identità sociale. D’altra parte sulle società locali ricade gran parte delle
responsabilità operative di risoluzione dei problemi quotidiani che tale presenza fa emergere. Ed è
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proprio nella quotidianità che si intersecano i fattori per così dire oggettivi di integrazione sociale: il
lavoro, la casa, con quelli soggettivi: il progetto migratorio, le relazioni che si costruiscono con la
realtà circostante.
A livello provinciale l’immigrazione è in aumento soprattutto nelle aree caratterizzate da un
mercato del lavoro ricco e con difficoltà a soddisfare la domanda di manodopera. Ad esempio l’area
conciaria della Piana o il settore alberghiero della Versilia. La crescita quantitativa si accompagna ad
una trasformazione di tipo qualitativo poiché aumentano progressivamente i ricongiungimenti
familiari e dunque, anche la componente femminile e giovanile dell’immigrazione. Una
trasformazione di questo tipo determina una serie di innovative esigenze espresse dalle famiglie di
immigrati, in primis la necessità di garantire alla prole le stesse opportunità formative degli indigeni.
A ciò si accompagna la necessità sociale di incentivare interventi volti a migliorare l’integrazione tra
immigrati e comunità locale salvaguardando le esigenze culturali, religiose ed economiche di entrambi
le parti coinvolte. Tali interventi da attuare risultano inoltre essere particolarmente complessi a causa
dell’estrema eterogeneità delle popolazioni migranti che presentano caratteristiche socio-culturali
estremamente variegate.
A livello di Servizi Sociali il fenomeno migratorio è sempre più esteso. Si può dire che
l’intervento destinato ai migranti è talvolta privilegiato rispetto a quello rivolto alla popolazione
italiana. L’insediarsi di famiglie immigrate, in particolare famiglie con uno o più minori, comporta la
necessità di interventi essenziali quali la casa, il minimo vitale, gli alimenti di prima infanzia,
l’inserimento nel Nido e nella Scuola Materna dei minori, con conseguente esenzione dei buoni pasto
e dei trasporti. Interventi di alfabetizzazione e di mediazione interculturale sino ad arrivare ad
interventi per i primi minori portatori di handicap in situazioni di gravità. Pertanto il Servizio Sociale
in questi ultimi anni aveva concentrato i suoi interventi prevalentemente su due direzioni: interventi
volti a favorire l’integrazione sociale di quei soggetti con progetto migratorio a lunga scadenza o
definitivo; erogazione di contributi di vario tipo, un livello minimo di sussistenza all’immigrato. In
quest’ultimo anno ha attivato in forma organica servizi volti a garantire i livelli essenziali di assistenza
per questa fascia di popolazione.
Il fenomeno dei minori migranti non accompagnati interessa prevalentemente le aree urbane:
Lucca, Viareggio, Capannori. La Garfagnana per ora rimane fuori. In prevalenza sono minori di sesso
maschile, Lucca e Capannori ha solo uomini; provengono dal Marocco e dall’Albania. Nel 2003
Lucca è intervenuta per 13 minori migranti, Capannori per 2 minori e Viareggio per 8 minori.
L’età in prevalenza di questi ragazzi è di sedici, diciassette anni; ora, però, tende ad abbassarsi
sino ad arrivare a minori di dodici anni. Questi minori si presentano per lo più alla Questura e
chiedono di essere inseriti in una comunità educativa. In passato, molte volte venivano trovati per
strada. Sono soli dal punto di vita giuridico, ma c’è quasi sempre una rete o almeno persone da loro
conosciute. Si può rilevare che il più delle volte all’uscita di un minore dalla struttura perché
maggiorenne, il giorno dopo si presenta alla Questura un minore di uguale nazionalità per essere
inserito. Ma di cosa hanno bisogno questi minori? L’inserimento in una comunità che faccia le veci
della famiglia di origine, l’alfabetizzazione, il completamento dell’obbligo scolastico e pertanto un
percorso educativo e formativo. Anche se da parte loro, in particolare i minori albanesi, la richiesta è
subito il lavoro per guadagnare e mandare un aiuto economico alla famiglia di origine.
L’ultima cosa, ma non in termini di importanza é la possibilità di trasformare il permesso di
soggiorno da minore a permesso di soggiorno per esigenze lavorative.
Il fenomeno dei minori migranti non accompagnati si sta sempre più ampliando creando molte
difficoltà sia a livello economico – Lucca spende annualmente 500.000 Euro – ma in particolare sia
per le difficoltà delle strutture a recepire le esigenze di crescita di questi minori. È necessaria una
trasformazione delle strutture stesse nate per accogliere ragazzi italiani in situazione di grave
problematicità familiare e che si trovano ad affrontare invece l’accoglienza di questi minori offrendo
loro occasioni di crescita, sia a livello educativo che formativo, finalizzate a migliorare l’integrazione
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tra minori immigrati e comunità locale salvaguardando le esigenze culturali e religiose di questi
minori.
PATRIZIO PETRUCCI
Assessore ai rapporti con il Volontariato della Provincia di Lucca
Darei la parola a Federico Fambrini e Sara Vitali. Sarà la presentazione di un’elaborazione
effettuata in gruppi di lavoro a cui hanno partecipato appunto i rappresentanti del GVAI (Gruppo
Volontari Immigrati), dell’Associazione GHIBLI, dell’ARCI,di PROTEO Centro Studi, del Consorzio
SIRIO e del rappresentante dell’UNICEF di Lucca.
SARA VITALI
Rappresentante delle Associazioni del Territorio della Provincia di Lucca
Abbiamo deciso di sintetizzare il lavoro svolto in queste riunioni cercando di esemplificare quelle
che sono le prassi e le procedure che quotidianamente ci troviamo ad applicare, sperando di illustrarvi
il più semplicemente possibile quello che è il nostro lavoro quotidiano.
Siamo partiti innanzitutto dalla definizione di minore straniero non accompagnato presente nel
territorio dello Stato. È stato difficile perché in realtà nel nostro territorio della Provincia di Lucca ci
sembrava che questo minore non accompagnato non costituisse una problematica, in realtà riflettendo
meglio sulla definizione e sulle difficoltà che tutti i giorni dobbiamo affrontare ci siamo resi conto che
invece in realtà lo è.
Il minore non accompagnato è definito come " quel minore che non ha cittadinanza italiana né
degli Stati dell’Unione Europea, che non ha presentato domanda di asilo e che si trova in Italia privo
di assistenza e rappresentanza da parte di genitori o di altri adulti fino al quarto grado di parentela per
lui legalmente responsabili".
Adesso, se prendiamo questa definizione così com’è ci rendiamo conto che questo è un minore
completamente solo, che non ha nessuno sul territorio. In realtà ci siamo resi conto che se è affidato
legalmente ad adulti entro al quarto grado (che per la legge italiana non sono riconosciuti come tali) in
realtà questo minore non è completamente solo ovvero lo è per lo Stato Italiano, non per la sua vita di
tutti i giorni. Quindi questa è la seconda tipologia che abbiamo individuato. La terza, se andiamo
ancora a cavillare su questa definizione (ci rendiamo conto che questi minori non completamente soli
in realtà spesso si trovano affidati non legalmente a parenti che moralmente o materialmente non sono
idonei a provvedere alla loro sussistenza), è un minore completamente solo con parenti non idonei.
Noi ci siamo trovati a ragionare su queste tre tipologie che in realtà fanno capo ad una
definizione sola. Se le prime due tipologie corrispondono più alle problematiche che sono presenti
nella zona di Lucca città, delle zone limitrofe, della Garfagnana, la terza tipologia è quella che è
pervasa nella Versilia. Adesso andremo ad elencarvi le procedure che ogni tipologia affronta.
FEDERICO FAMBRINI
Rappresentante delle Associazioni del territorio della Provincia di Lucca
Iniziamo a parlare del minore completamente solo. Abbiamo considerato ogni tipologia e per
ogni tipo abbiamo creato un percorso del minore quando arriva da noi come Associazione o alle
Cooperative sociali che lavorano sul territorio. Per il minore completamente solo abbiamo suddiviso il
percorso fino al compimento del diciottesimo anno di età in tre fasi. La prima fase l’abbiamo chiamata
di pronta accoglienza. In questa fase quando il minore viene trovato sul territorio, la sua presenza
viene comunicata ai Servizi Sociali e viene inserito in Comunità. La cosa importante di questa fase è
la segnalazione ai vari Enti da parte delle Associazioni o delle forze pubbliche. È obbligo segnalare la
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presenza del minore ai Servizi Sociali, alla Questura ufficio minori, alla Procura del Tribunale dei
Minori e al Comitato dei minori stranieri.
La seconda fase l’abbiamo definita inserimento e integrazione del minore. Cosa avviene in
questa fase? Sul minore dopo un’attenta osservazione da parte dei responsabili della Comunità e dei
Servizi Sociali,considerando l’età e le attitudini del ragazzo, viene predisposto un progetto
individuale. Riguardo all’inserimento scolastico alcune Associazioni sul territorio predispongono
progetti di mediazione scolastica, con sostegno extrascolastico, corsi di alfabetizzazione e progetti di
sport. Riguardo all’obbligo formativo altre Associazioni si occupano di percorsi per la formazione al
lavoro, stage formativi e orientamento ai percorsi formativi. Una cosa molto importante è che per
accedere a queste due tipologie di percorso è fondamentale per il minore avere il permesso di
soggiorno per minore età. Anche nel passaggio del permesso di soggiorno per minore età intercedono
sempre le Associazioni e le Cooperative andando in Questura per il rilascio.
La terza fase è quella che abbiamo deniominato di stabilizzazione. In questa fase si crea una
nuova esigenza per il minore, la conversione del permesso di soggiorno da minor età a permesso di
soggiorno per affidamento che poi è l’input per la stabilizzazione definitiva in Italia anche dopo il
compimento del diciottesimo anno di età. In questa fase si creano due percorsi paralleli o la richiesta
di affidamento al Tribunale dei Minori o l’apertura di una tutela tramite il Giudice Tutelare. Ognuno
dei due casi porta alla conversione del permesso di soggiorno per minor età in permesso di soggiorno
per affidamento. Un’altra problematica che si crea nella fase di stabilizzazione è il problema casa. Il
minore, al compimento del diciottesimo anno di età si trova, purtroppo, a dover abbandonare la
Comunità dove ha vissuto fino a quel momento e quindi nuovamente le Associazioni e le Cooperative
che operano nel settore si impegnano a svolgere un’azione di aiuto per cercare un nuovo alloggio.
La seconda tipologia di minore è quella del minore non completamente solo, cioè quel minore
che ha in Italia parenti entro il quarto grado che per la legge italiana non sono legalmente riconosciuti.
Questo tipo di minore ha un percorso un po’ particolare: i parenti che vivono con lui sono in grado di
mantenerlo moralmente ed economicamente e quindi vengono direttamente alle Associazioni o agli
sportelli delle Cooperative per richiedere i documenti che necessitano per l’apertura di una tutela. Noi
come Associazioni aiutiamo il parente a far arrivare dal Paese di origine questi documenti che servono
per l’apertura della tutela. Questi sono: la richiesta dell’autorizzazione dei genitori per la tutela, l’atto
di nascita del minore, l’atto di nascita del tutore e lo stato di famiglia che dimostra appunto il grado di
parentela del tutore. La cosa importante da dire è che ultimamente tutti questi documenti devono avere
la postilla cioè il timbro da parte dell’Ambasciata Italiana nel Paese d’origine che garantisce la legalità
di questi documenti. Poi il parente col minore viene indirizzato da parte delle Associazioni e le
Cooperative verso il Giudice Tutelare per poi arrivare alla Questura per il rilascio di un permesso di
soggiorno per affidamento o in casi rari, per famiglia.
SARA VITALI
Rappresentante delle Associazioni del territorio della Provincia di Lucca
La terza tipologia, come avevamo visto in precedenza, riguarda il minore non completamente solo
con parenti non idonei. Proprio perché non sono idonei il minore viene trattato e viene seguito con la
stessa procedura del minore non accompagnato, quello completamente solo. Quindi il minore si
presenta agli sportelli o all’Associazione, ai gruppi in strada e, tramite le Associazioni e le
Cooperazioni, sempre con l’aiuto dei Servizi Sociali, viene orientato su quelle tre fasi che avevamo
già elencato:la prima fase della pronta accoglienza nelle Comunità e nei Centri di accoglienza, la
seconda fase di inserimento e integrazione quindi con eventuali percorsi o di inserimento scolastico o
di formazione per il lavoro; la terza fase della stabilizzazione importante poi per la legalizzazione del
minore sul territorio italiano nella conversione del permesso di soggiorno per minor età in un
permesso di soggiorno per affidamento.
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Questo che abbiamo elencato è la tipologia che noi Associazioni quando ci siamo riunite avevamo
segnalato e sentito come la tipologia più a rischio, perché e più difficile da seguire. In realtà il minore
non è solo, spesso è accompagnato, comunque seguito o in qualche maniera controllato da parenti o
adulti entro il quarto grado anche se è difficile capire poi se c’è una vera e propria parentela. Di solito
se sono parenti non idonei, sicuramente non saranno né materialmente né moralmente idonei a
seguirlo, significa che gli stessi parenti vivono situazioni di illegalità o di precarietà materiale.
Succede che il parente ha un certo ascendente sul minore e che quindi molto spesso ostacola
un’eventuale procedura di legalizzazione o di progetto di vita del minore stesso. Questi sono il tipo di
minori più presenti in Versilia e rientrano in una categoria che riteniamo a forte rischio.
Tutto questo è una rete molto reale per noi, nel senso che viene da dati reali delle Associazioni e
delle Cooperative. È una rete che sicuramente vede le Associazioni e le Cooperative in prima persona
a lavorare sodo e con molte difficoltà che potrebbe essere affrontate con maggior possibilità di
successo se la rete funzionasse di più .
Abbiamo cercato quindi di visualizzare una rete ideale: il minore e tutti gli Enti, Associazionii e
figure di riferimento viene trovato dalle forze dell’ordine o in qualche maniera segnalato. Queste
hanno il dovere di comunicarlo e di segnalarlo al Comitato dei minori e ai Servizi Sociali. A maggior
ragione le Associazioni e le Cooperative svolgono la stessa funzione, ovvero alla presenza del minore
segnalano al Comitato dei minori e ai Servizi Sociali la sua permanenza sul territorio per permettere ai
Servizi Sociali di prendersene cura o sicuramente di trovargli subito una sistemazione abitativa,
presso Comunità e Centri di accoglienza, i quali a loro volta segnalano la presenza del minore alla
Questura e cercano di far pervenire al minore il permesso di soggiorno per minore età.
FEDERICO FAMBRINI
Rappresentante delle Associazioni del territorio della Provincia di Lucca
A questo punto subentra il Comitato dei Minori che dovrebbe interagire con la famiglia di origine
per vedere in che realtà il minore viveva prima di arrivare in Italia. Se la famiglia di origine è in grado
di poter mantenere il minore, il passaggio è abbastanza immediato: Questura – minore – ritorno a casa,
se vedete in questa rete reale c’è un percorso di ciclicità, poi nei passaggi della rete reale noi abbiamo
visto che invece manca appunto la rete reale di questa ciclicità e di questa fruibilità. Se non viene
adottata la strada del rimpatrio allora si fa una segnalazione nuova ai Sevizi Sociali; questi opteranno
per l’apertura di un affidamento al Tribunale dei Minori che dovrebbe rispondere in tempo quasi
immediato, cosa che spesso non avviene e con l’affidamento si recherebbero in Questura per il rilascio
del permesso di soggiorno per affidamento che poi è la carta vincente per poter pensare a rimanere in
Italia dopo il diciottesimo anno di età. Quindi vediamo che la differenza sostanziale che c’è tra la
nostra rete ideale e la rete reale innanzitutto sono questi tempi molto lunghi da parte di Enti come il
Comitato e il Tribunale, non il percorso del minore.
Le Associazioni hanno riportato contributi anche riguardo ai bisogni e ai modi per cercare di
risolverli. È emersa innanzitutto una problematica fondamentale sul concetto della mediazione. Le
Associazioni hanno manifestato questa voglia di capire il concetto della mediazione, hanno pensato
alla creazione di nuovi corsi dei mediazione che pensiamo siano fondamentali soprattutto per un
rapporto impostato in maniera diversa col minore stesso.
Anche il concetto culturale ci sembra non troppo chiaro. Un’altra cosa importante è che ci siamo
accorti che all’interno delle Associazioni manca una vera e propria rete rafforzata. Parliamo linguaggi
diversi e a volte non riusciamo ad incontrarci su obiettivi comuni. Quindi una cosa che proponevamo,
proprio a livello di Associazioni, era quello di supportarci con interventi o incontri periodici, le
famose tavole rotonde, di cui tutti noi abbiamo parlato più di una volta ma che poi non si sono mai
realizzate. Queste tavole rotonde costituiscono uno strumento efficace per meglio comunicare,
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confrontarsi e proporre nuovi strumenti di intervento visto che anche il fenomeno dei minori si sta
evolvendo e sta assumendo sempre più ampie proporzioni.
PATRIZIO PETRUCCI
Assessore ai rapporti col Volontariato della Provincia di Lucca
Interviene Sonia Ridolfi che parlerà a rappresentanza delle Associazioni e Cooperative che
operano all’interno delle strutture residenziali per i minori nel nostro territorio. La relazione è tata
elaborata in gruppi di lavoro, a cui hanno partecipato i rappresentanti della Comunità Alloggio di
Viareggio gestito dalla CREA, dalla Comunità “Carlo Del Prete” gestita dalla Cooperativa
“L’impronta”, Il Villaggio del Fanciullo e la Casa Famiglia Progetto di Protezione Sociale del CEIS.
SONIA RIDOLFI
Rappresentante delle Comunità per i minori del territorio della Provincia di Lucca
Quello che vi illustrerò è il punto di vista delle Comunità e in particolare mi soffermerò poi su
alcuni nodi problematici.Le strutture non sono nate per accogliere minori stranieri, ossia sono tutte
strutture nate per l’accoglienza di minori italiani e su questa tipologia hanno creato il progetto. Ad
eccezione di un’unica struttura, tutte le altre presenti continuano ad avere la permanenza di minori sia
stranieri che italiani. E se poi si riduce la problematica ai minori stranieri non accompagnati il numero
è limitato rispetto ai minori italiani. Quindi l’adattamento del progetto comunitario è nato dalle
esigenze sul territorio, dal fatto che ci fossero tanti minori non accompagnati che avessero bisogno di
una risposta soprattutto residenziale. Le modalità di risposta sono state legate soprattutto
all’elaborazione di percorsi individuali, ossia a cercare di strutturare all’interno della Comunità dei
percorsi che avessero caratteristiche diverse da quelle dei minori italiani. Ovviamente la normativa
prevede che all’interno di tutte le strutture per minori siano elaborati i famosi PEI, piani di intervento
individualizzati. Quando si parla in questo caso di percorsi individuali si parla di percorsi che vadano
al di là di quello che è un banale PEI. Anche il progetto comunitario è stato in qualche modo adeguato
per favorire l’accoglienza di diversi soggetti e il piano dell’integrazione. Le strutture sono alla ricerca
di una nuova identità proprio nel senso che soprattutto per una struttura che accoglie quasi
esclusivamente minori migranti, il processo che le comunità stanno facendo è quello di creare una
nuova identità che permetta nella maggioranza dei casi la convivenza di minori stranieri di culture
diverse coi minori italiani.
I ragazzi ospitati dalle Comunità vanno dai sei ai diciotto anni, ma abbiamo un incremento
significativo tra i dodici e i diciotto anni per i minori stranieri. Negli ultimi anni l’età sta tendendo ad
abbassarsi, quindi se prima l’incremento era intorno ai quindici, sedici, diciassette anni, ora c’è un
abbassamento della fascia di età. I minori stranieri generalmente sono maschi. Le minori straniere,
invece, sono femmine, soprattutto quelle che sono accolte nei progetti di protezione sociale che
riguarda lo sfruttamento lavorativo e sessuale.
Il Paese di provenienza maggiore per i maschi è il Marocco seguito dall’Albania e poi dall’ex
Jugoslavia e dalla Somalia. Per le femmine invece il Paese di maggior provenienza è l’Ecuador
seguito dalla Romania, dalla Nigeria, dal Marocco e dall’Albania. Tutte le minori che noi abbiamo
“censito” (i dati riguardano il 2003), che sono state accolte sono solo quelle soggette allo sfruttamento
sessuale e/o lavorativo.
Per quanto riguarda la durata del percorso in genere si conclude, come la legislazione stamani ci
ha più volte ricordato, col compimento del diciottesimo anno di età o comunque talvolta e in rarissimi
casi al termine di un percorso educativo. Talvolta si conclude con l’apparizione improvvisa di qualche
parente che decide di prendersi cura del minore.
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Le ragazze dopo il percorso comunitario vengono inserite in famiglie affidatarie. Si tratta di
affidamenti, anche in questo caso decretati dal Tribunale per i Minori e di famiglie particolari che
hanno già fatto molte esperienze di affidamento con ragazzi grandi e che vengono seguite non soltanto
dalla struttura che in qualche modo si fa da tramite per l’affidamento, ma anche sul sostegno di altre
famiglie costituite in una rete di solidarietà.
L’intervento educativo prevede la presa in carico globale del minore per un tempo generalmente
molto lungo. Per globale qui si intende tutto, questi minori sono soli e hanno bisogno di qualsiasi cosa,
quindi non possono che contare sugli educatori della comunità. L’intervento verte principalmente al
soddisfacimento dei bisogni primari compresa la lingua. E’ un tipo di intervento comunitario che si
basa soprattutto sulla relazione educativa che vuol dire il non lasciare nulla al caso quindi elaborare un
programma quotidiano dove ogni cosa che si svolge all’interno della Comunità acquista un significato
particolare.
La vicinanza, il seguire costantemente il minore in tutte le sue attività cercando di approcciarcisi
in maniera empatica, la frequenza della relazione, permette un’osservazione e una conoscenza
approfondite, per cui il minore diventa membro di una famiglia.
L’ambiente comunitario si avvale dell’opera degli educatori ed i volontari con competenze
specifiche. Non tutte le strutture hanno educatori al suo interno, ve ne sono alcune che vertono il loro
lavoro soprattutto sull’utilizzo di volontari che vengono adeguatamente formati, si pongono come
figure di riferimento stabili e questo fa in modo che la comunità diventi quella cornice di riferimento
attorno alla quale tutte le relazioni e le attività possono essere vissute dal minore come prevedibili e
rassicuranti. È un po’ il modello della comunità.
A questo si affianca l’utilizzazione di poche regole chiare ed esplicite come fonte di stabilità.
Stamattina si diceva della difficoltà di questi minori di stare all’interno delle regole. È un’esperienza
che tutte le comunità fanno e non solo con i minori emigranti ma in genere con tutti i minori che
vengono inseriti nella comunità e ad avere poche regole che siano molto chiare ed esplicite aiuta a
dare stabilità, a capire quali sono i confini in soggetti che spesso i confini ce li hanno mal delineati.
La metodologia utilizzata si basa su tre cardini: il primo è il lavoro di rete con integrazione di tutte
le risorse presenti si territorio, dalla scuola ai centri per l’impiego ai corsi di formazione professionale.
Il secondo è il lavoro di equipe e qui ci piacerebbe sognare che un domani questo lavoro di equipe
diventi non soltanto il lavoro svolto all’interno della comunità con le figure multiprofessionali, coi
vari collaboratori, ma che diventi un lavoro a più mani con i servizi. E poi il progetto educativo
individuale inteso nella valenza che gli avevo dato prima quindi non tanto come piano educativo, ma
come un progetto particolare che permetta alla struttura che non accoglie solo minori migranti, di dar
loro una risposta che sia il più vicina possibile alle loro esigenze, infatti ha come obiettivi di base
l’autonomia e l’integrazione sociale.
Gli obiettivi perseguiti sono:
N Il soddisfacimento dei bisogni primari compresa la lingua. Sono persone sole che
hanno bisogno di lavarsi, di avere dei vestiti… hanno bisogno di tutto.
N La fuoriuscita da una situazione di pericolo o di alto rischio. Questo vale,
sicuramente, per le ragazze sfruttate, ma anche per i maschi che tante volte sono
in situazioni di rischio. Prima veniva un po’ fatto notare il quadro della
delinquenza minorile dove poi finiscono questi ragazzi.
N L’integrazione sociale.
N La definizione dell’aspetto legale con particolare attenzione dopo il compimento
del diciottesimo anno di età.
N L’inserimento in percorsi scolastici e formativi.
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N La rielaborazione della storia personale con tutte le difficoltà del caso che ci sono
e con particolare attenzione alle ragazze sfruttate e anche ai ragazzi dove spesso
le esperienze di vita che hanno passato sono caratterizzate da una valenza
affettiva molto forte.
N L’autonomia.
Abbiamo cercato di evidenziare quali erano secondo noi le maggiori problematicità e le criticità
più forti. La prima è ottenere una presa in carico istituzionale reale. Al di là della legge che prevede
che i minori stranieri non accompagnati presenti sul territorio italiano vengano trattati in pratica come
minori italiani, noi intendiamo per presa in carico reale poter arrivare a lavorare con i minori
immigrati con gli stessi parametri che abbiamo con i minori italiani, anche perché le problematiche
dopo i diciotto anni sappiamo che sono elevate, rischiamo che questi minori escano dalle comunità ed
entrino nel giro della criminalità, per cui riteniamo importante poter creare questo lavoro a quattro
mani, con verifiche costanti.
Il seguire un percorso evolutivo con persone che se pure sono minori di età hanno avuto delle
esperienze e hanno un approccio alla vita da adulti. Sul concetto di minore in Italia e di minore negli
altri Paesi forse ci si potrebbero scrivere tanti trattati. Noi li trattiamo come minori, come minori
vogliamo che vadano a scuola, che facciano tutta una serie di cose che i nostri minori devono fare e
che comunque riteniamo adatti per la loro età e magari questi ragazzi fino al giorno prima, erano
completamente autonomi e facevano la loro vita. Da qui nasce la difficoltà di trattarli come minori pur
essendo adulti di fatto.
L’inserimento nei percorsi lavorativi e scolastici l’abbiamo messo per sottolineare il fatto che
questi minori spesso hanno delle difficoltà non tanto rispetto alle offerte (della Provincia, dei Comuni,
delle Agenzie formative ecc.), ma rispetto ai tempi. Diventa difficile tenere un minore in comunità per
due mesi in attesa che parta il corso perché in quel tempo questo può essere tentato di scappare.
Quindi la possibilità, in qualche modo, di trovare dei posti dove possano entrare ed uscire meno
formalizzati, meno legati all’avvio ufficiale del corso, quindi delle opportunità soprattutto sul piano
della formazione professionale e poi degli inserimenti lavorativi, che siano più agili.
Abbiamo evidenziato anche i problemi legati alla famiglia di origine sotto due aspetti, da una
parte la sua assenza come vicinanza emotiva. Si è detto prima che l’età si sta abbassando,
immaginatevi cosa vuol dire avere relazioni con persone senza avere nessuno di significativo per noi
vicino. E sia anche per la diversità che hanno della concezione rispetto la minor età e quindi per le
richieste che fanno ai ragazzi intese proprio come richieste che per noi sono inaccettabili e che per
loro che magari li hanno mandati qua con l’obbiettivo che portino dei soldi o che magari una volta
diventati in grado tornino nel loro Paese, ecc. ecc.
Come comunità è nel nostro DNA proporre un modello di famiglia tipicamente italiano con delle
modalità di relazione, il modo con cui le operatrici e gli operatori si pongono nei confronti dei minori
riproponendo quella che è la nostra concezione della famiglia.
Si rileva la mancanza di mediatori culturali soprattutto per la zona lucchese, perché in realtà
Viareggio ne è ampiamente fornita, e anche la difficoltà di avere all’interno delle strutture delle
persone che in qualche modo appartengano alla cultura di provenienza e aiutino nel passaggio. Si sa
che poi la devianza trova terreno fertile in tutte quelle situazioni dove noi lasciamo la nostra cultura e
cerchiamo in qualche modo di adeguarci passivamente o quasi ad un’altra cultura e quindi le figure
che in qualche modo aiutino in questo passaggio a valorizzare la cultura del minore trovando dei punti
di integrazione con la società dove vive.
Le opportunità del minore dopo la comunità. Col diciottesimo anno di età che cosa succede?
Abbiamo pensato anche ad alcuni suggerimenti da mettere in campo. Sicuramente la strutturazione dei
protocolli d’intesa nei vari punti rete che in qualche modo facilitino il passaggio di questi minori e che
diano la possibilità di strutturare quello che può essere l’intervento più idoneo per le loro esigenze.
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L’avere la possibilità di orientare il minore nella comunità che è più adatta alle sue esigenze, quindi il
non essere catapultato di punto in bianco in una struttura, ma l’avere la possibilità di pensare quale
può essere la struttura più adatta per quel minore come lo facciamo con i minori italiani la maggior
parte delle volte.
Un sostegno scolastico forte e un costante accompagnamento del minore anche dopo la maggior
età fino al raggiungimento della piena autonomia. Il fatto che una volta che ha compiuto i diciotto anni
si trovi solo, invece la possibilità di strutturare mettendo insieme tutte le risorse che ci sono sul
territorio, un accompagnamento che vada al di là del raggiungimento legale della maggior età.
PATRIZIO PETRUCCI
Assessore ai rapporti col Volontariato della Provincia di Lucca
Sono tre interventi che offrono stimoli, spunti. Ora sarebbe prevista l’apertura del dibattito su
queste relazioni.
DIBATTITO
INTERVENTO DEL PUBBLICO
Quali sono i risultati rispetto a questi percorsi?
SONIA RIDOLFI
Rappresentante delle Comunità dei Minori del territorio della Provincia di Lucca
Ci sono alcuni ragazzi, soprattutto per i gruppi che hanno al suo interno molte cooperative o
che hanno la possibilità di avere delle sistemazioni abitative, che tutt’ora vivono in collegamento con
la struttura primaria. Si tratta di ragazzi che stanno facendo l’Università, ma sono pochissimi casi.
Comunque laddove è possibile attivare un circuito più ampio le possibilità sono maggiori. Così come
molto buoni sono ad oggi gli inserimenti familiari. Sono famiglie, come ho detto prima, molto seguite
e quindi richiedono da parte della comunità che le inserisce un lavoro complesso, molto forte. Quindi
su questi due ambiti ci sono alcuni risultati positivi. Con il diciottesimo anno di età entrano in campo
tutte le Associazioni che fanno quello che è possibile fare, ma credo che l’emergenza abitativa
caratterizzi sicuramente tutta la zona della Versilia ma penso anche gran parte della Lucchesia quindi è
difficile. Noi stavamo anche pensando a delle soluzioni tipo gruppo-appartamento, ma è difficile poi
trovare anche a livello economico il sostentamento per queste attività e la disponibilità dei volontari.
Mi sembra che manchi molto. Quando sentivo parlare di quanto viene realizzato in Piemonte,
mi è venuto in mente quanto da noi manchi molto l’apporto dell’adulto appartenente alla cultura del
minore, come si lavori sui minori fino a diciotto anni, ventuno e poi non ci sia continuità. Questo
scambio generazionale, mi sembra che, per ora, sia molto mancante nella nostra zona.
OPERATORE SOCIALE FRANCESE
Lei ha presentato una tipologia dei minori non accompagnati o “leggermente” accompagnati
che dir si voglia e questa è una tipologia che è ovviamente redatta prendendo le mosse dal contingente
della situazione amministrativa di questi minori che mi pone due quesiti. Il primo è perché si è fatta
questa scelta di lavorare con una tipologia di tipo amministrativo quando invece non sarebbe possibile
farlo per i connazionali.
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Allora perché questo tipo di approccio? Secondo me prendere questo tipo di strada vuol dire mettere
una categoria a parte rispetto alle altre. Lei ha avuto anche i mezzi di lavorare su un’altra tipologia e
credo che sia diverso da quello che lei ha presentato con degli altri input che non siano ovviamente il
modo di accesso su un territorio, ma piuttosto legato a quello che è la storia del bambino e della sua
famiglia. I bambini che sono stati maltrattati, per esempio i bambini oggetto di abuso sessuale, i
bambini fuggitivi, quelli che sono stati mandati dai genitori o da parenti, che permetterebbe quindi una
lettura diversa forse molto più pertinente molto più vicina rispetto a quella che viene fatta nelle case
per l’infanzia e che permette quindi di elaborare delle metodiche educative specifiche più adattate.
Quindi le chiedo cosa ci può dire sulle metodiche delle scelte secondo la tipologia dei minori dei
bambini? Abbiamo parlato dell’accompagnamento giuridico e amministrativo stamattina, quindi
vorrei sapere qualcosa di più specifico sulla sua metodica come educatrice e professionista della
tutela dei minori.
CRISTINA ROSSETTI
Funzionario dell’Area Socio-Assistenziale Minori della Regione Toscana
In Italia noi si lavora molto sull’attività amministrativa che è quella delle Regioni e degli Enti
Locali e dei percorsi che le leggi ci danno per lavorare come attività amministrativa. Si ricorre
all’autorità giudiziaria quando proprio non è possibile trovare altre strade di carattere amministrativo.
L’autorità giudiziaria interviene in caso di conflitto, in caso di devianza grave, altrimenti tutta l’attività
è di carattere amministrativo.
La Regione Toscana, non ha fatto la scelta di fare case famiglia per tipologia: minori stranieri,
minori abusati, minori handicappati. Le tipologie delle case famiglia sono piccole case, al massimo di
otto o dieci posti, dove vanno i bambini con il bisogno. Poi cerchiamo di abbinare la casa famiglia che
più si adatta alle caratteristiche del minore. Le case famiglia sono da noi organizzate come piccole
case simili ad un modello familiare; gli arredi sono di una casa, non di istituti o grandi strutture.
Quindi il minore straniero non accompagnato si ritrova inserito insieme ad un altro minore italiano,
non viene separato dagli altri. Quello che stiamo elaborando è che quando i ragazzi crescono, (ma
questo è un problema anche per i ragazzi italiani, non c’è differenza) è necessario fare un passaggio
graduale in gruppi appartamento per passare dalla casa famiglia all’autonomia completa attraverso
questo scalino intermedio. Queste sono le tipologie delle case che la Regione Toscana ha scelto anche
per i minori stranieri non accompagnati.
Rispetto invece all’intervento delle Associazioni, è che secondo me non ci è stato un passaggio
nella relazione che è stata fatta peraltro molto completa, che è quello della tutela giuridica. Questa
infatti è la prima risposta che va data ai minori stranieri, prima dell’intervento del Tribunale dei
Minori. Senza la tutela giuridica non c’è la possibilità di fare nessun intervento per i minori. Questo
era per chiarire che noi lavoriamo molto su questo aspetto, perché non tutte le Nazioni hanno il loro
punto di forza nella parte amministrativa, altre hanno carente l’attività giudiziaria, dipende dalle varie
realtà. Quindi volevo ribadire che non ci sono case famiglia solo per minori stranieri non
accompagnati.
NELITA BEGLIUOMINI
Coordinatrice della Segreteria Tecnica della Zona Piana di Lucca
Nella relazione che ha presentato la collega Giannasi c’era un momento di passaggio che
diceva che noi non siamo ancora preparati. Secondo me le strutture che vanno ad ospitare i minori
stranieri non accompagnati (noi abbiamo l’Istituto Carlo del Prete, del Comune di Lucca, dove
quest’ultimo manda quasi giornalmente i minori stranieri non accompagnati) sono nate come strutture
per minori in situazione di problematicità familiare, abusi, maltrattamenti, famiglie inesistenti. Fra le
varie scelte di interventi viene scelto il ricovero in strutture, come diceva Rossetti, a forma familiare
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(in particolare per adolescenti, perché altrimenti si privilegiano altri interventi), però al momento in
cui sono entrati in questa struttura minori stranieri non accompagnati, la struttura diventa
automaticamente solo per minori stranieri non accompagnati. Noi ne abbiamo 12 all’interno della
nostra struttura, è un problema di bisogno, non è un problema di tipologia.
Prima di tutto c’è il discorso della tutela, perché noi nel momento in cui ci si presenta un
minore non accompagnati, come Comuni dobbiamo tutelare il minore all’interno della struttura e a
quel punto io credo anche che le esigenze, i bisogni di questi ragazzi, sono diversificati perché ad
alcuni manca la famiglia, c’è una famiglia disastrata, di qua invece c’è una famiglia, ma è lontana.
Bisogna vedere come viene condotta l’esperienza ed è fondamentale il confronto che ci deve essere tra
le culture d’origine e la cultura italiana perché se questi ragazzi rimangono in Italia, ma con la loro
storia, i loro costumi, le loro abitudini e dovranno integrarsi con la realtà italiana ma senz’altro
dovranno anche confrontarsi con la loro storia d’origine allora io credo che possano anche convivere.
Però la nostra realtà è questa, la “Carlo del Prete” ospita solo minori stranieri.
SONIA RIDOLFI
Rappresentante delle Comunità per i minori del territorio della Provincia di Lucca
Le nostre strutture ad oggi e la “Carlo del Prete” fanno un po’ da eccezione a questa cosa,
accolgono utenza diversa, dal bambino abusato al bambino allontanato per gravi difficoltà familiari.
Anche tra i migranti abbiamo il migrante non accompagnato, il migrante che è in comunità come pena
alternativa, il migrante che ha invece parenti, ma che non sono in grado di occuparsene, quindi
abbiamo varie tipologie. Io penso che su questo sta anche la ricchezza dell’avere un posto che in
qualche modo non diventi un ghetto. Non intendo un ghetto come si intendeva negli anni passati, ma
comunque un nucleo problematico.
Credo che la possibilità di integrazione delle culture e la reciproca crescita, sia una possibilità
anche per i minori, perché se rimangono in Italia verranno integrati in un tessuto che è poi quello
italiano, quindi credo che fare esperienza di vita comune insieme a persone italiane non sia che
positivo. In questo senso penso che creare delle strutture specifiche possa avere dei lati positivi
rispetto a dei bisogni soprattutto primari, all’aspetto abitativo, all’autonomia, alla sofferenza per le
regole e credo che anche in tutte le comunità sapere che nascano delle comunità specifiche per questi
minori, in fondo potrebbe sollevare da un problema che spesso crea delle difficoltà quindi non è che
sono contraria a priori. Penso che sia un’esperienza difficile da percorrere, ma che valga la pena di
farlo.
Mi sembra che la richiesta di accoglienza da parte dei minori migranti su Lucca sia molto forte. Io
gestisco anche una Comunità su Massa che ha ospitato soltanto due minori in tre anni. Mi sembra che
anche su Viareggio la comunità di Via della Gronda abbia minori immigrati, ma anche tanti italiani.
Il modello che vi dicevo è quello della casa famiglia come la legge impone, cioè il modello
familiare italiano. Da questo fatto nascono le problematiche più grosse, rispetto all’integrazione, il
modello che si portano dentro è quello e viene riprodotto nei nostri figli e nelle nostre relazioni.
Quindi a meno che tutte queste teorie non siano favole penso che nella realtà o facciamo una struttura
gestita da educatori migranti, quindi extracomunitari che si portano dietro il loro modello, oppure
difficilmente riusciremo a trovare una risposta.
VOLONTARIA del VILLAGGIO del FANCIULLO
Sono una volontaria del Villaggio del Fanciullo e mi trovo molto d’accordo con quello che
diceva Sonia Ridolfi. Anche il Villaggio del Fanciullo nel tempo si è trasformato perché è nato come
Comunità di accoglienza per minori italiani ed è diventato piano piano una Comunità di accoglienza
anche per minori stranieri. Tuttavia il fatto che continuino ad esserci dei ragazzi italiani all’interno del
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Villaggio permette ai minori stranieri che vengono una prima integrazione, un primo confronto anche
dal punto di vista dell’apprendimento della lingua o del trovarsi bene nelle scuole italiane. Perché poi
anche la scuola è una realtà che va monitorata perché anche nella scuola i minori stranieri tendono a
fare isola. Invece, avendo già dei compagni all’interno della Comunità che sono italiani, anche nella
scuola viene facilitata l’integrazione quindi io penso che sia importante continuare a mantenere delle
Comunità miste.
Inoltre i problemi è vero che sono diversi però ritengo anche che quasi da un certo punto di
vista il problema che pone un minore straniero non accompagnato sia minore dal punto di vista
educativo e psicologico. Nel senso che il minore straniero non accompagnato fa subito una grande
investimento affettivo nella Comunità. Ho sentito minori stranieri non accompagnati dire dopo pochi
mesi “il Villaggio è casa” perché loro non hanno nessuno e non hanno casa, cosa che riusciva molto
difficile ai minori italiani che avevano situazioni familiari problematiche alle spalle e che non
riuscivano ad accettare fino in fondo la Comunità come casa. E anche questo ritengo faccia bene a
tutt’e due le parti, fa bene ai minori stranieri trovarsi e confrontarsi con minori italiani con situazioni
problematiche e questo quindi nel discorso dell’integrazione del proprio vissuto è facilitante, fa bene
ai minori italiani trovarsi con dei minori stranieri in condizioni di solitudine che riescono a proiettare
la loro vita all’interno di una comunità. Io ritengo che questa sia una grande ricchezza.
CARLA BONETTI
Operatrice della Cooperativa Crea
Faccio una piccola precisazione. Sono Carla Bonetti della Cooperativa CREA di Viareggio che
gestisce una comunità mista, quindi con minori italiani e con minori stranieri. Il processo che
regolamenta l’ingresso dei minori in Comunità è un procedimento di tipo amministrativo. All’interno
della comunità il lavoro che viene fatto con i ragazzi si basa sul progetto educativo individualizzato e
questo significa che su ogni minore sia italiano sia straniero viene cucito addosso un progetto in base
alle problematiche che quel minore presenta. Può trattarsi di un caso di abuso, di maltrattamento, può
trattarsi di una problematica che riguarda indistintamente sia le situazioni dei minori italiani che quelle
dei minori stranieri.
OPERATORE SOCIALE FRANCESE
Poco fa si è parlato delle pratiche educative nei Paesi di accoglienza. Vorrei sapere quali sono
le iniziative attuate per lavorare con i Paesi di origine, sapendo che qualsiasi progetto educativo
insieme a qualsiasi istituzione, deve prendere in considerazione i contesti sociali e il profilo storico e
familiare di questi minori perché è un elemento importante che permette di gestire un’azione educativa
valida che possa permettere lo sviluppo della personalità di questi ragazzi. Vorrei conoscere quali
sono queste iniziative e quali i programmi di scambio con i Paesi di origine. Questa è la mia domanda.
SUOR BARBARA OLIVIERI
Volontaria del GVAI
Io mi sono chiesta: quand’è che questo ragazzo viene ritrovato? Viene ritrovato nel momento
in cui viene portato in galera e viene mandato nel suo Paese di origine. Chiedo, è mai possibile
arrivare agli estremi? Non c’è una via di mezzo per recuperare questo ragazzo in qualche modo
altrimenti sarebbe un fallimento completo! Quando ho sentito che da alcune strutture sono fuggiti io
mi sono chiesta dove saranno andati? Sicuramente finiscono, come dicevano stamattina, in mano alla
mafia o a qualcosa del genere. Non c’è proprio niente da fare prima? Non so, fare una ricerca, che la
Questura trovi delle soluzioni. È difficile, ma a mio avviso è indispensabile affrontare questo
problema.
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ELEONORA VANNI
Operatrice della Cooperativa Crea
Vorrei porre delle domande. Una riguarda il modello di Comunità. Alcuni hanno anche fatto
degli esperimenti in questo senso, creando Comunità con educatori stranieri. Su questo un primo
elemento importante mi veniva in mente sia a proposito delle tipologie che delle categorie di stranieri,
noi parliamo di minori stranieri accompagnati, non accompagnati,ma in realtà se noi abbiamo in
Comunità una ragazza dell’Ecuador, un ragazzo marocchino, una ragazza rumena non abbiamo minori
stranieri non accompagnati,ma tre persone con tre culture profondamente diverse che hanno anche
bisogni che sono comuni rispetto alla cura, alla necessità primaria, ma che necessitano dal punto di
vista culturale, risposte diverse. Allora che cosa vuol dire una comunità per stranieri? Cioè ne
facciamo una per i senegalesi, una per gli ecuadoreñi, una per gli albanesi? Non ha nessun senso.
Il senso credo è quello che noi operatori dobbiamo trovare nel lavoro educativo che facciamo il
modo di fornirci di strumenti che ci consentano da una parte di elaborare e trasmettere quello che è
anche il nostro modello culturale pur nel rispetto della differenze che ci sono all’interno delle
Comunità, ma dall’altra di acquisire ed elaborare strumenti che ci consentano di aiutare questi ragazzi
a crescere, ad acquisire strumenti per un’integrazione quando loro lo vogliono, all’interno della società
italiana però mantenendo, valorizzando la loro cultura, aiutandoli anche a non annullare le loro origini
solo per il fatto che noi non abbiamo la competenza necessaria.
Allora sicuramente è importante il lavoro della mediazione, dell’aggiornamento degli
educatori. D’altra parte noi siamo un Paese di giovane immigrazione, ma di antica emigrazione,
scuramente rispetto alla Francia con molta meno esperienza in questo senso. La Comunità che è
gestita dalla nostra cooperativa a Viareggio, è nata undici anni fa e allora non avevamo questo tipo di
problema, avevamo alcuni dei ragazzi nomadi che transitavano sul territorio. Questa è una
problematica che è sorta in questi anni sulla quale abbiamo ancora tanto da riflettere e da lavorare.
SARA VITALI
Rappresentante delle Associazioni del territorio della Provincia di Lucca
Come è stato detto nel precedente intervento siamo nuovi rispetto all’immigrazione e dobbiamo
dotarci di strumenti per capirlo e risolverlo . Parto dal presupposto che non abbiamo la seconda e
terza generazione di immigrati, quindi non abbiamo genitori che possano trasmettere i valori e le
tradizioni culturali alle nuove generazioni. Stiamo acquisendo operatori immigrati per esempio ci sono
alcune Cooperative che hanno al loro interno sia nel Consiglio di amministrazione che come operatori
stessi, immigrati e credo che questa sia una ricchezza. Non credo ci siano molti educatori provenienti
da altri paesi ancora, ma dovrà essere sicuramente un passo successivo. Credo che siano fondamentali
i progetti di mediazione culturale nelle scuole. Si dovrebbe dare la possibilità di formare mediatori che
provengono da Paesi extraeuropei, spesso queste persone, non hanno competenze italiane e titoli di
studio riconosciuti in Italia. Credo che la rete REMI sia un valido strumento da appoggiare e
sostenere.
SONIA RIDOLFI
Rappresentante delle Comunità di minori del territorio della Provincia di Lucca
Nel farvi vedere i Paesi di provenienza è emerso che c’è un po’ di diversità ed i dati sono
riferiti al 2003, ma non è che una Comunità ospita solo marocchini ed un’altra solo albanesi. Ci sono
quindi anche difficoltà a creare situazioni molto specifiche laddove le culture sono diverse, perciò si
deve lavorare più verso l’integrazione che verso la specificità. Rispetto al ragazzo che fugge volevo
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dire due cose. Credo che per chi lavora in una Comunità educativa che il ragazzo fugga, che sia
italiano, immigrato, non accompagnato, con parenti, sia sempre un momento di grande angoscia.
Le Comunità lavorano sia per gli italiani che per i non italiani. Quando un ragazzo si
allontana, a parte le comunicazioni formali necessari per la Questura, i Servizi Sociali,il Tribunale,
generalmente si cerca di attivare quella che è la rete intorno al ragazzo, ma questo succede anche per
l’italiano che va via e che rientra in famiglia e che non si sa dov’è. Si cerca di attivare tutta una rete di
relazioni anche utilizzando conoscenze informali per andare a vedere dov’è finito quel ragazzo e per
dargli un’altra opportunità. Non è semplice perché non sempre questi ragazzi si ritrovano. Ci sono
anche delle lentezze piuttosto forti nella Questura nell’attivarsi però credo che ognuno debba per lo
meno provare a fare quanto gli compete. È un momento di angoscia quando se ne va un ragazzo ,
soprattutto se non conosciamo dove va, perché è un minore e non solo per il problema della
responsabilità, ma soprattutto per l’aspetto della relazione, dell’affetto e del saperlo in pericolo.
Operatore sociale di una Cooperativa di Napoli
Sono contentissimo di quello che ho sentito riguardo al funzionamento delle Comunità di
questo territorio. Invece noi a Napoli, ma non solo nella regione Campania, abbiamo delle fughe
continue di minori. Io non lavoro in una Comunità, sono in una Cooperativa però ci relazioniamo con
le Comunità. Siamo in cerca di una vera soluzione per i ragazzi che vanno in Comunità perché noi
dimentichiamo la loro presenza in Italia. Prima di essere minore per le loro famiglie sono capi
famiglia, sono quelli che mantengono le famiglie. Loro non si sentono minori, noi diciamo che lo
sono, addirittura a Napoli ci sono tantissime Comunità religiose che da certi ragazzi non vengono
accettate. E poi in altre Comunità vengono chiusi a chiave, hanno diritto solo a sette sigarette al giorno
e non di più, c’è il diritto una volta la settimana ad allontanarsi solo mezz’ora, però deve essere
sempre in vista dell’educatore.Vorrei dopo chiedervi qualche soluzione per sapere come lavorate
esattamente per proporre anche sul nostro territorio le vostre modalità operative, in modo da arginare
la fuga dei minori.
ELIO MOSCARIELLO
Assistente Sociale del Comune di Lucca
Volevo fare un intervento su quello che è stato detto prima riguardo al fatto che certe Comunità
diventano specializzate per i minori stranieri. Secondo me ci sono due cose da dire. La prima è che
quando si crea un canale di comunicazione, come in tutte le immigrazioni questo viene usato finché
questo non si interrompe. Di conseguenza se un minore entra in quella Comunità e riesce ad avere a
18 anni un permesso di soggiorno valido per lavoro,sicuramente chiamerà un altro minore suo amico,
parente o connazionale per fare lo stesso percorso. È il percorso che hanno fatto i nostri genitori
migranti quando sono venuti a Milano, Torino o da altre parti.
Questo è un meccanismo, ma forse quello più grande al quale bisogna stare attenti è quello dei
nostri modelli educativi che proponiamo a questi minori soli o non soli e che è un modello educativo
nostro, culturalmente nostro. Freud non è nato in Sudafrica, non è nato in Egitto, è nato in tutt’altro
sistema culturale che abbiamo dentro noi come occidentali, come europei, ma non hanno dentro loro
gli immigrati perché hanno un’altra storia. È questo il punto che si vuole evidenziare. Noi non stiamo
valorizzando sufficientemente la diversità, cioè non lavoriamo abbastanza su quello che hanno loro
dentro, lavoriamo invece molto di più nella richiesta di un loro adattamento ad un nostro schema
educativo, culturale, economico perché anche qui ci sono esigenze economiche di budget che a volte
superano quelle educative.
Allora si crea un meccanismo perverso per cui il tipo di offerta crea la risposta al bisogno. Se
io creo una comunità con un modello educativo di un certo tipo, chi vi entrerà sarà soltanto quella
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parte di utenza per la quale io l’ho preparata e non sarà un’altra e questo è pericoloso a meno di non
fare scelte precise che poi bisogna giustificare in modo diverso. Invece il processo dovrebbe essere
l’opposto: è l’esigenza di rispondere ad un tipo particolare di bisogno che dovrebbe fare da guida per
creare il tipo di Comunità.
OPERATORE SOCIALE FRANCESE
Sono rimasto molto interessato a quanto è stato detto nell’ intervento poco fa e stamattina, lei
ha parlato dei professionisti e dei volontari insistendo sul fatto che nella vostra pratica è una cosa che
funziona molto bene. Da noi in Francia, secondo la mia esperienza personale, attualmente abbiamo
poca esperienza per quanto riguarda l’elaborazione di una pratica professionale dove abbiamo i
professionisti e i volontari assieme. Questo non esiste da noi e quindi sarebbe molto interessante fare
come fate voi perché questo ci arricchirebbe molto; questo modo di lavorare non lo acquisiremo mai
se rimaniamo come siamo oggi sempre più specializzati. Il rischio di questo eccesso di
specializzazione sicuramente è controcorrente rispetto alla risposta diversificata che è necessaria per
questi ragazzi.
I volontari sono scomparsi da tanto tempo negli istituti specializzati e i professionisti non
vogliono lavorare da noi con i volontari. Voi lavorate con i volontari e questa è una grande possibilità,
vorrei sapere come si attua concretamente questa collaborazione tra i professionisti e i volontari, come
rendete possibile questo lavoro congiunto, perché noi non lo abbiamo e quindi dovremmo avere delle
indicazioni di massima per fare quello che fate voi in Italia.
CRISTINA ROSSETTI
Funzionario Area socio-Assistenza Minori della Regione Toscana
Molto spesso i nostri operatori vogliono andare sull’alta specializzazione perché è difficile
lavorare sulla diversità, ma è questa la ricchezza. Le nostre leggi sono orientate a lavorare insieme
perché se non avessimo le leggi neanche noi lo faremmo. Abbiamo leggi sia a livello nazionale sia a
livello regionale. Nei regolamenti della casa famiglia noi diciamo che ci devono essere educatori e
volontari, lo mettiamo proprio negli atti amministrativi. Quindi è proprio questa ricchezza che è
difficile proprio nelle relazioni e nel confronto fra Istituzioni, volontari e queste tipologie di piccole
case dove ci sono tanti problemi da affrontare; questa è la grossa scommessa delle nostre strutture in
Italia e soprattutto della Toscana. Il collega parlava della Regione Campania che purtroppo ha avuto
tanti altri problemi da affrontare rispetto alla stessa Toscana per cui devo dire che nella nostra regione
siamo ad un livello superiore perché non abbiamo avuto da affrontare i problemi della Regione
Campania, abbiamo realtà diverse.
Volevo rispondere sulla questione dei progetti di cooperazione. L’Italia sta cercando con molta
fatica di lavorare in progetti di cooperazione, anche in maniera molto piccola, parcellizzata perchè da
noi, non c’è un coordinamento forte. Personalmente con la Regione Toscana lavoro ad un progetto di
cooperazione in Romania di destituzionalizzazione per far rimanere i ragazzi nel loro territorio di
origine. Sono però processi lenti e molto difficili perché è complesso capire le culture,
l’organizzazione, anche a livello politico delle diverse realtà. Abbiamo forse una tradizione di
decentramento che per esempio in Romania non abbiamo trovato e allora anche progetti di
cooperazione che stiamo tentando di fare sono piccoli passi che ancora ci vedono tutti molto
impreparati. Capire le diversità, gli stili non è facile. Noi, in Romania, abbiamo avuto un interprete
bravissimo, non era un professionista, ma ci ha aiutato a capire la cultura ed i problemi loro in una
maniera incredibile che da noi non ci saremmo arrivati nemmeno a parlare fra operatori. Perché
trasportare certe esperienze e capirsi non è assolutamente facile, è più facile forse con i ragazzi perché
hanno un adattamento e una ricchezza che noi adulti così strutturati sinceramente non abbiamo.
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SONIA RIDOLFI
Responsabile delle Comunità per minori del territorio della Provincia di Lucca
Provo a rispondere ai due interventi. Volevo innanzitutto sottolineare questo aspetto. In Italia
la legislazione ci aiuta in tutti i campi perché consente di lavorare in sinergia fra Volontariato e
Istituzioni, come avviene nella sanità anche se un po’ di crisi si comincia a sentire. Rispetto alle altre
due cose l’ho detto nella relazione, la difficoltà a lavorare con delle persone che noi consideriamo sia
da un punto di vista giuridico che da un punto di vista emotivo e di bisogni minori di età, ma che in
realtà hanno un rapporto con la vita da adulti e che di fatto sono adulti. E lo dicevo proprio rispetto
all’obbligo formativo e a tutti questi aspetti che da una parte creano difficoltà, ma noi ci rendiamo
conto che per loro l’esigenza primaria non è tanto portare a termine l’obbligo del percorso scolastico,
ma è avere un lavoro e successivamente una casa e magari poter mandare giustamente i soldi che
guadagnano al loro Paese di origine o comunque rispondere alle esigenze, al mandato che la famiglia
ha dato loro chiedendoli di venire in Italia.
Noi abbiamo dentro di noi per cultura i nostri mandati intergenerazionali che ci passiamo su
altri livelli, se cerchiamo di spostare questo su un piano di vita reale, questi minori hanno dentro un
mandato a cui devono dare una risposta. Tant’è vero che mi fece riflettere quando, parlando di questo
lavoro con alcuni di noi, emerse proprio in maniera forte il discorso del rapporto con la famiglia di
origine proprio nel senso delle richieste del mandato che si trovano ad assolvere in Italia.
Rispetto invece a quello che diceva Elio Moscariello le Comunità sono nate per un certi tipo di
persone da accogliere, si sono ristrutturate nel tempo anche rispetto ai minori italiani e a fatica si
stanno adeguando per rispondere a questi bisogni. Credo che le sollecitazioni che abbiamo come
strutture rispetto ai minori sia italiani che non, siano molte e sia difficile dare risposte adeguate.
Sicuramente siamo mancanti, abbiamo posto un sacco di problematiche e di suggerimenti proprio per
questo, perché ci rendiamo conto delle mancanze, del fatto che gli obiettivi che ci proponiamo siano
così tanto lontani da quelli del ragazzo. Si cerca di mettere insieme tutti questi aspetti e ci si trova di
fronte una realtà che non si conosce. Tutti noi abbiamo letto centinaia di libri sui minori, sulle culture
diverse, ma è difficile entrarci dentro, vedere il mondo con i loro occhi, cercare di capire di che cosa
loro hanno realmente bisogno al di là del soddisfacimento dei bisogni primari.
PATRIZIO PETRUCCI
Assessore ai rapporti con il Volontariato della Provincia di Lucca
Volevo intervenire sulla questione del volontariato visto che sono ormai numerosi anni che
seguo questo settore. Voglio chiarire che le leggi sono intervenute sulla base di un fenomeno sociale
molto ampio che esisteva in Italia ed era quello della partecipazione dei cittadini ad una costruzione di
una città più solidale. E questa scelta di fondo che era fortemente motivata ha poi permesso ai
volontari di entrare in tantissimi settori della vita italiana. Noi abbiamo presenze del volontariato nel
settore sociale, sanitario, ambientale, culturale. C’è sempre questa linea di fondo, più che avere la
presenza di tecnici c’è sempre l’idea di avere dei cittadini che partecipano alla costruzione di un
sistema sociale.
Quindi non è così automatico il trasferirlo o fare leggi perché questo avvenga. Ho un po’
vissuto negli anni passati il rapporto col volontariato europeo, ma c’era sempre questa forte
diversificazione tra volontariato italiano e quello di altri paesi europei. Negli altri paesi è più curata la
pare tecnica, ci sono più persone che fanno corsi di specializzazione, da noi c’è questa forte carica
ideale e motivazionale che ha creato poi un movimento che ha interessato milioni di persone in Italia.
Se c’è crisi oggi è dovuta al fatto che si ritorna a ridurre il volontariato al ruolo del servizio, e non si
considerano le motivazioni di fondo che sono alla base dell’impegno dei volontari, quale tipo di
società più giusta, più solidale, meno egoistica costruire.
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Rispetto alle esperienze presenti sul territorio che avete ascoltato oggi sono molto figlie di
questo spirito e di questa concezione perché poi, pur strutturandosi in Cooperative sociali, Comunità
alloggio, quindi in altre forme associative che non siano volontariato, hanno mantenuto l’identità, la
caratteristica, lo spirito dell’azione volontaria e su questo si è innescata l’azione delle Istituzioni, tra
l’altro non di tutte le Istituzioni perché anche qui da regione a regione diversifichiamo. Ci sono alcune
regioni come la Regione Toscana che ha capito l’importanza di questa forma di impegno collettivo dei
cittadini e ha fatto sinergia tra Ente Locale e Volontariato. Ora il percorso sarebbe complesso, ma
potremmo ragionarne perché in effetti è un’esperienza importante e che noi ci auguriamo continui a
dare risultati significativi, proprio perché in ogni struttura ci sia anche un controllo del cittadino che in
qualche maniera facendo azione di volontariato, si collega al servizio. Da una parte dà il proprio
contributo per farlo, dall’altra analizza quello che fa. Quindi non è semplicemente un intervento
professionale e di qualità, è anche un controllo di base .
Infatti noi anche qui in Provincia abbiamo costituito un Forum delle Associazioni di
Volontariato presenti nella Provincia di Lucca, un Forum che si divide in settore Socio-Sanitario,
Protezione Civile, Immigrazione, Aiuti Internazionali, Sport, e questo permette di dialogare
costantemente tra l’istituzione Provincia e questo mondo che è frammentato, variegato, diversificato,
ma che ha come logica la crescita delle solidarietà.
OPERATORE SOCIALE
Volevo far presente una lettura che possiamo associare ad esperienze personali.Quando
abbiamo portato i ragazzi all’estero per gli scambi, li abbiamo seguiti per un po’ di tempo e sono state
fatte delle esperienze lasciando i ragazzi in un Paese per più mesi, quasi un anno affinché si
adattassero maggiormente allo Stato in cui erano stati inseriti. In un primo momento si ebbe un
adattamento alle abitudini e costumi delle famiglie presso cui erano stati ospitati e poi d’improvviso
un grosso crollo dal punto di vista psicologico, che preoccupò molto sia gli insegnanti sia gli operatori
ed i medici che poi seguirono questo gruppo. L’esperienza fu pressoché fallimentare.
Dico questo perchè bisogna tenere alta la preparazione scientifica all’interno di questo mondo
dove noi lavoriamo perché la parte scientifica, direi quasi psicanalitica che studia proprio la psiche
umana, delle abitudini, dei costumi, ma soprattutto delle caratteristiche psichiche è la parte che può
dare delle conoscenze profonde. Per cui questa è la parte da curare, deve essere proprio la punta del
gruppo di formazione perché se non si hanno queste conoscenze il gruppo rischia, pur con la buona
volontà, di apparire come improvvisazione. Per cui non andare a toccare l’identità, le abitudini, i
costumi, l’affettività, non intaccare le sicurezze che uno si è già costruito altrimenti l’infanzia e la
giovinezza non avrebbero senso. Sono percorsi che danno stabilità per cui se vanno toccati bisogna
farlo laddove c’è il danno, ma con estrema capacità professionale. Per cui io quello che mi auguro e
che considero importante è proprio che ci sia una grossa conoscenza scientifica alla base di tutto.
MEDIATORE CULTURALE del Centro di Pronta Accoglienza di Pontedera
Mi presento, io sono Mediatore Culturale, interprete in campo sociale con esperienza di
interventi presso il CPA, Centro di Pronta Accoglienza di Pontedera.
Abbiamo partecipato ultimamente ad un convegno sui diritti dei minori a Pisa con la cooperativa “Il
Progetto” e il Centro interculturale “Trasparenza” dove abbiamo invitato il Sindaco di una città
palestinese e il Sindaco di una città israeliana. In quel contesto abbiamo cercato di dare il nostro punto
di vista arabo-islamico sui diritti dei minori. In questo contesto dove ci permettiamo di arricchire le
nostre visioni cercherò di riflettere e di illustrare la visione del concetto culturale arabo-islamico sui
diritti dei minori.
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La visione contemporanea del minore è cominciata con Jean Jacques Rosseau, perché prima il
minore veniva considerato un piccolo adulto e tutto quello che lo riguardava veniva ignorato. Di
conseguenza l’educazione del minore era imposta secondo lo schema mentale dell’adulto e non
seguiva le esigenze dei minori come si evince dal libro “Èmile” opera di Rosseau dove l’autore
dichiarava che siamo totalmente ignoranti riguardo l’infanzia e che ogni volta che noi applichiamo il
nostro modo di pensare sui minori la nostra ignoranza aumenterà perché cerchiamo sempre l’adulto
nel bambino senza considerare il suo status prima di essere adulto.
Dopo questa premessa andiamo ad esaminare la visione dei testi sacri riguardo il minore.
Malgrado l’antichità dei testi abbiamo trovato che questi hanno diversificato la visione dell’adulto da
quella del minore. Insistono sul comportamento da adottare verso di loro. Nel Vangelo, prima lettera
di Paolo ai Corinzi 13:11 si dice: “quando ero bambino parlavo da bambino, pensavo da bambino,
ragionavo da bambino, ma ora che sono divenuto uomo ho eliminato i tratti del bambino”. Il profeta
Mohammed diceva:” mi è stato ordinato di dialogare con la gente secondo la loro ragione”.
Rimanendo sempre nel contesto islamico troviamo l’Iman Ali sciita e genero del profeta
Mohammed che ha detto:” gioca con tuo figlio per sette anni, educalo per altri sette anni,
accompagnalo per altri sette anni, poi lascialo fare ciò che vuole”.Altri filosofi arabi si sono interessati
all’educazione del minore ed hanno dedicato molte ricerche specializzate in questo argomento e tra
queste c’è un Iman che ha scritto riguardo il comportamento e la cura dei minori considerandone
l’età, la mentalità e la loro capacità e ha detto: “ È come il medico, se questo avesse cercato di curare
tutti i suoi malati con lo stesso rimedio, questi sarebbero già tutti morti”.” Oppure come gli istruttori,
se avesse cercato di far praticare a tutti i loro allievi lo stesso esercizio fisico il cuore di tutti si sarebbe
fermato”.
Il Corano, testo sacro dei musulmani, ha molto insistito sul minore orfano essendo che il
profeta stesso era orfano. Sempre nel Corano troviamo versetti che hanno incaricato il minore di
prendersi cura dei propri genitori. Oltre a questo abbiamo trovato le scuole di giurisprudenza islamica
che hanno commentato il termine, la tutela che vuol dire che tra le categorie tutelate troviamo anche il
minore fino a che arriva all’età adulta. Parallelamente a questa terminologia troviamo un altro termine
arabo molto complesso nel suo contenuto, la nozione che esso esprime è una giusta attitudine interiore
e di conseguenza di corretto comportamento esteriore nei confronti di tutto ciò con cui veniamo a
contatto, a cominciare dal rapporto con noi stessi, quindi col nostro prossimo, alla fine con Dio. Tali
nozioni possono portare ad un processo di raffinatezza culturale poiché questo pone in chi manifesta
un corretto comportamento che fa agire in modo appropriato. Il modello per eccellenza di questa
parola è il Profeta Mohammed, dal quale i genitori di tutto il mondo arabo-islamico cercano di
prendere esempio.
Questo il quadro generale di un processo culturale e storico dove troviamo il progetto
dell’uomo che si realizzerà con il tempo e genererà l’uomo del futuro. Il minore è il prodotto del
processo psichico, sociale, culturale ed educativo che subisce durante i suoi primi anni di vita. Tutti gli
psicologi, malgrado la diverse scuole di provenienza e le diverse metodologie di analisi adottate,
concordano sul fatto che i primi anni di vita del bambino sono quelli che maggiormente influenzano e
formano la sua personalità di adulto.
Data questa premessa ci chiediamo: qual è la vera identità del minore? È quella racchiusa tra i
limiti temporali dalla nascita alla maggior età oppure si può dire che il minore è al posto dell’adulto
oppure che il bambino è un adulto minore. Fino ad oggi non è mai stata data importanza al minore nel
mondo arabo, la maggior parte delle ricerche e degli studi hanno curato l’uomo come adulto anche se
nell’ultimo censimento risulta che più del 50% della popolazione del mondo arabo è inferiore a 18
anni e un terzo di questa popolazione ha almeno sei anni. Ecco perché si dice cha la società araba è
una società giovanile.
Il minore occupa un posto prioritario nelle società di tutto il mondo, ne fa parte integrante nei
suoi pensieri, nei suoi programmi, nei suoi piani mentali, mentre la realtà del minore arabo e non solo
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palestinese è diversa. Dato che loro sono il prodotto del futuro, anche il futuro in questo mondo è
bloccato. Lo spazio di creatività e innovazione è molto stretto, la possibilità di creare o innovare non
esiste. Davanti a questo quadro chi è responsabile? La responsabilità dell’assedio dove vivono i minori
nel mondo arabo è divisa in diversi settori. I nostri minori sono vittime di povertà, vittime di qualsiasi
sistema governativo non democratico che impedisce loro il diritto all’istruzione e che li manda al
mercato del lavoro in età precoce. Anche i fortunati tra loro che hanno potuto avere il posto nelle
scuole sono caduti vittima di sistemi di istruzione, di insegnamento e di educazione negativi che
distruggono in loro ogni sentimento di innovazione e di creatività. Semina piuttosto in loro la paura e
il dubbio circa la vita nel futuro, cose che possono influenzare negativamente il minore e sottometterlo
ad un’autorità imponendo loro la limitazione di altri che lo hanno preceduto con la sottomissione ai
valori della società. Tutto questo viene esercitato attraverso una forma di terrorismo psicologico che
nega qualsiasi possibilità di dialogo. Come può una società che non arriva a rispondere a questi
bisogni e che non garantisce il minimo vitale per la sopravvivenza cioè alimentazione, sanità,
soddisfare i bisogni minori per poi provvedere alla fase che riguarda l’istruzione e l’educazione!
Quando Einstein ha parlato sui nostri sistemi relativi ha detto che essi non asfissiano la libertà,
ma la uccidono con premeditazione perché sono sistemi basati sul caricamento. L’insegnamento con
metodi arcaici elaborati nella maggior parte dei casi da funzionari ufficiali, non lasciano lo spazio al
minore di esprimere le proprie tendenze e di manifestare i propri sentimenti. Non basta il contatto
sociale che caratterizza la famiglia araba,che è però incapace di garantire ai suoi componenti qualsiasi
tipo di protezione e che può fornire solo amore e simpatia per mandarli scalzi, nudi fuori ad affrontare
il destino in un mondo pieno di miseria e di sofferenze. La maggior parte dei personaggi famosi ha
molto sofferto per la propria sopravvivenza durante la giovinezza, prima di degustare il loro successo
davanti alla soglia della vecchiaia. Siamo davanti all’uccisione premeditata dei nostri figli in quanto si
nega loro il primo diritto fondamentale: l’istruzione. Fino ad oggi non è stato elaborato nessun piano
adeguato su come produrre la cultura nel minore, per questo è necessario che venga applicata una
politica coordinata tra tutti i paesi arabi per affrontare questa grave carenza.
ANNA LISA FACCINI
Funzionario del Comune di Bologna
La permanenza nel nostro paese del minore, ha come soglia il diciottesimo anno anche se tutti
quanti cerchiamo di derogare cercando di accompagnarlo almeno ad un momento in cui abbia una
relativa autonomia economica e abitativa. Quindi questo può essere un percorso che in qualche modo
nella nostra città funziona abbastanza perché è stato possibile attivare percorsi di regolarizzazione
utilizzando la strada o, (come prevede la Bossi-Fini) dei tre anni di permanenza o dei due anni, oppure
attraverso la tutela e l’affidamento abbiamo avuto diverse possibilità di conversione al diciottesimo
anno del permesso di soggiorno. Può essere che non sia più così, mi dispiace moltissimo di non aver
avuto la possibilità di dibattere con il Rappresentante del Comitato Minori Stranieri perché soprattutto
alcune criticità vale la pena di portare in questa sede che sono certamente quella del Comitato Minori
Stranieri, del suo funzionamento, del problema dell’identificazione.
Abbiamo conosciuto persone che ci hanno fatto presente che oggi voi a Lucca facevate questa
iniziativa, ci interessava moltissimo la possibilità di stabilire rapporti diretti con i paesi d’origine. Per
noi il Marocco è il secondo paese dei provenienza dei minori a Bologna quindi noi da un po’ di tempo
ci rendiamo conto che la possibilità che abbiamo, fatte salve tutte le competenze del Comitato, di
attivare rapporti diretti con i paesi sia in termini di conoscenza reciproca sia di diversità di modelli
educativi, è importantissima. Approfitteremo di queste due giornate di Conferenza anche per qualche
conoscenza diretta che permetta poi degli scambi successivi, perché ci rendiamo conto che avere
rapporti con le famiglie di origine, non necessariamente tese al rimpatrio, ma per poter fare progetti
educativi a favore dei ragazzi è essenziale.
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Pensiamo che sia una strada che va percorsa, non so se si parla di cooperazione decentrata, le
forme vanno individuate ma sicuramente è importante. Mai faremmo su un adolescente italiano un
progetto a prescindere dalla sua famiglia di origine, la stessa cosa è difficilmente sostenibile per un
minore che non sia italiano.
Sul tema della diversità a noi preoccupa e ci crea problema in particolare l’aspetto della salute
mentale rispetto ad alcuni ragazzi. Laddove c’è patologia o dei comportamenti di disagio psichico
accentuato gli strumenti di intervento che abbiamo sono molto limitati. I Servizi Sociali si sono
trovati a dover affrontare la tematica dei minori stranieri in modo significativo, mentre a me pare che
il mondo della sanità sia decisamente un po’ più arretrato rispetto a questo in quanto non ha un
impatto così intenso come il nostro con questa realtà. Su questo aspetto va individuata una strategia ed
elaborate delle possibilità di intervento perché è un tema significativo. A noi capita di avere difficoltà
serie rispetto a minori con disturbi del comportamento che poi innescano situazioni difficili.
Un’ultima cosa, esiste da circa un anno un coordinamento nazionale misto tra pubblico e
privato che coinvolge diverse realtà a livello nazionale sia come Comuni sia come Privato Sociale che
gestisce la pronta accoglienza di minori stranieri, in particolare non accompagnati, che si è già
ritrovato diverse volte. Ci sarà un prossimo appuntamento il 16 di aprile a Modena e le premesse sono
quelle della necessità di coordinarsi, di individuare strategie comuni, di avere un ambito di confronto
circa le modalità di intervento. Sappiamo che anche l’ANCI ha iniziative parallele e questo è un tavolo
un po’ più tecnico e quindi sicuramente l’invito è rivolto a tutti quelli che fossero interessati a
prendere contatti. La Caritas di Roma che è qui presente ha fatto il motore di questa iniziativa quindi
si possono chiedere informazioni.
PATRIZIO PETRUCCI
Assessore ai rapporti col Volontariato della Provincia di Lucca
Anticipiamo l’intervento di Adonella Guidi della Cooperativa sociale “Il Progetto”
ADONELLA GUIDI
Educatrice della Cooperativa Sociale “Il Progetto”
Sono Adonella Guidi della Cooperativa sociale “Il Progetto” e lavoro come educatrice
all’interno del CPA una casa famiglia per minori che è stata aperta nel 1995 per volontà del Comune
di Pontedera e della Cooperativa sociale “Il Progetto” e che dal 1999 è stata impegnata
nell’accoglienza in gran parte dei minori non accompagnati. Rispetto a questo e alla discussione di
prima volevo fare un piccolo inciso e riprendere l’intervento del signore francese e cioè che anche per
noi la difficoltà, il momento di crisi del passaggio dall’utenza dai minori italiani ai minori stranieri è
stata gestita sostanzialmente con la progettazione educativa individualizzata centrando tutto sul
progetto educativo e quindi sui bisogni e i diritti diversi ma anche uguali, universali che i minori non
accompagnati avevano rispetto ai minori italiani del territorio con cui eravamo abituati a lavorare.
Sono qui a presentarvi un’ esperienza che la mia Cooperativa e il mio Centro di accoglienza
ha fatto quest’estate e questo autunno con altre comunità della Toscana con la partecipazione di “Save
the Children”. E’ un progetto di consultazione dei minori non accompagnati perché all’articolo 2 della
Convenzione dei Diritti sull’infanzia si legge “il principio di non discriminazione” cioè si legge che
“gli Stati parti si impegnano a garantire al fanciullo capace di discernimento la facoltà di esprimere le
proprie opinioni senza distinzione di sesso, di razza, di etnia, di origine nazionale, religiosa”. Quindi
un progetto di consultazione dei minori non accompagnati in quanto hanno gli stessi diritti dei minori
italiani, dei minori europei o dei minori di tutto il mondo. Si tratta di un progetto di consultazione
perché all’articolo 12 della Convenzione sui diritti dell’infanzia si legge che uno dei cardini
fondamentali è il diritto alla partecipazione. È proprio in nome di questi due cardini della convenzione
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che la mia cooperativa insieme a “Save the children” ha portato avanti questo progetto di
consultazione.
Il progetto nasce all’interno di SCEP che è il “Separated Children in Europe Programme” il
programma europeo minori separati. SCEP è nato nel 1997 per iniziativa congiunta dell’Alto
Commissariato della Nazioni Unite e dell’organizzazione inglese “Save the Children”, a seguito dell’
emergenza e quindi del grosso numero di arrivi di minori separati, cioè rifugiati o non accompagnati
che arrivavano in Europa. L’intento di SCEP è quello di promuovere, orientare e sostenere
l’accoglienza dei minori non accompagnati in Europa a partire dall’implementazione della
Convenzione dei Diritti.
Il progetto ha coinvolto tre realtà della Toscana, cioè due Centri di accoglienza, uno è il
Centro di Accoglienza per Minori di Pontedera, l’altro il Centro “Don Zeno” Oasi di Firenze e un’altra
realtà che non è un Comunità di accoglienza ma un Centro specifico della Provincia di Firenze gestito
da un’associazione, che è l’APES, in associazione con l’ARCI che si chiama “Progetto Pollicino” ed
è un progetto di inserimento lavorativo e formazione lavoro di minori stranieri non accompagnati.
Queste tre realtà hanno coinvolto per un numero di dieci educatori complessivamente di cui cinque
hanno seguito tutte le fasi progettuali dalla ideazione fino ad arrivare alla valutazione del progetto. E
complessivamente come target ha individuato 20 minori di cui 12 sono stati i minori non
accompagnati in prevalenza di origine albanese e marocchina che hanno seguito tutte le fasi
progettuali, 24 invece il numero dei ragazzi che hanno fatto esperienze più parcellizzate del progetto
per una serie di motivi di cui magari parlerò dopo.
Prima di guardare il video vi dico le tre componenti del progetto. Queste erano: la formazione
degli educatori con una giornata specificatamente dedicata alla formazione che era concentrata sugli
aspetti della metodologia di consultazione e la metodologia di promozione di strumenti di
partecipazione. È stata una giornata che si è svolta a fine giugno da cui ha preso avvio tutto il resto
delle fasi del progetto.
L’altra componente è stata quella del training con tecniche di “aerosol art”, i graffiti . Abbiamo
scelto insieme ai ragazzi questo strumento di facilitazione dell’espressione per rendere più agevole la
consultazione e l’espressione del loro punto di vista su quello che volevano dire, quello che volevano
esprimere al mondo, alla comunità europea, a noi adulti che abbiamo cura di loro e abbiamo contattato
un’associazione di Pisa che svolge dei corsi di formazione in tecniche di writing e quindi di graffiti.
La terza componente è stata la vera e propria consultazione per cui abbiamo elaborato degli
strumenti appositi per esprimere il loro punto di vista soprattutto quando nel nostro mondo non sono
molto considerati. Nel 1997, nel rapporto delle Nazioni Unite sulla condizione dell’infanzia e
dell’adolescenza, emergeva che in Italia i minori erano vulnerabili e soggetti a discriminazione, a
rischio di esclusione sociale per cui questa credo sia una caratteristica che riunisce sia i minori non
accompagnati che i minori italiani.
Nel video vedrete non la componente di formazione degli educatori, ma le due componenti
cioè il training sul terrazzo del Centro di accoglienza a Pontedera che grazie all’Amministrazione
comunale di Pontedera abbiamo potuto dipingere perché ha autorizzato a dipingere il muro con l’uso
delle bombolette spray e quindi al disegno dei graffiti. Poi vedrete la parte centrale della consultazione
che è stata strategicamente inserita all’interno del Meeting Internazionale Antirazzista che si svolge
ogni anno a Cecina e che abbiamo pensato in sede progettuale che fosse il luogo migliore dove i
ragazzi potevano esprimersi. È un contenitore ricco, vario con una serie di iniziative dallo sport alle
attività sulla spiaggia a dibattiti e ci è sembrato adatto per facilitare la socializzazione da entrambe le
parti dei ragazzi stranieri e italiani. Quindi abbiamo deciso di porre la fase centrale del progetto
all’interno di questa attività.
Alcuni cenni della metodologia che abbiamo adottato. Questa è stata fondamentalmente la
chiave di volta per la riuscita del progetto. Per la Cooperativa per cui io lavoro e per “Save the
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Children” la metodologia fondamentale nel lavoro per la promozione dei diritti di tutti i minori
stranieri o italiani che siano, è l’approccio del “child focus” che è un approccio centrato sull’infanzia
che stimola ad un lavoro integrato, di comunità che coinvolge a partire dal bambino tutti i soggetti che
circondano il bambino. Indirettamente anche le famiglie nei paesi d’origine laddove è possibile uno
scambio almeno telefonico, le Istituzioni, le Scuole, gli Enti Locali, tutti. Quindi questo è stato
l’approccio che ha permesso a queste realtà che già collaboravano, in una sperimentazione della
Regione Toscana, di mettersi tutti insieme, condividere una metodologia e portare avanti sempre
insieme quest’esperienza con i ragazzi.
Rispetto alla metodologia è stata molto importante la guida fornita da SCEP di cui parlavo
prima. Alcuni aspetti fondamentali di quella guida che noi abbiamo ripreso nella parte di formazione
degli educatori è stata la chiarezza delle informazioni date in primo luogo a quest’ultimi che dovevano
facilitare la partecipazione dei ragazzi e quindi la chiarezza delle informazioni date ai minori. Perché
questo permetteva strategicamente di creare un contesto strutturato, chiaro, condiviso, fatto di limiti e
confini all’interno del quale i ragazzi avevano una possibilità di scegliere, di decidere e quindi di
partecipare partendo dall’approccio che la partecipazione è all’interno di contesti strutturati
Un’altra cosa molto importante della metodologia che abbiamo adottato è quello che in inglese
viene detto il “child to child” cioè il bambino che insegna al bambino. Come vedrete nel video
l’associazione di Pisa che ci ha fornito i ragazzi che hanno fatto il training con i graffiti ha fatto la
scelta di portare due ragazzi giovani praticamente coetanei dei nostri ragazzi stranieri non
accompagnati che erano due ragazzi di 17 e 18 anni, che per la prima volta provavano questa
esperienza di trasferire le proprie competenze ad altri ragazzi più o meno coetanei. Questa cosa è stata
da una parte una sfida, dall’altra uno degli aspetti fondamentali della buona riuscita del progetto
perché i ragazzi sono riusciti ad entrare in un contatto immediatamente caldo e complice con i loro
coetanei e quindi questo ha sbloccato le vergogne, le paure, l’emotività dei ragazzi.
Sui contenuti mi fermerei un attimo perché sono quelli che i ragazzi hanno espresso nella fase
centrale della consultazione, sono chiaramente riportati nel video per cui non li voglio anticipare.
PROIEZIONE DELFILMATO:
“ SEPARATED CHILDREN IN ITALY: RAGAZZI CHE SCELGONO IL LORO FUTURO”
ADONELLA GUIDI
Educatrice della Cooperativa Sociale “Il Progetto”
Ripartirei nel dare voce a quello che i ragazzi hanno espresso, ai loro contenuti perché era un
progetto di consultazione.
Partirei dalla scelta del messaggio da scrivere sul muro: il nome. Avete sentito che io, anche mentre
parlavo con i ragazzi, ho molto insistito sul perché avevano scelto il nome. Devo dire che in una
discussione che è nata spontanea durante una cena a fine di uno dei momenti di training sul terrazzo, i
ragazzi hanno detto che il loro nome è la loro identità, identità che non è quella di essere i minori non
accompagnati, di essere un problema in Italia perché non hanno il permesso di soggiorno, perché
sono confusi con i minori a rischio di devianza. Loro hanno un nome e un cognome, hanno scelto in
un certo senso di venire nel nostro paese, per cui anche rispetto al mandato di cui parlavamo prima, il
mandato familiare a mantenere la famiglia, che i ragazzi hanno detto che loro hanno bisogno di
lavorare perché devono mandare dei soldi alla famiglia e non solo questo. Loro scelgono di venire in
Italia perché nel nostro paese si aprono delle possibilità di futuro diverso per la propria famiglia, per
loro, per le relazioni con i coetanei, per le relazioni con l’altro sesso, per le opportunità di crescita, di
socializzazione, di diritti che probabilmente in certi casi in Italia trovano maggiormente garantiti.
Quindi tenevo a sottolineare queste due cose perché i ragazzi lo hanno affermato con forza, noi
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abbiamo un nome e un cognome non siamo soltanto i minori non accompagnati o rifugiati, siamo
minori, siamo delle persone.
L’altra cosa che mi preme sottolineare è l’area delle difficoltà che incontrano in Italia: permesso
di soggiorno, la regolarizzazione, la possibilità di fare una vita pulita , una vita all’insegna della
legalità a partire da una condizione essenziale che è la “conditio sine qua non” per cui non c’è
percorso di legalità, di crescita sana, di cittadinanza ed è la regolarizzazione.
La maggioranza dei ragazzi che avete visto avevano un permesso di soggiorno per minore età.
Questo non è un problema soltanto degli educatori che stanno in comunità e che vogliono garantire la
regolarizzazione ai ragazzi che vedono tutti i giorni, è proprio un problema per questi ragazzi è il
problema per cui loro fanno a “testate nel muro” tante volte. È il problema per cui spesso si scatena
l’aggressività all’interno delle comunità.
L’altra questione è l’ambivalenza della percezione della famiglia di origine e della patria di
origine per cui da una parte c’è la mancanza, la nostalgia di casa, la nostalgia degli affetti, dall’altra
parte la paura che in nome di questa nostalgia e di questo affetto vengano rimpatriati. Per questi
ragazzi il rimpatrio è come una tagliola che gravita sulla loro testa quindi anche su questo hanno
proprio espresso questa idea “vogliamo andare i Albania tre volte in un anno però vogliamo poter
rimanere in Italia oltre il diciottesimo anno di età”. Loro chiedono a noi adulti equilibrio su questo, a
partire dagli educatori che hanno davanti fino a chi comunque ha il compito di legiferare, dare
orientamenti e fare normative in nome della tutela dei diritti di questi ragazzi.
E qui l’altra cosa che volevo sottolineare è l’accenno che avete visto nel video rispetto alla
Commissione Europea. Prima ho detto la chiarezza dell’informazione e ho parlato di SCEP, il
programma europeo minori separati. Questo progetto di consultazione aveva l’obiettivo di inserire nel
rapporto nazionale sulla condizione di minori non accompagnati in Italia le richieste, i problemi, i
punti di vista dei ragazzi. Questo in nome della Convenzione sui diritti di cui parlavo prima quindi
l’articolo 12 sui diritti alla partecipazione e l’articolo 2 sul principio di non discriminazione, ma è
anche uno degli obiettivi di SCEP che è quello di promuovere la partecipazione, ma anche di orientare
tramite linee guida gli Stati parte, le Nazioni Europee e quindi anche l’Italia rispetto a scelte
legislative, scelte normative che siano veramente una tutela e una promozione dei diritti di questi
ragazzi che siano stranieri, accompagnati, non accompagnati, italiani, di varie età.
Rispetto alla Commissione e alla chiarezza di informazioni il passaggio che voglio chiarire è
questo: siccome era uno degli obiettivi di SCEP noi ai ragazzi abbiamo detto che erano loro i
responsabili di ciò che dicevano ed era responsabilità degli educatori farlo arrivare a chi di
competenza.
E questo è stato uno degli aspetti più forti dell’entrata in contatto con i ragazzi, perché questo ha
dato per la prima volta, l’occasione a loro di sapere che, esprimersi in maniera strutturata dentro un
contesto di legalità che è un contesto educativo, di divertimento e di gioco, apre una possibilità per chi
dopo continuerà a fare la scelta che loro hanno fatto.
DIBATTITO
BIANCAMARIA CIGOLOTTI
Funzionaria dell’Ufficio Politiche Sociali della Provincia di Lucca
Penso che Adonella Guidi abbia toccato quello che quotidianamente molti di voi vivono a
contatto con i ragazzi. Anche noi quando abbiamo visto per la prima volta questo filmato, siamo
rimasti colpiti perché in pochi minuti e grazie al lavoro che hanno svolto per permettere a questi
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ragazzi di esprimersi, si capisce quello che vivono i minori non accompagnati, i problemi che si
portano dietro e la difficoltà di chi cerca di impegnarsi per aiutarli . Vivendo così si genera l’ansia e si
incontrano difficoltà proprio a progettare un futuro. Quindi volevo ringraziare Adonella Guidi che ci
ha dato la possibilità di vedere questo video.
OPERATRICE SOCIALE
Avendo lavorato per un po’ di tempo alla “Carlo Del Prete” e quindi essendomi fatta un po’ di
esperienza su questa tematica, ho potuto apprezzare questo video che mi è sembrato veramente molto
reale. Infatti anche se si è parlato di modelli educativi si è capito che in effetti il problema forte è
quello del permesso di soggiorno. Questi ragazzi, almeno per quello che abbiamo avuto noi come
esperienza, vengono con un obiettivo e con delle richieste molto precise. Non c’è bisogno di un
modello educativo perché loro una famiglia ce l’hanno, quasi sempre una famiglia normale dove ci
sono state delle affettività normali con culture un po’ diverse però dove ci sono degli equilibri.
Il problema che ho affrontato all’epoca tra il cambiamento di minori italiani e minori
extracomunitari è proprio la differenza fra i due tipi di situazioni. I minori italiani venivano da
situazioni di disagio affettivo molto forti, gli extra-comunitari avevano più stabilità. Quindi è chiaro
che si doveva trovare un modello educativo e la ricerca era ben diversa per l’approccio con questi
ragazzi. Per i ragazzi extracomunitari devo dire la verità è stato molto più semplice l’approccio
nonostante la lingua, nonostante la cultura diversa perché erano ragazzi da sedici a diciotto anni quasi
tutti con delle scelte già ben definite al momento della partenza dal loro paese.
Quindi l’analisi dei bisogni è stata semplice in quanto era specifica nella loro volontà di trovare
una sistemazione economica. È chiaro che il problema che è venuto fuori riguarda anche corsi di
formazione di avviamento al lavoro che sono pochi, e c’è sempre di mezzo un problema economico e
di budget. Quindi, è un po’ difficile questo servizio di rete. Noi ci siamo trovati veramente molto
abbandonati riguardo a questo, perché mi ricordo che tre anni fa, quando nel giro di tre mesi l’utenza
è completamente cambiata, non sapevamo, veramente, dove rivolgersi le Istituzioni non ci davano
risposte chiare e perciò è stato un percorso di ricerca molto faticoso.
Gli obiettivi dei ragazzi migranti sono quelli di una sistemazione di lavoro, non sono ragazzi a
rischio di devianza, anche se questo può capitare, ma non è il problema principale. Sarebbe meglio un
po’ spogliarsi di certi pregiudizi e vedere i ragazzi nella semplicità del loro essere minori, del loro
essere ragazzi, ma in una maniera diversa rispetto ai nostri, già un po’ più maturi, con dei programmi
ben precisi e aiutarli in questo percorso.
In più devo sottolineare che al diciottesimo anno questi ragazzi sono fuori dalla Comunità. Quindi,
la nostra preoccupazione quando arriva l’affidamento, è nella ricerca di un posto di lavoro. Il servizio
di rete su questi ragazzi si dovrebbe spostare proprio su una ricerca di posti dove ci sono delle
disponibilità anche ad accogliere questi ragazzi, che hanno una grandissima volontà di lavorare. Noi
abbiamo avuto dei bei successi riguardo a questo. Non ci è scappato nessuno e abbiamo sistemato
parecchi a livello lavorativo, perché comunque siamo andati dietro a quelle che allora erano le loro
volontà. Tutto questo, si sa, con molta difficoltà per un discorso di budget, di tempi, di lingua, e tutto
quello che ne consegue, ma non ho trovato grosse difficoltà con gli immigrati minori.
Questo video è stato molto significativo, perché è ben diretto e ci ha fatto capire in modo agevole
ed efficace la loro realtà, le loro esigenze, i loro progetti e speranze per l’avvenire. Loro partono con
altre aspettative e purtroppo il nostro lavoro è stato quello di poter cambiare, smorzare un po’ le
aspettative e indirizzarle su un percorso di formazione che ha allungato i loro tempi. È stata questa la
maggiore difficoltà,riuscire ad avere in tempi relativamente brevi il permesso di soggiorno.
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ADONELLA GUIDI
Educatrice della Cooperativa Sociale “Il Progetto”
Secondo me l’intervento precedente ha messo l’accento su delle parole chiave. Da una parte le
“scelte”, perché questi minori hanno già scelto hanno preso un gommone, sono entrati dentro una nave
nascondendosi dentro un camion e sono venuti in Italia. Quindi, la scelta c’è e va di pari passo alla
volontà, che deve essere presa in considerazione in base all’età e al grado di maturità. E su questo
ribadisco l’articolo 12 della Convenzione, che è proprio una chiave importante per lavorare con tutti i
minori, ma in particolare con questi minori di doppia identità, perché stranieri, ma anche perché adulti
e bambini, sicuramente è uno strumento forte di lavoro con loro.
L’altra riguarda i corsi di formazione. Avete sentito il ragazzo marocchino della Comunità di
Cerano che dice “Perché sono così lunghi? Noi abbiamo urgenza di lavorare”. Parlandoci viene fuori
che il problema non è soltanto la lunghezza del corso di formazione, il problema è la prospettiva, dopo
il corso di formazione perché se questo dura due anni e c’è la possibilità oltre il diciottesimo anno di
età di rimanere, i ragazzi ci mettono anche impegno. A volte invece bisogna ricordargli di andare al
corso, di non fare assenze. Questo è lavoro nostro, dell’educatore di comunità. Però, poi, alla fine, si
rendono conto che c’è una sostanza in quello che fanno, che fanno una cosa per loro importante. Il
problema è il corso di formazione finalizzato al rimpatrio assistito, al fatto che, ad un certo punto, può
succedere che il Comitato per i Minori dia luogo a procedere al rimpatrio e si cerca una formazione o
un tirocinio lavorativo nel paese di provenienza. Un tirocinio formativo che dura 3 mesi, per un costo
che è all’incirca di 500 euro pagati nel proprio paese d’origine. Questo è il modello di rimpatrio sul
quale non sono d’accordo, salvo alcuni casi in cui è veramente nel superiore interesse del bambino
tornare con la propria famiglia, ma sono veramente casi eccezionali. E cosa succede? Succede che
dopo 4 mesi, questi minori tornano in Italia con un altro nome, un’altra identità, e vanno in un’altra
comunità d’accoglienza.
La rete, il contatto, lo scambio tra tutte le Comunità di accoglienza, o comunque le realtà di
accoglienza per i ragazzi, non è soltanto una risorsa per gli educatori, che dentro fanno una fatica
enorme a mettere a fuoco i problemi e il percorso dei ragazzi. Sono una risorsa anche per i ragazzi,
perché veramente delle volte passano da una struttura a un altra con diverse identità, con un altro
stato di nascita e per questo, è positivo scambiarsi le informazioni a livello regionale.
Alla Conferenza Regionale sull’Immigrazione a Firenze ad aprile del 2003, è stato aperto il tavolo
regionale sui minori stranieri non accompagnati, che si è riunito due volte. Cristina Rossetti è la
funzionaria della Regione che ha condotto in maniera seria e mirata all’obiettivo quei due momenti di
lavoro. Credo, comunque, che un tavolo permanente di confronto tra le comunità di accoglienza e le
Istituzioni (provinciali, enti locali e regionali), visto che c’è l’autonomia delle Regioni, e quindi c’è
anche un margine di proporre un modello toscano di accoglienza, sia importante, perché questo
permette di scambiarsi, non solo tra operatori, ma anche con chi poi dà le linee guida regionali su cosa
significa la casa famiglia, cosa significa il percorso di formazione e che risorse si investono per questi
percorsi, per questa accoglienza, per questa rete.
Quindi, propongo che questo tavolo diventi un tavolo permanente, perché, secondo me, c’è
veramente bisogno di confrontarsi al di là delle chiusure piccole che ciascuna delle Comunità subisce
perché c’è il rischio di chiudersi su noi stessi, dato i numerosi problemi che si devono
quotidianamente affrontare in Comunità.
BIANCAMARIA CIGOLOTTI
Funzionaria Ufficio Politiche Sociali e della Provincia di Lucca
Da quanto è stato detto, dagli scambi che abbiamo avuto prima della Conferenza, con le
Associazioni che lavorano sul territorio e in particolare con le Comunità e i contatti anche con
Adonella Guidi della Cooperativa Sociale “Il Progetto”, abbiamo visto che c’è anche l’esigenza tra le
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Comunità di incontrarsi e di confrontarsi sui vari modelli. Infatti in alcune realtà, anche della
Toscana,i minori stranieri sono presenti da più tempo, mentre in altri luoghi come Lucca, la loro
presenza è un fenomeno più recente. Mi sembra importante perciò che ci siano dei momenti di
confronto tra i vari operatori, per conoscere diverse esperienza da poter eventualmente utilizzare nella
propria realtà lavorativa.
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2 GIORNO - 31 MARZO 2004
DAVID PELLEGRINI
Assessore Provinciale alle Politiche Sociali e Giovanili della Provincia di Lucca
Sono contento di iniziare una giornata che dovrebbe trattare le buone prassi, quindi analizzare più
nel dettaglio le esperienze che vengono portate avanti dagli Enti, dalle Associazioni, sia in campo
nazionale che internazionale.
Di nuovo ringrazio tutti i partecipanti, anche gli amici delle altre nazioni che hanno voluto portare
un contributo ad entrambe queste due giornate di lavoro e di approfondimento su questa tematica dei
Minori Isolati non accompagnati.
Questa mattina abbiamo con noi il Vicepresidente della Regione Toscana, Angelo Passaleva con il
quale condividiamo l’impegno su questa problematica a cui do subito la parola per il suo intervento.
ANGELO PASSALEVA
Vicepresidente della Regione Toscana
L’appuntamento odierno si inquadra nel ciclo di incontri che la Regione Toscana sta
svolgendo in stretta collaborazione con le Amministrazioni Provinciali: incontri che precedono la
Conferenza regionale sull’Immigrazione, prevista per il prossimo autunno.
In questo quarto appuntamento sono affrontati vari aspetti, vari temi connessi con
l’immigrazione. Il tema dei minori che ieri ed oggi state discutendo, è certo uno dei più significativi
e delicati. Voi bene sapete, essendo operatori e conoscitori del problema, che la Conferenza delle
Nazioni Unite del 1989 ha voluto predisporre una “carta” per i diritti del bambino, sulla scia della
“carta” dei diritto umani, che tutti i Paesi hanno condiviso e che è stata recepita nella legislazione di
moltissimi Stati, compreso il nostro.
In questa “carta” si stabilisce che il diritto del minore deve prevalere comunque su ogni altro
dirtto, proprio perché i minori - essendo i più indifesi - hanno più diritto a una maggiore tutela. Ciò
vale per i minori che sono presenti in ogni Stato (che nascono lì, che sono cittadini di quello Stato),
ma vale anche, ovviamente, per i minori stranieri che si trovano in qualunque territorio.
L’Unione Europea ha recepito, anche nella Carta di Nizza, questi principi. Tanto è vero, che in
quella che dovrà diventare la Carta Fondamentale dell’Europa è ribadito il principio del diritto
prevalente dei minori. Certamente le difficoltà o le incongruenze maggiori si incontrano proprio per
quei minori stranieri che si trovano in un territorio non loro.
In Italia la materia è stata regolata dopo la riforma della legge sulla immigrazione: la legge
Turco-Napolitano e oggi la legge Bossi-Fini. Credo che Cristina Rossetti abbia fatto, ieri, una
relazione chiara e dettagliata per quanto riguarda la situazione in Toscana: mi limiterò quindi ad
alcune osservazioni di carattere generale e anche a riferire quelli che sono, attualmente, i dati
rispetto alla presenza di minori stranieri in Toscana, nonché ciò che la Regione sta facendo in
questa materia.
I dati di cui disponiamo si riferiscono alle ultime rilevazioni ufficiali fornite dal Comitato per i
Minori Stranieri, al quale, come sapete, devono essere segnalate - per legge - le presenze di minori
stranieri non accompagnati nel nostro territorio. I dati del Comitato per i Minori Stranieri non
hanno un valore certo, perché non tutti i minori stranieri vengono segnalati. Ci sono anche
difformità di interpretazione: spesso minori non accompagnati, ma accolti da familiari di secondo o
terzo grado (quindi da parenti molto alla lontana) sono ritenuti “non soli” e quindi non vengono
segnalati.
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Con le ultime rilevazioni - che ormai risalgono a quasi due anni fa - i minori stranieri segnalati
tra la metà del 2000 e la fine del 2001 erano 14.000 in Italia. Per effetto del passaggio alla
maggiore età, quindi, per l’uscita dalla fascia di età minorile, alla rilevazione della fine del 2001
erano poco più della metà: cioè 7.800 bambini stranieri non accompagnati. La maggior parte di
questi, come sapete, provengono dall’Albania. Questa è la situazione italiana, in altri paesi non è
così. In Francia, penso che la maggior parte provengano dei Paesi del Magreb; sicuramente gli
albanesi non sono i prevalenti in Francia. Da noi è così anche a causa della forte immigrazione che
abbiamo avuto, negli anni passati, soprattutto dall’Albania.
Segue in ordine di frequenza, ma con uno scostamento assai significativo - il Marocco. In
confronto ai 9 mila albanesi presenti alla fine del 2001, i marocchini sono 1.700. Il 50% dei minori
stranieri non accompagnati segnalati sono dunque di origine albanese. Poi seguono quelli del
Marocco, che sono il 17%, e poi quelli dei Paesi dell’Est: Romania 8%, Jugoslavia 4,9%, e così via,
con percentuali minori da altri Paesi, soprattutto africani e dell’est Europa. In Toscana, in
particolare, c’è anche una certa quota di minori non accompagnati con origine cinese: nella nostra
regione, infatti, è presente una consistente colonia di cinesi.
Per quanto riguarda la distribuzione per classi di età - che vale a livello nazionale, ma anche a
livello regionale - la grande prevalenza di minori stranieri è compresa nella fascia di età fra i 16 e i
17 anni. Per vari motivi i minori stranieri non accompagnati di età più giovane sono molto meno
numerosi: nella fascia tra 0 e 6 anni, in Italia, ce ne sono soltanto 200 segnalati. E’ una cifra proprio
trascurabile. Mentre nella fascia tra 16 e 17 anni sono 5.300 circa. Quindi, la stragrande
maggioranza sono in questa fascia di età. E vi è anche una differenza significativa, molto forte,
rispetto al sesso. La grande maggioranza (l’88%) sono maschi e solo il 12% è composto da
femmine. E’ probabile che questa suddivisione non corrisponda, in realtà, alla situazione oggettiva
perché, soprattutto nel caso delle minorenni non accompagnate presenti nel nostro territorio, si
tratta in buona percentuale di ragazze coinvolte nella tratta della prostituzione che difficilmente
vengono conosciute e quindi segnalate.
La distribuzione fra le regioni è sbilanciata verso la Puglia: essendo il luogo di arrivo della
stragrande maggioranza degli albanesi ed essendo gli albanesi la stragrande maggioranza dei minori
non accompagnati nel nostro territorio, è chiaro che la maggior parte delle segnalazioni vengono
proprio da quella regione.
Dopo si distribuiscono nelle varie regioni, particolarmente in quelle del nord, ma anche in
Toscana. Da noi, a fine 2001, avevamo una presenza di 822 minori non accompagnati: il 10%
rispetto al totale delle presenze registrate in Italia. La Toscana si colloca al quarto posto, fra le
regioni, come numero di presenza di minori non accompagnati.
Il problema generale dei minori stranieri non accompagnati credo sia ampiamente noto a
tutti.Con la legge Bossi-Fini si è avuto un giro di vite: una restrizione rispetto alle problematiche
connesse con il raggiungimento della maggiore età. Voi sapete che nella fase di individuazione, il
minore è in carico ai Comuni dove è stato identificato. Viene assegnato con una procedura di
affidamento e non può essere altro che così, quando non si riesce a trovare la famiglia di origine. Se
non si trova la famiglia di origine, se non è possibile il ricongiungimento, il processo di
affidamento diventa definitivo fino al compimento del diciottesimo anno di età.
Il problema è cosa accade al momento del diciottesimo anno. La Bossi-Fini prevede che si
possa dare il permesso di soggiorno soltanto quando il minore può dimostrare di essere presente
sul territorio nazionale da almeno tre anni e di aver svolto almeno per due anni un corso di
educazione e di alfabetizzazione: cosa che, data l’età in cui i ragazzi mediamente arrivano nel
nostro Paese, diventa praticamente impossibile. Se infatti i ragazzi arrivano tra i 16 e i 17 anni, è
chiaro che non possono dimostrare di aver fatto tre anni di presenza nel nostro territorio. E’
anche difficile poter documentare di aver seguito un corso di due anni.
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Quindi il meccanismo di espulsione scatta quasi inevitabilmente, con la conseguenza che
molti di questi giovani, che hanno raggiunto il diciottesimo anno di età, confluiscono nel settore
della clandestinità e quindi - inevitabilmente o per lo meno molto facilmente - ricadono nel giro
dello sfruttamento e della illegalità. Non solo per la presenza illegale nel nostro territorio, ma
anche perché sono preda di organizzazioni criminali che li utilizzano in vario modo,
particolarmente nello spaccio, nella prostituzione o comunque nella cosiddetta piccola
criminalità: furti, rapine.
Questo è un problema serio. Credo che le questioni più rilevanti, per quanto riguarda i
minori stranieri non accompagnati, siano quelle legate alla fase di affidamento agli enti locali:
spesso diventa molto pesante, non sempre agevole, perché l’affidamento che avviene attraverso
la decisione del Tribunale dei Minorenni e che dà come indicazione generica agli enti locali di
prendersi cura del minore, implica l’impegno di risorse. Inoltre gli enti locali affidano i minori a
piccole strutture di accoglienza (ormai in Toscana non esistono più le istituzioni per i minori
soli), a case famiglia oppure a famiglie affidatarie. Sono tutte soluzioni che comportano
erogazione di risorse e, quindi, difficoltà da parte dei Comuni, che come noto ottengono sempre
minori trasferimenti dallo Stato, compresi i trasferimenti a destinazione specifica che, appunto,
dovrebbero riguardare la tutela dei minori non accompagnati.
L’altro problema è proprio quello dell’inserimento e dell’accoglienza riferita ai minori che
raggiungono la maggior età. In Toscana, proprio con il Piano Integrato Sociale di quest’anno,
abbiamo introdotto una misura capace di venire incontro a questa esigenza, soprattutto per
quanto riguarda i piccoli comuni. Abbiamo costituito, come risorsa regionale, un fondo di
solidarietà per far fronte alle situazioni di emergenza. Lo dico, particolarmente, per i nostri
amici non italiani partecipanti alla rete “REMI”. Molti Comuni, di piccole o piccolissime
dimensioni, hanno davvero poche risorse, in particolare per le politiche sociali. La presenza di
un minore che venga identificato in uno di questi piccoli Comuni significa un quasi esclusivo
assorbimento di tali, limitate, risorse soltanto per l’affidamento di quel minore. Se poi i minori
sono due o tre, allora si mette davvero in ginocchio il bilancio del Comune.
Per questo motivo si è ritenuto di istituire un fondo di solidarietà che verrà utilizzato nelle
varie zone in cui è suddiviso il nostro territorio per la gestione delle politiche sociali, in modo di
far fronte alle emergenze. Certamente non solo quelle riguardanti i minori stranieri non
accompagnati, ma anche quelle relative ai minori italiani che si trovano in condizioni di
abbandono e per i quali viene deciso un periodo di affidamento ai servizi o alle strutture
convenzionate. Questo fondo di solidarietà, attivato da quest’anno, servirà per tutte le situazioni
di emergenza che riguardano i minori: compresi – ripeto - anche i minori stranieri non
accompagnati.
Il problema più grande è relativo al permesso di soggiorno quando i minori raggiungono la
maggior età: giovani uomini e giovani donne, a quel punto, che possono e devono essere inseriti
nel nostro Paese perché il provvedimento di espulsione certamente sarebbe iniquo se riferito a
persone che hanno seguito percorsi formativi, che hanno imparato la nostra lingua, che sono stati
seguiti spesso da una famiglia affidataria o comunque da una piccola struttura di tipo familiare,
che hanno quasi sempre imparato un mestiere e che adesso possono avere un lavoro.
Ritengo che occorra lavorare per rivedere, su questo punto, la Bossi-Fini (proprio ieri
abbiamo approvato in Consiglio Regionale una mozione), anche per andare in una direzione
capace di tutelare al meglio i minori.
Forse questo stupirà qualcuno dei nostri amici che vengono da altri Paesi, ma va detto che se un
bambino nasce in Italia da una coppia di immigrati, egli non è cittadino italiano, continua a
essere cittadino straniero.
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Questo, in effetti, stupisce parecchio: in molti sono convinti che se un bambino nasce in
Italia è italiano, anche se è nato da una coppia di immigrati con un permesso di soggiorno o con
la carta di soggiorno. Molti, dunque, credono che i bambini - iscritti alle nostre scuole materne
o elementari ma di nazionalità diversa - siano a tutti gli effetti, e automaticamente, italiani. Non
è così: anche il minore che nasce in Italia può, eventualmente, chiedere la cittadinanza italiana al
compimento del diciottesimo anno, purché dimostri che i familiari sono sempre rimasti in Italia
dal momento della sua nascita (cosa che non sempre avviene, perché magari c’è un periodo in
cui la famiglia rientra nel Paese d’origine).
La cosa ancor più drammatica è per i bambini che arrivano in Italia attraverso una
procedura di ricongiungimento: i figli piccoli di quelle famiglie che si ricostituiscono nel nostro
territorio, non possono diventare cittadini italiani se non dimostrano che la famiglia è sempre
rimasta nel nostro paese, che hanno seguito corsi di formazione, ecc.
Deve poi essere presentata una domanda, allo scadere del diciottesimo anno ed entro il
diciannovesimo. Se non avviene questo, i giovani sono considerati stranieri a tutti gli effetti,
Inoltre, almeno ai sensi della Bossi-Fini, se non dimostrano di avere un lavoro e anche
un’abitazione, diventano automaticamente pure clandestini. Questo è davvero inaccettabile.
In altri Paesi europei non è così: la cittadinanza, anche per i minori stranieri non
accompagnati, può essere acquisita allo scadere del diciottesimo anno di età, se la presenza nel
Paese di accoglienza dura almeno da alcuni anni.
Proprio ieri, su mia proposta, il Consiglio Regionale ha approvato all’unanimità una
mozione che invita Giunta e Consiglio a rendersi parte attiva affinché vengano discusse e
approvate due specifiche proposte di legge presentate alla Camera. Sono proposte in materia di
acquisizione del diritto di cittadinanza italiana proprio per i minori presenti in Italia da almeno
sei anni e comunque nati nel nostro territorio. Con questa mozione si invitano i presidenti delle
Camere e i capigruppo parlamentari ad avviare la discussione su queste proposte che mi
sembrano in perfetta linea con i diritti dei minori.
Per quanto riguarda la Regione Toscana, in materia di minori e di minori stranieri, la
nostra legge 72/77 e i conseguenti Piani Integrati Sociali prevedono azioni e interventi finalizzati
proprio per sostenere l’affidamento di minori stranieri non accompagnati. Sono stanziate risorse
specifiche che, ogni anno, vengono messe a disposizioni dei Comuni per le politiche di
accoglienza verso l’immigrazione.
In Toscana c’è una rete di solidarietà assai diffusa, così come è diffusa la sensibilizzazione
per l’affidamento familiare. Esiste una buona rete verso le famiglie per l’accoglienza dei minori
in affidamento (italiani o stranieri) sostenuta dai centri per l’affido. Esistono risorse che
annualmente la Regione mette a disposizione degli enti locali. Ma, soprattutto, esiste una buona
sensibilità da parte delle comunità locali a queste tematiche: sia attraverso le reti di solidarietà,
la rete del volontariato, sia attraverso una serie di convenzioni e di rapporti con la cooperazione
sociale. Migliorare è sempre possibile, ma si può dire che tutto sommato le risposte sono
adeguate rispetto ai bisogni.
Rimane il problema di modificare le leggi nazionali, le leggi dello Stato, che in questo
campo sono dure e ingiuste finendo per creare condizioni di grande difficoltà per la fase di
inserimento e per la fase successiva al raggiungimento della maggior età.
Non vorrei aggiungere altro. L’appuntamento è, per tutti, alla prossima Conferenza
regionale sulla immigrazione: tutti i temi affrontati nella sessioni preparatorie verranno ripresi e
ulteriormente approfonditi.
Un particolare ringraziamento per gli amici di “REMI”. Questa rete per i minori stranieri
non accompagnati dell’Area Mediterranea, credo che dovrà avere sempre più peso, più
70
importanza nelle nostre politiche. Si tratta infatti di trovare insieme le migliori modalità per far
sentire la voce di questi bambini ai governi nazionali, affinché vengano adottati provvedimenti
sempre più idonei all’accoglienza e al rispetto del diritto dei minori.
È una rete che deve consolidarsi – possiamo ben dire che è ancora nell’età della prima
infanzia - perché è nata solo due anni fa a Marsiglia. Deve quindi crescere, imparare a
camminare, diventare per lo meno adolescente e, poi, adulta. Già fin da ora possiamo però
convenire che i suoi scopi sono di grandissimo valore etico e sociale.
Noi proporremo alla Provincia di Lucca di funzionare da capofila, almeno per la Toscana.
Proporremo un incontro, più operativo, in occasione del meeting di Cecina, che è una tradizione
ormai consolidata in Toscana: uno spazio dove giovani di tutte le nazioni dell’Europa si
ritrovano per discutere e per convergere su determinati aspetti legati alla solidarietà. Sarà quella
l’occasione per un nuovo, specifico, incontro di “Remì”, per darci obiettivi e organizzazioni più
precise, più operative in modo che questa rete possa davvero far sentire la propria voce, il
proprio peso a favore dei più deboli, cioè dei bambini più in difficoltà.
Vi ringrazio e auguro buon lavoro.
Il ringraziamento è davvero non formale: le vostre discussioni e il contributo di tutti voi saranno
importanti anche per proseguire e ancor meglio definire la nostra politica regionale.
GUILLAUME THIÉRIOT
Consigliere del Presidente della Regione PACA
Voglio ribadire i ringraziamenti che devo alla Regione Toscana e alla Provincia di Lucca in nome
della Regione Provenza, Alpi e Costa Azzurra,della Regione Paca e del suo Presidente, Michel Vossel,
che rappresento. Rivolgendomi a voi nella vostra lingua è più probabile che questi ringraziamenti vi
vadano diritto al cuore. Grazie di essere stati i primi a raggiungerci nel novembre 2002, quando
abbiamo preso l’iniziativa di organizzare una prima Conferenza Euro-Mediterranea sui minori isolati.
Grazie di essere stati tra primi a firmare la carta per la protezione dei minorenni isolati e ad aderire a
REMI. Grazie di assumere oggi l’arduo compito che è l’organizzazione di una tale conferenza e di
contribuire a fare in modo che REMI non sia virtuale, bensì uno spazio di scambi e di incontri, non un
tessuto di buone intenzioni, bensì una rete di uomini e di donne impegnati nella protezione dei
minorenni in pericolo, minacciati da sé stessi o da quelli che li sfruttano. Sappiamo che nelle nostre
regioni e province mediterranee le idee populiste hanno “il vento in poppa”. Ci vuole un certo
coraggio politico per affrontare argomenti legati alle immigrazioni, allorché l’esclusione dello
straniero è un’idea corrente e portatrice di voti. Vi parlo di una Regione in cui l’estrema destra ha
fatto più del 25% dei voti. Oggi, Signor Vicepresidente, Signor Assessore, oltre ai ringraziamenti,
voglio rendere omaggio al vostro coraggio politico.
Ritornerò un attimo su quello che è la rete REMI, su quella che è la genesi di questa rete, il
bilancio che ne possiamo fare dopo un anno e mezzo di esistenza e soprattutto su quelle che sono le
prospettive, perché siamo intorno a questo tavolo, rappresentanti politici per affermare la nostra
volontà di dare un nuovo impulso molto più forte a questa rete che è stata creata a Marsiglia.
Voglio rendere omaggio ai primi che sono stati pionieri di quest’idea di lavorare in partenariato su
questo problema di minori isolati e organizzare un meeting a livello euro-mediterraneo. Parlerò perciò,
della Associazione Giovani Erranti di Marsiglia (la Direttrice ed altri amministratori sono qui
presenti), sono loro che nella loro pratica per primi hanno sviluppato questa pluridisciplinarità, che è
una delle caratteristiche di REMI. Questo modo di lavorare, di mettere in comune magistrati,
poliziotti, operatori sociali, tutti coloro che sono interessati alle questioni relative a questi minori
erranti. Questa Associazione è stata la prima a lavorare all’unisono facendo opera di sensibilizzazione
venendo da noi nella Regione PACA e presso altri Enti Locali, Regionali, dicendo che bisognava fare
qualcosa e così è stato fatto.
71
Per noi l’idea era di fare una Conferenza Euro-Mediterranea sull’argomento, come quello dei
minori isolati, ma a condizione che non fosse solo una conferenza, un incontro, un momento
fruttuoso, interessante, per raccontare le nostre esperienze diverse e cercare di diffondere le buone
pratiche, ma fosse effettivamente il punto di partenza di un percorso in rete. A partire da tutto questo
siamo passati così da una semplice conferenza ad un atto di nascita di questa rete istituzionale di Enti
Locali, Province, Dipartimenti, Regioni, Città, interessate da questo fenomeno, che hanno preso a
cuore questo problema. Si è dato inizio ad una rete, con un atto simbolico che era la firma di questa
Carta per la Tutela dei Minori Isolati, che il vice Presidente della Regione Toscana Passaleva ha
firmato con la Regione Toscana e la Provincia di Lucca.
Ed è così che questa rete, questo progetto, si è creato con una impronta pluridisciplinare. Alla
conferenza del 25 e 26 novembre del 2002 c’erano circa 400 partecipanti che erano magistrati,
poliziotti, operatori sociali, eletti e tecnici, delle Amministrazioni Pubbliche, degli Enti Pubblici
Locali.
Il senso di questa conferenza era proprio questo, dire “noi dobbiamo lavorare in questo modo, ci
dobbiamo preoccupare dei minori isolati”. E poi è stata una conferenza tra Enti territoriali, non Stati
Nazionali, ma finalmente Enti Locali che sono i primi interessati a quello che si decide a livello
nazionale ed anche a livello europeo. Noi dobbiamo rifarci del tempo perso. Abbiamo parlato delle
decisioni che sono state prese in Italia. Posso dire che in Francia, la situazione non è così facile per
quanto riguarda l’infanzia, per quanto riguarda i diritti, la giustizia in generale. Anche sulla
nazionalità, in Francia sono stati necessari vari anni per parlare del ius-soli (il diritto del suolo),
rispetto alla ius-sangue,(il diritto del sangue). Ci siamo divisi in un mondo esterno ed in un mondo
interno, mentre la cultura ai nostri giorni è sempre più euro-mediterranea. Il fine di questa rete è di non
essere più ognuno una piccola regione, una piccola provincia, un piccolo comune, da solo, di fronte
agli stati molto potenti, di fronte all’Europa (ancora più potente che gli stati), ma di poter parlare con
una sola voce, per essere più forti e meglio compresi, soprattutto per esercitare una certa pressione su
queste politiche, che hanno un’influenza diretta sui territori di cui come Enti Locali siamo
responsabili.
Per la genesi questa Conferenza è stata molto solenne e molto importante. Rivedendovi oggi in
questo contesto, ritorno un po’ con la mente a quel momento, ritorno a provare le emozioni della firma
di questa Carta per la Tutela dei Minori Isolati. Vi dico gli obiettivi che sono stati assegnati a questa
rete, in questa Carta, firmata dai rappresentanti degli Enti Territoriali: sensibilizzare gli stati interessati
al fenomeno del vagabondaggio e dello sfruttamento delle reti criminali, dare un aiuto al trattamento
delle situazioni individuali dei minori, interessarsi dello scambio di informazioni e di savoir-faire,
anche assicurare il collegamento dalle squadre educative dei paesi interessati, organizzare sessioni di
formazione internazionale, comuni per i personali che agiscono a livello di gestione della situazione
(lavoratori sociali, operatori pubblici e volontari, magistrati, effettivamente giudicanti e della Procura,
poliziotti e statali).
Questi sono effettivamente gli obiettivi di questa Carta,molto ambiziosi, ma anche per certi apetti
modesti, per iniziare con cose concrete. Quindi, organizzare altri incontri come quello di Marsiglia, su
una scala minore, ma per arrivare nel vivo del problema, approfondire i diversi temi che sono stati
discussi durante le tavole rotonde della Conferenza di Marsiglia. C’è stato un incontro a Tangeri , uno
ad Avignone, in Francia, in Provenza e questo quarto incontro a Lucca, dopo Marsiglia. Quindi è stato
un elemento molto positivo, vuol dire che la dinamica di REMI, di questo scambio, di questi meeting,
di questi incontri è una cosa che è continuata, che vive tuttora e che dà risultati tangibili, effettivi.
Ho parlato con il Magistrato degli Operatori Sociali ieri sera e questi contatti portano a risultati
concreti, come abbiamo sentito dalle esperienze descritte nella giornata di ieri. Adesso abbiamo una
maggiore facilità rispetto a quella che avevamo prima per scambiare queste informazioni e gestire
meglio le situazioni specifiche individuali e questo è un aspetto positivo.
72
Il secondo aspetto positivo, il secondo obiettivo, è di essere più numerosi dal punto di vista
politico. Ovviamente mi scuso se tratto in separata sede la questione politica, ma sono legittimato dal
suffragio universale e quindi abbiamo la responsabilità pubblica di questi Enti Locali. Sono loro che
possono avere, sicuramente, un peso maggiore su quelli che sono i poteri nazionali ed europei. Quindi,
l’obiettivo è quello di avere ancora di più Enti Territoriali Locali che siano firmatari della Carta, che
possano aderire a REMI. Quindi, i primi firmatari, secondo la mia memoria, a Marsiglia, sono stati gli
italiani e in questo caso vuol dire che se la nascita è stata fatta a Marsiglia, dobbiamo rendere omaggio
all’Italia se REMI ha decollato immediatamente. Ci sono stati vari firmatari italiani più che i francesi,
all’inizio: la Regione Toscana, la Campania, la Provincia di Lucca e anche il Comune di Roma. Per la
Spagna viene la Catalogna e per la Francia avevamo la Regione Paca e poi abbiamo avuto Parigi, che
rappresenta la Conferenza, ma che non aveva firmato in modo ufficiale la Carta sotto il profilo politico
e poi è venuto Lione, quindi le tre principali città francesi, perché la città di Marsiglia ha aderito e
questo era molto importante dal punto di vista politico, perché potevamo rimproverare REMI di essere
un po’ troppo di sinistra e questo poteva frenare alcuni Enti più di destra nell’ entrare in una rete che
aveva un altro orientamento. È arrivata Marsiglia e questa è stata una cosa ottimale per dimostrare che
la posta in gioco va al di là di quelli che sono i presupposti politici e a livello locale, forse abbiamo
una comprensione diversa del fenomeno rispetto a quella nazionale, perché le stesse città hanno un
comportamento talvolta diverso. Le città di Marsiglia, Lione e Parigi sono venute dopo e ancora
dobbiamo fare altra promozione. È arrivato il Veneto da parte italiana, per la Spagna, l’Andalusia, per
la Francia abbiamo avuto anche l’Alta Corsica e poi c’è stato un primo passo, una prima estensione
della rete concreta verso il sud del Mediterraneo con Tangeri.
Tutte queste sono cose molto positive e importanti; però non bisogna unicamente rifarsi a questi
primi risultati dicendo “abbiamo lavorato molto bene, siamo tutti molto felici”. Dobbiamo essere
molto onesti e dire che questo bilancio è positivo, ma non è sufficiente.
Leggevo gli atti della Conferenza, che sono stati pubblicati e siamo ancora molto indietro rispetto
ai nostri obiettivi. Quindi, abbiamo l’ ambizione di creare un centro di risorse sulla questione dei
minori isolati a livello euro-mediterraneo, multidisciplinare, con un sito Internet che sia molto attivo,
con la diffusione di guide metodologiche. Non abbiamo ancora fatto tutto questo, siamo un po’
indietro, ma credo che potremo sicuramente farlo molto presto. Per andare molto più lontano dovremo
passare da una fase dove la rete non sia più virtuale, ma possa diventare una rete concreta. Io sono
onorato dicendo che sono presente in questa conferenza a Lucca e parlo come rappresentante della
Rete REMI. In realtà non sono rappresentante della Rete Remi, nessuno potrebbe essere un
rappresentante di Remi, non è scritto nemmeno nel programma, però siamo semplicemente dei portaparola, siamo paladini di questi valori della rete: buona volontà, una rete di militanti, una rete che
tutela i valori dei bambini, bambini in pericolo, bambini vagabondi, ma non è ancora una rete
concreta, giuridicamente costituita.
Quindi, io, voi, tutti i presenti della Regione Paca e della Regione Toscana potrebbero essere i
rappresentanti effettivi. Per fare tutto questo dovremo passare dal virtuale al reale, al molto concreto.
C’è stata una riunione a Marsiglia nel mese di giugno con qualcuno della Regione Toscana e anche
della Campania; c’è stato un Comitato di Pilotaggio e quindi abbiamo deciso che effettivamente nel
2004 bisognava sicuramente creare questa rete costituita giuridicamente con uno statuto, con un team
permanente, con dei fondi, dei capitali messi in comune, finanziati, decisa di presa in comune,
all’unisono, con la stessa voce e penso anche i rapporti che ci potrebbero essere con i paese di origine
di questi bambini e anche con questa scadenza che lei ha evocato, l’estensione dell’Unione che potrà
amplificare la questione, il problema di questi minori erranti. Dovremo parlare con questi paesi di
origine, che forse non sono allo stesso livello di decentralità, che abbiamo in Italia o in Spagna e anche
la Francia comincia ad essere decentralizzata, cercando di rifarsi del tempo perso. Siete un modello
per noi.
Per parlare con questi paesi dobbiamo semplicemente parlare con i governi e con i ministeri. Non
abbiamo gli Enti Locali, che hanno le stesse competenze, come da noi in Europa, e quindi in questo
73
caso sarà più facile, sarà più legale farlo con le condizioni di causa proprio a livello di collettività, in
questa rete basata sulla collettività, ben creata.
Credo che dovremo nei prossimi mesi, nelle prossime settimane, discutere lo statuto che dobbiamo
adesso redigere soprattutto per trasformare questa Carta (che è una Carta che enuncia dei principi,
degli intenti di azione), in uno statuto effettivo che è un livello molto superiore. Dobbiamo discutere di
questo statuto. L’idea sarà proprio questa, per conservare quello che è importante, l’approccio
multidisciplinare. Questo aspetto è specifico di questa rete, relativamente ad altre reti, ad altri progetti,
secondo obiettivi analoghi; però una delle caratteristiche forti è proprio il carattere multidisciplinare,
l’unione che esiste tra le Associazioni, gli Enti Locali, i magistrati, i poliziotti, gli operatori sociali,
tutti coloro che sono interessati da questo argomento.
Credo che nell’architettura di questa rete vi sarà uno statuto di costituenti attivi, membri attivi,
Enti Locali, e poi di membri associati; le Associazioni e gli operatori sociali, i magistrati e anche le
Organizzazioni Intergovernative (spero che esse lavoreranno molto con noi, in modo attivo), anche
all’UNICEF, l’UNHCR. Credo che adesso dovremo sicuramente realizzare questa rete con l’aiuto di
altri, con questa doppia qualità di membri attivi, per le collettività decisionali e altri membri associati
che ci dovranno aiutare con la loro conoscenza per avere un migliore coordinamento con i vari Enti, a
livello dei vari progetti che siano su scale diverse, su territori diversi, ma che siano sempre su obiettivi
molto simili e analoghi.
Credo che siano queste le prospettive della rete REMI per il prossimo futuro. Credo che sia un
vantaggio che nella Regione Paca siamo alla fine di un periodo elettorale e ci sia stata la rielezione
della vecchia squadra dei politici, questa è una cosa che ci interessa tutti, soprattutto se vogliamo far
persistere con piena consapevolezza e lunga durata la Rete REMI, non semplicemente sponsor, padrini
e madrine che ci possono ovviamente proteggere come è stato nel passato, ma avere una casa unica e
definitiva con un’associazione concreta che permetterà di andare al di là di quelli che sono i rischi
politici.
Un’ultima parola per quanto riguarda la questione della libertà di parola dei bambini, la loro
sensibilità. Credo che questo sia un argomento molto importante di cui abbiamo parlato. Vorrei
semplicemente raccontare un piccolo aneddoto per dimostrarvi fino a che punto dobbiamo
sensibilizzare non solamente gli Stati, ma l’Europa e anche la gente. In Provenza abbiamo un
Consiglio Regionale dei Giovani tra 15 e 16 anni. Noi diamo a loro degli incarichi di lavorare su
argomenti che riguardano la gioventù, per migliorare la politica in materia di tutela dei giovani. Un
gruppo del Consiglio lavora proprio sulla cooperazione euro-mediterranea. Hanno previsto di
incontrare molto spesso giovani del bacino mediterraneo (algerini, marocchini, ) ed è anche previsto la
somministrazione di un questionario nel quale c’è una domanda che viene fatta ai minorenni algerini,
ai marocchini: “Avete voglia di emigrare?”. Volete incoraggiare a emigrare, a lasciare il loro paese,
che cosa volete? Persone che sono di origine marocchina e algerina non forzatamente hanno tutti la
consapevolezza di quello che sarà il loro destino, che decidono di mettere la vita in pericolo, di
attraversare il Mediterraneo, di venire dall’Albania o dal Marocco, di venire in Italia o in Spagna, di
rischiare di cadere in questa rete di tratta e di sfruttamento sessuale.
Anche in questo caso c’è un lavoro molto importante di sensibilità dei giovani, della gente. E da
questo lavoro di sensibilità, sicuramente gli Stati Nazionali dovrebbero avere maggiore forza, per
innalzare la sensibilizzazione. Non dobbiamo semplicemente affrontare in modo demagogico i
problemi, ma dobbiamo prendere atto, cercare di affrontarli direttamente. Quindi, c’è un grosso lavoro
da fare a livello della gente, dell’opinione pubblica. Dobbiamo forse inventare questo con dei progetti
analoghi con gli altri partner, soprattutto basandoci sulla capacità e la volontà di parlare di queste
persone che arrivano nei nostri territori. È tutto, grazie.
(Relazione non rivista dall’autore)
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DAVID PELLEGRINI
Assessore alle Politiche Sociali e Giovanili della Provincia di Lucca
Mi sembra che alcuni suggerimenti siano sicuramente da riprendere ed anche da concretizzare,
come il fatto di dare uno statuto e maggior forza alla Rete. Il Dott. Antonio Torre, che è il
Vicepresidente della Provincia di Lucca, è stato per la Provincia il firmatario della Carta della Tutela
di Minori Isolati, svolgendo anche il ruolo di Assessore al Lavoro, alla Formazione Professionale; a
lui chiediamo un intervento specifico proprio per la nostra Provincia.
ANTONIO TORRE
Vice Presidente della Provincia di Lucca
Visto che ho avuto il piacere di essere presente, nel novembre del 2002, alla firma della adesione
della Provincia di Lucca alla Rete REMI a Marsiglia, vorrei tramite Monsieur Thiérot portare un
saluto ed un ringraziamento al Presidente della Regione Paca, che, fra le altre cose, è stato
riconfermato dalle ultime elezioni con un risultato molto positivo. Questo vuol dire che chi fa alcune
scelte importanti che riguardano l’attenzione alle politiche sociali, riesce ad ottenere il consenso.
Un saluto, un ringraziamento, per l’accoglienza squisita che ci fu a Marsiglia e perché credo che
tutti siamo impegnati a far sì che questa scelta di collaborazione fra le Regioni Euro-Mediterranee per
la tutela dei minori, particolarmente dei minori non accompagnati, possa avere uno sviluppo ancora
maggiore.
La nostra adesione fu motivata anche all’interno di un percorso che la Provincia di Lucca ha
intrapreso da tempo per rispondere ai bisogni dell’infanzia, dell’adolescenza e più in generale della
famiglia, con un’attenzione particolare verso le nuove generazioni, quale fondamento della nostra
società.
L’intervento che vorrei fare, cercando di essere il più breve possibile è quello di dare alcune
indicazioni , alcune linee di percorso, che come Amministrazione Provinciale cerchiamo di mettere in
campo, certamente non da soli, ma con il sostegno e con la collaborazione forte con il mondo delle
Associazioni che lavorano per la tutela dei minori e per l’accoglienza dei minori immigrati e degli
immigrati in genere e con il coinvolgimento di altri Enti e Istituzioni per superare quelle barriere che
di fatto ostacolano l’inserimento sociale e lavorativo, che è una delle problematiche principali che
prima venivano accennate. Il Presidente Passaleva ha fatto espliciti riferimenti alla legislazione
vigente per quanto riguarda le problematiche dell’immigrazione nel nostro Paese, soprattutto perciò
che riguarda ai minori. Poi il loro percorso di raggiungimento di un permesso che possa farli
continuare a stare nel nostro Paese e a fare un percorso di integrazione ancora migliore dalla maggior
età. Questo percorso prevede che ci siano dei progetti e dei percorsi di inserimento educativo,
formativo ed anche lavorativo che facilitano la loro integrazione.
Attraverso anche i dati che noi traiamo dall’Osservatorio delle Politiche Sociali della nostra
Provincia, con una parte che è dedicata in maniera particolare alla problematica degli immigrati e dei
minori immigrati, è possibile cercare di programmare anche alcuni interventi significativi. Vorrei
ricordarne soltanto alcuni.
Tutti i minori stranieri, anche se privi di permesso di soggiorno, sono soggetti all’obbligo
scolastico ed hanno naturalmente diritto di essere iscritti a scuole e di fare un percorso importante per
quanto riguarda l’aspetto educativo e scolastico. C’è un importante impegno legato al sostegno
linguistico, perché è chiaro che il primo sostegno forte è quello di dare padronanza e conoscenza della
nostra lingua, che è il primo mezzo fondamentale per un corretto inserimento. Qui vorrei ricordare gli
interventi che vengono fatti in collaborazione con le Associazioni del territorio, con l’ARCI, con
l’Associazione Ghibli che sono fondamentali per quanto riguarda questo sostegno alla lingua.
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Oltre all’aspetto scolastico, vorrei sottolineare che è possibile, attraverso la legislazione attuale,
per i minori (italiani e stranieri, naturalmente), oltre al normale percorso scolastico di istruzione,
l’assorbimento dell’obbligo formativo attraverso il canale della Formazione Professionale e
dell’Apprendistato. Questi sono due canali importanti che possono essere messi a disposizione dei
minori stranieri e anche, naturalmente, dei minori stranieri non accompagnati. Per questo
l’Amministrazione Provinciale, attraverso i Servizi per l’impiego e per il lavoro, che sono di
competenza delle Province (la Regione Toscana ha dato la delega alle Province per tutti questi
servizi), vengono svolte attività di orientamento e tutoraggio per quanto riguarda l’assorbimento anche
dell’obbligo formativo. E questi interventi si realizzano attraverso i colloqui individuali o di gruppo e
sono finalizzati ad aiutare i ragazzi in un inserimento attraverso un percorso che risponda alle loro
esigenze e aspettative.
Questo percorso tiene conto di quello che a livello legislativo è contemplato adesso nel nostro
paese. L’ultima riforma scolastica prevede (con non molti consensi) un abbassamento dell’obbligo
scolastico all’età di 14 anni. I ragazzi tra i 14 e i 15 anni non possono essere inseriti nel mondo del
lavoro e nemmeno nei corsi di formazione, possono solo iscriversi alla scuola secondaria superiore. A
15 anni possono frequentare corsi di formazione biennale solo se hanno frequentato almeno il primo
anno di istruzione superiore. Da 16 anni possono accedere alla Formazione Professionale. Questi sono
i percorsi che abbiamo davanti. È stato necessario trovare questa collaborazione con la Regione
Toscana, dei percorsi che possono integrare l’obbligo scolastico con l’obbligo formativo, almeno per i
ragazzi che non intendono continuare a fare il percorso scolastico (anche se questo, comunque,
riteniamo che debba essere sempre il canale più importante da eseguire, perché un completo percorso
scolastico è anche garanzia di migliore inserimento nel mondo del lavoro).
Abbiamo iniziato una sperimentazione a livello di Province, con un accordo con i Ministeri del
Lavoro e dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, appunto con la Regione Toscana, che
prevede delle attività diversificate. Un’attività di istruzione e formazione, di orientamento per i ragazzi
iscritti al primo anno di un istituto professionale che presentano dubbi o incertezze sulla possibilità di
continuare il percorso della scuola. Cioè, di dare, almeno orientamento, per capire se per questi
ragazzi è importante continuare il percorso scolastico oppure fare la scelta di un percorso di
apprendistato o formazione professionale.
Un’attività di percorsi formativi, per chi ha frequentato il primo anno di scuola superiore o ha
compiuto 16 anni e può raggiungere una qualifica professionale attraverso un corso di formazione di 2
anni e, la sperimentazione, per esempio, per quest’anno, per la nostra Provincia, prevede corsi per
addetti al commercio e addetti alla lavorazione di marmo, metalli e legno, che sono caratteristiche del
nostro territorio.
Un’altra attività è una attività di istruzione professionalizzante rivolta ai ragazzi che scelgono di
restare a scuola e possono integrare il proprio percorso scolastico con moduli professionalizzanti, che
consentono di raggiungere, oltre al titolo scolastico, un’ulteriore qualifica professionale.
Quindi, una serie di percorsi differenziati che noi offriamo ai minori, tutti i minori, italiani e
stranieri, ma che possono essere indicati anche per i minori stranieri non accompagnati che comunque
devono farli anche perchè previsti dalla legge per arrivare poi con il diciottesimo anno di età a
continuare il possibile inserimento e percorso di presenza nel nostro Paese.
Naturalmente il problema che diceva il Presidente Passaleva permane perché un ragazzo arriva nel
nostro paese a 16, 17 anni di età, e se la legge non cambia, non si modifica in questo senso, rimane
impossibile per lui fare un percorso di 2 o 3 anni di inserimento.
Un altro servizio importante che viene messo in campo è quello sempre legato con i Centri per
l’impiego, per il lavoro, che riguarda la capacità di fare esperienze, di stage, percorsi di inserimento in
aziende, naturalmente con un percorso di tutoraggio, con un tutor che segue il ragazzo in questo
inserimento. Questo è un inserimento che, naturalmente, non ha costi per l’azienda, prevede
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un’assicurazione sull’infortunistica sul lavoro che è garantita dalla Provincia stessa. Anche lo stage
può essere un modo per dare orientamento al ragazzo per la scelta lavorativa, può dargli la possibilità
di far conoscere le proprie capacità in un’azienda e può essere uno strumento che può far prevedere un
inserimento lavorativo e quindi una possibilità importante di continuare la propria presenza, se si parla
di minore straniero, all’interno del nostro territorio.
Queste sono soltanto alcune indicazioni, in maniera breve, di alcuni percorsi che stiamo cercando
di fare e sperimentare nel nostro territorio. Parlo particolarmente dei minori non accompagnati, delle
problematiche dell’affido, di avere famiglie affidatarie, di avere Comunità di accoglienza. Questo è il
primo problema. Il secondo è quello di offrire percorsi legati all’inserimento. Queste esperienza che
stiamo cercando di portare, le proponiamo all’attenzione perché potrebbero essere percorsi
significativi che garantiscono una continuità e un inserimento importante, che oltre all’accoglienza
permetta poi la stabilità di presenza del minore nel nostro territorio.
Anch’io convengo che l’esperienza di confronto che abbiamo iniziato con la Rete euromediterranea debba ulteriormente radicarsi. Ci sono stati dei momenti di incontro, questo è uno di
quelli, credo che sia necessario ampliare la Rete e credo che sia importante quello che diceva prima
Monsieur Thiérot, cioè che questa Rete si compone di tante reti. È un mettere insieme anche le
esperienze delle reti locali, perché una cosa significativa della Rete euro-mediterranea e che aldilà dei
contatti e dei rapporti che ci sono stati tra Enti e Istituzioni come la nostra Provincia, la Regione
Toscana con la Regione Paca in Francia, con il Comune di Roma e con altri Enti, abbiamo avuto
anche rapporti di conoscenza importanti fra Associazioni che si interessano delle problematiche legate
ai minori. Associazioni della nostra Provincia che da tempo operano a sostegno dei minori immigrati,
hanno avuto rapporti importanti, ad esempio, con l’Associazione dei Giovani Erranti, francese e con
altre. Anche questo è stato, ed è un momento da valorizzare, perché dalle esperienze delle
Associazioni possiamo avere dei supporti molto significativi. Il mio auspicio è che anche da questo
incontro possiamo dare ulteriore continuità a questa esperienza.
DAVID PELLEGRINI
Assessore Politiche Sociali e Giovanili della Provincia di Lucca
Ringrazio il Dottor Torre, anche per aver introdotto questo concetto della formazione e del
collegamento con il mondo del lavoro perché penso che, soprattutto per la realtà italiana, ma in
generale per la realizzazione del progetto di ogni persona e soprattutto dei minori che vengono nei
nostri paesi, sia una delle questioni di vitale importanza per un inserimento a tutti gli effetti proprio
dell’essere cittadini. La caratteristica del lavoro è una cosa fondamentale anche nella nostra
Costituzione ed in molte costituzioni viene data una grande importanza a questa possibilità.
Ora entriamo un poco nel dettaglio, con altri interventi dei vari rappresentanti delle varie
esperienze. Prima darei la parola a Monsieur Benauda il Coordinatore UNICEF dell’Algeria e poi a
Madame Karadja, Presidente dell’ Ansedi Algeria, come Rappresentante della Rete EuroMediterranea per la Protezione dei Minori Isolati.
CHERIF BENAUDA
Coordinatore UNICEF di Algeri
Cercherò di parlare dell’azione dell’UNICEF in Algeria e soprattutto del settore dei minori isolati
o migranti isolati. Prima di tutto vorrei ringraziare anch’io la Provincia di Lucca e tutti coloro che
hanno partecipato e lavorato per la preparazione di questo consesso euro-mediterraneo. Vorrei
ringraziarli per la loro accoglienza amichevole e calorosa in occasione di questo incontro euromediterraneo. Spero che troveremo poi il tempo per scoprire anche quelle che sono le bellezze
nascoste della vostra bellissima cittadina.
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Prima di tutto vorrei dire due parole sull’UNICEF. Come sapete è il Fondo delle Nazione Unite
per l’Infanzia, è l’organizzazione che ha come mandato di occuparsi dei bambini in modo generale.
L’UNICEF ha vari rappresentanti anche nei paesi più poveri, meno sviluppati ed ha dei Comitati
Nazionali nei paesi più progrediti, più ricchi, come quelli europei. Vorrei salutare il Comitato Italiano
per l’UNICEF e anche il settore di Lucca.
La presenza dell’UNICEF in Algeria risale ai primi giorni dell’indipendenza di questo paese, e
quindi c’è stata una cooperazione molto consolidata con il governo algerino. Senza dare ulteriori
dettagli, direi che, in linea di massima, l’UNICEF lavora direttamente nel settore personale e classico,
quello della salute, della pubblica istruzione, della tutela del bambino; ma negli ultimi anni ci
interessiamo sempre di più a quello che noi definiamo i “fenomeni emergenti”, e fra questi, possiamo
parlare dei bambini di strada, del lavoro minorile, dei bambini abbandonati, ed anche dei bambini in
situazioni di precarietà, di difficoltà con la legge (bambini che sono detenuti in carcere). E bisogna
anche sapere che l’Algeria è un paese di bambini, perché secondo la Convenzione tutte le persone
sono bambini prima dell’età di 18 anni; e in Algeria il 48% degli algerini non ha più di 18 anni,
quindi, possono considerarsi minori. E se aggiungiamo quelli che non hanno ancora compiuto 20 anni
e quelli che hanno addirittura meno di 30 anni, siamo al 72% della popolazione. È un paese
estremamente giovane, come altri paesi della regione, del bacino euro-mediterraneo.
Ci siamo interessati a questi nuovi fenomeni emergenti e devo dire con tutta franchezza che
abbiamo ignorato completamente il fenomeno dei bambini migranti isolati. I rappresentanti
dell’Associazione Jeunes Errantes di Marsiglia sono venuti da noi, ci hanno parlato di questo
problema e ci hanno invitato a partecipare direttamente alla prima conferenza Euro-Mediterranea su
questo argomento. Abbiamo partecipato a questa conferenza con altre Associazioni incaricate ed è
proprio in questo modo che siamo stati incoraggiati e spinti a fare molto di più.
Nel quadro del Progetto dell’Unione Europea per i Minori Isolati, abbiamo realizzato e condotto
uno studio di massima, una inchiesta sulla problematica dei minori migranti algerini. Questo studio è
stato fatto con la Dott.ssa Karadja, Presidente dell’Ansedi e da me medesimo. E per la prima volta,
abbiamo scoperto questo fenomeno. Da allora siamo stati prodighi nel diffondere questa idea per
rendere più consapevoli i politici, i legislatori, i costituenti dell’Assemblea Nazionale, gli eletti. È
proprio in questo modo che abbiamo ideato la creazione di una conferenza sulle tematiche euromediterranee verso la fine di quest’anno e credo che tutte le località del bacino mediterraneo saranno
invitate a questa conferenza, proprio per parlare di questo problema specifico, proprio per dare corpo
ad una rete che sia basata sulla protezione di questi minori, di questi bambini, ma soprattutto per
firmare in modo solenne la Carta Euro-Mediterranea, da parte del Comune di Algeri e altri Comuni
algerini, che sono i posti di partenza di questi minori.
L’UNICEF, nel suo quadro specifico, ha un programma di cooperazione con l’Istituto Nazionale
della Magistratura in Algeria, che è un istituto unico che forma i magistrati, che fa del training della
magistratura. Questo istituto è molto selettivo, molto quotato dal punto di vista universitario nel nostro
paese e forma l’elite della magistratura. In questo quadro abbiamo dei programmi ad hoc molto
specifici, dei programmi di conferenze, di workshops, di riunioni, di formazioni, destinati ai
magistrati, ma anche ai giudici dei Tribunali Minorili che sono in carica.
E vorrei sottolineare un punto che è stato evocato ampiamente ieri, ed è quello dell’interesse
superiore del minore per abituare i magistrati, che ignorano in gran parte questa Convenzione e
soprattutto fare in modo che questi si abituino ad utilizzare questo strumento. Perché quando si firma
una convenzione se non è ratificata dalle autorità dello Stato non è vincolante; risulta vincolante e in
questo caso diventa la legge del Paese, quando è stata approvata dall’Assemblea Nazionale Però
questo non è il nostro caso, ma non siamo i soli, perché ho già sentito che ci sono paesi avanzati come
l’Italia, che si trova con una legge come la Legge Bossi-Fini che un po’ è in contraddizione con il
principio affermato a livello internazionale dell’interesse superiore del minore.
78
Detto questo come introduzione è positivo che nel contesto di questa scuola abbiamo enucleato un
modulo di formazione, direttamente associato al tema dei bambini erranti. Ecco perché abbiamo
intenzione di invitare i magistrati francesi (abbiamo già preso contatto con la Magistratura Francese),
perché vengano a dire ai colleghi loro omologhi l’ esperienza che hanno condotto anche con altri paesi
del bacino mediterraneo, specialmente con quelli che parlano arabo, perché siamo un paese di lingua
fondamentalmente araba e non francese.
Un altro punto è che l’UNICEF lavora anche con il Parlamento e con l’Esecutivo e con il mondo
associativo per dare corpo in Algeria ad un’istituzione equivalente a quella che avete in Francia o in
Italia: il delegato, il difensore del bambino. Come ho detto poco fa, i bambini costituiscono la maggior
parte del popolo algerino e sono mal rappresentati come maggioranza che deve invece essere tutelata e
protetta. Ci siamo interessati soprattutto ai minori più vulnerabili, soprattutto i bambini erranti,
vagabondi. Prima di concludere vorrei dire che l’UNICEF è sempre consapevole di questo fenomeno,
perché adesso parliamo di globalizzazione, credo che sia un fenomeno globale, mondiale. Anche noi
siamo preoccupati da questo fenomeno del bacino del Mediterraneo, viviamo in questo contesto
geografico, questo per noi è più importante che altrove. Vorrei menzionare gli Stati Uniti, che hanno
decine di milioni di bambini isolati, emigranti che vengono dei paesi dell’America Latina, è un
fenomeno molto importante anche in Asia, non solamente da noi; ma da noi è particolarmente
importante e quindi credo che questa sarà una priorità su quella che è l’agenda degli interessi per
quanto riguarda la tutela dei minori nel mondo.
Vorrei passare la parola alla collega, Madame Karadja, che vi parlerà dei risultati e delle
conclusioni di questa inchiesta.
(Relazione non rivista dall’autore)
MADAME KARADJA
Presidente dell’Ansedi- Rappresentante Rete euro-mediterranea per la protezione dei Minori
Isolati
Anch’io vorrei dirvi che sono stata molto onorata di questa accoglienza e volevo ringraziare tutte
le persone, le Associazioni, anche le autorità della Regione Toscana e della Provincia di Lucca.
Grazie, grazie di cuore.
Però, cosa aspettarci da un paese che è stato sempre un paese di accoglienza come l’Italia? Una
terra di accoglienza per diventare poi una terra di migranti e poi nuovamente una terra di accoglienza.
Questa è la dialettica di fondo del vissuto, che in questi giorni di conferenza siamo stati molto contenti
di avere sentito. Sono state espresse varie preoccupazioni, varie etiche di rapporti, anche molta
umanità da parte degli operatori sul territorio, che è naturale, ma anche da parte dei politici e questo è
molto positivo perché abbiamo bisogno di politiche che si occupino di quelle che sono le
preoccupazioni dell’essere umano. Questa è la loro vocazione. Vi sono state delle regressioni quando
le politiche si sono presentate, ma sono certa che le leggi restrittive della libertà e del progresso
dell’umanità siano contrastate da varie volontà, da parte nostra metteremo in campo tutte le nostre
possibilità perché ciò avvenga.
È vero che abbiamo parlato molto della situazione di questi minori, quando sono da questa parte
del Mediterraneo, dei problemi che loro debbono affrontare, i problemi che noi dobbiamo affrontare,
le soluzioni che vengono ricercate. Ma vorrei portarvi dall’altra parte,nei paesi di provenienza, per
vedere come le cose sono possibili, chi sono questi minori candidati all’emigrazione, quali sono i
contesti familiari, ambientali e sociali, qual è la loro situazione con relazione all’esistenziale, al loro
vissuto, quali sono i motivi che li spingono ad emigrare, a lasciare tutto, casa, famiglia ed andare
altrove. Nel contesto di questo piccolo studio che è stato condotto lo scorso anno c’è assenza di
statistiche nazionali, perché il fenomeno della migrazione dei giovani, degli adolescenti è nuovo,
anche se gli immigranti clandestini sono un fenomeno già noto. Quindi, sulla base della mancanza di
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questi dati statistici, c’è da dire che la statistica nazionale è molto insufficiente. Non ci sono
conoscenze reali del fenomeno quindi, abbiamo dovuto condurre lo studio adottando una metodologia
che è relativamente semplice e che permetteva di prendere i carteggi del Dipartimento di Polizia e del
Tribunale facendo delle comparazioni a livello regionale, per vedere quello che si era prodotto a
livello di emigranti clandestini. C’è stata una collaborazione tra il Dipartimento di Polizia, la Questura
e il Tribunale.
Abbiamo avuto un gruppo di 120 giovani che hanno già tentato l’esperienza dell’immigrazione
clandestina, altri, invece, che sono in fase di realizzarla e altri ci hanno permesso di capire come il
fenomeno si è rilevato. Abbiamo trovato un’unica verità. Il metodo è basato sul questionario chiuso e
il lavoro del focus-group nelle interviste che saranno esplorative e saranno poi sondate per i risultati.
Abbiamo fatto anche dei focus-group con le famiglie. Abbiamo selezionato delle famiglie per queste
nostre indagini, che erano molto interessate, che erano d’accordo con il progetto di emigrazione,
famiglie che erano completamente contrarie, che non sapevano niente di questo progetto e famiglie
che erano, invece, in boo-line, che non sapevano troppo, ma non perché non sapevano cosa volessero,
ma in ragione del fatto che vi era un po’ di stanchezza rispetto a questo problema.
So che il tempo non permetterà di dare ulteriori dettagli dei dati raccolti, ma semplicemente volevo
dare un sunto di alcuni elementi sui tre punti sui quali abbiamo pensato di essere prioritari per sondare
questa situazione.
Il primo punto è la famiglia, l’ambiente familiare, domestico del bambino; il secondo, il rapporto
con la scuola e il terzo elemento è il rapporto con il mondo del lavoro minorile, lavoro che da noi è
considerato illegale.
Per quanto riguarda il modulo della famiglia, si tratta di famiglie di tipo medio, dove i genitori non
sono analfabeti però il livello di istruzione è piuttosto carente, il livello della scolarità è sempre
piuttosto medio, con una preponderanza di analfabeti, più nel caso delle madri che in quello dei padri,
solamente hanno fatto forse la prima o la seconda elementare. Per quanto riguarda la professione, gli
stipendi sono molto bassi, si tratta di operai, di salari, di funzionari di primo livello e la stragrande
maggioranza, 54 su 120 famiglie, hanno il minimo salariale garantito dalla legge, intorno a 60 euro al
mese. Per quanto riguarda la famiglia, hanno la casa, non sono persone che sono per strada, i candidati
all’immigrazione sono persone che abitano in una casa, possiedono una casa o un appartamento di tipo
sociale, case popolari o stati di abitazione precaria, ma non sono per strada, hanno un tetto.
Il figlio prende sicuramente il posto del padre quando questi non ha più capacità di gestire la
famiglia. Rimane questa idea che il giovane ha per obbligo il far fronte ai bisogni della famiglia
quando il padre soccombe o muore. In genere i figli più piccoli sono i candidati all’immigrazione
clandestina e inoltre nei rapporti con la famiglia vi è un gap tra i più grandi e i più piccoli, vi è una
differenza tra il piccolo e il grande rispetto alla famiglia. Il piccolo non comunica con la famiglia
come il fratello maggiore per cui può più facilmente lasciare la famiglia ed emigrare. L’età dei
genitori è compresa tra 40 e 58 anni e i rapporti nella famiglia sono rapporti piuttosto flessibili
soprattutto con la mamma, sono invece un po’ più rigidi e fissi con il padre; la comunicazione non
esiste col padre mentre esiste con la madre. Per quanto riguarda i fratelli vi è una sproporzione
piuttosto elevata di rapporto di autorità,di quelli più grandi rispetto a quelli più piccoli, ma anche una
maggior responsabilità,c’è un senso dei più grandi rispetto ai minori e dei ragazzi rispetto alle ragazze
che non è sempre ben accetto da parte di quest’ultime.
Quindi nel 37% dei casi vi è una solidarietà abbastanza complessa, perciò è comprensibile che in
quest’ordine di idee i più vecchi rispetto ai più giovani hanno più responsabilità e le figlie vengono
considerate sotto il controllo dei ragazzi e quindi questo delega l’autorità del padre. E poi constatiamo
anche certe rivalità a livello dei fratelli che sono legate ai privilegi e agli interessi che i genitori
mostrano rispetto agli uni e agli altri che siano i maggiori o i minori.
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Per quanto riguarda la scuola, il secondo punto considerato, è che molto spesso vi è una mancanza
di istruzione. Per il livello scolastico la scuola elementare o quelle religiose, coraniche, abbiamo 19
come risultato. La popolazione può considerarsi ad un livello medio perché avevamo 87 su 120 che
avevano un livello medio e 14 che avevano un livello di istruzione secondario.
Su questa popolazione 53 hanno un istruzione scolare volontaria o decisa dalle autorità con un
piano di studio che viene stabilito, perché la scolarità è obbligatoria fino ai 16 anni quindi se non ci
sono risultati all’età di 16 anni hanno una esclusione brutale e vanno per strada; 49 hanno lasciato in
modo volontario la scuola. Quindi tra le cause di questa mancanza di investimento a livello di scolarità
c’è l’ostacolo del primo esame, una specie di maturità all’età di 16 anni, poi abbiamo il secondo
investimento personale perché la scuola non è interessante perché i modelli non sono legati alla
scolarità per sé. Non dico che sia vero però effettivamente si riscontra un alto tasso di disoccupazione
dei diplomati, un notevole numero di persone che hanno una formazione e che si trovano in situazioni
miserevoli. Quando queste persone si rendono conto che vi è difficoltà nel trovare un posto di lavoro
che la famiglia da cui provengono ha difficoltà e non può mantenerli a scuola, mettono questo sulla
bilancia e dicono che non vale la pena di fare tutto questo.
Quindi abbiamo una economia parallela di strada che permette di vendere le sigarette di
contrabbando e dà a questi ragazzi la possibilità di avere del denaro rispetto ad un lavoro che è più
precario. Quindi l’impoverimento della famiglia e anche un rifiuto per quanto riguarda la metodica
scolastica che non è cambiata, ed è molto poco interessante, comporta che questi ragazzi siano un po’
demotivati nel proseguire gli studi. C’è un rifiuto della scuola perché non vi è stata una riforma
scolastica e le metodiche pedagogiche sono ancora vecchie. Per questo la percezione generale della
scolarità è negativa e sicuramente si focalizza nell’incoerenza, nella cristallizzazione dei programmi
scolastici,in un approccio troppo pedagogico dei docenti. Vi è un fallimento delle metodiche
scolastiche che risultano poco motivanti. La problematica pedagogica è rafforzata da quella della
famiglia dove il pessimismo e i problemi economici rappresentano fenomeni gravi, poi vi è
un’ambivalenza nella visione da parte della famiglia, ovvero il fattore di buon risultato scolastico ha
una certa ambivalenza perché talvolta è un elemento di fierezza sociale anche se al tempo stesso si
dice che la scuola non serve a niente perché non permette di avere successo.
Per quanto riguarda il lavoro minorile, in modo globale questa popolazione lavora in modo
piuttosto informale perché la legislazione del lavoro vieta completamente il lavoro minorile. Anche in
questo caso ci si è resi conto dell’ampiezza del fenomeno perché fra le cause del lavoro minorile
legato a quello che dicevo rispetto alla scuola,c’è il desiderio di guadagnare soldi in modo veloce e
bene. Poi il desiderio di imparare un mestiere in modo da essere un po’ più autonomi perché il
dispositivo di formazione professionale proposto non risponde ai requisiti, è molto fermo e il piano di
azione predisposto non è ancora operativo.
Quindi il desiderio di guadagnare e le cause del fallimento scolastico portano il bambino a
lavorare. Il vincolo esercitato dai genitori è solamente il 2,4% dei casi, non sono i minori che sono
spinti dai genitori, sono loro stessi che decidono da soli. Questi ragazzi diventano sia salariati presso
stranieri oppure si mettono con altri ragazzi per la rivendita di vestiti, per vendere sigarette, per piccoli
e grandi negozi, anche direttamente gestiti da loro.
Un altro tipo di lavoro al di là di questo commercio è l’artigianato;questi ragazzi diventano
parrucchieri, cuochi, lavorano molto anche nel settore del catering dei ristoranti che è un lavoro molto
duro. Hanno anche dei posti di lavoro che sono non gratificanti, come custodi di parcheggio. Queste
sono le varie sfaccettature delle attività lavorative e poi addirittura il carico orario è di dieci ore, quindi
sono vincoli molto forti e in netta contraddizione con le regole minime di lavoro e anche di rispetto del
minore.
Per il reddito, il lavoro è molto precario e molto aleatorio le condizioni sono molto dure, molto
difficili e mettono il bambino all’esposizione di tossicità perché a volte vi sono sostanze inquinanti,
con problemi fisici e mentali proprio a causa di queste sostanze tossiche con gravi conseguenze dal
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punto di vista sanitario. La caratteristica di questi minori che vogliono emigrare è di fare degli
investimenti specifici. Il tipo di attività che svolgono hanno un po’ influenzato la loro scelta di
emigrare perché vogliono sicuramente pensare a migliorare o trovare degli sbocchi rispetto alla
mancanza di titoli di studi. Per quanto riguarda queste attività e anche secondo testimonianze di coloro
che sono emigrati e che vivono in altri situazioni si capisce che hanno la speranza di arrivare ad un
paese diverso con una nuova occupazione. Vediamo che l’abbandono scolastico di più di un milione
di bambini ci fa pensare che sicuramente c’è un’estensione del problema che è molto più inquietante
per quanto riguarda l’attività minorile. Abbiamo 478 mila bambini che lavorano nei cantieri di lavoro
tra i quindici e i diciotto anni nelle condizioni che ho da poco evocato, poi abbiamo cercato anche di
vedere quelle che sono state le motivazioni psicologiche e anche esistenziali di questi bambini che
vogliono emigrare.
Abbiamo trovato una popolazione originaria di alcuni luoghi che sono concentrati intorno ad
Algeri, perché anche se vengono da altre zone sono attirati soprattutto dalla regione intorno da
Algeri,infatti le altre sono zone molto più agricole, più rurali, molto più interne e quindi è
un’immigrazione diversa dall’emigrazione tradizionale. In questi luoghi gli adulti sono emigrati fin
dalla notte dei tempi e sono zone ovviamente d’altopiano e di montagna da cui si vuole emigrare,
questi sono i bacini più interessanti per le emigrazioni. Sapete che nel nostro paese vi sono state varie
turbolenze, vari problemi e in questi ultimi anni, nell’ultimo decennio c’è stata una grandissima
violenza, anche con gli attacchi dei terroristi e tutto questo è stato l’origine di una frattura, una
spaccatura del tessuto del contesto sociale e causa di varie transumanze: contadini si sono installati in
condizioni precarie nei contesti urbani, metropolitani e stanno cercando adesso nuovi orizzonti
lavorativi ed abitativi.
I mezzi e le strategie che saranno utilizzate sono quelle di emigrare con la nave, i ragazzi non
conoscono la topografia, danno adito a reti di scambio di informazione, sanno che partire costa 150 e
anche 500 euro, dipende dal prezzo dei vari centri per poter arrivare ad una nave in partenza nel porto,
quindi accedono al porto, conoscono topografia e lavorano in modo concertato, creano delle reti di
sorveglianza e talvolta questo dura cinque o sei giorni, soprattutto per poter penetrare direttamente
all’interno del porto e arrivare a bordo di una nave con quelli che effettivamente li porteranno
dall’altra parte verso l’altro paese europeo. Hanno criteri di selezione specifiche: per esempio sanno
che devono rimanere tre o quattro giorni e si preparano per affrontare il viaggio, quindi è un processo
molto elaborato, portano alcuni cibi o altri a secondo la lunghezza del viaggio, ciò comporta un lavoro
ben strategico, ben concertato. Quelli che affrontano il viaggio sono persone forti, molto competenti,
piene di vitalità, hanno molta resistenza.
Ovviamente i bambini di strada non sono candidati all’emigrazione, sono già persi, non hanno
più punti di riferimento, non hanno più vitalità per pensare ad un progetto. Invece gli altri sono in un
progetto, sono ben organizzati, sanno affrontare le difficoltà, vi dicono per esempio che non vogliono
prendere le navi asiatiche perchè girano delle storie terribili, hanno una loro rete per quanto riguarda le
navi europee dicono di fare attenzione perché il sistema di controllo non permette loro di essere
accettati in modo facile, rischiano di essere scartati e di non essere ammessi a bordo. Amano invece le
navi spagnole e di Panama che secondo loro sono le navi più umane, sono molto più aperte rispetto ai
clandestini, sono coloro che sono amici, che non li consegnano ai poliziotti come fanno armatori di
altre navi, di altri bastimenti. Quindi se non ce la fanno, continuano a provare a salire sulla nave, non
lasciano l’idea, perché sanno che altri compagni ce l’hanno fatta e che potranno farcela anche loro.
Il progetto è molto importante ed ha la caratteristica di anticipare l’arrivo, di prefigurare le
condizioni reali e fantastiche del luogo di arrivo. La strategia si basa sull’ evitare i documenti per non
definire la loro identità, sul fatto di essere o meno minorenni, conoscere la situazione dal punto di
vista legislativo; non è una vera e propria rete stabilita però sicuramente sanno gli indirizzi delle
famiglie, hanno contatti con i vari vicini e poi sono perfettamente documentati sui luoghi e anche i
quartieri a predominanza algerina nelle città europee, sanno dove rivolgersi se si trovano in difficoltà.
Affermano inoltre che, nel peggiore dei casi, ritorneranno nelle reti islamiche che hanno la reputazione
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di essere molto umanitarie per i ragazzi; e quindi l’Islam potrebbe sicuramente aiutarli nella prima
fase dell’inserimento sociale, potrebbe sicuramente proteggerli, anche se hanno delle riserve. Sanno
che questa rete è una rete specifica, sanno anche che l’attentato dell’undici settembre ha dato
sicuramente un colpo duro anche al mondo islamico.
Sono consapevoli di quello che è il quadro politico, quindi credo che l’immigrazione sicuramente
è rappresentata non solamente come un problema, ma come una soluzione ed è vissuta dai bambini,
dalle famiglie come tale, anche se siamo tentati di considerare l’emigrazione clandestina degli
adolescenti come un passaggio all’azione con sofferenza sociale e con un’assenza di canali di
sublimazione, siamo forzati ad aumentare la qualità dell’investimento a livello progettuale.
Non abbiamo trovato nessun disturbo patologico e nessuna forma aggressiva o depressiva in
questi giovani, al contrario hanno una buona salute mentale anche vi sono momenti di frustrazione
perché alcune aspirazioni non sono state realizzate. Sono molto competenti dal punto di visto
organizzativo e sono molto vitali, questo è molto importante per i paesi d’accoglienza per cui questi
ragazzi possono essere considerati veri e propri investimenti.
Per quanto riguarda le famiglie, ve ne sono solo alcune che sono interessate al progetto. Vi sono
casi in cui la mamma vende i gioielli per finanziare la partenza del figlio, altri in cui le famiglie danno
il loro consenso e vi sono anche famiglie che hanno paura perché le reti terroriste reclutano molti di
questi minori che oziano e non sanno che fare, ma nonostante questo incoraggiano i figli a partire,
perché pensano che potranno migliorare la loro vita.
Le varie famiglie sono state consultate: vi sono 32 famiglie ambivalenti, 26 famiglie indifferenti
e 12 completamente contrarie al progetto.
Vorrei concludere senza andare dei dettagli, dicendo che il progetto dell’immigrazione è vissuto
dai giovani come una sfida al fallimento scolastico tenendo conto che l’insuccesso nella scuola non è
insuccesso sociale e si può avere successo se il contesto sociale permetterà di investire e di realizzare
la propria personalità.
Il progetto si compone di due parti:una parte riguardante la partenza e un’altra l’ arrivo. La prima
parte di questo iter si presenta come un progetto elaborato sulla base di una motivazione reale
ovviamente con variabili comuni sulla base di elementi concreti.
La seconda parte sembra invece essere ispirata dall’Eldorado grazie ai mass-media, si prendono
semplicemente le immagini che danno buon senso al sogno con comportamenti del consumismo
soprattutto visti dopo che gli immigrati hanno visitato il paese. Quindi abbiamo il rischio di frattura
ed anche di perdita che viene evocato in questa avventura e tutto questo fa pensare ad una forma
psicotica che sicuramente dà adito ad una grossa vulnerabilità per quanto riguarda l’ulteriore
adattamento. Comunque l’identificazione del mito del rientro, che fa parte del progetto di
immigrazione clandestina deve costituire una pista di soluzione e quindi siamo molto felici di
partecipare e di poter partecipare sempre di più alla configurazione di REMI, di questa rete che
permetterà la realizzazione di una scelta libera. In questo caso abbiamo delle forme di rientro che
sono possibili se sono gestite in modo adeguato. Possiamo forse pensare ad un futuro, ad un avvenire,
se non abbiamo un passato, se abbiamo rotto col passato?
Il nostro ruolo come Associazione, è di potere fare ovviamente questa nuova riunione che è stata
interrotta al momento del progetto, perché questo progetto sia qualcosa che possa essere costruito
nella realtà e non nel mito e nei fantasmi della mente.
Il problema è come possiamo risolvere la questione dell’immigrazione clandestina, fenomeno che
si basa su un’equazione, quella dei fattori di interesse da una parte e fattori di repulsione dall’altra. Vi
saranno delle economie parallele nei paesi di accoglienza che avranno una manodopera a basso
prezzo, ma vi saranno anche delle situazioni che permetteranno di fare luce su questo punto per potere
dare corpo a quelli che sono i meccanismi dispositivi che permetteranno affrontare il problema.
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Vengo da un paese dove tutto questo lo abbiamo visto, lo abbiamo vissuto sulla nostra carne,
abbiamo visto le fratture, l’esclusione dei giovani, l’assenza di realizzazione di sé stessi, l’assenza di
modelli di identificazione coerenti che permettono di progredire. Tutto questo è pericoloso e causa
morte. Come possiamo fare questo senza disinvestire le persone, ma credo che sicuramente questo non
darà mai nessun risultato; prima ho pagato il prezzo più forte, perché credo che dovremo permettere ai
giovani di valorizzare quello che va bene e fare della prevenzione per nostre società. È vero che il
Mediterraneo da un lato ci separa dall’altro ci unisce, è così facile da attraversare, possiamo
effettivamente chiudere da una parte o dall’altra, possiamo impedire il passaggio degli uomini, ma non
possiamo mai evitare il passaggio delle idee, sono le idee che possono essere fortunate o meno
fortunate. Gli uomini che realizzano queste idee, che le praticano diventeranno ciò che noi abbiamo
costruito, da una parte o dall’altra. E’ per questo motivo che credo questo Mediterraneo è sempre
stato sicuramente il bacino della cultura. Sono convinta che a partire da quello che noi abbiamo fatto
assieme con queste riflessioni potremo sicuramente conoscere il modo di rispettare gli altri in luoghi
diversi e grazie al riconoscimento reciproco lavorare insieme per risolvere il problema.
(Relazione non rivista dall’autore)
ABDELOUAHED AZIBOU MOKRAI
Presidente dell’Associazione Tadamoun di Tangeri
Cerco di parlare in francese, ma anche di dire qualche parola in arabo per permettere lo scambio
interculturale, perché è grazie a questo che varie attività e progetti saranno possibili con successo,
soprattutto quando si tratta di un fenomeno come quello dell’immigrazione clandestina dei minorenni.
Quindi vorrei ringraziare tutti gli organizzatori che ci hanno permesso di essere a Lucca, in questi due
giorni, per discutere, per approfondire un argomento che è sempre più scandaloso per noi come
cittadini del Magreb, ma anche per i cittadini dei paesi di prima accoglienza.
Il problema dell’immigrazione clandestina credo sia un problema naturale, vengo da un paese del
Mangreb che non è poverissimo, ma che ha comunque dei vincoli economici e nonostante questo il
flusso migratorio, questo spostamento dell’essere vivente, dell’essere umano, è fortissimo e né le
frontiere né tanto meno le difficoltà dell’ambiente, (nel sud del Marocco o nell’Algeria abbiamo il
deserto) possono ostacolarlo.
Volevo iniziare con questa nota introduttiva per dirvi che non sono le misure di sicurezza che
fermeranno o freneranno questo flusso dell’immigrazione clandestina:ma è il lavoro della
cooperazione, della collaborazione, è avere una visione di partenariato e di scambio globale che possa
quindi garantire, assicurare e permettere la riuscita, il successo di ogni progetto che voglia trovare
delle situazioni operative che diano adito a soluzioni adeguate per il problema dell’immigrazione.
Adesso vorrei parlare della storia dell’immigrazione moderna marocchina, in generale, non solo
di quella clandestina, perché quest’ultima fa parte della catena molto complessa dell’immigrazione
che è iniziata dagli anni sessanta. Era una partenza come si diceva in Marocco, per costruire il vecchio
continente che usciva dal secondo conflitto armato mondiale ed era quindi l’emigrazione degli uomini
soprattutto, perché erano gli uomini che avevano deciso di lasciare il proprio paese per andare a
cercare un lavoro e migliorare le condizioni di vita e trovare soprattutto risorse che non era possibile
trovare in Marocco .
Dopo gli anni settanta c’è stato quello che abbiamo definito allora il raggruppamento della
famiglia, perché questi uomini avevano bisogno di un congiunto con cui dividere la vita, raccontare i
problemi quotidiani del lavoro e soprattutto trovare uno spazio di comunicazione dove fosse possibile
essere rassicurati, in seguito sono arrivati i figli.
Negli anni ottanta, invece, c’è stato un nuovo aspetto migratorio che ha riguardato le donne.
Queste hanno iniziato ad emigrare e vi erano alcune che erano in situazioni di difficoltà, altre
divorziate, altre in situazioni socio-economiche difficili, che avevano deciso effettivamente di
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assumersi i rischi di questa scelta. Però la tappa più scandalosa, come ho detto poco fa, è stata proprio
questo fenomeno dell’immigrazione clandestina.
Quindi vorrei semplicemente ricordare a questa assise, in arabo si dice: “tutto è vietato e tutto è
richiesto; quando vietiamo qualcosa è là dove abbiamo più richiedenti di quello che è vietato” e di
conseguenza l’immigrazione clandestina coincide e si sposa perfettamente col sistema del visto
d’ingresso che è stato attuato dall’Unione Europea iniziando dagli anni novanta. Prima dell’entrata in
vigore del Visto di Soggiorno le persone non pensavano di emigrare in modo clandestino.
Queste persone hanno cercato delle alternative, hanno trovato dei mezzi per poter realizzare il
loro sogno; perché ognuno di noi ha un sogno in fondo al cassetto. Credo che sia un sogno di
adolescente, un sogno dell’infanzia, perché ognuno di noi è stato un bambino, siamo stati tutti
adolescenti, tutti noi abbiamo questo sogno di andare altrove, di scoprire nuovi mondi, nuove terre, di
darsi all’avventura e niente può fermare questo desiderio.
Poco fa Madame Karadja ha parlato soprattutto della questione relativa ai giovani, ai ragazzi, alle
ragazze, soprattutto per quanto riguarda le loro speranze di emigrare e abbiamo fatto la stessa cosa a
Tangeri, a Casablanca, in ogni città del Marocco. La risposta è sempre stata questa: una grande
quantità di gente che voleva emigrare, ma non vuol dire che tutti i bambini e le bambine del Marocco,
i ragazzi o tutti i giovani magrebbini abbiano questo sentimento, siano adesso in Italia, in Francia o
altrove. La stragrande maggioranza effettivamente sono ancora nel loro paese di origine.
Quando vediamo le statistiche relative a questo fenomeno di emigrazione clandestina e alla
quantità di minori che esistono sia in Algeria che in Marocco, vediamo che questo numero è molto
elevato; sapendo che la popolazione marocchina e quella magrebbina in generale è caratterizzata dalla
rappresentatività molto elevata della gioventù: più del 70% della popolazione marocchina è costituita
da giovani.
Come dicevo poco fa l’ultima maglia di questo fenomeno, è proprio l’emigrazione clandestina,
che è iniziata con gli anni novanta. Oggi in Marocco, abbiamo la presentazione di uno studio transfrontaliero, che è stato condotto a Tangeri, in partenariato con altre Associazioni soprattutto spagnole
e abbiamo constatato che ci sono dei punti in comune tra le due realtà con Algeri. Abbiamo la
presentazione di uno studio sull’immigrazione clandestina dei minori, studio che è stato presentato da
noi in Marocco ,cosa che è un po’ raro in questo emisfero sud.
Ultimamente abbiamo iniziato a constatare anche il fatto che i minori hanno cominciato ad
utilizzare quello che definiamo “las paterras” come dicono gli spagnoli: sono dei piccoli natanti che
bastano per dieci persone. Vediamo dei minori che si assumono questo rischio, di viaggiare nelle
“paterras”, con questi piccoli pericolosi natanti correndo molti pericoli e ciò costituisce sicuramente
uno scandalo.
Quando invece parliamo direttamente dei minori isolati, intendiamo ragazzi che sono arrivati al
secondo livello, hanno fatto vari tentativi, sono centinaia di migliaia di ragazzi che cercano di andare
altrove, dall’altra parte del Mediterraneo. Quando parliamo di questi minori che sono riusciti ad
arrivare in una regione europea, che adesso sono presenti nelle città europee, posso fare una
differenziazione di tre categorie.
Da una parte possiamo definire un tipo di minori, provenienti dall’emigrazione clandestina
fortuita, costituito da ragazzi e da ragazze che non hanno un vero e proprio progetto di immigrazione,
ma sono semplicemente stati influenzati da amici, da coetanei della stessa età da vicini del loro
quartiere che hanno deciso di andarsene, di prendere la nave assumendosi il rischio di essere degli
immigranti clandestini.
Perché vi parlo di questa categorizzazione? Perché ogni progetto educativo, se vuole essere
efficace deve tener conto dell’origine della problematica della situazione di partenza della realtà da
cui provengono. Dobbiamo capirla perché sono vari i giovani che sanno e che credono che la sola
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ragione di vita che spinge i giovani ad emigrare sia la povertà. Sono ragazzi emigranti fortuiti, ragazzi
e ragazze non adattati socialmente, appartengono forse ad una classe sociale media, che fa fronte ai
loro bisogni, alle prime necessità, ma non sa realizzare i loro sogni e perciò sono spinti a realizzare il
loro sogno andandosene. Io avevo lo stesso sogno quando ero giovane.
Il secondo tipo di questi ragazzi e ragazze sono i minori che hanno vari problemi sociali. Vari
interventi di stamani hanno messo l’accento proprio sull’importanza della scuola, credo che questa sia
come un vaccino efficace , che lotta contro qualsiasi forma di disagio, di mancanza di socializzazione.
La maggior parte dei ragazzi e delle ragazze che hanno interrotto i loro studi in Marocco, che hanno
lasciato la scuola, la prima cosa che fanno è quella di preparare la loro fuga.
Il terzo tipo è costituito dai minori in situazioni difficili, in disagio sociale e soprattutto dai
ragazzi di strada. Per le due prime tipologie, ( mi riferisco soprattutto ai progetti educativi che
possiamo attuare a favore di questi giovani) un progetto di integrazione sociale educativo, è possibile,
ma non funziona con la terza tipologia, cioè con i ragazzi e le ragazze di strada, perché questi minori,
hanno già vissuto una situazione molto difficile, molto ostica nel loro paese di origine e poi soffrono
soprattutto di una lacerazione sociale anche a livello di nucleo familiare che rende ogni progetto
educativo molto difficile a svilupparsi a realizzarsi concretamente.
Per concludere vorrei parlare riguardo gli scambi di rete. Madame Dominique, mi ha invitato a
partecipare a questa conferenza e dal mio arrivo in Francia mi ha chiesto: “Hai preparato qualcosa
quando prenderai la parola?” È un argomento che non preparo, che non amo preparare perché lo vivo
sulla mia pelle come cittadino e nel quotidiano, anche come professionista, perché ogni giorno
vediamo delle immagini di bambini, di bambine come si dice in Spagna “espaldas mojadas”, diciamo
spalle bagnate, bagnate dal sudore, questo ti fa male al cuore, allo spirito e quindi quando si tratta di
ragazzi, di ragazze che sono in situazione imprevedibile, non parlo di intervento scritto ma parlo di
impronta, di messaggio, dal cuore all’impronta.
Ritornando al tema degli scambi vorrei sottolineare la loro importanza perchè senza questi non
possiamo fare assolutamente niente. Abbiamo iniziato credo già tre anni or sono, avviando un
progetto di cooperazione, di collaborazione con i nostri colleghi che si occupano “Des jeunes
errantes,” i giovani erranti, a Marsiglia . E’ molto difficile lavorare a livello di Associazioni di culture
diverse, di paesi diversi, di lavorare assieme sullo stesso argomento, perché non c’è sempre la stessa
impostazione, gli stessi interessi e nonostante questo abbiamo un obbiettivo fondamentale che ci
unisce è “il superiore interesse dei minori”. Per lavorare a questo scopo abbiamo cercato di superare
tutte le difficoltà e le differenze di metodo.
Non vorrei parlare dei dettagli del nostro progetto, è il mio caro collega che lo farà dopo di me,
però volevo ricordare solo due piccole cose: la prima, se permettete è che vi è un sociologo
magrebino, che rappresentava sempre la storia di ogni popolo come un circuito che gira su sé stesso:
inizia con l’infanzia, passa attraverso la fase adolescenziale e la vecchiaia, la fine dolorosa e poi la
morte che è l’evento più tragico dell’essere umano, il trapasso. Voglio ricordare la sua teoria, la storia
delle civiltà ho ricordato questo sociologo per dire che la storia è molto breve. Pochi anni fa, negli
anni trenta, la stessa situazione che viviamo attualmente, la vivevano gli spagnoli: questi con le loro
famiglie, con i loro figli si assumevano il rischio di arrivare a Tangeri, oppure in Marocco attraverso
lo Stretto di Gibilterra. Dopo cinquant’anni la stessa storia si ripresenta però in un senso
completamente opposto.
La seconda cosa è che secondo me, io avevo sempre questo desiderio nel mio animo, di arrivare
alla Spagna: questa terra la vediamo a portata di mano da Tangeri ed è difficile arrivarci è come un
sogno, io avevo dodici anni, avevo sempre questo desiderio di attraversare lo stretto di Gibilterra e ci
ho provato varie volte. Questo fenomeno di emigrazione clandestina prima non esisteva. Quando
parliamo di emigrazione clandestina, in arabo non diciamo emigrazione clandestina, ma parliamo di
qualcuno che vuole andare via. Questa parola viene dalla parola “bruciare”, è come dire “passare col
semaforo rosso”, tutto quello che è vietato. Ma quando ovviamente si “sfora”, si va contro la legge,
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allora si va anche contro la storia. Però non andiamo contro la storia sociale e della famiglia, ma sfora,
brucia, semplicemente il suo presente. Perché nessuno può gabbare la propria storia, i propri costumi,
la propria lingua e le proprie tradizioni. Non possiamo sradicare la gente delle loro origini. Quindi,
ogni progetto educativo a favore di questi giovani deve prendere in conto questi elementi, conservare
l’identità. Nessuno ha il diritto di privare qualcuno o di togliere a qualcuno la propria identità, ma
questo diritto non sussiste, non c’è.
Io ho sempre parlato di progetti di migrazione, però ho fallito perché nel ’74 sono arrivato in
Spagna e potete immaginare l’immagine all’epoca. Nel quartiere dove noi vivevamo c’erano vari
spagnoli, molto emancipati e molto più aperti dei marocchini, anche per il modo di vestirsi e di
comportarsi. Sono storie virtuali che sentivo nel quartiere dove abitavo e questa era l’immagine che mi
facevo dell’Europa. Il primo giorno che sono rimasto completamente scioccato è quando mi sono reso
conto che c’erano delle donne che erano vestite nello stesso modo che si vestono le donne da noi nel
mondo rurale. Mi sono sentito completamente scioccato e frustrato e fino ad oggi sento questo
sentimento di frustrazione.
Adesso parlerà il mio collega MaliK di un’esperienza di pratica, di vissuto, che è il “neonato” del
nostro progetto.
(Relazione non rivista dall’autore)
MALIK KOUDIL
Educatore dell’ Associazione “Giovani Erranti “di Marsilia
Durante questo intervento vorrei mettere l’accento proprio sul partenariato che abbiamo attuato
direttamente con gli amici marocchini a Tangeri. Un rapporto di partenariato che dura da tre anni e
quindi abbiamo imparato moltissime cose e speriamo di imparare altre cose, continuare questa
bellissima avventura e portare con noi varie persone durante questa avventura.
Prima di tutto vorrei parlare dell’Associazione Giovani Erranti. Ne abbiamo parlato ieri, vari
partecipanti lo hanno fatto, ne parlerò molto velocemente, soprattutto per dirvi che cosa è, cosa
facciamo o cosa vogliamo fare con voi, quali sono le nostre intenzioni. L’Associazione”Giovani
Erranti” lavora da dieci anni, ha varie competenze multidisciplinari per quanto riguarda gli interessi di
questi minori,interviene con educatori, psicologi, assistenti sociali e anche con degli psichiatri.
L’Associazione lavora in stretta collaborazione con i magistrati che si prendono a cuore queste
pratiche ed incoraggiano molto in questo lavoro.
L’Associazione lavora a Marsiglia che è una grandissima città, un grande porto, una grande
stazione, un incrocio di vari popoli fin dalla notte dei tempi. Ecco quella che è un po’ la storia
specifica. Dalle primissime situazioni che abbiamo preso in carico, abbiamo detto che non si poteva
lavorare in modo efficace, senza considerare quello che era stato il passato di questi ragazzi, le loro
origini, le loro nazionalità, i loro genitori. La prima impostazione era semplice ed è stata quella di
entrare in contatto con i genitori, con la famiglia, è stato un lavoro di educazione, un avvicinarsi alle
persone dal punto di vista psicologico. Quindi si è telefonato nei paesi di origine, per informarli e
abbiamo spiegato il tipo di lavoro svolto e abbiamo chiesto qual era la storia dei loro figli ed il perché
della loro emigrazione.
Questo lavoro ci ha portato a vedere quello che si è verificato nel luogo stesso di origine e ci
siamo resi conto che vi erano delle persone che lavoravano proprio nel loro paese di origine, su questa
tematica, che avevano delle competenze, delle conoscenze, che noi non avevamo, perché noi siamo
semplicemente una piccola finestra di un grande universo e non conosciamo esattamente tutto quello
che succede al di fuori delle nostre frontiere in termini culturali, storici, di avvenimenti che si possono
presentare a livello di socio-economia. Ecco perché sicuramente ci siamo avvicinati a queste
competenze con l’idea di lavorare assieme, di condividere questa problematica quasi caso per caso.
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Da un punto di vista pratico oggi siamo in grado di affrontare e dare una prima risposta al
fenomeno del minore isolato nell’arco di un tempo relativamente breve. Quando un giovane arriva a
Marsiglia in situazione di vagabondaggio, dopo che ci è stato segnalato, gli poniamo delle domande
del tipo: “Da dove vieni?” “Chi sono i tuoi genitori?” “Perché sei qua?” “Come possiamo arrivare a
contattare i tuoi genitori o qualche parente ?” È un lavoro che facciamo, in stretta collaborazione con
la Magistratura, che prende in carico queste situazioni (cerchiamo di rispondere alle domande che ho
appena menzionato, con una scadenza temporale di due o tre settimane). Siamo in contatto anche con i
nostri partners e quando c’è un giovane appena arrivato che dice che è originario di tale città, di tale
Paese, che i suoi genitori sono in un certo modo, facciamo la diagnosi. Lo facciamo in modo
immediato ed entriamo in contatto per via telefonica con i genitori e poi cerchiamo di lavorare a
livello di Associazione che è focalizzata sulla famiglia, nel cercare di capire perché il minore è
emigrato e mettendolo per prima cosa in una situazione di sicurezza.
Sono giovani che sono principalmente di passaggio, che non vogliono rimanere a Marsiglia;
altri invece che ci hanno ripensato e vogliono tornare dai loro genitori e altri che vogliono rimanere in
Francia, imparare un lavoro, un mestiere e diventare cittadini stabili.
La prospettiva di queste tre settimane si ritrova poi anche a livello della Magistratura, che si
occupa effettivamente di questa fuga del minore. E decidiamo di fare delle ricerche molto più lunghe,
perché si tratta di un lavoro che viene fatto in prima necessità per determinare quella che è l’identità
del minore, la cittadinanza, la nazionalità; si passa poi ad un periodo di sei mesi, con un lavoro molto
più affinato, dove cerchiamo di fare delle ricerche nel paese di origine. Questa è una cosa un po’
complessa almeno dal punto di vista dei problemi di ingerenza in un altro Paese. Credo che non ci sia
nessuno stato che permetta troppa ingerenza, di fare delle ricerche o delle indagini in luogo. Per questo
cerchiamo di essere molto cauti quando andiamo nei paesi di origine, anche accompagnati da vari
addetti per incontrare le famiglie. In questo caso il lavoro è molto più raffinato perché incontriamo i
genitori,( con l’Associazione conosciamo già il ragazzo o la ragazza) e cerchiamo di capire quello che
è il percorso che lo ha portato da noi in Francia, quelle che sono state le sue sofferenze e tutto questo
ci serve a poter inserire il ragazzo o la ragazza in un percorso che sia il più adeguato ed efficace per
lui.
Vorrei aggiungere una storia che è piuttosto recente. Quattro o cinque anni fa c’era un giovane
marocchino che ha deciso di lasciare i suoi genitori all’età di 11 o 12 anni, senza il loro consenso per
venire a vivere in Europa senza sapere esattamente cosa l’aspettasse e cosa ci fosse in Europa. Questo
giovane dapprima vive in Spagna, poi attraversa la Francia e arriva in Olanda e lo troviamo, dopo 4 o
5 anni a Marsiglia. Lo vediamo, però, come delinquente, perché quando lui arriva in Europa, nelle sue
peregrinazioni, evita di essere preso in carico dalle Istituzioni ed entra nel circolo della delinquenza.
Quando arriva a Marsiglia viene portato di fronte al giudice, è troppo giovane (i giovani non sempre
sono disponibili al programma educativo), per l’inserimento sociale viene inviato in un Centro di
Prima Accoglienza, in una Comunità, ma non accetta di entrarvi. Questo giovane scompare per uno o
due anni e poi viene in Italia, per un anno o due, a Torino. Ieri una delle colleghe che lavora a Torino
ha parlato della problematica dei giovani erranti, di questi giovani che sono messi in casa famiglia.
Tutto questo ha suscitato alcune domande. Quando parlavo con lei, le ho detto che noi un mese fa
avevamo visto un ragazzo marocchino che era restato un anno e mezzo con una famiglia italiana a
Torino ed è così che, poco per volta, arriviamo in un modo totalmente naturale alla storia. Le ho detto
il nome del ragazzo, lei lo conosce bene, perché l’ha accompagnato per un anno e mezzo. E questo
ragazzo ci chiede aiuto. Quindi, è la prima volta che possiamo entrare in contatto con i genitori, con i
nostri soci in Marocco, per iniziare a lavorare in modo operativo, efficace, effettivo, perché il giovane
adesso ha questa volontà di fare parte di un percorso educativo.
Con questo voglio dire che questi giovani non conoscono le frontiere. Noi siamo tutti a
lavorare a livello associativo, di magistratura, di sostegno sociale, lavoriamo sul percorso di questi
minori, però dobbiamo condividere, non restare ognuno fermo nella propria azione lavorativa ed
operativa. Oggi siamo del tutto convinti di questa concertazione a livello dei Jeunes Errants, dei
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Giovani Erranti, ma anche a livello del Marocco. Siamo convinti di questa forte concertazione, ma
come pure credo gli algerini lo siano. Noi possiamo fare molto di più, lavorare in modo multilaterale,
non da soli e dobbiamo sicuramente entrare in contatto con i paesi di origine di questi minori se
vogliamo avere successo nel nostro impegno. Grazie.
(Relazione non rivista dall’autore)
DAVID PELLEGRINI
Assessore alle Politiche Sociali e Giovanili della Provincia di Lucca
Credo che quest’ultima testimonianza dia anche qualche speranza in più di poter lavorare insieme
e che il lavoro di rete arrivi anche a sostenere effettivamente delle soluzioni e dei percorsi che aiutano
poi i singoli a trovare la loro strada.
Darei la parola a Valeria Rossato del Volontariato Internazionale per lo Sviluppo per una
testimonianza ed un contributo .
VALERIA ROSSATO
Rappresentante del Volontariato Internazionale dello Sviluppo
Buongiorno a tutti, faccio parte del VIS (Volontariato Internazionale per lo Sviluppo)
un’organizzazione non governativa con sede a Roma, che lavora con progetti di sviluppo in 32 paesi.
Il VIS, da diversi anni ha rivolto una forte attenzione al tema migratorio, in particolare alla
migrazione minorile. Il VIS è presente in Albania dal 2001, e proprio partendo da qui abbiamo cercato
di capire perché pur realizzando interventi a favore dei minori, a favore delle fasce a maggiore
esclusione sociale dall’Albania, un numero sempre maggiore, prima di maggiorenni e poi di
minorenni albanesi continuassero a raggiungere le coste italiane.
Nel 2001 è stato avviato un progetto di ricerca sociologica e giuridica per cercare di capire meglio
il contesto da cui maturavano queste decisioni, a livello giuridico per cercare di capire quale fosse la
legislazione minorile in merito e a livello di indagine sociologica per cercare di capire direttamente dai
minori albanesi, che cosa li spingesse ad emigrare, per capire come meglio agire, sia in una
prospettiva di cooperazione internazionale, che di politica interna di prevenzione e di tutela.
La ricerca ha rivelato come ciò che maggiormente spinge i minori a partire, non è tanto e
solamente una questione economica, una povertà economica, che può esserci o no, quanto la voglia, il
bisogno di cercare quello che cercano tutti i ragazzi: una vita normale, la possibilità di andare a scuola,
di avere un lavoro, di avere una vita sociale. Purtroppo, dopo la caduta del regime, in tutta questa fase
di transizione che l’Albania sta attraversando, quella che è l’agenzia socializzante principale, quindi,
la scuola, che dovrebbe gettare le basi per la formazione dell’essere adulto, ha profonde carenze,
dovute all’economia, ai cambiamenti a livello politico. E’ la ricerca di un futuro che li spinge a partire
anche rischiando la propria vita.
Questa ricerca ci ha permesso di conoscere meglio questo contesto sicché nel 2002 abbiamo
firmato insieme ad altre Organizzazioni non Governative una convenzione con il Ministero del Lavoro
e degli Affari Sociali, in particolar modo con il Comitato Minori Stranieri, per la realizzazione di
indagini familiari e degli eventuali rimpatri assistiti dei minori stranieri non accompagnati presenti sul
territorio italiano in misura sempre maggiore. Infatti secondo quanto previsto dal Regolamento del
Comitato per Minori Stranieri per ogni minore non accompagnato devono essere svolte indagini
familiari nel paese di origine che consentano di avere un quadro, il più ampio possibile, della
situazione familiare, sociale, economica, della famiglia del minore presente in Italia. Questo progetto,
dal 2002, ha messo in luce diverse caratteristiche. Sono state condotte moltissime indagini, recandoci
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direttamente presso le famiglie (non vengono assolutamente fatte interviste telefoniche perché non
avrebbe alcun senso).
Gli operatori locali, precedentemente formati, hanno avuto il compito di recarsi presso le
famiglie, in modo del tutto amichevole e informale se pur in modo serio e professionale. infatti per
cercare di capire meglio la situazione reale, è importante avere la fiducia da parte della famiglia, per
cercare di capire meglio la situazione di origine e porsi come amici, nel senso di capir meglio quello
che è il contesto, le motivazioni economiche ma anche sociali. Ad esempio, ci possono essere
situazioni di villaggi o di quartieri particolarmente pericolosi, situazioni di vendetta, perché in
Albania, soprattutto nelle zone nord c’è ancora il problema della vendetta. Tutti questi fattori devono
emergere nell’indagine familiare. In primo luogo perché possono aiutare il Comitato ad avere un
quadro, oltre che della situazione del minore in Italia, della famiglia di origine. In secondo luogo,
perché nel momento in cui ci dovessero essere dei rimpatri, già conoscendo la realtà di origine, si
possono prevedere dei possibili percorsi di reinserimento da proporre al minore, in quanto il percorso
di reinserimento è tutto misurato sulle esigenze, sui bisogni del minore in primo luogo, e della
famiglia.
Inoltre durante la realizzazione delle indagini è emerso che in alcuni villaggi c’era una forte
concentrazione di ragazzi partiti. Questo è un indice molto importante, perché fa emergere delle
situazioni su cui intervenire a livello anche di cooperazione con programmi comunitari. Le indagini si
sono rivelate quindi, un buono strumento anche per capire dove è meglio agire, dove ci sono situazioni
che magari normalmente non emergono, in questo modo si può capire meglio. Nel momento in cui
abbiamo ricevuto dei provvedimenti di rimpatrio di questi minori, la prima cosa che abbiamo fatto è
stata comunicarlo nel modo meno traumatico possibile alla famiglia di origine. Nella maggior parte
dei casi la famiglia già ne era a conoscenza perché comunque la comunicazione tra il minore in Italia e
la famiglia nel luogo di origine è molto forte.
Ieri si è parlato sulla volontarietà del rimpatrio, sul fatto che la famiglia accetti o meno il minore
che rientra. La famiglia investe denaro e speranze sul minore, non vorrebbe quindi che il minore
tornasse senza avere realizzato nulla, soprattutto perché partito per un motivo ben preciso. I minori
investono dei soldi, investono la propria vita, rischiano la propria vita per un motivo ben preciso:
perché devono lavorare. Comunque qualora viene prospettata alle famiglie la possibilità di un rientro
del minore, questi sarà certo ben accolto dall’amore e dall’affetto della famiglia.
C’è anche da dire che purtroppo, si registra una cattiva informazione nel contesto di origine, delle
realtà estere, dell’Italia; paesi come l’Albania o la Romania hanno ormai un contatto diretto con quello
che succede fuori, delle opportunità che possono esserci; si tratta però di visioni parziali. Le reali
condizioni di vita di molti minori stranieri in Italia, il fatto che il permesso di soggiorno per minore età
in Italia non consenta di lavorare, tutto questo non raggiunge i paesi di origine. Per cui, un ruolo molto
importante che i progetti di rimpatrio assistito possono assolvere, è quello di informare. Perché un
minore che rientra, o già l’indagine familiare, possono sensibilizzare la famiglia riguardo alla reale
situazione, informare sulla legislazione vigente, su quelle che sono le procedure, su quello che
potrebbe succedere. Per cui, già nel contatto con la famiglia durante l’indagine familiare, si cerca di
prospettar loro delle diverse vie percorribili.
Nel momento in cui rientra si cerca di stabilire con il minore un percorso di reinserimento che può
essere scolastico, qualora il minore ancora non abbia assolto l’obbligo scolastico, oppure più
prettamente formativo diretto all’inserimento presso un’azienda, attraverso stage, tirocini, ma anche e
soprattutto attraverso un accompagnamento socio-educativo, umano. Infatti il minore rientrando in
patria, ha bisogno di ricucire tutti quei rapporti con la comunità di appartenenza che comunque sono
stati interrotti, per breve tempo ma in una fase piuttosto delicata della crescita umana e caratteriale del
minore.
Inoltre c’è un appoggio alla famiglia, che può essere un appoggio materiale ed un appoggio
psicologico. Dipende molto dalla situazione reale e dalle opportunità che offre il contesto, nel senso
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che c’è differenza a seconda che ci si trovi in una città come Tirana, che offre determinati servizi o in
un villaggio in cui la scuola è lontanissima, si è isolati e i servizi sono molto carenti.
Questi tipi di rientri, di rimpatri assistiti, se fatti rispettando tutti i diritti del minore, possono
essere uno strumento non solo di tutela, ma anche di prevenzione a tutta una serie di problematiche
che possono avvenire in seguito. L’intervento realizzato si indirizza dunque sul minore, sulla famiglia,
a volte anche nella comunità del villaggio di residenza. In alcuni villaggi infatti non ci sono attività
sociali, si cerca, allora di promuovere attività di animazione con i ragazzi, di cui gli stessi minori che
rientrano divengono promotori. Questo è importante, perché uno dei fattori fondamentali perché il
progetto vada a buon fine è l’adesione completa e partecipata da parte del minore e della famiglia. Per
questo è fondamentale il rapporto che si ha con queste persone. Non si può partire da un approccio
troppo formale oppure di imposizione. Prima, perché si fallisce in prima linea su tutti i diritti che sono
i diritti fondamentali del minore e della famiglia, secondo, perché non si ha proprio successo. Tanto
vale non partire per niente con questo tipo di progetto. Lavoro da tre anni con queste tematiche, so che
il rimpatrio assistito è diventato uno spauracchio, l’incubo dei ragazzi. Vi assicuro, per l’esperienza
che abbiamo avuto in questo periodo, che nei casi in cui veramente è stato effettuato in questo modo,
ha avuto successo.
Ci sono tantissime alternative che vengono proposte giorno dopo giorno dai centri che ci sono nei
paesi ( faccio l’esempio dell’Albania perché è quello dove ho maggior esperienza), centri religiosi o
laici, centri professionali, possibilità per il ragazzo di avviare delle microimprese, quindi col tramite
microcredito, anche delle cose più banali tipo “l’acquisto di una mucca per una famiglia”, che a noi
può sembrare una cosa assurda. Per loro è essenziale, perché può permettere l’autosostentamento a
lungo termine. Perché è vero che i ragazzi vogliono quello che vogliono tutti i ragazzi del mondo, però
è anche vero che forse i nostri parametri su quelle che sono le esigenze di un minore sono ben diversi
da quelli di un minore albanese o rumeno, non perché loro abbiano diritto a meno, ma forse perché noi
siamo stati abituati ad avere un po’ troppo. Non lo so, forse sbaglio, però io ho visto che si impara
anche in questo modo ad apprezzare quello che veramente è essenziale ed importante.
Il dialogo va portato avanti sin dall’inizio, dalle prime fasi, a iniziare dal contatto con il ragazzo in
Italia, perché il momento in cui questo viene raggiunto dal provvedimento di rimpatrio non può essere
lasciato a meditare da solo su quello che sarà il suo destino. Si cerca di capire con lui, anche da qui,
come potrebbe essere il suo rientro, che cosa vorrebbe fare. Ad esempio, c’era un ragazzo rumeno che
voleva tanto entrare in un centro sportivo per coltivare la sua passione del calcio. È una cosa che per
noi potrebbe essere tanto banale. Lui non poteva, perché il papà non poteva permettersi di mantenere
una cosa del genere.
Dobbiamo cercare di avere un approccio integrato che prenda in considerazione tutti gli aspetti
psicologici, sociologici e giuridici, ma soprattutto che tenga conto dei diritti del minore e
dell’importanza di crescere accompagnati e sostenuti da una famiglia, giustamente avendo tutti gli
strumenti necessari per la propria crescita e per la propria maturazione.
(Relazione non rivista dall’autore)
DAVID PELLEGRINI
Assessore alle Politiche sociali e Giovanili della Provincia di Lucca
Credo che questi interventi debbano poi trovare uno spazio per un minimo di discussione, di
domande e anche di approfondimento, così nel momento in cui l’esperienza e la relazione è fresca si
riesce anche meglio a continuare una discussione.
Prima darei la parola alla Dirigente dell’Area Socio-Assistenziale del Comune di Firenze, per
l’esperienza dei minori stranieri non accompagnati con il Comune di Firenze.
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ANNA BINI
Dirigente Area Socio Assistenziale del Comune di Firenze
Lavoro al Comune di Firenze come Dirigente dell’Area Socio-Assistenziale. In questo
contesto, traccerò un panorama degli interventi e delle politiche attuate nell’Area Minori. La
relazione che andrò a fare comprende tre ambiti Il primo riguarda il fenomeno dei minori stranieri
non accompagnati nella città di Firenze. Il secondo è un’esperienza molto particolare denominata
“Centro Sicuro”. Naturalmente queste azioni hanno comportato la realizzazione di atti e di
procedure amministrative fondamentali per realizzare l’indispensabile raccordo con la
Magistratura, con la Polizia e gli altri organi coinvolti (Vigili Urbani, ecc.).
Il fenomeno dei minori stranieri non accompagnati nella città di Firenze diventa ogni giorno di
più degno di attenzione. Abbiamo un’espansione del fenomeno, che di conseguenza determina un
grosso impegno per il nostro Comune. Nel 2001 si osserva che le presenze sono per la maggior
parte ragazzi albanesi. Anche nel 2002, risulta evidente la prevalenza di albanesi (n.229) sempre
maschi di età media (15-16 anni). Nel 2003 le presenze incrementano ulteriormente fino a 405
presenze. La maggior parte dei minori, sono stati inserimenti in Reti di Pronta Accoglienza. Il
Comune di Firenze ha quattro Pronte Accoglienze, 15 Comunità Residenziali e 5 strutture MadreBambino con le quali si è definito il rapporto tramite convenzioni e atti convenzionali. Queste
strutture sono gestite dal terzo settore (volontariato, associazionismo, cooperative). Inoltre
abbiamo attivato anche “Lettere-Contratto” con strutture fuori Firenze ubicate in tutta la Regione
Toscana, presso cui sono sistemati minori a seguito di provvedimenti, anche di allontanamento,
emessi dal Tribunale o, a volte, perché i Servizi Sociali reputano importante che il minore si
allontani dalla famiglia.
Naturalmente tutte queste strutture accolgono anche i minori residenti nel Comune di Firenze. I
minori stranieri non accompagnati sono, come ho già accennato, quasi esclusivamente sistemati
nelle Pronte Accoglienze e solo in parte in Comunità Residenziali. I minori che abitano a Firenze
sono in maggior numero nelle Comunità Residenziali e in Case Madre-Bambino, invece i minori
stranieri non accompagnati li troviamo quasi tutti nelle Reti Pronta Accoglienza e, nel 2003 n.111,
nelle Comunità Educative Residenziali.
Vorrei portare la vostra attenzione su un nuovo fenomeno, del quale parlava prima la D.ssa
Rossato, l’arrivo dei rumeni. Già nel 2003 abbiamo avuto 219 rumeni a Firenze. L’arrivo di questi
ragazzi ha sollevato nuove problematiche relative alle diverse caratteristiche rispetto ai ragazzi
albanesi. Questi ultimi infatti arrivano con un sogno, un progetto di vita, una voglia di stare meglio,
invece i minori rumeni spesso arrivano con la voglia di essere liberi, di stare per strada. Si tratta di
minori prevalentemente di etnia ROM, sono minori erranti, con i quali è difficilissimo costruire un
minimo di progetto. Ciò è dimostrato dal fatto che scappano dopo poche ore che sono entrati in
Pronta Accoglienza: il tempo di farsi un bagno, di mangiare, di lavarsi e se ne vanno e ritornano
nella strada, vanno anche in altre città. Purtroppo abbiamo spesso riscontrato che si prestano al
borseggio, al racket della delinquenza.
Nel luglio del 2003 c’è stato comunque anche un maggior afflusso di minori albanesi,
marocchini, ecc.. Tengo a sottolineare a questo riguardo che noi lavoriamo intensamente con le
forze dell’ordine (molti dei casi infatti sono presi in carico a seguito di una loro segnalazione).
Stamani il Sig.Thiérot parlava di multidisciplinarietà. Io credo che noi abbiamo attuato la
multidisciplinarietà anche con le forze dell’ordine e la Magistratura. A tal riguardo sono stati
firmati due protocolli operativi, l’ultimo il 22 di dicembre del 2003.
Ieri si è parlato tanto di chi sono questi minori stranieri non accompagnati, come considerarli.
Il Comune di Firenze si attiva su due fronti:
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Ai minori, si garantisce un’accoglienza e misure di protezione attraverso l’inserimento in
Centri di Pronta Accoglienza. Quindi si procede alla segnalazione come presenza del minore
alla Procura presso il Tribunale dei Minori.
In quanto minori stranieri, si procede alla segnalazione anche al Comitato Minori Stranieri in
vista del rimpatrio assistito, perché la normativa vigente ci dice “va attuato”, salvo appunto che
non esistano gravi motivi.
Ci siamo posti la domanda di cosa ha determinato questo grande afflusso di minori a Firenze,
probabilmente perché è una città che attrae molto in quanto si è sparsa la notizia che noi dobbiamo
comunque accoglierli e trovare una sistemazione adeguata. Se si va ad analizzare il fenomeno dei
minori albanesi, si constata che venivano tutti da certe zone: venivano da Valona, da Scutari, c’era
stato un tam-tam, per quello si poteva benissimo localizzarli; però noi dovevamo comunque
accoglierli e trovare una sistemazione adeguata. Questo ha voluto dire, anche, creare un nuovo
Servizio Sociale. A Firenze ci sono dei Servizi Sociali e si occupano del territorio, dei minori
residenti (perché anche lì c’è disagio, c’è tanto disagio). Abbiamo creato una staff di assistenti
sociali soltanto per i minori stranieri non accompagnati, che fanno questo tipo di lavoro e abbiamo
creato la UOM, Unità Operativa Minori, che si occupa esclusivamente di minori stranieri non
accompagnati. Sono poche assistenti sociali, però fanno questo tipo di lavoro, proprio perché è un
lavoro mirato.
Inoltre abbiamo una rete di Pronte Accoglienze sempre disponibili all’accoglienza (paghiamo
“vuoto per pieno” cioè paghiamo per i posti offerti dalla Struttura anche se non sono occupati),
perché ci deve essere sempre un posto libero per il minore che arriva. E’ in atto la costruzione di
una rete di Pronta Accoglienza con lo scopo di accogliere sempre, nell’arco delle 24 ore, a qualsiasi
ora, i minori segnalati.
Quali sono le caratteristiche delle Pronte Accoglienze? Noi abbiamo voluto comunque
prevedere un’attività educativa, con la costante presenza di un educatore, che immediatamente si
prende cura del minore. Si tratta di un offerta di ricovero temporaneo in situazioni di abbandono,
anche con la presenza di un’equipe educativa nell’arco delle 24 ore. E’ prevista inoltre la figura di
mediatore culturale, quindi si predispospone un progetto d’intervento, sempre in collaborazione
con i servizi sociali. Talvolta accade, in modo ciclico, che le Pronte Accoglienze non abbiano posti
disponibili a sufficienza, e perciò ci rivolgiamo alle Organizzazioni di Volontariato, in attesa che si
liberi un posto in Pronta Accoglienza.
I problemi principali che in questo momento si trova a affrontare la città di Firenze sono, in
primo luogo la difficoltà nel rilascio del permesso per maggior età. La nostra Questura non rilascia
il permesso di soggiorno per maggior età se non è nominato un tutore, ma tale nomina presuppone
che il Giudice Tutelare abbia svolto tutte le relative indagini ed i tempi necessari a tale iter
ovviamente non sono brevi. Intanto spesso accade che i ragazzi siano assolutamente sprovvisti di
tutto, e di loro non si conosca nulla. Questo rende molto difficile il lavoro dell’equipe della Pronta
Accoglienza, che si trova a fare dei progetti per dei ragazzi che praticamente sono “invisibili”.
Vi sono inoltre talvolta delle difficoltà di coordinamento con il Comitato Minori Stranieri,
relativamente ai tempi e ai modi dei provvedimenti relativi ai minori. Le Forze dell’Ordine sono
spesso in difficoltà per l’accertamento della minor età, in quanto il ragazzo dichiara di essere
minorenne anche se non lo è o viceversa. L’accertamento dell’età non è certo semplice
(costituzione ossea, ecc. ).
Un ultimo elemento critico che vorrei rilevare è il fatto, frustrante per gli operatori del settore,
che secondo la normativa vigente il minore una volta raggiunto il 18° anno di età diventa
clandestino.
Infine vorrei comunicarvi la cifra che è stata spesa per i minori stranieri non accompagnati
accolti nelle Pronte Accoglienze e nei Centri Residenziali (escluso il Centro Sicuro), si tratta nel
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2003 di 2.430.000 euro. Tale importo mi pare significativo in considerazione che ad essa va
aggiunta la spesa per i minori residenti nel Comune di Firenze e per il Centro Sicuro.
Volevo adesso parlare del “Centro Sicuro”. Questa è una struttura che è parte delle reti dei
servizi per i minori non accompagnati e anche per i minori residenti, ma è una cosa un po’
particolare perché è nato da un protocollo operativo tra Comune di Firenze, Prefettura, Tribunale
per i Minorenni, Procura della Repubblica Presso il Tribunale per i Minorenni, Organi Di Polizia,
Provincia e Provveditorato agli Studi. Lo scopo è tutelare immediatamente i minori che si trovano
soli per la strada (minori erranti) e per lo più al di sotto di 14 anni e può accogliere fino ad 8
minori. Si tratta di bambini che hanno alle spalle storie terribili. Il “Centro Sicuro” ha lo scopo
immediato di tutelare i minori che si trovano in stato di abbandono materiale ai sensi dell’art. 403
C.C., specialmente in situazioni fortemente a rischio, di sfruttamento o di coinvolgimento in attività
criminose, trovati nel territorio del Comune di Firenze dalle Forze dell’Ordine e da queste
accompagnate alla struttura. Durante il brevissimo periodo di permanenza al Centro, gli operatori
che lavorano al suo interno ed i Servizi interessati sono impegnati in un comune di sforzo di
analizzare la situazione di disagio e rischio in cui versa il minore e di coinvolgere i suoi familiari
(quando possibile) e le risorse del territorio (pubbliche e del privato sociale) in un percorso sociale
ed educativo che possa offrire il superamento dell’emergenza e del bisogno.
Le finalità del Centro Sicuro sono tre:
1 garantire una rapida ed efficace risposta alla situazione di emergenza e di necessità di messa in
sicurezza del minore;
2 l’attivazione immediata, a partire dal momento dell’ingresso, di un percorso di “presa in carico”;
3 il superamento dell’emergenza attraverso un lavoro di sostegno educativo individualizzato e di
supporto ai Servizi ed Autorità competenti.
L’inserimento del minore al Centro Sicuro deve coincidere con l’avvio di una strategia
riparatrice e preventiva di possibili maggiori e più devastanti danni al suo sviluppo. Il Centro
Sicuro, che si configura come luogo di “passaggio”, ha un obiettivo di fondo: quello di offrire
un’accoglienza al minore mentre una rete di servizi e persone si adopera per riportarlo di nuovo in
famiglia, o per individuare una soluzione alternativa (affidamento o inserimento in struttura
educativa) quando ciò non è possibile.
I minori inseriti nella struttura vengono condotti direttamente dagli Organi di Polizia che
procederanno all’effettuazione delle procedure di identificazione a norma di legge e sentito il
parere del Procuratore della Repubblica.
Successivamente gli operatori della struttura, nel corso del colloquio di conoscenza con il minore,
tenteranno di avere informazioni circa la sua situazione socio-familiare e riferiranno alla Procura
della Repubblica presso il Tribunale per i Minorenni.
Nel caso il minore abbia parenti sul territorio, questi verranno convocati presso la struttura e la
Polizia Municipale procederà alla loro identificazione. Se i documenti presentati dal genitore sono
adeguati per un ricongiungimento del minore, la Polizia Municipale compilerà un verbale per il
personale della struttura che provvederà, sentito il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale
per i Minorenni, alla riconsegna del minore al legittimo genitore.
Se i documenti presentati dal genitore non sono adeguati per la riconsegna del minore ovvero se
il genitore non si presenta né viene rintracciato nell’arco di un tempo ragionevole, verrà effettuata
dal Responsabile della struttura, tempestivamente, una segnalazione alla Procura della Repubblica
presso il Tribunale per i Minorenni per un eventuale avvio della procedura di attivazione del
Tribunale per i Minorenni all’attuazione di specifici provvedimenti a tutela del minore.
Nel Centro è garantita la presenza diurna di un operatore che sorveglia la struttura, informa i
genitori che si presentano al Centro sullo stato del bambino e sulle modalità per la sua riconsegna e
tiene i contatti con la Polizia Municipale.
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Gli operatori della Polizia Municipale assicurano una reperibilità durante il periodo diurno, dalle
ore 7 alle ore 20,00, e provvedono, con proprio personale, all’identificazione del genitore in luogo
idoneo, avendo anche a disposizione all’interno della struttura un proprio ufficio. Durante la notte,
dalle ore 20,00 alle ore 7,00, è assicurata la sorveglianza della struttura e degli ospiti da parte degli
operatori della Polizia Municipale.
DAVID PELLEGRINI
Assessore alle Politiche Sociali e Giovanili della Provincia di Lucca
Mi sembra che quest’ultimo intervento abbia dato nuovi spunti anche riguardo a come una
Amministrazione Pubblica può farsi carico della molteplicità dei problemi.
DIBATTITO
INTERVENTO del PUBBLICO
Finora abbiamo parlato di accoglienza da parte dell’ Amministrazione, ora io vorrei sapere: la
popolazione italiana e soprattutto i giovani, come accolgono questi stranieri?
CRISTINE BARTOLOMEI
Presidente del Tribunale dei Minori di Marsiglia
Mi occupo dei bambini del Tribunale di Marsiglia e volevo fare una domanda su questo Centro
Sicuro. Vorrei sapere se è un Centro che è chiuso, se i minori possono andare via, se danno il loro
consenso a fare parte del Centro, se sono in grado di dare la loro volontà e fino a che punto il giudice
può decidere questo soggiorno. Vorrei inoltre sapere se c’è un tetto massimo di durata, se si parla di
minorenni sotto i 14 anni, se questi minorenni possono avere accesso anche al programma che è stato
fatto per i minori non accompagnati su un biennio per l’inserimento professionale.
ANNA BINI
Dirigente Area Socio Assistenziale del Comune di Firenze
Rispetto alla prima domanda, si deve dire che questa rete di pronte accoglienze, di strutture che
abbiamo nel territorio fiorentino, coinvolge molto anche la popolazione giovanile per esempio da
parte di Parrocchie, ma anche di Associazioni di Volontariato. Fra l’altro noi siamo convenzionati
proprio con le strutture del terzo settore, che fanno molta opera verso il territorio. Questi ragazzi
vanno anche a scuola. Per i ragazzi che sono inseriti e che fanno un percorso lavorativo o di scuola,
non ci sono problemi finché loro hanno il permesso di soggiorno. A volte sono stati giustamente
fermati, sono privi di permesso di soggiorno, perché c’è questa diatriba di cui si parlava prima, che
senza la nomina di un tutore non c’è questo permesso di soggiorno e allora in quel caso la cosa diventa
più problematica, semplicemente perché siamo in attesa di questo. Noi non abbiamo strutture a
gestione diretta, sono tutte strutture del terzo settore; l’unica struttura a gestione diretta è la nostra, ma
abbiamo fatto una gara d’appalto, il Centro Sicuro. Credo che il mondo del terzo settore collabori
attivamente in questo e so che ci sono iniziative anche con i quartieri. Abbiamo il Progetto Atlante,
dove si fanno corsi di formazione insieme ai ragazzi fiorentini, per questo non credo che ci siano
grossi problemi a questo livello.
La seconda domanda è una domanda molto bella e completa. Intanto, al Centro Sicuro i ragazzi ci
stanno al massimo tre giorni. Quindi noi bisogna attivarci immediatamente perché altrimenti in una
struttura così chiusa non ci si potrebbe stare. Questa è una cosa che io non ho detto e mi scuso, ma è
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chiaro che immediatamente ci si deve attivare per capire la storia di questo ragazzo. Molte volte sono
storie di violenza, di grave sofferenza. A volte sono le Forze dell’Ordine stesse che ci chiedono su
ordine del magistrato di tenere il bambino nel centro perché magari deve testimoniare ad un processo.
Non sono storie ordinarie, sono storie un po’ straordinarie nella loro drammaticità. Lì dentro c’è la
presenza di educatori e di assistenti sociali che immediatamente ascoltano il bambino e capiscono e di
mediatori culturali che lo mettono a suo agio. C’è attività ludica, ci sono delle attività che sono tutte
all’interno della struttura, perché finché il Magistrato non ci permette di ridarlo ai genitori, previa
identificazione degli stessi (questo è importante e ci sono i Vigili Urbani all’interno della struttura),
non possiamo mandarlo fuori, dentro è proprio protetto. Si sta vivendo una situazione non di
contenimento, ma di protezione; però non può durare più di due o tre giorni, e subito occorre trovare
altre soluzione.
GUILLAUME THIÉRIOT
Consigliere del Presidente della Regione PACA
Come è stato detto stamani mattina noi siamo alla fine delle elezioni e abbiamo una settimana per
organizzare il lavoro della Regione, la sua partecipazione in tutte le questioni sociali e anche la rete
REMI per i prossimi anni. Quindi sono obbligato ad entrare immediatamente a Marsiglia e vi torno
molto contento, pieno di ossigeno, con questo progetto. Da quello che ho potuto sentire in questa
conferenza deduco che sono cose molto importanti dal punto di vista informativo e sono rimasto
commosso sul merito della questione, sul dramma delle situazioni individuali di questi minori, ma
sono anche commosso nel constatare che vi sono vari tentativi, varie esperienze, che sono condotte
nelle vari parti di Europa e con una chiara indicazione di uno schema che è pieno di promesse e di
speranze. E poi l’illustrazione di questo partenariato multidisciplinare, fra politici e Associazioni. E
credo che sia stato presentato oggi un dialogo che funziona al meglio.
Quando questo dialogo funziona su questa questione specifica, su questo progetto, è sicuramente
per ottenere il massimo. Vi sono riunioni dove le persone si trovano per dire che un altro mondo è
possibile e preferisco questo tipo di riunioni dove cerchiamo di mettere in pratica, di inventare
quest’altro mondo possibile che un giorno, spero, sarà un mondo reale. Quindi, grazie a tutti e a tutte
per tutto quello che fate, per tutto quello che dite, per le vostre azioni, per i vostri convincimenti e per
le speranze che date con il vostro lavoro. Grazie.
FRANCESCO ANGELINI
Presidente VII Commissione Politiche Sociali, Scuola e Cultura della Provincia di Lucca
Questo è un’ interessantissima Conferenza a cui io, per motivi di lavoro non ho potuto assistere,
mi hanno detto che già stamani mattina siamo entrati nel concreto di ciò che viene realizzato nelle
Amministrazioni Pubbliche, su quello che si sta realizzando per questo problema, che per vari aspetti è
sempre più pressante nella nostra società.
La sezione di oggi pomeriggio si divide in due parti. Una prima estremamente concreta, in cui
sono previste le illustrazioni di progetti che vengono realizzati in alcuni comuni. La D.ssa Giovanna
Sammarco per l’Ufficio Comunale di Roma, e la D.ssa. M. Giovanna Poli del Comune di Modena, ci
relazioneranno circa i loro progetti che stanno in parte portando avanti e in parte studiando per la
possibile realizzazione nei loro Comuni. La seconda parte del pomeriggio sarà dedicata a
testimonianze di esponenti del governo marocchino.
Do la parola alla D.ssa Giovanna Sammarco dell’Ufficio Tutele del Comune di Roma a favore dei
minori non accompagnati.
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GIOVANNA SAMMARCO
Responsabile dell’ Ufficio Tutela Pubblica del Comune di Roma
Sono la responsabile dell’Ufficio Tutela Pubblica del Comune di Roma e quindi mi occupo anche
di minori stranieri non accompagnati. Innanzi tutto ringrazio l’organizzazione di aver dato
l’opportunità di testimoniare l’esperienza romana e di ascoltare quella degli altri, soprattutto le
esperienze del “prima di arrivare in Italia”.
Ho chiesto i dati statistici della Regione Toscana perché quando ieri venivano riportati i dati
relativi al numero dei ragazzi ospiti delle case di accoglienza nella provincia di Lucca e nella regione
Toscana mi sentivo “disorientata” rispetto ai numeri che abbiamo noi a Roma. I dati che gentilmente
la segreteria del convegno mi ha fornito rivelano che la Regione Toscana ha 3.498.000 abitanti, la
Provincia di Lucca 381.630 abitanti, il Comune di Lucca, al 31/12/2002, 85.792 abitanti. Il Comune di
Roma, con l’ultimo censimento, quello del 2001, siamo a circa 3.400.000 abitanti. Quindi, gli abitanti
del Comune di Roma sono quasi come gli abitanti della Regione Toscana.
Abbiamo sentito in tutte le lingue in questa sala, quanto sia complesso il problema per la
partecipazione di vari attori, sia istituzionali che non; al Comune di Roma a ciò si aggiunge la
rilevanza numerica, il dato statistico. Nel 2003, i minori censiti, secondo tutto l’iter del Comitato
Stranieri, sono stati circa 1100. Con questo scenario dei numeri cerchiamo di andare ad affrontare poi
la problematica.
Prima di iniziare consentitemi di ringraziare l’équipe che lavora con me, in particolare l’assistente
sociale Claudio Catalucci che mi ha aiutato nella parte tecnologica.
La complessità del fenomeno è legata anche alla molteplicità degli attori che entrano in questo
processo che noi abbiamo chiamato “Azioni di sistema per gli interventi in favore dei minori stranieri
non accompagnati”. Il Comune di Roma è suddiviso in 19 Municipi, i quali gestiscono direttamente i
servizi sociali per la porzione di territorio di competenza. Esiste poi un’articolazione centrale, il
Quinto Dipartimento, per le “Politiche Sociali e Promozione della Salute”, che si occupa
prevalentemente della programmazione. Per cui i servizi sociali, come a Firenze, si articolano su due
livelli: il livello centrale per la programmazione e il livello periferico per la gestione.
Gli interventi in favore dei minori stranieri non accompagnati sono tra i pochi gestiti a totale carico
dal livello centrale, perché questa tipologia di minori non ha delle “radici” territoriali.
Al Quinto Dipartimento esistono più uffici che sono coinvolti nel processo di aiuto ai minori
stranieri: la Sala Operativa Sociale, attiva 24 ore su 24, che agisce su tutta l’emarginazione del
Comune di Roma, l’Ufficio Minori, che segue tutta la programmazione e valutazione della
residenzialità e non solo, e l’Ufficio Tutela Pubblica, che si fa carico del ragazzo da quando viene
aperta la tutela.
Si è cercato, innanzi tutto, di effettuare un coordinamento all’interno del Dipartimento stesso, tra i
vari uffici, e con gli Uffici Territoriali, là dove era necessario. C’è stato un intenso lavoro di scambio e
di collaborazione per creare una circolarità di informazione e per razionalizzare le risorse e le
conoscenze. In genere il primo approccio con il minore straniero non accompagnato avviene tramite la
Sala Operativa Sociale e poi inizia l’iter. Il principio alla base degli interventi quello di tutelare il
minore. Le finalità e gli obiettivi sono di attuare un sistema funzionale e ottimizzare le risorse. Il
metodo, lo abbiamo detto tutti, è la messa in rete, per garantire coerenza nelle scelte e razionalizzare le
risorse.
In un primo tempo le competenze per i casi dei minori stranieri non accompagnati, compresi i
pagamenti delle rette per la loro residenzialità, venivano effettuate direttamente dai Municipi; si
verificava, però, che i Municipi che avevano nel proprio territorio Centri di Accoglienza, si trovavano
a dover affrontare un aggravio di lavoro ed una spesa troppo elevata, per minori, tra l’altro, non
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residenti. Per queste ragioni dall’aprile 2003 tutte le rette vengono pagate centralmente dal
Dipartimento V.
Tornando all’iter, le Forze dell’Ordine procedono all’identificazione del minore; ma nonostante
ciò spesso si verificano incongruenze. Ieri sono stati esposti abbondantemente, i motivi per cui i
minori non hanno i documenti, non dicono l’età, ecc.. Le Forze dell’Ordine, dopo l’identificazione,
segnalano il minore alla Sala Operativa Sociale, che, come già detto è un call center aperto 24 ore su
24, e monitorizza i posti disponibili nei centri di Prima Accoglienza.
Il passaggio dalla forza pubblica serve anche perché, essendo Roma una città di transito, a volte
capita che i minori sono di passaggio, provenienti da Milano, Firenze,ecc. La segnalazione alle Forze
dell’Ordine è importante per ricostruire la provenienza e la storia dei ragazzi. Ripeto: i centri di
accoglienza sono aperti 24 ore su 24, sono seguiti da personale specializzato che accoglie il minore e
da qui inizia l’iter di aiuto.
Nel Comune di Roma i Centri di Prima Accoglienza sono due, per un totale di 55 posti. Abbiamo
parlato dei CPA come struttura a bassa soglia. Per struttura a bassa soglia s’intende di intensità
assistenziale media. Questo non vuol dire che il minore quando arriva non abbia un’accoglienza
appropriata, anzi, c’è uno staff di operatori, dagli assistenti sociali, agli psicologi, ai mediatori
culturali, che accolgono il minore per capire e conoscere quali sono le sue esigenze.
Purtroppo spesso nell’ arco delle 48 ore o della settimana si verificano degli allontanamenti, che,
come è stato detto anche dai rappresentanti del Comune di Firenze, sono nella maggior parte ragazzi
nomadi, che non “riescono” a fermarsi. Ma a fronte di questi ragazzi ci sono quelli che rimangono e
seguono l’iter, sono ragazzi motivati, che sono venuti per trovare un percorso maggiormente stabile.
L’ufficio Minori del Dipartimento V, nell’arco di 48 ore dall’ingresso del minore nel circuito,
riceve dal Centro di Pronta Accoglienza la scheda per il censimento su modello prestampato e l’invia
al Comitato Minori Stranieri.
L’ingresso in seconda accoglienza avviene subito dopo per quei minori che richiedono protezione:
ragazze tolte dalla strada o ragazzi ricercati in particolari situazioni di disagio o di rischio. Per questa
tipologia di minori vengono effettuati subito degli interventi mirati, inseriti in seconda accoglienza con
dei progetti di tutela e di salvaguardia dello stesso.
Per gli altri casi, il Centro di Prima Accoglienza, al momento dell’ingresso, invia comunicazione
alla Procura, e la richiesta al Giudice Tutelare della tutela pubblica, per richiedere il permesso di
soggiorno. Il Giudice Tutelare, a differenza di quello che si è detto per il Comune di Firenze, non fa
nessun tipo di indagine, apre la tutela. In genere passa un mese e mezzo o due mesi, e per abbreviare i
tempi tecnici per il rilascio del permesso di soggiorno, a volte, si anticipa la richiesta alla Questura, a
prescindere dall’arrivo della tutela.
Quando arriva il Decreto di Tutela al Sindaco di Roma, l’Ufficio Tutela Pubblica assegna un tutore
delegato, assistente sociale che svolge le funzioni connesse alla tutela.
Viene poi inviata la comunicazione della tutela: all’Ambasciata del paese d’origine, ovviamente se
non è richiesto l’asilo politico, al Comitato Minori Stranieri, alla struttura ospitante, e all’ Ufficio
Minori al fine di circolare le informazioni.
Inizia, da questo punto, una presa in carico vera e propria del caso per studiare e capire la storia del
ragazzo, conoscerlo, ascoltarlo e costruire con lui un progetto su misura (questa sicuramente è
l’intenzione, ci si prova) con tutte le difficoltà che sono state esposte da chi mi ha preceduto.
Gli operatori dell’Ufficio Tutela Pubblica si fanno carico del progetto d’intervento in favore del
minore, in collaborazione con gli operatori dei Centri di Prima Accoglienza: permesso di soggiorno,
documentazione sanitaria, iscrizione ai corsi professionali ecc..
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Quando si riesce a fare un progetto mirato in base all’esigenze del minore, si invia il minore in
seconda accoglienza: trattasi di case famiglia più dimensionate come numero di ospiti, fanno parte di
quei parametri di 6 o 8 persone al massimo, per dare la possibilità al minore di seguire un percorso
maggiormente mirato ed individualizzato.
Ovviamente i progetti vengono monitorati tramite: colloqui col minore, verifiche, accordi con il
Comitato Minori Stranieri circa le indagini svolte in patria, perché come si diceva stamattina, questa è
la parte fondamentale per capire se il minore ha le possibilità e i presupposti per il rimpatrio o per
restare in Italia.
Mi volevo un po’ soffermare su questa parte e sul passaggio alla maggiore età. Ieri se ne è parlato
tanto e si è detto tante volte che i ragazzi al compimento dei 18 anni vanno per strada. Questo,
purtroppo, è una realtà, perché in genere e secondo le finanze delle amministrazioni, a 18 anni si
conclude il percorso formativo e anche il percorso di pagamento degli istituti.Tutti sappiamo che a 18
anni, (chi ha dei figli adulti lo sa), non sono per niente autonomi. Statisticamente i ragazzi italiani a 30
anni, purtroppo, non sono indipendenti perché hanno difficoltà a trovare il lavoro, la casa, ecc. Questi
problemi sono più gravi per i minori stranieri in quanto sono più svantaggiati rispetto ai minori
italiani. Per cui il Comune di Roma ha cercato di risolvere questo problema creando dei “Progetti
Ponte”. Questi Progetti sono, allo stato attuale, in uno stadio iniziale; sono progetti pilota, che tentano
di trovare una formula per aiutare i ragazzi a “traghettare”, oltre i 18 anni, sino all’autonomia.
Il Comune di Roma ha dei Centri di Accoglienza gestiti da un altro ufficio, l’USI, (Ufficio
Speciale Immigrazione), per i maggiorenni con permesso di soggiorno, per cui i ragazzi, divenuti
maggiorenni, non possono accedervi perché non hanno ancora il rinnovo del permesso di soggiorno.
Questo può essere richiesto per la Questura di Roma non prima di un mese dallo scadere dei 18 anni e
per il rilascio occorrono dei tempi tecnici che abbondantemente superano i tre mesi, per cui c’era un
gap da coprire. E soprattutto, occorreva creare i presupposti: l’alloggio, il lavoro o l’affido familiare
(di difficile attuazione) come previsto dalla normativa. Per cui ci si è cercato di dare ai ragazzi
prossimi ai 18 anni la possibilità di avere un alloggio ed un percorso formativo. Questa opportunità è
stata fornita con un progetto denominato “Scuola di Volo”.
Questo progetto è stato accompagnato da accordi con l’Ufficio della Questura e con il Comitato
Minori Stranieri. Sono state espresse in più interventi le difficoltà di comunicazione con quest’ultimo
organismo. Si cercato di incrementare le comunicazioni con il Comitato Minori Stranieri ed inviare
notizie più dettagliate possibili sullo stato del minore e per fornire tutti quegli elementi necessari per
valutare la situazione, e per ottenere provvedimenti più adeguati alle reali condizioni dei ragazzi.
Nell’anno 2003, se non vado errata coi numeri, abbiamo avuto 9 luoghi a procedere, di cui solo 7 sono
stati effettuati.
Perciò la comunicazione serve a tutti i livelli, e questo sistema di rete, che stiamo cercando di
portare avanti, mettendo insieme i vari pezzi, serve per raggiungere l’obiettivo “the best” per il
minore, il maggiore interesse del minore.
Il progetto ponte “Scuola di Volo” è stato chiamato così perché vuole supportare i ragazzi nel
passaggio dall’età minore all’età maggiore, e consiste nel dare un’accoglienza residenziale al minore e
graduare l’assistenza a seconda il grado di autonomia raggiunto dal ragazzo. Vengono messe in atto
tutte quelle azioni volte a conoscere il minore per continuare, possibilmente, la formazione pregressa
ed individuare la prospettiva futura. I minori vengono avviati in percorsi di formazione lavoro, che
una volta conclusi, si cerca di tramutare in lavoro. Quando il grado di autonomia lo consente i ragazzi
vengono inseriti in appartamenti dell’organismo che gestisce il progetto. Se necessario il Comune
continua a intervenire per un periodo che può essere di 3 mesi rinnovabili, oltre i 18 anni; ciò al fine di
dare la possibilità ai nostri utenti di rinforzare la loro autonomia, anche finanziaria. Al raggiungimento
di una buona autonomia, il ragazzo contribuisce all’affitto e alla gestione dell’appartamento. Questo
progetto è iniziato nel 2004 ed abbiamo già inserito circa 25 ragazzi. Grazie a questo tipo d’
intervento, siamo riusciti a creare quei presupposti per ottenere il rinnovo del permesso di soggiorno al
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raggiungimento della maggior età: residenza, percorso formativo e la garanzia della presa in carico del
Comune. Con queste premesse a volte si è riuscito ad ottenere il rinnovo del permesso di soggiorno
anche per quei ragazzi che non avevano tutti i criteri previsti dalla normativa: i 3 anni di permanenza e
i 2 anni di percorso formativo. Come è stato detto più volte anche in questa sede, a volte arrivano
minori che hanno delle situazioni drammatiche alle spalle e non si ritiene umanamente opportuno il
loro rimpatrio.
Questi progetti sono nati dalla riflessione fatta dall’Amministrazione Comunale che, aver
impegnato tante risorse umane ed economiche per i minori, diveniva un cattivo investimento
concludere il loro percorso d’aiuto lasciandoli per strada, facili prede della mala vita organizzata,
soprattutto in una città come Roma. La spesa sociale pubblica avrebbe comunque poi degli aggravi in
altri settori (impegno delle forze dell’ordine, carceri, ecc.)
Per quanto riguarda i dati relativi alle presenze delle etnie in Italia, come riportato in tabella, si
nota un dato, confermato anche dall’intervento degli operatori del Comune di Firenze: la maggiore
presenza di ragazzi rumeni a fronte della diminuzione del numero di albanesi, storicamente più
numerosi.
Altro dato interessante, che conferma quanto rilevato in alcune città italiane, è l’aumento
dell’immigrazione da parte delle ragazze, che dal 25% sul totale dei minori immigrati nel 2002, è
passato al 33% sul totale del 2003. Questo fenomeno è in aumento anche nel primo trimestre del 2004,
pur rilevando una piccola flessione, ma probabilmente non sono stati ancora immessi tutti i dati a
disposizione.
Aggiornamento: Il processo di maggiore comunicazione ed il lavoro di rete svolto tra l’Ufficio
Minori e l’Ufficio Tutela Pubblica ha portato a progettare un Gruppo Integrato per l’Accoglienza e la
presa in carico dei minori stranieri. Questo progetto, entrato in sperimentazione nel settembre 2004,
prevede l’unificazione di parte del personale e delle procedure dei due uffici. Nello specifico questi
operatori (tecnici ed amministrativi) lavorano congiuntamente dall’ingresso del minore nel circuito di
assistenza pubblica, seguendolo sino alla sua uscita.
Questa unificazione si traduce, anche, nell’apertura di un unico fascicolo, nell’esistenza di un solo
schedario e di un’accentrata banca dati. Si evitano le difficili fasi dei passaggi del caso tra uffici
diversi, con i relativi scambi d’informazioni, eliminando perdite di tempi tecnici e improduttivi scambi
cartacei. Si prevede un’unica collaborazione con l’Ufficio del Giudice Tutelare, con il Tribunale per i
Minorenni (se incaricato del caso), con il Comitato per i Minori Stranieri, con la Questura, con le
AUSL e con il privato sociale che opera sul territorio.
Nella pratica un gruppo operativo prende in carico il minore nel momento della sua emersione dalla
clandestinità, attraverso le pronte accoglienze, sino alla formulazione di un progetto con lui condiviso,
inserendolo nelle strutture di seconda accoglienza. Da questo punto, ci si avvicenda con il secondo
gruppo di operatori, i quali si occupano del monitoraggio, la modifica e la prosecuzione del progetto.
Questo può prevedere anche una parte di percorso oltre la maggiore età, attraverso le strutture di semiautonomia; sino alla regolarizzazione del minore sul territorio.
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G R A F IC I & D A T I
G r a f ic i e la b o r a ti r e la tiv i a i m in o r i in c a r ic o a ll’U ff ic i o T u te la P u b b lic a .
D a ti s ta tis tic i e la b o ra ti d a lla B a n c a D a ti d e ll’U ffic io M in o ri d ip a rtim e n ta le ,
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In te rn a z io n a le .
M a g g io r i p r e s e n z e d i M .S .N .A . in T u te la P u b b lic a
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2002
2003
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(6 6 ,8 0 % )
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( 2 5 ,2 5 % )
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2002
2003
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( 6 7 .7 7 % )
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stru ttu re
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( 3 2 .2 3 % )
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48
357
54
(1 0 0 % )
(1 0 0 % )
(1 0 0 % )
(3 9 3 ) in g r e s s i
(4 4 9 ) in g r e s s i
(4 1 7 ) in g r e s s i
387
420
411
6
p r e s e n z e m in o r i s t r a n ie r i d is t r ib u it
i t e p e r n a z io n a l iitt à d a l 0 1 / 0 1
a l 3 1 /1 2
2002
N A Z IO N E
A fg h a n is ta n
A lb a n ia
2003
2004
stru ttu re
p r iv a t i
stru ttu re
p r iv a t i
4
0
26
0
154
14
98
10
B a n g la d e s h
21
0
7
1
B o s n ia
14
0
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0
E tio p ia
24
1
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1
E x -J u g o s la v ia
16
0
5
0
Iraq
23
0
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0
M arocco
57
16
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13
M o ld a v ia
51
0
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0
R o m a n ia
340
18
498
23
U c r a in a
13
0
8
0
(7 1 7 )
(4 9 )
(8 4 7 )
(4 8 )
7 6 6 (8 0 ,1 2 % )
A lt r e N a z io n i
8 9 5 ( 8 3 ,1 8 % )
190
181
956
1076
103
stru ttu re
p r iv a ti
7
p r e s e n z e m in o r i s t r a n ie r i d is t r iib
b u it e p e r n a z io n a l it à d a l 0 1 / 0 1
a l 1 5 /0 3
2002
2003
2004
s tru ttu r e
p r iv a t i
stru ttu re
p r iv a t i
stru ttu re
p r iv a t i
1
0
5
0
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0
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5
71
9
52
9
17
0
5
0
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B o sn ia
6
0
5
0
5
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E tio p ia
19
1
17
1
9
1
E x -J u g o sla v ia
4
0
3
0
12
0
Ir aq
8
0
3
0
2
0
M arocco
25
1
33
16
25
13
M o ld a v ia
32
0
24
0
37
0
R o m a n ia
57
12
136
18
136
24
N A Z IO N E
A fg h a n is ta n
A lb a n ia
B a n g la d e s h
U c r a in a
A ltr e N a zio n i
6
0
6
0
8
0
(2 9 6 )
(1 9 )
(3 0 8 )
(44 )
(3 0 8 )
(47 )
315
352
355
72
68
56
387
420
104
411
FRANCESCO ANGELINI
Presidente VII Commissione Politiche Sociali, Scuola e Cultura della Provincia di Lucca
Diamo la parola ai rappresentanti del Comune di Modena. Inizialmente ho detto che su quel Comune
sono nati degli studi e delle ricerche, sappiamo anche che stanno operando, e molto bene sul loro
territorio. Sono con noi la D.ssa Vanna Poli e Maria Grazia Stefanini a cui cedo la parola.
VANNA POLI
Pedagogista responsabile programma Minori Stranieri Comune di Modena
Intanto ringrazio di essere stata invitata dalla Provincia di Lucca, a parlare proprio dentro a un
contesto di reti, perché non vorrei ripetere quella che è la progettualità del mio Ente, molto simile al
Comune di Roma. Penso che la specificità della progettualità messa in atto a Modena, è proprio quella
di aver cercato di creare delle reti a livello locale per cercare di fare i progetti più adeguati per i minori
stranieri non accompagnati, (poi spiegherò un po’ quale è il quadro del servizio in cui opero), di aver
cercato di stimolare una rete a livello regionale dove le varie città si confrontano sulle prassi, sulle
relazioni che hanno con i tribunali, con le questure e con tutti quelli che lavorano con i minori
stranieri. Si è cercato di proporre come regione dei progetti di cooperazione internazionale, di
partecipare a una rete nazionale, diciamo proprio di verificare, confrontare le prassi nell’intento di
trovare buone prassi nell’accoglienza, gestione, sviluppo dei minori stranieri e l’aver cercato di
riflettere sul proprio progetto attraverso, adesso due ricerche, che andavano proprio a verificare le
motivazioni dei minori presenti sul nostro territorio (le motivazioni che li avevano fatti partire) nel
cercare di verificare quali erano stati i risultati a distanza di alcuni anni sugli ex-minori accolti e
portati a un livello di autonomia ed ad andare a verificare progetti diversi di accoglienza, tutela e aiuto
nello sviluppo del minore. Queste qui sono un po’ le direttrici che hanno sviluppato il progetto sul
minore straniero non accompagnato.
In particolare, mi occupo dei minori stranieri non accompagnati e delle ragazze vittime di tratta a
scopo di sfruttamento sessuale. Questa progettualità, attivata presso il Comune di Modena, vede il
Comune in prima linea nel prendersi la tutela dei minori e nel gestire tutti i percorsi socio-educativi di
integrazione. Il progetto di accoglienza e di lavoro con i minori assomiglia molto a quello di altri Enti
Locali a livello regionale e a livello nazionale, dove c’è un primo Pronto Intervento, un lavoro con i
minori per riuscire a capire la storia e le vicende che li hanno portato dentro al Pronto Intervento, un
lavoro per cercare nelle loro reti familiari e amicali se c’è la possibilità di affidare questi minori a reti
presenti in Italia, ma conosciute dal minore, facendo un grosso lavoro anche di sensibilizzazione di
queste famiglie o di queste persone nella collaborazione con l’Ente locale per occuparsi dei minori
affidati. Premetto che in questo caso la tutela rimane sempre del Comune, ma c’è l’affidamento alla
famiglia o alla persona.
C’è stato un lavoro con le Comunità, le prime dedicate a questa materia, dove sono presenti come
educatori anche dei mediatori culturali, nel lavorare con le agenzie formative: la scuola in prima
battuta, in modo tale che i minori possano essere inseriti in un contesto scolastico senza aspettare
molto tempo da quando arrivano in Pronto Intervento. E qui abbiamo lavorato proprio per creare una
relazione ed una comunicazione fra servizi. Per esempio, un minore straniero che arriva in un Pronto
Intervento a Modena non deve aspettare di entrare in una Comunità per iniziare un suo progetto
rispetto alla lingua italiana, alla conoscenza dei servizi, alla conoscenza della città o a un inserimento
scolastico, in quanto l’Assessorato all’Istruzione fornisce proprio dei mediatori culturali, dei tutor
scolastici, e quindi si dà la possibilità di immettere subito il minore dentro un progetto specifico che lo
riguarda. Questo è uno dei tanti esempi. Il lavoro che abbiamo fatto con le scuole di formazione
professionale affinché prima facessero dei corsi ad hoc più adeguati a questi minori, e poi
successivamente nello sviluppare proprio la possibilità immediata di immettere il minore nei corsi di
105
formazione professionale. Sviluppare possibilità di tirocinio durante la formazione, sviluppare, dare
borse di lavoro e di inserimento nel mondo lavorativo.
Adesso stiamo cercando di sviluppare invece modalità diverse di accoglienza proprio perché il
fenomeno dei minori si è trasformato. Mentre alcuni anni fa avevamo dei minori che arrivavano nella
fascia di età di 16-18 anni, quindi con una loro volontà migratoria, una loro idea in testa di
inserimento, oggi purtroppo abbiamo un grosso abbassamento dell’età, quindi noi rischiamo di avere
dei bambini molto piccoli, 10-11 anni, che hanno bisogno di essere portati, attraverso un grosso sforzo
educativo, sociale, ma anche di una forte relazione affettiva, in contesti diversi, che non siano le
Comunità, fino al diciottesimo anno di età oppure fino a quando il Comitato Minori Stranieri, che ha
l’impegno di verificare nel paese di origine le condizioni, non prenderà una decisione su questo
minore. Quindi stiamo cercando di diversificare quelle che sono le risorse, di trovare delle possibilità
di affidamento familiare a famiglie della stessa etnia dei minori. Penso che questo sia un discorso
molto complesso, molto difficile, proprio perché noi chiediamo a famiglie che hanno vissuto il primo
momento di arrivo, di migrazione, di integrazione che stanno cercando di gestire attraverso i propri
figli un’integrazione più matura, chiediamo a queste persone di aiutarci a trovare un sistema familiare
dove poter crescere questi ragazzi.
Abbiamo anche pensato a quello che in fondo è un desiderio: il ritorno dei ragazzi, perché nella
ricerca che abbiamo effettuato, nessuno di loro dice che nel momento in cui ci saranno le condizioni
per avere le stesse possibilità di sviluppo che hanno nel nostro paese, non desidererebbero ritornare nel
loro contesto sociale all’interno della loro famiglia. E da qui è nata l’idea di un Progetto Daphne, di
cui vi parlerà in modo più dettagliato Grazia Stefanini, nell’andare a mappare quelle che sono le
risorse sociali, formative, istituzionali, di un paese a noi più vicino, che è l’Albania, in modo da
creare proprio dei collegamenti fra chi lavora su stati socio-educativi dei minori nel nostro paese e chi
sta lavorando in Albania e può essere in grado di riaccogliere il minore, continuando, creando una
linea di continuità fra quello che è il progetto concordato con il ragazzo e che sta facendo in Italia, con
la possibilità di continuarlo, terminarlo e svilupparlo nel suo paese di origine.
Mi rendo conto che sto andando molto velocemente su piani diversi e difficili da poter coniugare
nella realtà. Però posso dire che dopo il lavoro fatto di mappatura in Albania, quando parlo con i
ragazzi e con i parenti, famiglie, riescono a capire molto velocemente il vantaggio di questo progetto,
cioè, la possibilità di essere di aiuto e sostegno per un pezzo di sviluppo del minore nel nostro paese
con una possibilità di sbocco nel paese di origine. Anche per loro diventa meno difficile pensare al
loro aiuto e al loro sostegno, perché comunque hanno la possibilità di vedere che c’è un posto dove il
minore può continuare il suo progetto.
Mi sembra che questo sia molto importante anche nei casi dove si vede chiaramente che il minore
sviluppa dei sintomi di disagio nel continuare un progetto in Italia, dove proprio restituirlo alla propria
cultura, alla propria terra, al proprio ambiente, potrebbe essere di grosso aiuto al minore. Penso
soprattutto ai bambini che arrivano oggi, dove la motivazione che hanno dato per arrivare in Italia
possono essere anche molto banali, adatte ad un bambino piccolo. Io ho sentito dire “Sono venuto in
Italia perché mi hanno promesso che qui mi danno la cioccolata e la playstation”. Molto diverso dal
ragazzo che due anni prima arrivava e diceva “Io vorrei fare questo lavoro, vorrei essere formato su
questa materia”, dove si faceva un contratto e dove ogni volta che c’era una crisi nel contratto si
ritornava a discutere cosa era che non aveva funzionato e quindi si rifaceva un nuovo contratto, un
nuovo percorso e una nuova possibilità di proseguire, cosa che oggi non c’è più.
Ora lascerei che la D.ssa Stefanini entrasse nei particolari sia delle varie ricerche, che cosa ci
hanno detto e perché ci hanno fatto pensare a modificare il nostro Progetto .
106
GRAZIA STEFANINI
Ricercatrice del Consorzio Pluriverso e consulente del Comune di Modena per il progetto
“Minori Stranieri”
Grazie mille. Grazie soprattutto di questa occasione di poter partecipare, prendere parte attiva a
queste due giornate, ma anche poter partecipare come uditore, perché io penso che tanto per me come
per Vanna sia stato una giornata molto interessante e ricca, soprattutto penso ai contributi che ci sono
arrivati dagli ospiti dalla Francia, dall’Algeria e dal Marocco. Molto ricca ripensando anche
all’approccio che adesso vi andrò a raccontare che noi stiamo tentando di avere su questo tema dei
minori stranieri non accompagnati. Faccio una precisazione: io non lavoro per il Comune di Modena
internamente, ma sono una consulente, faccio parte di una organizzazione esterna che, però, è partner
con il Comune di Modena, con l’Assessorato alle Politiche Sociali per collaborare su progetti che noi
chiamiamo “innovativi” sul tema dei minori stranieri non accompagnati. Progetti innovativi perché?
La dottoressa Vanna Poli prima vi parlava di queste iniziative di ricerca che sono state fatte sul
territorio modenese, che sono partite dell’esigenza di comprendere, fondamentalmente, il fenomeno
della migrazione, dell’arrivo di questi ragazzi presso il territorio di Modena.
Abbiamo dei numeri, che sono piuttosto alti per un territorio relativamente piccolo come la città di
Modena, quindi, la necessità era quella di capire cosa portasse qui questi ragazzi, capire anche che
cosa potessero trovare e quali risposte si potessero mettere in campo per essere più efficaci nel fornire
una possibilità di tutela.
Questa iniziativa di ricerca che è stata piuttosto approfondita, ci ha portato a trarre alcune
conclusioni, per lo meno ad arrivare ad alcune consapevolezze. Consapevolezze forse è una parola
ambiziosa, diciamo ad alcune convinzioni. La prima è che, affrontando il problema dei minori
stranieri non accompagnati sul nostro territorio, ma anche alzando un po’ lo sguardo e cercando di
capire cosa succedeva all’esterno, se non altro a livello italiano, ci siamo resi conto che c’era una
frammentazione enorme delle risposte che a livello locale vengono date a questa presenza. Questo
vuoi per le possibilità economiche, sociali, intrinseche ad ogni realtà locale, vuoi per il
condizionamento che il nostro ordinamento giuridico ci dà o non ci dà, a seconda dei punti di vista.
Una grossa frammentazione a livello italiano. Questo sicuramente non giova a una strategia
complessiva che potremmo tentare di leggere a livello nazionale di tutela di questi piccoli migranti.
L’altra convinzione a cui siamo arrivati è una cosa che è stata ribadita più volte questa mattina, da
porta-voci che rappresentano comunità che noi stiamo anche accogliendo, è il fatto che la presenza del
minore straniero non accompagnato non è un presenza alla quale poter contrapporre delle risposte che
vanno esclusivamente a esplicitare interventi sul piano sociale, perché questo è un fenomeno sociale
sicuramente, ma è anche prima di tutto un fenomeno migratorio. In quanto tale, deve essere
approcciato con gli strumenti che il flusso migratorio ci chiede di mettere in campo e che non possono
prescindere della relazione con il territorio di origine, la relazione con il paese che ha una
corresponsabilità su questo movimento di persone. Siamo entrambi responsabili, con ruoli diversi,
però siamo chiamati in causa entrambi.
Si parla di paesi come Italia, o di paesi di origine come Albania, Marocco, Romania o quale possa
essere, ma si parla soprattutto di territori. Modena, ad esempio, se si pensa al Marocco, è apparentata
con la provincia di Benimelal. Quindi, vediamo che rispondere alla presenza dei minori stranieri non
accompagnati (almeno questa è una riflessione che noi abbiamo fatto a Modena) può essere a volte un
richiamo ad alzare lo sguardo e guardare dall’altra parte del mare, appunto, del Mediterraneo, nel
paese di origine, nella provincia di origine, se pensiamo al Marocco che è la nostra comunità più
presente, alla provincia di Benimelal e capiamo che c’è una parentela innata, che viene prodotta in
modo naturale, non per volontà delle Istituzioni che stanno in entrambe le province, ma per semplice
movimento, flusso naturale di persone.
Per capire cosa noi possiamo offrire a questi ragazzi sicuramente dobbiamo andare a conoscere la
loro realtà. Ma non solo conoscerla, ma dobbiamo tentare di collaborare con questi territori che hanno
107
dei percorsi espulsivi rispetto a questi minorenni, ma che possono anche rappresentare dei territori di
risorsa, là dove si vada a pensare nei rimpatri assistiti o di risorsa in termini di relazione tra paesi con
culture e patrimoni culturali, economici e sociali diversi.
È verissimo quello che diceva l’ospite di questa mattina, che non si può pensare ad un progetto di
accoglienza senza prima tentare di comprendere la dinamica delle motivazioni che hanno portato qui
questo ragazzo, questo minorenne; quali sono le ragioni che lo hanno portato e non è detto che sia
necessariamente la povertà, come diceva Valeria Rossato questa mattina. Possono essere diverse,
possono essere il fatto che questi ragazzi sono giovani che vogliono vedere il mondo.
Tutto questo ci ha portato a tentare di aprirci nuove strade, che vanno aldilà dell’intervento che
chiaramente quotidianamente viene messo in pratica nell’accogliere questi minori. Ci ha portato a
promuovere un’iniziativa transnazionale, che è il Progetto Daphne, che è un progetto finanziato
all’Unione Europea. La Comissione Europea promuove questa linea di finanziamento che si chiama
Daphne, che è dedicata al tema della tratta di minori, la violenza sui minori. All’interno di questo
quadro noi abbiamo proposto un’iniziativa che andava a mettere insieme alcuni territori italiani
(Modena fra questi, chiaramente), e in Spagna e in Grecia, per tentare di arrivare a degli scambi di
informazioni. Questo presupponeva che ci fossero dei momenti di ricerca, di raccolta di informazione,
in ciascuno dei nostri territori. Ci sono state condotte delle ricerche parallele in vari territori italiani, in
Spagna, in Grecia, sul fenomeno della presenza dei minori stranieri non accompagnati, delle
dinamiche che li portano nei nostri territori a abbiamo avuto dei momenti di scambio. Questo risponde
a quella che è stata una prima consapevolezza: il bisogno di colmare frammentarietà, la conoscenza, di
cercare di omogeneizzare per lo meno quelle che possono essere le buone prassi da mutuare, sia a
livello italiano che a livello internazionale.
Questo Progetto Daphne ci ha fornito la possibilità non solo di capire cosa succede in altri territori
oltre a quello italiano, oltre al nostro di Modena. Ci ha anche consentito di avere un quadro più
complessivo di questo aspetto del flusso migratorio. Perché comunque è interessante andare a capire
cosa succede in Spagna quando arrivano, ad esempio, a Madrid, migliaia di questi ragazzi, molto
spesso dal Marocco. I meccanismi che scattano si vede che sono molto spesso gli stessi; gli aspetti di
tutela, che la società che lavora nel sociale attiva, sono più o meno gli stessi. È utile andare a
confrontarsi su questo perché si possono, appunto, anche mutuare strumenti.
Quindi, il Daphne è stata per noi un’esperienza importante che, peraltro, si è conclusa da
pochissimo e che ci ha quantomeno consentito di avviare una relazione con realtà che rispondono a
questo problema in altri territori italiani e in altri paesi dell’Europa.
Un’altra iniziativa che abbiamo tentato di avviare, con la collaborazione forte della sensibilità
della nostra Regione, la Regione Emilia-Romagna, sempre nell’ottica di ovviare questa
frammentarietà nel cercare una relazione tra territori, abbiamo proposto alla Regione EmiliaRomagna, ed è stato accolto, di creare un tavolo tematico che portasse tutte le province della Regione
Emilia-Romagna a trovare un luogo di ragionamento comune, anche di iniziativa comune, sul tema dei
minori stranieri non accompagnati. Questo è stato fatto ed è una esperienza che ha avuto ottimi
risultati. Fanno parte di questo tavolo tematico i principali Comuni della Regione Emilia-Romagna, tra
cui Bologna, che vedo che è presente.
La cosa interessante è che non solo si è creato un luogo di riflessione, di scambio, di messa a
registro, a sistema, a livello almeno regionale di quelle che sono le strategie di accoglienza, le
politiche di accoglienza e le visione che si possono avere su questo tema; ma è nata anche una
propositività, in termini progettuali. Questa ha avuto come prima esigenza quella di rivolgersi al
dialogo proprio con i paesi di origine ed è nato così un progetto che sta avviandosi adesso e che vede
come titolare un parternariato di comuni (il Comune di Modena, il Comune di Bologna, il Comune di
Parma e di Piacenza, insieme alla Regione Emilia-Romagna), che hanno preso l’iniziativa di andare in
Albania (abbiamo scelto in questo caso l’Albania perché è un paese che comunque continua ad essere
108
apparentato con noi per il flusso migratorio e con il quale abbiamo una facilità di relazione per
tradizione storica).
Abbiamo costruito un contenitore, che è, appunto, questo progetto, che ci ha consentito di avviare
una collaborazione reale sul tema della migrazione dei minori da soli, con l’Albania, in realtà con
alcuni territori di questo paese, però, a partire dal livello centrale, cioè, dal Ministero degli Affari
Sociali. L’Albania adesso sta, fra l’altro, rielaborando il proprio sistema dei servizi sociali, li sta
sviluppando sul territorio nazionale ed è il momento più opportuno anche per noi per riavviare un
dialogo al fine di sensibilizzare e di collaborare con il Ministero (è accaduto con i territori che più
sono quelli di provenienza dei minori che sono presenti nelle nostre zone) e avviare una
collaborazione che va principalmente su due direzioni. La prima è quella di trovare il luogo formale
per sviluppare questa collaborazione e probabilmente questo progetto ci darà la opportunità di crearlo,
passando chiaramente, dalla Regione quale interlocutore principale.
L’altro obiettivo fondamentale è quello di lavorare sulla prevenzione. Ieri si è parlato molto di
rimpatrio, oggi c’è stata occasione di tornare su questo argomento. I rimpatri, però, abbiamo visto che
sono delle vicende occasionali, delle misure che vengono prese molto spesso o su minori sui quali il
Comitato si esprime in questo senso, o per minori che hanno la volontà di ritornare o quando ci sono
dei problemi particolari. Non è uno strumento che normalmente viene utilizzato dall’Ente Locale
come gli altri strumenti di accoglienza del problema del minore che arriva. Questo è un argomento che
va a sostanziare una convinzione che anche in questo caso abbiamo raggiunto: il fatto che,
probabilmente, prima ancora che andarsi a concentrare nello sviluppare relazioni con i paesi di
origine, sul tema del rimpatrio assistito, è fondamentale andare a collaborare sulla prevenzione e
l’informazione rispetto al flusso migratorio che aspetta a questi ragazzi che magari, senza tanto essere
consapevoli rispetto a quello che può aspettarli nel partire da casa propria, andranno a incontrare una
volta che arrivano da noi. Non sempre loro troveranno la possibilità di essere accolti, noi, purtroppo,
abbiamo le mani legate tante volte e lo sappiamo bene.
Questo sarà un po’ il cuore dell’iniziativa che porteremmo avanti: cercare di trasmettere
informazioni corrette su come si fa a pianificare una migrazione verso il nostro paese. È giusto che
queste persone possano pensare di voler migrare qua, non è il “non venire” che li vorremo andare a
dire, è il “vieni, sapendo come fare ad arrivare per tutelarti”.
Grazie a tutti.
FRANCESCO ANGELINI
Presidente VII Commissione Politiche Sociali, Scuola e Cultura della Provincia di Lucca
Ringraziamo le Dottoresse del Comune di Modena, per il grosso contributo dato al dibattito per la
concretezza del loro lavoro, per il fatto che analizzano e ricercano su un problema in divenire,
andando poi oltre, andando a metterlo in casa di coloro che potrebbero diventare i nostri ospiti.
Potremmo procedere dando la parola a Madame Harrak, Magistrato presso la Corte Suprema al
Ministro di Giustizia Marocchina.
NAZIHA HARRAK
Magistrato della Corte Suprema presso il Gabinetto del Ministero della Giustizia del Marocco
Prima di tutto vorrei ringraziare la Provincia di Lucca per l’invito. Vorrei approfittare di questa
occasione per ringraziare i miei colleghi, i Magistrati francesi, per l’accoglienza, per gli scambi
professionali e culturali. Vorrei anche farmi sentire dall’Associazione Giovani Erranti, soprattutto per
render loro un grande omaggio per il lavoro grandioso che è stato fatto e che continua ancora a fare
per l’infanzia in generale e l’infanzia in situazione di vagabondaggio.
109
Ho il piacere di parlarvi di qualche aspetto della situazione giuridica della famiglia, della donna e
dei bambini in Marocco. Qualcuno si chiederà quale è il rapporto che sussiste tra il nostro argomento
del Seminario e gli aspetti giuridici della famiglia, del diritto di famiglia. Credo che questo interesse
sia molto specifico, che ci sia un rapporto molto stretto fra l’argomento della Conferenza, i minori in
situazione di vagabondaggio e l’aspetto giuridico, che riguarda la famiglia, il nucleo familiare, poiché
una buona strutturazione, una buona normativa insieme alla famiglia non può essere che un fattore
positivo che favorisce la diminuzione del disequilibrio del tasso di divorzio e conseguentemente anche
la riduzione del numero di minori in situazione difficile che sarebbero candidati all’emigrazione
clandestina.
L’argomento che devo affrontare oggi riguarda il Codice della Famiglia. Questo codice ha un
grande successo in Marocco. Mai nessuna legge come questa ha avuto un tale successo, una legge che
come cosa essenziale ha recepito il consenso nazionale da parte di tutti i preposti. Il nostro punto di
vista è questo: questa legge è il modo di rendere stabile la democrazia in Marocco, poiché dopo vari
anni anche di azioni di militanti di partiti politici, di organismi e associazioni non governative,
associazioni di diritti dell’ uomo, di donne che hanno proclamato, ovviamente, il Codice della
Famiglia o il Codice dello Statuto Personale, Il Re, Sua Maestà, aveva dato il suo assenso favorevole,
però non ha potuto avere questa legge sotto forma di dahir. E questa è stata una delle prime
prerogative che è stata garantita dalla Costituzione, ma il Re, Sua Maestà, ha preferito lasciare questa
legge al dibattito e al Parlamento, al dibattimento parlamentare.
Ho avuto la possibilità di partecipare ai dibattimenti, in seno alla Commissione dei Diritti
dell’Uomo in sede parlamentare e posso garantirvi che questa legge, è stata analizzata in modo
approfondito e tutti i partiti hanno discusso, però quello che ho constatato è che vi era sempre un
consenso. Tutti si trovavano d’accordo sul fatto che la difesa dei diritti dell’uomo sia una priorità
nazionale per il mio paese, che lavora per l’unificazione e il rafforzamento delle libertà individuali e
collettive nella convinzione che questo costituisca un elemento essenziale per lo sviluppo socioeconomico e culturale. Il Regno del Marocco dal 1990 ha sempre intrapreso tutta una serie di misure,
sia dal punto di vista normativo che dal punto di vista istituzionale, per rendere più radicale la cultura
del diritto dell'uomo e le variazione giuridiche a livello internazionale. Queste azioni sono state
concretizzate con un ampio movimento di riforme e di adattamento specifico dei testi delle leggi,
come il Codice Penale e il Codice della Famiglia.
Vorrei presentarvi le principali novità del Codice della Famiglia, adottate ed entrate in vigore
pochi mesi fa. Questo nuovo Codice della Famiglia ha varie innovazioni piuttosto audaci, che sono
fondamentali e possono contribuire alla risoluzione dei problemi fra le spose e i mariti o i genitori e i
figli. Questo Codice dà vari vantaggi alla famiglia come base della società. Ci sono varie disposizioni
per quanto riguarda le vertenze che riguardano statuto personale ad un procedimento giudiziario che
possa favorire la possibilità di tutela e motivazione dei giudizi, delle sentenze e anche ricorrere in
appello. Nel Codice della Famiglia il legislatore ha permesso ai mariti e alle mogli di descrivere la
loro condizione nell’atto di matrimonio. Queste condizioni sono degli impegni fra le due parti per
l’identificazione di una famiglia che sia basata sul compromesso in conformità delle condizioni
vincolanti dal punto di vista giuridico e giudiziario, non solo da un punto di vista religioso, come era
prima.
Il nuovo Codice della Famiglia comporta e tratta la questione dell’accordo sul modo di organizzare
e gestire i beni acquistati prima del matrimonio, organizza gli aspetti per quanto riguarda la custodia
dei figli, l’educazione dei figli dopo il divorzio, se questo sopraggiunge, riducendo il ruolo del giudice
al solo controllo di questo accordo, in modo tale da conservare gli interessi dei bambini. Il Codice
della Famiglia dà un’importanza notevole al bambino e alla donna come componenti principali della
famiglia.
Per quanto riguarda i minori, si può dire che il nuovo Codice della Famiglia ha potuto stabilire
quello che è l’equilibrio in sé nella famiglia ed è soprattutto a favore dei bambini, dei figli. Inoltre, il
110
governo del Marocco non ha cessato di dimostrare la sua volontà di sostenere tutte le azioni condotte a
favore dell’infanzia, sia con azioni governative e della società civile, sia attraverso la sua apertura alla
cooperazione internazionale.
L’interesse è anche dato alla donna che ha diritto, dopo avere raggiunto l’età legale, di sposarsi
liberamente ed è diventata responsabile degli affari domestici. La donna ha varie prerogative
nell’educazione dei figli e ha il diritto di partecipare insieme al padre alla tutela dei diritti del
bambino. Nel caso di nuovo matrimonio, il legislatore le dà il diritto di tenere con sè i figli fino all’età
di 7 anni.
In modo generale possiamo dire che con il nuovo Codice della Famiglia abbiamo una
consacrazione del principio dell’uguaglianza fra l’uomo e la donna a livello di giustizia ed
uguaglianza e soprattutto il rafforzamento dei diritti del bambino. Effettivamente possiamo dire che
siamo di fronte ad un vero e proprio progetto di una nuova società. Per quanto riguarda l’uguaglianza
a livello di responsabilità, la famiglia sarà data in responsabilità congiunta ai due coniugi.
Di fronte a questo nuovo codice, abbiamo abbandonato la regola dell’ubbidienza della moglie al
marito come controparte del mantenimento della moglie. In questo codice abbiamo abolito la regola
che rendeva sottomessa la donna nel matrimonio, alla tutela di un componente della famiglia. La
donna maggiorenne può fare la propria scelta ed esercita la propria volontà con pieno consenso. Un
altro aspetto dell’uguaglianza fra la donna e l’uomo, per quanto riguarda l’età del matrimonio che è
stabilita in modo uniforme, all’età di 18 anni, invece che di 18 per l’uomo e di 15 per la donna, come
era previsto nel vecchio codice.
Il ripudio e il divorzio sono stati definiti come una dissoluzione dei legami matrimoniali che
esercitano il marito e la moglie con il controllo giudiziario. Un nuovo aspetto, perché nel vecchio testo
il ripudio e il divorzio rappresentavano una prerogativa esercitata dal marito in modo discrezionale e
soprattutto abusivo. Con questo nuovo codice abbiamo creato il nuovo principio, del divorzio
consensuale con controllo del giudice, un aspetto molto recente nell’attività forense di questo codice.
La poligamia è ormai sottomessa all’autorizzazione del giudice, delle condizioni legali, che
sono molto rigide. Il giudice deve sincerarsi che non ci sia nessuna presunta disuguaglianza ed essere
convinto delle capacità del marito a trattare la seconda moglie nello stesso modo che la prima cioè
garantire le stesse condizioni di sussistenza alla seconda moglie e ai figli. La donna può addirittura
chiedere al marito di non risposarsi, considerando che questo è uno dei suoi diritti. In assenza di
questa condizione, la prima moglie deve essere avvisata che il marito sarà in grado di sposarsi e la
seconda informata che ha già una moglie. La moglie può utilizzare il matrimonio del marito per
chiedere il divorzio, proprio per lesione di cui si è resa oggetto.
L’attuazione del Tribunale di Famiglia e anche la creazione di un fondo di aiuto familiare sono
delle misure per permettere un’ottima attuazione efficace del Codice della Famiglia. Sono disposizioni
che erano prima inesistenti nel vecchio testo.
La tutela della moglie nell’esercizio del divorzio, nella nuova procedura può garantire i diritti della
donna. Poi il giudice deve rafforzare i mezzi attraverso la famiglia ed esigere anche il fatto di
assolvere il marito senza che il divorzio sia pertanto registrato, il ripudio verbale da parte del marito
non è più valido. Il divorzio è ormai giudiziario e vi è un rafforzamento del diritto della donna a
chiedere il divorzio per il danno subito (donne che sono state picchiate o che non hanno mezzi di
sussistenza). Il divorzio può essere pronunciato dal giudice alla richiesta della moglie. Inoltre, se
manca una delle condizioni stipulate nell’atto di matrimonio, questo può giustificare la richiesta di
divorzio da parte della donna. Nel vecchio testo era molto difficile per la moglie dimostrare la lesione,
il torto. E per quanto riguarda la ripartizione dei beni acquistati durante il matrimonio e il principio
della separazione dei beni, la legge ha introdotto la possibilità delle mogli di trovarsi d’accordo in un
documento separato dell’atto matrimoniale per definire un quadro per la gestione dei beni acquistati e
percepiti durante il matrimonio. In caso di dissenso, si dovrebbe fare ricorso al giudice che si basa
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sulle condizioni generali idonee della prova per valutare il contributo specifico di ognuno dei due
coniugi ai beni acquistati durante il matrimonio, questa possibilità era inesistente nel vecchio testo.
Per quanto riguarda il rinforzo dei diritti dell’infanzia o dei figli, in questo caso possiamo parlare
anche di varie leggi che sono state vagliate a livello internazionale. Il Marocco ha aderito a queste
leggi soprattutto quella riguardante l’interesse superiore del bambino e non la discriminazione a livello
sessuale. Il Marocco ha aderito a varie disposizioni e convenzioni internazionali per quanto riguarda il
diritto di famiglia e nel Codice della Famiglia abbiamo avuto una consacrazione di questi principi.
Per quanto riguarda la custodia dei figli, la nuova legge ha introdotto anche la possibilità della
donna di avere in certe condizioni la custodia dei figli anche dopo essersi nuovamente risposata, o
anche se è andata ad abitare in un altro luogo; può avere nuovamente la custodia dopo causa
volontaria o involontaria che è stato origine della destituzione della custodia dei figli.
La custodia dei figli è data alla madre, poi al padre e poi alla nonna materna e in casi di
impossibilità il giudice decide di affidarli a quello più indicato ad assumerlo tra i vari parenti del
bambino in considerazione dell’interesse superiore di quest'ultimo. Nel vecchio testo l’intervento del
giudice nell’interesse del bambino non esisteva. Il testo si limitava a enucleare i parenti dei genitori
che avevano richiesto la custodia senza prendere atto delle loro effettive capacità a farsi carico del
bambino. La tutela del bambino, per quanto riguarda il riconoscimento di paternità in caso di nuovo
matrimonio, non sarebbe formalizzata da un atto per dei motivi di forza maggiore e attraverso
l’allargamento delle prove legali da presentare in attività forense. Nel vecchio testo la regola era il non
riconoscimento del bambino. La sola prova di paternità consisteva nella produzione di dodici
testimoni, che era una procedura piuttosto complessa ed arcaica.
Per quanto riguarda la custodia dei figli, una garanzia è possibile. Si tratta di dare una accettazione
decente secondo quello che è lo statuto sociale prima del divorzio, un obbligo diverso rispetto agli
alimenti. Nel vecchio testo gli alimenti erano derisori e non erano specificati per quanto riguarda i
beni pagati per i figli.
Per concludere possiamo dire che il Marocco vive una rivoluzione dolce il cui obiettivo è quello di
creare uno stato di diritto, una vera democrazia che sia rispettosa dei diritti umani, delle libertà, di tutte
le garanzie fondamentali.
(Relazione non rivista dall’autore)
FRANCESCO ANGELINI
Presidente VII Commissione Politiche Sociali, Scuola e Cultura della Provincia di Lucca
Passerei ora la parola alla D.ssa Dominique Lodwick, Direttrice dell’Associazione”Giovani
Erranti” di Marsiglia.
DOMINIQUE LODWICK
Direttrice dell’Associazione”Giovani Erranti” di Marsiglia
Prima di iniziare vorrei prendere atto del senso di responsabilità e la grande modestia dei
magistrati marocchini che questi ultimi anni, con tutto il lavoro che hanno fatto sul Codice della
Famiglia, sul Diritto di famiglia, hanno avuto comunque il tempo e la gentilezza di parlare con noi,dei
loro problemi, dei minori isolati e dei piccoli marocchini. Ma devo dire che i magistrati marocchini
sono molto modesti, hanno dato testimonianza di una grande genialità per quanto riguarda l’Europa.
Quindi, grazie tante, Naziha.
Siamo in un sistema di lavoro, in un contesto lavorativo da due giorni, che è ottimale, perché è
una cosa che non ha ambiguità, è molto chiara. Parlo come Direttrice dell’Associazione “Giovani
Erranti”di Marsiglia e come un educatore, un professionista nel quadro associativo. Prendo un po’ le
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distanze, però sono autorizzata a dire la mia opinione. Siamo in una situazione molto chiara, perché
abbiamo sentito i rappresentanti di almeno quattro Enti molto importanti: la Provincia di Lucca, la
Regione Toscana, la Regione Paca e la città di Roma, che indirettamente si è espressa in questo
consesso. Sono quattro enti firmatari della Carta Euro-Mediterranea della Rete REMI che riguarda la
tutela dei minori isolati. Non voglio parlare riguardo a quello che è stato detto questa mattina dai vari
rappresentanti politici, che sono stati molto chiari, perché noi non siamo invitati a discutere se bisogna
o no occuparsi dei bambini. Questo lo sappiamo, dobbiamo occuparcene, dal punto di vista politico ci
sono vari orientamenti e quindi la domanda che si pone è quella di sapere come bisogna occuparsene
di questi minori e come possiamo migliorare la presa in carico di questi bambini.
Siamo vari partner presenti a questa Conferenza,e avendo in questi due giorni fatto dei censimenti,
ho costatato che sono presenti 15 Associazioni, italiane, francesi, algerine, marocchine, come vedete
una categoria molto ampia e nutrita di partner. Queste Associazioni hanno messo assieme dei
professionisti, e poco importa che siano volontari o che siano degli stipendiati, sono persone come
degli stake-holders, degli attori che sono direttamente sul campo, che sono a contatto con il pubblico,
che devono gestire questo problema. Una seconda categoria di partner sono coloro che hanno la
capacità di prendere decisioni sociali, amministrative e giudiziarie, posizione molto difficile, perché
sono loro che dovranno prendere delle decisioni importanti e che potranno determinare quello che è
l’avvenire di questi minori o almeno il loro avvenire immediato per i giorni, per le settimane e mesi
che verranno. La terza categoria di partner sono gli eletti, i politici.
Credo che tutti noi dobbiamo, sicuramente, occupare la nostra funzione, in modo tale da poter
progredire con molta chiarezza, quindi essere consapevoli dei nostri incarichi. Vorrei rivolgermi ai
miei colleghi, ai partner, ai professionisti, alle Associazioni, alle persone che sono direttamente in
campo e che su base giornaliera, quotidiana, devono trattare queste cose col pubblico. È molto
importante mettersi bene d’accordo e che si parli senza reticenze su un certo numero di cose, in modo
chiaro, netto senza cose fuorvianti. Abbiamo la possibilità di lavorare effettivamente in una Rete che
si chiama REMI alla quale hanno aderito vari Enti, vari Organismi. Si tratta di una decisione politica.
Ma non sono i politici, ovviamente, che sono in campo, che giorno dopo giorno cercano di rispondere
o di inventare risposte migliori per rispondere ai bisogni di questo pubblico e di questi minori. Credo
che noi abbiamo una grossa responsabilità,dobbiamo fare un lavoro che nessuno potrebbe mai fare al
nostro posto. Credo che noi possiamo chiedere ai politici di darci degli orientamenti, di sostenerci; ma
dobbiamo, da parte nostra, essere chiari, fare delle proposte di azioni concrete perché ognuno resti al
proprio posto, però con le proprie responsabilità.
Molto spesso noi professionisti abbiamo subito questa forma di ingiunzione paradossale. Ci dicono
di occuparci di questi problemi, ma non troppo, perché se ce ne occupiamo troppo, i bambini credono
che potranno restare, che saranno tutti regolari e la cosa non sarà possibile per problemi di ordine
pubblico, di sicurezza. C’è un modo come professionisti e come cittadini di trattare il problema,
ovvero lavorare senza farsi problemi o toppe domande di coscienza e il sabato invece scendere in
piazza per aiutare i manifestanti. Credo che non sia coerente e che siamo veramente stanchi di questo
tipo di funzionamento. In questo caso, l’azione da mettere in campo è questa: "integrare i valori in cui
crediamo in modo tale da lavorare in modo consono, in modo diretto, nel modo più intelligente
possibile”. In linea di massima di fare in modo che il lavoro degli educatori, del magistrato, dei servizi
sociali abbia un senso.
Propongo di partire con delle piccole idee molto semplici, cercando in modo molto deciso di
prendere un po’ le distanze da questo argomento molto complicato, molto appassionante,ma anche a
volte troppo astratto. Penso che quando mi alzo alla mattina, se la legge fosse cambiata e
l’immigrazione fosse incoraggiata, allora non avremmo più bambini non regolari. Per questo motivo
io credo che il piccolo Mustafa oppure Ibraibib, di 15 o 16 anni, non sarebbe arrivato nascosto in un
cargo nel pontile del bastimento, però immediatamente avrebbe qualche difficoltà ad essere distante
dalla sua famiglia, dai suoi genitori, a scoprire una cultura diversa della sua a cui era stato abituato e la
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rete criminale sarebbe scomparsa, non ci sarebbero più criminali, non più razzismo e alla stessa
maniera questi bambini sarebbero pronti ad integrarsi, ad adattarsi alla società occidentale.
E noi, i professionisti, gli educatori, forse non avremmo più niente da fare. E credo che se così
fosse forse vi sarebbe una parte di queste persone che sarebbero sempre in difficoltà, potremmo vedere
unicamente tutto quello che è stato fatto da tutti quanti i bambini, giovani, adolescenti che sono passati
in Europa e sono andati a lavorare nell’economia ultraliberale inglese, senza che mai un Servizio
Sociale francese o inglese li avesse incontrati. Ce ne sono molti di questi ragazzi. Partendo da questa
idea, da questa storia di mobilità abbiamo dei bambini, dei minori, che sono più in difficoltà di altri e
anche se, effettivamente, le leggi che riguardano l’immigrazione fossero cambiate, dobbiamo sempre,
comunque, lavorare.
Oggi la globalizzazione spinge la gioventù a muoversi continuamente e ad avere una grande
capacità di adattamento. Questi ragazzi, sono la forma la più spettacolare, più estrema, di un
movimento molto più generale, che oggi verte su tutta la gioventù delle nostre Province. Queste sono
le due idee che io ho e credo che bisogna lavorare per trovarci delle risposte pedagogiche.
Ora le proposte. Vi farò alcune proposte semplici e sulle quali si può lavorare nei prossimi giorni.
La prima proposta è di aiutarci e di lavorare con noi per la creazione di entità interassociative nei paesi
di origine. Stamattina avete sentito il signor Azibou che ha parlato del partenariato tra le due
Associazioni, l’installazione di una piccola piattaforma, di una piccola struttura, a Tangeri, in
Marocco, la cui creazione è sostenuta, incoraggiata dalle autorità del Marocco, che ha come primo
obiettivo di permettere di avere dei genitori o qualcuno che si possa mobilitare ogni volta che
un’Associazione ha bisogno, che si ritrovino i genitori di un ragazzo. Questa piccola struttura funziona
già in modo sperimentale. Noi contattiamo e sollecitiamo i nostri amici marocchini, andiamo là,
facciamo una ricerca di questi genitori e quindi voi stessi potete entrare in contatto con la famiglia di
questi bambini. Questa è la prima proposta, la prima azione all’interno di questa struttura.
La seconda è sviluppare o permettere lo sviluppo di azioni di formazione. Per questo non sono,
naturalmente, le persone del nord che vengono al sud ad insegnare come si deve fare. Per queste
azioni formative siamo noi stessi che dobbiamo andare a formarci e permettere alla gente del sud di
venire da noi a formarsi.
Da ieri mattina sono state dette molte cose interessanti e ciò che ha detto Sued dell’Università di
Venezia sulle questioni interculturali, è veramente un argomento molto appassionante. In un
intervento di ieri mattina, è stato detto che favoriremo la devianza se non lavoriamo insieme, se non
lavoriamo nella cultura di origine di questi ragazzi. Bisogna trovare i punti di appoggio per la loro
integrazione, i punti di forza, la loro capacità di integrare la cultura del paese di accoglienza, questa è
l’ interculturalità. Bisogna formarci insieme, nel paese d’origine e nel paese di arrivo; noi andiamo
regolarmente in Marocco, invitiamo i partner francesi. Perché i partner italiani non potrebbero venire
anche loro per organizzare delle sedute di formazione con noi? Potreste accogliere nelle vostre
Associazioni dei professionisti marocchini che sarebbero contentissimi di venire a lavorare con voi
nelle vostre equipe, lavorare vicino ai mediatori culturali e nello stesso tempo apprendere, trovare
anche loro degli strumenti. Una cosa molto semplice che non costerebbe cara.
La terza idea in questa entità nei paesi di origine è quella di raccogliere tutti i dati. Da molti anni
lavoriamo con dei marocchini vedendo quanti bambini arrivano, su Paca, su Les Bouches du Rhône, e
ci sono oggi vari Enti firmatari di REMI. È molto semplice, abbiamo la rete, conoscete questa rete, dei
ricercatori, dei consulenti, gente che sappia lavorare con questi strumenti e appunto, riunire tutti questi
dati. E qui mi rivolgo verso Madame Harrak, rappresentante del Ministero della Giustizia, perché so
che è una delle preoccupazioni del Ministero della Giustizia Marocchina, del Segretariato di Stato alla
Gioventù. Tutti questi dati interessano il governo marocchino che è più implicato nella cosa; e anche
tutto ciò che riguarda i villaggi di origine, le famiglie, il tipo di famiglia, dove sono, come trovare una
collaborazione e un punto d’incontro tra i politici e ciò che facciamo qui in Europa. Non ci deve essere
nessuna ambiguità. Nell’ultimo seminario fatto a Tangeri, quattro rappresentanti dei ministri
114
marocchini che partecipavano, hanno detto molto chiaramente che noi eravamo, che voi eravate
invitati a cooperare e a lavorare con i Servizi marocchini.
Per il Marocco abbiamo quest’entità che si crea e le cose dovrebbero funzionare . Abbiamo
ascoltato tutte le cifre, i dati, i budget, gli aiuti sociali all’infanzia per occuparsi dei minori, sono
delle cifre allucinanti. Due milioni di euro lì, un milione di euro là. Un’entità, una piccola struttura, un
piccolo centro di risorse in Marocco, ha 50.000 euro per anno? Penso che tra 16 Enti forse
riusciremmo a racimolare 50.000 euro. Per il Marocco in questa piccola entità interassociativa siamo
solo due; possiamo essere molti di più, così lavoreremo meglio.
Siamo partiti insieme per fare il sostegno delle famiglie. In Algeria durante un po’ di tempo le cose
sono andate lentamente, perché c’è stato hanno un terremoto terribile e abbiamo aspettato un po’ per
andarvi. In Algeria abbiamo la stessa idea, di creare una piccola piattaforma interassociativa che sia
una base, che chiameremo forse” le piccole strutture REMI”, voi dovete decidere se aderirvi. E poi si
parte dal lavoro che è stato realizzato da Madame Karadja e che è stato presentato stamani, questo
studio che completiamo noi con i nostri dati francesi, che ci permettono di identificare ad Algeri due
tre quartieri da cui provengono questi bimbi. Si parte da un’idea, di una collaborazione tra
L’Associazione dei “Giovani Erranti”, quella di Madame Karadja ed un’altra che non è potuta venire
oggi e che lavora in Algeria. L’idea semplice è di partire con queste Associazioni algerine mettendo
insieme le nostre competenze. Il primo punto è cercare di lavorare con le madri, vicino alle famiglie,
per capire perché questo ragazzo è partito, per prevenire altre partenze, altri problemi. La seconda idea
è riunire tutti i dati e la terza di avere informazioni. Per l’Algeria si può fare prestissimo, basta averne
la volontà e utilizzare un poco i nostri mezzi e la nostra esperienza.
La seconda pista di lavoro da seguire è cercare di sviluppare i programmi di formazione
transnazionale. Non lo svilupperemo ora, ma conosciamo tutti gli istituti di formazione, scuole per
lavoratori sociali, tutta una serie di luoghi dove si fa formazione; e lì credo che i professionisti
mobilitino assolutamente tutte le risorse esistenti perché sia possibile lavorare in uno spirito e una
prospettiva transnazionale. Non si tratta di essere il migliore operatore europeo, credo che bisogna
pensare le cose con i partner dei paesi di origine. Non è possibile pensare un progetto al posto dei loro
genitori, al posto dei loro concittadini, non è un buon approccio educativo.
Il terzo orientamento è la mobilitazione di quelli che prendono le decisioni a livello del paese.
Credo che dobbiamo migliorare la nostra comunicazione verso le Istituzioni Europee e Nazionali. C’è
stata una piccola esperienza per i giovani maggiorenni. Quando legalmente non si può lavorare con dei
maggiorenni che sono diventati clandestini, irregolari, come possiamo arrivarci? Come si arriva a
comunicare e a lavorare caso per caso? Credo che anche in questo caso noi professionisti abbiamo una
grossa responsabilità.
Farò un esempio. In Francia, per i Magistrati o i Prefetti, dobbiamo noi, a volte, negoziare con
loro e convincerli e ciò avviene non facendo delle sfilate, delle manifestazioni. Se abbiamo lavorato
sul fascicolo, ricostruito tutta la storia e il percorso, non dico che questo funziona al massimo, però in
generale se si lavora sul fascicolo, se abbiamo degli argomenti, se permettiamo all’altro, qualsiasi sia
la sua funzione, di fare in modo che la sua funzione abbia un senso, caso per caso, si arriva a far
muovere le cose. Non abbiamo scelta, non si può scegliere su questi argomenti, si tratta di persone, si
tratta di destini, ci sono delle storie di vita e bisogna lavorare caso per caso ed imparare a comunicare,
non si può semplicemente rimanere sul piano ideologico. E i professionisti hanno qualcosa da
costruire, dobbiamo lavorare tra di noi e con gli altri. In questi istituti europei credo che ci siano due
piste da seguire, due cose che si possano fare. Vi ricordo che la Conferenza Euro-Mediterranea si
faceva sotto il patrocinio del Segretario Generale del Consiglio dell’Europa. Credo di aver capito che
il Consiglio dell’Europa era un po’ la coscienza dell’Europa, dell’Unione Europea, e lì c’è forse
qualcosa da capire. L’Europa attualmente moltiplica le cellule, la concertazione su dei temi che
vertono sulle nostre problematiche: la tratta dei bambini, il traffico di bambini. So che in questo
gruppo di lavoro c’è il Forum Europeo per la Sicurezza Urbana, ecco un relais possibile a condizione
115
che noi siamo capaci di alimentare quelle commissioni, gruppi di lavoro, con dei dati, con dei
contributi.
Altro esempio è tutto il lavoro fatto dal Signor Moryersoen con le sue riunioni molto regolari in
cui si trovano tutti i rappresentanti degli Stati Europei. Se siamo capaci di trasmettere un certo numero
di contributi alle organizzazioni che sono incaricate di lavorare, forse riusciamo a far passare un certo
numero di proposte. C’è anche l’Ufficio Internazionale di Emigrazione che sviluppa un certo lavoro e
fa diversi studi. Però, auspicherei, di fare molta attenzione sul modo in cui utilizziamo l’appoggio di
Bruxelles. C’è stato sul progetto Daphne, ci sono stati tanti progetti a Bruxelles. Pochi sono passati. È
chiaro che oggi, quando le Associazioni, le Organizzazioni, gli Enti, le Università rispondono a
Bruxelles per i progetti tra stati europei o stati dell’est, questi progetti possono passare; ma per
sviluppare dei progetti con i paesi del sud, siamo molto meno sicuri di avere un appoggio perché gli
interessi politici non sono gli stessi. Abbiamo visto in Francia come ci siamo fermati con la Romania,
perché la Romania si deve integrare nell’Unione Europea, i poveri dell’est è una questione europea, e
ci mobiliterà tutti. Ma il Magreb, oggi, non interessa veramente all’Europa. Dunque c’è una vera
strategia da studiare. Non si può dire che è una rete euro-mediterranea. Bisogna che gli operatori
facciano una buona proposta, e voi, a livello di negoziati politici, dovete darci il vostro contributo. È
una problematica nord-sud, che non è molto attuale ora, più che altro predomina il rapporto est-ovest.
L’ultima pista di lavoro è la creazione di fondi di solidarietà e l’aiuto allo sviluppo dei
microprogetti. Ci sono gli aspetti finanziari, naturalmente, che hanno una certa importanza. Credo che
attualmente delle fondazioni, dei fondi privati si trascurino e a volte si buttino un po’ a cassaccio nei
progetti e che ci siano delle risorse che si possono mobilitare. A Marsiglia, qualche mese fa, abbiamo
avuto dei problemi con i bambini degli zigani, dei romeni che dormivano nelle strade e che non
volevano andare negli istituti. Avevamo dei bambini zingari, delle mamme con i bambini che erano
per strada. C’è una fondazione privata che ha risposto alla nostra domanda e che è venuta per aiutarci
a fare un microprogetto che valuteremo con loro e che ci permette di sperimentare un certo numero di
cose. Credo che oggi a Roma ci sia una giornata di lavoro sui bambini della strada, la precarietà; e la
fondazione privata che ci ha aiutato, che è la Fondazione Nazionale Carrefour è presente ora a Roma e
parlerà di azioni sostenute in Francia. Sono delle piste di lavoro per ottenere questi fondi di solidarietà,
l’aiuto ai microprogetti.
Semplicemente voglio dirvi che il nostro sito, i nostri telefoni, il nostro centro di risorse, sono
interamente a vostra disposizione. Siamo lì per potere vagliare le vostre proposte. Potete vedere i
nostri documenti. I prossimi due appuntamenti che vi proponiamo sono a giugno a Tangeri e forse
novembre in Algeri, perché possiate aiutarci a preparare questi incontri e versare i vostri contributi.
(Relazione non rivista dall’autore)
FRANCESCO ANGELINI
Presidente della VII Commissione Politiche Sociali, Scuola e Cultura della Provincia di Lucca
La Direttrice ha fatto quattro proposte molto concrete. Vediamo quanti tra di noi riusciranno a dare
una mano.
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MANUELA JUNTAS LOPEZ
Rappresentante della Regione Andalusia
Buona sera, ringrazio chi ha organizzato questo incontro per aver invitato l’Andalusia e anche
per l’esito/risultato che ha ottenuto questa conferenza. Anche se non era stata prevista una traduzione
dallo spagnolo, non voglio comunque andarmene da qui senza raccontarvi cosa succede in Andalusia
per quanto riguarda il fenomeno dei minori migranti non accompagnati.
Come sapete tutti, la nostra regione è la porta di accesso per questi minori, che ci arrivano con mezzi
che mettono a rischio la loro vita e in una situazione di grande pericolo, con barche malandate:
l’anno scorso arrivarono due navi solo di minori, una con 29 minori e l’altra con 24, che arrivando nel
nostro paese si giocano la vita.
I minori che arrivano sulle nostre coste hanno gli stessi diritti dei minori che sono sotto la
protezione e la giurisdizione dell’Andalusia. Ieri qualcuno ha detto che ci sono problemi con
l’assistenza sanitaria ai minori che hanno problemi psichiatrici: in Andalusia tutti i minori hanno
diritto all’assistenza sanitaria, che è universale, e i minori migranti anche.
Hanno diritto all’istruzione, ma il problema è che usano l’Andalusia di passaggio, non ci si fermano:
arrivano sognando un mondo migliore e lo cercano scappando alla povertà delle loro famiglie, perché
credo, infatti, che molti bambini partano istigati dalle proprie famiglie per avere una vita migliore.
I minori arrivano da noi in condizioni di salute limite perché devono sopportare molto freddo
nella traversata ed hanno anche problemi di bruciature a causa del gasolio della barca, fame, come è
logico, e quindi la prima fase è quella dell’accoglienza, delle visite mediche. Il problema è che in
media si fermano nove giorni e quando arrivano i risultati delle analisi mediche e sarebbero pronte le
cure, già se ne sono andati.
Il problema principale che ci preme è la protezione. Ai minori che si fermano si insegna un mestiere e
quando sono maggiorenni possono usare questa esperienza. Se ci sono minori che hanno famiglia che
raggiungono le nostre coste, si cerca di riunirli alle famiglie attraverso il consolato e si cerca la
famiglia.
Abbiamo anche degli intermediatori culturali nei centri di accoglienza che vanno facilitando i rapporti
con i minori, non sempre semplici: i ragazzi, infatti, sanno che se hanno più di 18 anni sono
automaticamente rimpatriati e così molte volte si deve fare la prova ossiometrica per sapere l’età.
Molte volte si vedono ragazzi con la barba che dicono di essere minorenni, ma che, visto che non
hanno documenti con loro, non sappiamo quale sia la verità. E anche la prova ossiometrica non è
affidabilissima, perché lascia un margine di incertezza di 20 mesi e sappiamo che i ragazzi mentono
perché l’ultima cosa che vogliono è tornare nelle loro famiglie. Altri, dopo aver passato lo Stretto di
Gibilterra, si pentono e vogliono tornare indietro e piangono come bambini e non vogliono più
continuare l’avventura iniziata.
Altri minori si fermano in Andalusia e c’è un programma che si chiama di MAYORIA DE EDAD
(della Maggiore Età), per coloro che erano stati seguiti da minori, ma che ora cominciano ad avere un
po’ di autonomia: stanno con una persona che li tutela e imparano un mestiere o studiano e si
integrano pian piano nella società.
Si rispettano ovviamente le tradizioni culturali dei minori, come il Ramadan, i pasti sono come
i loro e c’è rispetto della loro religione e cultura. A Tetuan abbiamo tre centri in cui i minori
alloggiano e imparano un mestiere perché abbiano un futuro.
Credo che il problema dei minori migranti si possa risolvere solo lavorando alla prevenzione in
Marocco, perché per noi che stiamo in Europa tutto questo che facciamo per questi giovani è molto
costoso e spesso è anche inutile, perché girano costantemente per l’Europa senza fermarsi in un paese.
Dobbiamo prendere decisioni a livello della Unione Europea, per aiutare questi giovani ad imparare
un mestiere nel loro paese. La soluzione sta nell’intensificare il lavoro in Marocco.
(Relazione non rivista dall’autore)
117
FRANCESCO ANGELINI
Presidente della VII Commissione Politiche Sociali, Scuola e Sport della provincia di Lucca
Anche per loro i problemi sono tanti, anche se sono forse facilitati per il fatto che hanno in gran parte
bambini marocchini, mentre nelle nostre realtà, come abbiamo visto dallo schema presentato dal
Comune di Roma, abbiamo un ventaglio molto più vasto.
DIBATTITO
Intervento del Pubblico
Un’informazione supplementare riguardante i bambini isolati che hanno dei progetti di
migrazione. Notiamo sempre di più, l’arrivo di bambini che vengono da paesi Sub-sahariani, come
Niger, Mali, Nigeria, Ghana, che utilizzano l’Algeria e anche il Marocco come paesi di transito. Prima
erano soltanto uomini, ora ci sono più donne maggiorenni e si trovano molti minori tra di loro, che
sono in difficoltà, per un motivo o, per un altro, per continuare il loro progetto e quindi rimangono
bloccati in Algeria. Parlo dei candidati che vogliono emigrare in Europa e delle decine e decine di
bambini. E quindi ci troviamo di fronte a una problematica nuova che va affrontata in modo diverso
con l’apporto di tutti.
CARLO CORONATO
Rappresentante della Comunità Internazionale Bahai
Sono Carlo Coronato della Comunità Internazionale Bahai che da anni è impegnata a livello
mondiale, insieme all’UNICEF e quindi alle Nazione Unite, per affrontare queste problematiche che
ormai non sono più di regioni o di nazioni, ma sono del mondo intero. Auspicherei che le
organizzatori e le persone che in queste due giorni a Lucca hanno affrontato con molta competenza
questa problematica, si facciano anche promotori verso le Nazione Unite di qusto problema.
Dobbiamo capire che tutte le problematiche, dal terrorismo alla fame mondiale, non possono essere
che risolte da un governo mondiale.
Se non lottiamo tutti perché questo caos, questa confusione nel mondo non abbia un cervello che
guida tutte le difficoltà dell’umanità, non riusciremo mai a risolvere con le azioni più forti che avranno
sempre degli interessi economici da portare avanti a tutti i livelli e dimenticandosi dei diritti umani, e
soprattutto dei più deboli, quindi, dei bambini. Io direi che tutti noi nel nostro cuore e nella nostra
azione dovremmo portare avanti questo discorso di dotarci finalmente di un potere sopranazionale
perché né le nazioni né le religioni, se non trovano una via di unità, di concordia, di dialogo vero, non
riescono più a dare risposte valide a questi problemi.
DAVID PELLEGRINI
Assessore alle Politiche Sociali e Giovanili della Provincia di Lucca
Mi sembra che questi due giorni sia emerso, come già era scontato, che la realtà dell’argomento
che abbiamo affrontato è sicuramente molto complessa, differenziata anche da paese a paese e quindi
non si possono fare delle generalizzazioni, tanto più non me la sento io di farle come conclusioni.
Sono un piccolo Assessore di provincia e di fronte a questi problemi mi sento un po’ schiacciato; però
voglio dare il mio contributo, non mi tiro indietro di fronte a alcune cose che sono state dette.
Soprattutto consentitemi una piccola generalizzazione sulla necessità della presa in carico delle
singole situazioni e della loro diversità, questo che credo che sia un po’ il problema centrale, con
118
modalità diverse, ma sicuramente la necessità di avvertire il problema e che ciascuno, in funzione del
ruolo che ricopre, tenti di dare la risposta più ampia possibile. Però vorrei anche che ognuno misurasse
le forze per non fare dei proclami, aver la presunzione di mettere delle bandierine, dell’etichette per
essere migliore o peggiore degli altri. Quindi, un invito anche al realismo.
Proprio per essere realisti, io nelle conclusioni, parto della cosa più realistica: la pubblicazione
degli atti di queste due giornate. Questo è la cosa che sicuramente mi sento in grado di assicurare
perché c’è la necessità da parte di tutti di capire meglio, anche per la difficoltà talvolta anche della
lingua, la profondità di tanti interventi che sono stati fatti, e ognuno per ripensare al proprio ruolo.
Abbiamo voluto in questa Conferenza una partecipazione forte della Rete REMI e quindi io
raccolgo l’invito che veniva fatto di dare un contributo nostro come Provincia e come firmatari
dell’accordo tra gruppi, a rendere più istituzionale questa Rete e quindi a dare una sorta di statuto che
possa essere una base per avere nuove adesioni, non formali ma sostanziali, adesioni di altre istituzioni
che vogliono approfittare di questa Rete per approfondire le problematiche, per conoscere meglio le
realtà, per un maggior confronto tra le diverse pratiche, tra Stato e Stato, tra realtà e realtà, così da
rispondere anche localmente in modo più adeguato ai bisogni.
Sicuramente io vedo in questo rafforzamento della Rete REMI un aiuto per un miglio rapporto tra
gli stati, perché è vero quello che veniva detto nell’ultimo intervento, anche in direzione delle Nazione
Unite, però credo che governo globale e governo locale debbano in qualche modo procedere di pari
passo. Non ci possono essere delle imposizioni dall’alto, ma una costruzione anche di tante realtà che
poi probabilmente le due direzioni si devono incontrare in qualche modo. Allora il fatto di aggregare
nuove realtà credo che può servire per risolvere poi problemi anche a livello locale.
Il reperimento di nuove risorse, perché in fondo se è vero che alcuni progetti richiedono meno
risorse, altri ne richiedono di più, a seconda anche dello Stato, quindi è necessario anche un’autocritica
sull’utilizzo delle risorse, ma comunque quantomeno di risorse è giusto anche parlare, perché in fondo
sono scelte anche politiche dove mettiamo le risorse. Su questo credo che è importante acquisire più
forza da parte di una rete, di un contesto, perché le risorse vengono messe anche in questo settore e per
fare, soprattutto un’opera di formazione-informazione. In questo credo che non si può prescindere
dall’apporto, ad esempio in Italia, del volontariato, del terzo settore (credo che questi termini hanno
degli omologhi negli altri stati). Io come rappresentante di un’istituzione pubblica credo ovviamente
nel valore, nell’importanza delle scelte però credo anche che per un’effettiva presa in carico a 360
gradi il pubblico non è sufficiente da solo, non può arrivare là dove, invece, tante associazioni possono
fare molto di più, non con una delega, ma con un rapporto di collaborazione dove ognuno fa il proprio
ruolo a pieno.
C’è già un impegno di elaborare una bozza di statuto, di farlo conoscere a tutti i membri della Rete
attuale, in modo che ognuno possa aggiungere, correggere, dare il proprio contributo, e sicuramente
nel prossimo mese di maggio o non oltre l’estate, sia possibile arrivare a individuare quale possa
essere la forma anche burocratica, tra virgolette, per dare questa collaborazione tra diversi soggetti,
con modalità diverse, anche tra ruolo più politico, ruolo più collaborativo con le associazioni.
Sicuramente sono aspetti da approfondire nell’ottica di un’efficacia maggiore e di una risposta al
bisogno. Non mi vedrebbero coinvolto se fosse solo per avere delle etichette da mettere, perché deve
essere tutto nell’ottica di una effettiva risposta a dei bisogni.
Infine a livello più nostro, la Regione Toscana che è uno dei partner della Rete REMI, ci chiedeva
come Provincia, di darle una mano a livello regionale per una maggiore collaborazione con tutte le
province della Regione. Questo interessa meno, forse, agli amici delle altre regioni, però mi pare un
altro risultato, forse più a scala locale, che ritengo possa essere importante per un coinvolgimento di
una rete più efficace a livello locale tra le province e almeno tra i maggiori comuni della Regione
Toscana. In particolare questo collegamento potrà essere realizzato anche per la prossima Conferenza
dell’Immigrazione, che stamattina il Vicepresidente Passaleva ha annunciato per il prossimo ottobre,
dove il gruppo di lavoro regionale per la preparazione di questa Conferenza e in particolare per la
119
trattazione dell’argomento nostro, sui minori stranieri non accompagnati, credo che debba trovare un
momento di collegamento anche con la Rete REMI nella quale la stessa Regione è a pieno titolo
inserita. Per non moltiplicare e differenziare le cose, ma utilizzare al meglio gli strumenti che ci sono,
anche con una razionalizzazione delle risorse. Perché se no, si moltiplicano le riunioni, si moltiplicano
i discorsi. Credo che il lavoro di questi due giorni sia prezioso anche per portarlo avanti, non
ricominciare sempre da capo, ma vedere come poter continuare un percorso.
Credo che queste siano le cose realistiche che forse deluderanno qualcuno, ma io preferisco essere
abbastanza realistico e con i piedi per terra. Credo che su questo è possibile tentare di fare un lavoro
insieme e continuare il percorso facendo delle verifiche anche man mano che andiamo avanti, per non
commettere errori, ma per avere un consenso generale, sia dei paesi che in genere sono paesi che
accolgono, come anche dei paesi da cui provengono questi ragazzi, e quindi per questo aiuto,
interscambio di mentalità che è una sorta di contaminazione reciproca, però che aiuta sicuramente a
trovare le soluzioni che non sono forse né dell’uno né dell’altro ma che favoriscono la realizzazione
dei progetti di vita dei ragazzi, e sento in modo particolare a partire del mio territorio, della Provincia
di Lucca.
Grazie a tutti della partecipazione e vediamo, con i prossimi appuntamenti, di continuare la
discussione e la realizzazione anche di qualche proposta concreta.
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Protocollo d’intesa per la protezione dei minori isolati tra le città, i dipartimenti, le
province e le regioni euromediterranee:
PREAMBOLO
Le sottoscritte collettività, facenti parte dei paesi firmatari della Convenzione Internazionale
dei diritti dell'infanzia, prendendo atto del crescente numero di minori isolati ed erranti presenti nei
loro territori che vivono in condizioni di grave pericolo per la propria integrità fisica e morale, in
quanto privati della protezione naturale delle loro famiglie, diventano facile preda di una pluralità di
reti criminali di sfruttamento, convengono di creare un sistema comune di protezione e di assistenza di
questi bambini in conformità alle disposizioni della Convenzione Internazionale ed in modo
particolare degli art. 2,3, 4 e 5.
I partner convengono di creare un sistema comune denominato "REMI Rete euro mediterranea
per la protezione dei minori isolati"
I componenti di questa rete si impegnano a :
sensibilizzare gli stati interessati dal fenomeno dell'erranza e dello sfruttamento dei
giovani da parte di reti criminali;
apportare un aiuto al trattamento di situazioni individuali dei minori interessati,
attraverso lo scambio di informazioni e del saper fare di gruppi locali;
assicurare il raccordo tra i gruppi educativi dei paesi interessati;
organizzare delle sessioni di formazione internazionali comuni per il personale che si
occupa di queste situazioni: assistenti sociali del settore pubblico e associativo,
magistrati, polizia e funzionari.
Ogni anno si terrà una riunione plenaria in una delle collettività firmatarie per fare il bilancio
dell'attività e fissarne gli orientamenti futuri.
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INDICE
PRESENTAZIONE ..............................................................................................................................1
CONFERENZA SUI MINORI MIGRANTI NON ACCOMPAGNATI ............................................3
1° GIORNO – 30 MARZO 2004 ..........................................................................................................7
ANDREA TAGLIASACCHI
Presidente della Provincia di Lucca ......................................................................................................7
ROSSANA SEBASTIANI
Dirigente Servizio Politiche Sociali e Sport della Provincia di Lucca .................................................8
CRISTINA ROSSETTI
Funzionario Area Socio-Assistenziale Minori della Regione Toscana ........................................ 8
ROSSANA SEBASTIANI
Dirigente Servizio Politiche Sociali e Sport della Provincia di Lucca ....................................... 11
BENKHDIM SUED
Docente comunicazione interculturale Università Càfoscari di Venezia ................................... 13
ROSSANA SEBASTIANI
Dirigente Servizio Politiche Sociali e Sport della Provincia di Lucca ...............................................16
JOSEPH MORYERSOEN
Coordinatore Segretario di ChildONEurope Consulente legale presso l’Istituto degli Innocenti .... 17
STEFANO SCARPELLI
Responsabile Amministrativo del Comitato Minori Stranieri ................................................. 28
CRISTINE BARTOLOMEI
Presidente del Tribunale dei Minori di Marsiglia ..............................................................................32
STEFANO SCARPELLI
Responsabile Amministrativo del Comitato Minori Stranieri ............................................................32
CRISTINE BARTOLOMEI
Presidente del Tribunale dei Minori di Marsiglia ...............................................................................33
STEFANO SCARPELLI
Responsabile Amministrativo del Comitato Minori Stranieri ............................................................33
CRISTINE BARTOLOMEI
Presidente del Tribunale dei Minori di Marsiglia ...............................................................................33
STEFANO SCARPELLI
Responsabile Amministrativo del Comitato Minori Stranieri ............................................................33
CRISTINA ROSSETTI
Funzionario della Regione Toscana dell’ Area Socio-Assistenziale Minori .....................................33
BENKHDIM SUED
Docente comunicazione interculturale Università Cafosacri di Venezia............................................34
JOSEPH MORYERSOEN
Coordinatore Segretariato di ChildONEurope Rete Europea degli Osservatori Nazionali
sull’Infanzia-Istituto degli Innocenti...................................................................................................34
PATRIZIO PETRUCCI
Assessore ai rapporti con il Volontariato della Provincia di Lucca ...................................................41
IMMIGRATO MAROCCHINO.........................................................................................................41
PATRIZIO PETRUCCI
Assessore ai rapporti con il Volontariato della Provincia di Lucca ....................................................41
GIOVANNA GIANNASI
Rappresentante Segreterie Tecniche delle Articolazioni Zonali delle Conferenze dei Sindaci..........41
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PATRIZIO PETRUCCI
Assessore ai rapporti con il Volontariato della Provincia di Lucca ....................................................43
SARA VITALI
Rappresentante delle Associazioni del Territorio della Provincia di Lucca .......................................43
FEDERICO FAMBRINI
Rappresentante delle Associazioni del territorio della Provincia di Lucca ........................................43
SARA VITALI
Rappresentante delle Associazioni del territorio della Provincia di Lucca ........................................44
FEDERICO FAMBRINI
Rappresentante delle Associazioni del territorio della Provincia di Lucca ........................................45
PATRIZIO PETRUCCI
Assessore ai rapporti col Volontariato della Provincia di Lucca ........................................................46
SONIA RIDOLFI
Rappresentante delle Comunità per i minori del territorio della Provincia di Lucca ........................46
PATRIZIO PETRUCCI
Assessore ai rapporti col Volontariato della Provincia di Lucca ........................................................49
SONIA RIDOLFI
Rappresentante delle Comunità dei Minori del territorio della Provincia di Lucca ...........................49
OPERATORE SOCIALE FRANCESE..............................................................................................49
CRISTINA ROSSETTI
Funzionario dell’Area Socio-Assistenziale Minori della Regione Toscana .......................................50
NELITA BEGLIUOMINI
Coordinatrice della Segreteria Tecnica della Zona Piana di Lucca ....................................................50
SONIA RIDOLFI
Rappresentante delle Comunità per i minori del territorio della Provincia di Lucca .........................51
VOLONTARIA del VILLAGGIO del FANCIULLO ........................................................................51
CARLA BONETTI
Operatrice della Cooperativa Crea ......................................................................................................52
OPERATORE SOCIALE FRANCESE..............................................................................................52
SUOR BARBARA OLIVIERI
Volontaria del GVAI...........................................................................................................................52
ELEONORA VANNI
Operatrice della Cooperativa Crea ......................................................................................................53
SARA VITALI
Rappresentante delle Associazioni del territorio della Provincia di Lucca ........................................53
SONIA RIDOLFI
Rappresentante delle Comunità di minori del territorio della Provincia di Lucca..............................53
Operatore sociale di una Cooperativa di Napoli .................................................................................54
ELIO MOSCARIELLO
Assistente Sociale del Comune di Lucca ............................................................................................54
OPERATORE SOCIALE FRANCESE..............................................................................................55
CRISTINA ROSSETTI
Funzionario Area socio-Assistenza Minori della Regione Toscana ...................................................55
SONIA RIDOLFI
Responsabile delle Comunità per minori del territorio della Provincia di Lucca ...............................56
PATRIZIO PETRUCCI
Assessore ai rapporti con il Volontariato della Provincia di Lucca ....................................................56
OPERATORE SOCIALE ...................................................................................................................57
MEDIATORE CULTURALE
del Centro di Pronta Accoglienza di Pontedera ..................................................................................57
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ANNA LISA FACCINI
Funzionario del Comune di Bologna ..................................................................................................59
PATRIZIO PETRUCCI
Assessore ai rapporti col Volontariato della Provincia di Lucca ........................................................60
ADONELLA GUIDI
Educatrice della Cooperativa Sociale “Il Progetto” ............................................................................60
ADONELLA GUIDI
Educatrice della Cooperativa Sociale “Il Progetto” ............................................................................62
BIANCAMARIA CIGOLOTTI
Funzionaria dell’Ufficio Politiche Sociali della Provincia di Lucca .................................................63
OPERATRICE SOCIALE ..................................................................................................................64
ADONELLA GUIDI
Educatrice della Cooperativa Sociale “Il Progetto” ............................................................................65
BIANCAMARIA CIGOLOTTI
Funzionaria Ufficio Politiche Sociali e della Provincia di Lucca .......................................................65
2 GIORNO - 31 MARZO 2004 ..........................................................................................................67
DAVID PELLEGRINI
Assessore Provinciale alle Politiche Sociali e Giovanili della Provincia di Lucca.............................67
ANGELO PASSALEVA
Vicepresidente della Regione Toscana ...............................................................................................67
GUILLAUME THIÉRIOT
Consigliere del Presidente della Regione PACA ................................................................................71
DAVID PELLEGRINI
Assessore alle Politiche Sociali e Giovanili della Provincia di Lucca................................................75
ANTONIO TORRE
Vice Presidente della Provincia di Lucca ...........................................................................................75
DAVID PELLEGRINI
Assessore Politiche Sociali e Giovanili della Provincia di Lucca.......................................................77
CHERIF BENAUDA
Coordinatore UNICEF di Algeri.........................................................................................................77
MADAME KARADJA
Presidente dell’Ansedi- Rappresentante Rete euro-mediterranea
per la protezione dei Minori Isolati.....................................................................................................79
ABDELOUAHED AZIBOU MOKRAI
Presidente dell’Associazione Tadamoun di Tangeri...........................................................................84
MALIK KOUDIL
Educatore dell’ Associazione “Giovani Erranti “di Marsilia..............................................................87
DAVID PELLEGRINI
Assessore alle Politiche Sociali e Giovanili della Provincia di Lucca................................................89
VALERIA ROSSATO
Rappresentante del Volontariato Internazionale dello Sviluppo.........................................................89
DAVID PELLEGRINI
Assessore alle Politiche sociali e Giovanili della Provincia di Lucca ................................................91
ANNA BINI
Dirigente Area Socio Assistenziale del Comune di Firenze ...............................................................92
DAVID PELLEGRINI
Assessore alle Politiche Sociali e Giovanili della Provincia di Lucca................................................95
CRISTINE BARTOLOMEI
Presidente del Tribunale dei Minori di Marsiglia ...............................................................................95
124
ANNA BINI
Dirigente Area Socio Assistenziale del Comune di Firenze ...............................................................95
GUILLAUME THIÉRIOT
Consigliere del Presidente della Regione PACA ................................................................................96
FRANCESCO ANGELINI
Presidente VII Commissione Politiche Sociali, Scuola e Cultura della Provincia di Lucca ..............96
GIOVANNA SAMMARCO
Responsabile dell’ Ufficio Tutela Pubblica del Comune di Roma ....................................................97
FRANCESCO ANGELINI
Presidente VII Commissione Politiche Sociali, Scuola e Cultura della Provincia di Lucca ............105
VANNA POLI
Pedagogista responsabile programma Minori Stranieri Comune di Modena ...................................105
GRAZIA STEFANINI
Ricercatrice del Consorzio Pluriverso e consulente del Comune di Modena
per il progetto “Minori Stranieri”......................................................................................................107
FRANCESCO ANGELINI
Presidente VII Commissione Politiche Sociali, Scuola e Cultura della Provincia di Lucca ............109
NAZIHA HARRAK
Magistrato della Corte Suprema presso il Gabinetto del Ministero della Giustizia del Marocco ....109
FRANCESCO ANGELINI
Presidente VII Commissione Politiche Sociali, Scuola e Cultura della Provincia di Lucca ............112
DOMINIQUE LODWICK
Direttrice dell’Associazione”Giovani Erranti” di Marsiglia.............................................................112
FRANCESCO ANGELINI
Presidente della VII Commissione Politiche Sociali, Scuola e Cultura della Provincia di Lucca....116
MANUELA JUNTAS LOPEZ
Rappresentante della Regione Andalusia..........................................................................................117
FRANCESCO ANGELINI
Presidente della VII Commissione Politiche Sociali, Scuola e Sport della provincia di Lucca .......118
CARLO CORONATO
Rappresentante della Comunità Internazionale Bahai ......................................................................118
DAVID PELLEGRINI
Assessore alle Politiche Sociali e Giovanili della Provincia di Lucca..............................................118
Protocollo d’intesa per la protezione dei minori isolati tra le città, i dipartimenti,
le province e le regioni euromediterranee:.......................................................................................121
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