Una lavorazione che ha bisogno di attenzione e pazienza per un

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Una lavorazione che ha bisogno di attenzione e pazienza per un
[ALIMENTAZIONE]
S
DI EMANUELE PICCARI
e si lascia aperta una bottiglia di vino leggero, preferibilmente con collo largo, si vedrà che dopo un po’ di
tempo diventa aceto, che si può definire un
vino ritornato acqua agra: infatti, speciali microrganismi, presenti anche nell’aria, hanno
“mangiato” l’alcol trasformandolo in acido
acetico, la cui quantità si può vedere dal grado
di acidità riportato in etichetta. Un’acidità più
alta (per esempio, 7% od oltre) è in genere indice di una migliore qualità. A qualcuno verrà
in mente che tanto vale prendere un litro d’acqua, aggiungere il 7% d’acido acetico spendendo circa 0,045 euro e produrre l’aceto con un
bel risparmio. Non si può, è vietato fin dal
1925 da una legge (regio decreto legge n.
2033), la quale ha definito l’aceto “il prodotto
ottenuto dalla fermentazione acetica del vino,
senza alcuna aggiunta di materie coloranti”.
Allora non erano permessi gli aceti di frutta
come quello di mele (più esattamente da alcol
ricavato dalle mele). Sono comparsi sul mercato diversi aromi, più tardi, ma dovevano essere
chiamati “agri” perché il nome aceto era riservato soltanto a quello di vino. Poi, furono promossi aceti con una legge del 1982, perché così si chiama negli altri Paesi europei. Una stranezza è che, a differenza del vino, non può
essere venduto sfuso, ma solo in recipienti sigillati non manomettibili, “con chiusura ermetica congegnata in modo tale che, a seguito dell’apertura, essa non risulti più integra”.
ACETO SOLUZIONE SETTE PER CENTO
Una lavorazione che ha bisogno di attenzione e
pazienza per un prodotto presente su ogni tavola
FERMENTI IN AZIONE
Un produttore controlla
le botti di un’acetaia,
per verificare l’acidità
del contenuto
L’altra stranezza è che, per produrre aceto,
occorre da sempre un’autorizzazione ministeriale, come se fosse un esplosivo. C’è poi un altro aceto, chiamato “aceto di spirito”, che si ottiene dalla fermentazione acetica dell’alcol,
non del vino; era previsto sempre dalla legge
del 1925, ma non si trova più in circolazione.
E i tipi d’aceto non sono ancora finiti. Ce n’è
uno che costa fino a 500 euro al litro, si chiama “aceto balsamico tradizionale di Modena”
e un altro che si chiama “aceto balsamico di
Modena” (senza il termine “tradizionale”, costa molto meno, ma sempre un po’ di più dell’aceto normale). Ma qui occorre ricordare
una storia lunga, che è piuttosto ingarbugliata
ed è cominciata addirittura nel 1200.
L’aceto balsamico che i consumatori trovano in vendita anche nei supermercati, si
cominciò a produrre tanti secoli fa a Modena, con un procedimento laboriosissimo. Ricavato da particolari uve e messo in una botte
grossa, veniva travasato via via in botti sempre
più piccole fino a diventare denso come l’olio,
a causa della lenta evaporazione, con un colore bruno-scuro, un sapore dolce-acido e un
fortissimo aroma. Tutta questa lavorazione poteva durare anche 50 anni e l’aceto si tramandava di padre in figlio come un capitale, poi-
COME SE
FOSSE ESPLOSIVO
Per produrlo c’è
bisogno di
un’autorizzazione
ministeriale
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MAI INSIEME ALLA CANDEGGINA
씰 Chi usa la candeggina per pulire e l’aceto per disincrostare corre il rischio
d’intossicarsi perché l’aceto ,e in genere gli acidi, reagisce con la
candeggina (ipoclorito di sodio) liberando cloro allo stato gassoso, che è
velenoso. Poiché vi sono diversi prodotti domestici che contengono cloro, la
CE ha emanato una direttiva (n. 89/178) in base
alla quale i prodotti con più dell’1% di cloro
devono riportare sulla confezione l’avvertenza
“Attenzione: non utilizzare insieme ad altri
prodotti, può emettere gas pericolosi (cloro)”.
Gli Stati si sono adeguati alla direttiva, mentre
in Italia questo obbligo era già previsto prima
della Direttiva da un decreto del ministro della
Sanità del 3 dicembre 1985, che prescrive la
frase “a contatto con acidi libera gas tossico”.
IL PIÙ ANTICO È QUELLO DI... MIELE
씰 Per quanto possa sembrare strano, esiste anche l’aceto di miele, anzi
è il più antico che si conosca, perché risulta usato dagli antichi Egizi. Ha
un sapore gradevolmente acidulo, di colore dorato e molto profumato. Di
solito si ottiene dal miele di acacia diluito in acqua: si lascia fermentare
lentamente dosando aerazione e temperatura. Per non distruggere batteri
ed enzimi, non subisce pastorizzazione e chiarificazione chimica. L’acidità
è leggermente inferiore all’aceto classico di vino e di mele. Viene
utilizzato come condimento di insalate e ortaggi e per salse agrodolci, ma
ha un costo superiore perché la materia prima ha un costo maggiore.
Il più prezioso è quello balsamico tipico della zona di
ché si riteneva che avesse proprietà curative
(da qui il nome improprio di “balsamico”) e si
poteva vendere a cifre da capogiro. Non si usa
certo per condire l’insalata ma, più che altro
con qualche goccia, per la preparazione di
piatti speciali. Infatti, una legge del 1986 lo ha
definito “condimento” e ha stabilito che si
tratta dell’aceto “tradizionale” di Modena, ag-
l’intervista
giungendovi generosamente anche Reggio
Emilia. Nell’aceto balsamico che i consumatori trovano nei supermercati, però, non c’è
il termine “tradizionale” e anziché “di Modena”, si chiama “modenese”. Questo è un
prodotto del tutto diverso e industriale, nato
come imitazione di quello tradizionale e disciplinato inizialmente da un decreto ministeriale del 1965; praticamente è un aceto un po’
Giacomo Ponti, ultimo di una dinastia che ha iniziato a produrre aceto nel 1867
S
toria di famiglia dal
sapore... acido come
l’aceto. Ma stavolta, per lo
meno, l’acidità di famiglia è
un patrimonio da preservare
e continuare a far vivere al
meglio e non da eliminare.
Stiamo parlando della
vicenda della famiglia Ponti,
una storia che parte dal
1867, data convenzionale
grazie alla quale i Ponti e
l’aceto iniziano un percorso
indissolubile fino ai giorni
nostri. Giacomo Ponti,
general manager
dell’azienda, è l’ultimo della
dinastia, e racconta la sua
storia, che è poi anche
quella di una zona
geografica e dei suoi
abitanti, a Ghemme, in
provincia di Novara: «Nella
seconda metà
dell’Ottocento, e il 1867 è
per noi una data
convenzionale, Giovanni
Ponti, il mio trisavolo, era un
produttore di vini, di aceto e
di prodotti agricoli
generalmente intesi. Antonio
Biagio, suo figlio e mio
bisnonno, passò a una
produzione di vino e aceto
meno artigianale della
precedente. Ebbe sette figli,
ma sopravvissero solo in
tre, a causa della terribile
influenza “spagnola”: nonno
Guido e due sorelle. Il nonno
conseguì la carica di
enologo presso la Regia
scuola di Alba nel 1924 e
affiancò, così, il padre.
Trasferì la fabbrica da
Sizzano a Ghemme e quella
di conserve vegetali da Fara
a Sizzano. Ebbe tre figli, una
femmina e due maschi.
Questi ultimi, mio padre
Franco e mio zio Cesare, si
affiancarono all’attività del
nonno fino a contribuire al
massimo sviluppo della
nostra azienda, nel periodo
che va dal 1975 al 1990. Il
resto è cronaca dei nostri
giorni». Eppure, il presidente
dell’azienda non si chiama
Ponti... «No, il presidente è
Modena, ma state attenti alle etichette e ai prezzi
più elaborato e più aromatico di quello normale perché deve esservi aggiunta una percentuale non specificata di aceto, invecchiato almeno
dieci anni (non necessariamente quello tradizionale). Deve essere fatto a Modena? No, perché anche se il decreto lo ha denominato “modenese” si è dimenticato di stabilire che deve
provenire da quella zona, cosicché può essere
fatto a Bari, Udine o in qualunque altra città.
E può chiamarsi “aceto balsamico modenese”
quando una legge ha riconosciuto l’“aceto balsamico tradizionale di Modena” vietando,
con sanzioni, le denominazioni imitative?
Non si sa. Fatto sta che, per buona pace, viene
tollerato e ha ottenuto pure il riconoscimento
Igp, indicazione geografica protetta.
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L’ULTIMO RAMPOLLO
Giacomo Ponti,
general manager
dell’azienda Ponti
Renato Castiglioni, che
iniziò col nonno, come
enologo, nel 1947. È da
sessant’anni con noi. La sua
presidenza è, dunque, il
riconoscimento più giusto
per uno dei collaboratori più
attivi della famiglia».
Oggi, l’azienda Ponti è
leader del mercato italiano
dell’aceto, col 53% di quota,
secondo i dati Nielsen. E gli
altri prodotti? Come sono
nati? «I sottaceti e tutti gli
altri prodotti sono nati a
mano a mano che l’azienda
sentiva crescere l’impegno
verso un mercato che
chiedeva non più solo aceto.
Posso confessare, però, una
curiosità. Ha presente i
peperoni peperlizia? Beh, il
loro successo deriva da una
ricetta di una cugina di mia
nonna. A volte, il successo
di un prodotto nasce dalla
normalità della vita vissuta
in casa, prima ancora che
dalle strategie manageriali».
Tornando all’aceto, un
consiglio da chi lo produce a
chi lo consuma? «Ricordate
di tappare bene la bottiglia,
perché l’aceto è come il
vino, è un prodotto vivo. E
poi, conservatelo al buio e
non troppo al caldo. E se
volete un consiglio
ecologico, beh, ricordate
che l’aceto, oltre che ottimo
condimento, può essere un
brillantante naturale, non
inquinante».
Manuel Gandin
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