Filosofia nella progettazione

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Filosofia nella progettazione
Filosofia nella progettazione
Giampaolo Ghilardi (FAST – Istituto di Filosofia dell’Agire Scientifico e Tecnologico, Università Campus
Bio-Medico di Roma) e Dino Accoto (Facoltà di Ingegneria, Università Campus Bio-Medico di Roma)
La Filosofia ha aperto il campo della conoscenza interrogandosi sul perché dei fenomeni, del
mondo, dell’essere; la Scienza, che nasce dalla filosofia, ha poi ristretto il campo d’indagine al cosa,
ricercando la natura della realtà. La domanda sul perché non è stata abbandonata, ma è stata
riformulata in termini più quantificabili; la Tecnica, anticamente ritenuta interna all’albero del
sapere, dirige la propria forma conoscitiva verso il come delle pratiche.
Dove si colloca l’Ingegneria all’interno di questa mappa? L’ingegnere, in quanto tecnologo, si
avvale tanto del sapere tecnico, quanto di quello scientifico-teorico quanto, come vedremo, di
quello pratico-filosofico, intendendosi per filosofia pratica l’ambito della filosofia classica di
interesse per quanti lavorano nell’ambito della realizzazione di finalità operative. In quanto
tecnologo, un ingegnere si occupa sia del perché quanto del come delle cose e dei processi
produttivi.
Se si accetta l’assunto che la domanda sul perché debba precedere la domanda sul come, e che a
quest’ultima sia chiamata a dare una risposta l’attività progettuale, allora l’analisi del perché deve
riguardare quella fase che precede la progettazione vera e propria e che mira a formulare in modo
corretto il problema cui è chiamato a rispondere l’ingegnere progettista.
Come è noto, il problema ingegneristico affrontato dalla fase progettuale è enunciato tramite una
specifica tecnica.
Molto spesso la definizione di dettaglio di un nuovo prodotto scaturisce dall’interazione dialettica
fra un committente (ad esempio un’impresa o un imprenditore) e un fornitore (ad esempio un
professionista, uno studio di professionisti o una società di progettazione). Frequentemente, specie
nei settori caratterizzati da elevati livelli tecnologici, anche la formulazione del problema (ossia la
redazione delle specifiche) può scaturire da un’interazione dialettica fra committente e fornitore. In
casi come questi, e in generale ogni qualvolta il progettista partecipa attivamente alla definizione
delle specifiche, l’analisi del perché può assumere un ruolo centrale. Infatti, molto spesso un
medesimo obiettivo può essere soddisfatto in una pluralità di modi, ciascuno corrispondente ad un
diverso come. Quando non vi siano delle chiare motivazioni tecniche per preferire un “come”
rispetto agli altri, ad esempio per via di considerazioni di uso ottimale delle risorse disponibili, è
possibile analizzare l’obiettivo in termini di perché: perché l’obiettivo del dispositivo che si deve
progettare è quello dato? Sebbene sia di solito il mercato a imporre l’obiettivo della progettazione,
dietro ogni necessità implicita o esplicita si possono celare motivazioni più profonde, che
definiremo come i “fini dell’obiettivo”. Tali fini sono enucleabili tramite l’analisi del perché.
Tentiamo ora una specificazione più minuta di quanto detto. In sintesi: perché si fa quello che si fa?
Si può rispondere in diversi modi alla domanda sul perché di una cosa/azione. Aristotele, che fu il
primo ad analizzare i diversi tipi di causalità, ne distinse quattro: i. causa finale; ii. causa efficiente;
iii. causa formale; iv. causa materiale. L’ordine di elencazione non è casuale, ma riflette la gerarchia
con cui sono state concepite da Aristotele, per il quale la causa finale era la più importante tra tutte
le possibili causalità. La risposta al perché di un’azione o di un fatto naturale era ottenuta quando si
era in grado di spiegare il fine a cui quella tendeva. Le altre cause si spiegano a partire dalla finale.
Veniamo ora allo specifico dell’utilità progettuale di queste riflessioni di tenore filosofico.
Ammettiamo che un’analisi attenta abbia consentito di individuare in modo chiaro l’obiettivo di un
nuovo dispositivo, oggetto di attività progettuale. A quel dato obiettivo possono essere associati dei
fini, che possono essere o non essere esplicitamente ricompresi nell’obiettivo dato. Il
raggiungimento di ciascun fine, a sua volta, richiederà alcune funzioni specifiche del dispositivo,
che potranno essere successivamente formulate in termini di vincoli o prestazioni nell’ambito delle
specifiche tecniche. Proviamo a fare un esempio. Si immagini di dover realizzare un esoscheletro il
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cui obiettivo sia il supporto alla camminata di una persona disabile. L’analisi delle finalità parte
dalla domanda: perché (è bene) supportare la camminata di un disabile? Ad un livello ulteriore di
analisi ci si può chiedere: perché, in generale, si vuole camminare? Cosa significa camminare?
Come si cammina?
Come si vede ci stiamo ponendo le domande fondamentali, perché, cosa e come, che configurano
l’indagine filosofica, scientifica e tecnica: nessun ambito è escluso. Inoltre, la riflessione sul primo
perché (“perché è bene supportare la camminata di un disabile?”) può indurci a riflettere, ad
esempio, sulle implicazioni sociali e psicologiche insite nel relazionarsi con i propri simili in
posizione eretta e in condizioni di autonomia. A seconda delle risposte che si daranno alle domande
su esposte avremo una comprensione specifica dell’obiettivo e una formulazione conseguente delle
specifiche tecniche del progetto.
Quello che si sta cercando di rendere evidente è come vi sia una forte componente ideale che, nel
corso della formulazione di un problema ingegneristico, non va tralasciata o data per implicita, ma
che anzi vale la pena di esplicitare sempre più, perché rende anzitutto il lavoro più trasparente sia a
chi lo compie che a chi ne dovrà fruire e, secondariamente, perché permette di valutarne la riuscita.
L’esplicitazione iniziale delle finalità si costituisce quindi come un ottimo strumento di
autovalutazione del prodotto. Così facendo, aiuterà il progettista a migliorarlo secondo uno schema
chiaro e coerente.
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