C:\Documenti\ARPAT\pagemaker gi

Transcript

C:\Documenti\ARPAT\pagemaker gi
novembre
2003
A.R.P.A.T.
Associazione Regionale Produttori Apistici Toscani
Via della Resurrezione, n° 2r - FIRENZE - Tel. 0556533039 - [email protected]
Varroa, estate 2003: se muoiono le famiglie
quanto è colpa del prodotto? quanto è colpa dell’apicoltore?
Erano i primi di settembre quando ha cominciato a circolare,
per poi propagarsi, questa voce: “l’apiguard non ha funzionato”. Chi aveva trattato con apistan sembrava essere invece
soddisfatto.
E comunque erano soddisfatti anche diversi tra gli apicoltori
che avevano usato l’apiguard.
Prima questione: soddisfatti o insoddisfatti, lo si era per incoscienza o a ragion veduta?
Domenica 26, alla presenza di troppo pochi apicoltori, si è
svolto a Firenze un incontro tecnico per cercare di capire
meglio cos’era successo.
Seconda questione: perché gli apicoltori intervenuti erano così
pochi mentre l’insoddisfazione sull’apiguard era così diffusa?
Chi non è venuto, aveva così poco interesse per le sue api?
Terza questione: possiamo veramente dire che è il prodotto
che non ha funzionato? E su quali basi?
Avevamo ampiamente avvertito, dalle pagine di questo
giornalino, che tutti i prodotti antivarroa –ma i prodotti a
base di olii essenziali in particolar modo- richiedono non solo
la somministrazione, ma anche un po’ di cervello. E avevamo
indicato agli apicoltori semplici metodi per rendersi conto di
quanta varroa c’è prima del trattamento, quanta ne cade durante, quanta ne rimane dopo, di quanta varroa a volte torna
ad aumentare –a trattamento finito- l’infestazione residua.
Avevamo avvertito che l’apiguard –prodotto nuovo- non sarebbe stato una panacea, e ne avevamo indicato pregi e difetti rispetto all’apilaif var.
Vediamo ora come capire qualcosa di ciò che è avvenuto.
Venivamo da un 2002 di grande infestazione, e, ricordiamo,
molti apicoltori avevano trattato con grande ritardo per riuscire a compensare un’annata scarsa coi raccolti tardo-estivi
o autunnali. A questo punto, nel caso di utilizzo di prodotti
evaporanti, le basse temperature non erano più sufficienti a
garantirne l’efficacia. Inoltre in molte zone l’assenza di covata invernale si è verificata tardi, e in molti hanno usato l’acido
ossalico “a calendario”, cioè nelle date in cui erano abituati ad
usarlo, senza verificare veramente se c’era o no ancora covata. Ecco che siamo arrivati al 2003 con una grossa quantità di
varroa sparsa per gli apiari. Nei vostri no? E ne siete proprio
sicuri? Ma in tanti altri sicuramente sì!
Ecco che arriviamo già pieni di varroa a un’estate tra le più
secche e le più calde che si ricordino.
Uno dei primi effetti del secco è la tendenza al saccheggio
generalizzata, che, si dice, aiuti a propagare la varroa. Una
delle ragioni per cui l’apistan ha “funzionato meglio” non è
solo dovuto a un’efficacia che dipende meno da troppe variabili, ma anche dalla lunga durata del trattamento, che assorbe le reinfestazioni successive.
Un altro effetto del secco è stato, in alcune zone, un blocco
della covata già presto d’estate. Si sarebbe potuto, là dove
di Paolo Faccioli
s’è verificato, approfittarne per trattare subito (tanto non
c’era importazione di nettare). Invece, alla ripresa della
covata, le varroe presenti, al loro culmine estivo, hanno avuto
la possibilità di tuffarsi tutte nella poca covata man mano
che riprendeva, e devastarla. Dopodiché c’è poco da stupirsi se anche alla fine dei trattamenti molta covata era comunque morta.
Il blocco della covata ha provocato una diminuzione vistosa
delle api (ne morivano, non ne nascevano), che spesso è stata attribuita ai prodotti antivarroa. O dei fenomeni di
“cannibalismo” (api che divorano le larve non potendole nutrire), che si traducono in buchi nella covata, anch’essi spesso attribuiti ai prodotti usati. Molti anche i casi di sostituzione di regine, che hanno continuato a verificarsi fino a
ottobre e in assenza di fuchi. Ma tutto questo era cominciato anche prima dei trattamenti!
segue in terza pagina
18° edizione concorso
mieli toscani:
le graduatorie
Categoria Millefiori
1° David Torracchi
2° Daniela Bacci Allodoli
3° Az. Agr. Le Soiane
Categoria Acacia
1° Giuseppe Bennati
2° Piera Spicchi
3° Giovanni Verniani
Categoria Castagno
1° Silvia Corsi
2° David Torracchi
3° Francesco Chiarantini
Categoria melata
1° Danilo Valoriani
2° Andrea Biagi
3° Roberto Bennati
in ultima pagina un commento sul concorso
all’interno: trattamento autunno/inverno contro la varroa
Trattamento Autunnale/invernale
controla varroa nel 2003
Un’importante premessa, per chi abbia utilizzato
l’Apistan come trattamento estivo: non solo le striscie
vanno assolutamente tolte dopo un massimo di dieci settimane, ma
1) UNA VOLTA FINITO L’INTERO TRATTAMENTO
NON VANNO PIU’ RIUTILIZZATE e
2) IL TRATTAMENTO CON APISTAN NON ESENTA
DAL TRATTAMENTO INVERNALE.
Esso rende possibile togliere dalla circolazione eventuali varroe resistenti rimaste, aumentando la possibilità di poter riutilizzare efficacemente il prodotto in
futuro (dopo l’intervallo previsto). Inoltre aiuta a sbarazzare l’alveare da tutte quelle varroe portate al suo
interno alla fine del trattamento: il fenomeno della
reinfestazione può avere infatti una portata micidiale,
che finora è stata sottovalutata: famiglie già trattate
che saccheggiano altre famiglie della zona, non trattate o trattate con ritardo e quindi deboli. Anche quest’anno molti apicoltori hanno ritardato i trattamenti
per sfruttare il raccolto tardivo e compensare la generale scarsità del raccolto estivo: la reinfestazione è dunque un pericolo più attuale che mai.
Possiamo dunque ripetere che
1)Il trattamento autunnale/ invernale è assolutamente
indispensabile
2) Ma è anche indispensabile farlo al momento giusto
Il momento giusto per il trattamento autunnale/invernale è quello in cui si verifica un’ASSENZA TOTALE DI
COVATA OPERCOLATA: non rimarranno così varroe che,
nascoste nelle celle, sfuggano al trattamento. Esso deve
infatti costituire una PULIZIA TOTALE in attesa della
ripresa della covata.
Quando aspettarsi l’assenza di covata?
Dalla fine di ottobre in poi occorre esaminare periodicamente il nido a questo scopo, senza farsi problemi di
disturbare le api: un residuo di varroe rimasto perché
ci si è lasciati sfuggire il momento giusto è un disturbo
molto più grave per la famiglia!
Con la pratica si arriva a individuare, zona per zona, il
momento di più probabile assenza di covata, ma occorre
tener presente che le eccezioni sono più di quello che ci
si aspetterebbe. Quindi è necessario VERIFICARE.
Che fare se la covata non tende a sparire?
Si può disopercolare, un giorno prima del trattamento,
eventuali piccole rosaie di covata rimaste, per provocare la fuoriuscita delle varroe; oppure addirittura asportare la covata opercolata. Altrimenti, è possibile utilizzare una modalità di trattamento alternativa (acido
ossalico a spruzzo), che descriveremo di seguito.
Che prodotto utilizzare?
Continuiamo a consigliare l’Acido Ossalico, sgocciolato
o a spruzzo, che è anche compatibile con l’apicoltura
biologica.
Acido Ossalico sgocciolato
Se ne trovano in commercio (per esempio alla Cooperativa Apitoscana) dosi singole per un alveare o flaconi già
preparati. Altrimenti si prepara così (dose per circa 32
alveari):
-1 kg di zucchero
-1 l. di acqua distillata o demineralizzata
-1 etto di Acido Ossalico diidrato, reperibile in un negozio
di prodotti chimici o in farmacia. Prezzo, sulle 10.000 lire
al Kg.
Si scalda l’acqua e si scioglie l’acido finchè la soluzione
diventa trasparente. Si aggiunge lo zucchero e si aspetta
che la soluzione sia di nuovo trasparente e senza fondi.
Il quantitativo di sciroppo va dosato in proporzione alla
forza della famiglia: 50 cc. di soluzione se ci sono 10 telaini
coperti d’api, 45 cc. se sono 9, ecc. In pratica: 5 cc. per
telaio coperto d’api.
Per telaio “coperto d’api” si intende non la presenza di
poche api su un telaino, ma un’effettiva
copertura.Quest’anno in molte zone, a causa della siccità, si sono verificati spopolamenti delle famiglie, per
cui è particolarmente importante controllare la forza
reale e non procedere alla cieca: l’acido ossalico dato
in dose eccessiva potrebbe contribuire a un ulteriore
spopolamento.
Va somministrato con una siringa, sgocciolandolo soprattutto negli spazi tra telaio e telaio.
Cosa devo sapere sull’acido Ossalico sgocciolato?
1-In genere si trova nei negozi l’Acido Ossalico diidrato.
Va sempre verificato che sia proprio diidrato. Esiste infatti anche l’Acido Ossalico anidro, ma allora cambiano le
dosi.
2-L’acido ossalico è molto corrosivo, può bruciare la pelle
e gli occhi, va maneggiato coi guanti e, se dato a spruzzo,
anche con mascherina e occhiali.
3-L’acido ossalico sgocciolato va utilizzato con una temperatura esterna non inferiore ai 5 gradi centigradi.
4-E’ preferibile usare il prodotto fresco di preparazione.
5-E’ meglio somministrarlo leggermente tiepido.
6-E’ consigliabile un solo trattamento (per questo è importante l’assenza di covata).
7-Con più di un trattamento, oppure in zone piuttosto umide, si è riscontrata, a volte, una certa mortalità delle api.
L’umidità accentua infatti l’acidità, che è il fattore determinante nell’eliminazione della varroa, ma che oltre una
certa soglia agisce anche sulle api. Per ovviare a questo
inconveniente è stata diffusa anche una seconda formula:
80 gr acido ossalico diidrato (57 gr. se anidro); 400 gr di
zucchero; 1 l di acqua distillata.
8-Se la caduta di varroe è alta (nell’ordine delle centinaia), va considerato un secondo trattamento, con Apitol,
con Ossalico “formula soft” o con ossalico a spruzzo.
9-Va ricordato che con l’ossalico sgocciolato la caduta di
varroe raggiunge il massimo dopo tre giorni, ma persiste
per 6-7 giorni o più.
10-L’acido ossalico è adatto a trattamenti autunnali-invernali perché dà il suo meglio a temperature non alte. Può
segue in terza pagina
Trattamento contro la varroa
segue
dalla
seconda
pagina
essere usato anche in altri momenti dell’anno, ma con
efficacia notevolmente ridotta.
11-E’ importante agitare la soluzione prima dell’uso.
Acido Ossalico a spruzzo.
Adatto per chi non ha un numero elevato di alveari, perché più laborioso.
Si fa una soluzione di 30 g di acido ossalico diidrato in
un litro d’acqua. Si spruzzano 3 o 4 ml di questa soluzione su ogni facciata di telaio coperto d’api, utilizzando
uno spruzzatore da giardino e dopo essersi accertati di
quanti spruzzi servano per arrivare a 3 o 4 ml. E’ richiesta una temperatura di almeno 7 gradi.
Attenzione!
E’ bene verificare sempre, almeno a campione, la caduta delle varroe con foglio vaselinato posto sul fondo. In
caso di caduta alta (alcune centinaia o più) occorre considerare la possibilità di ripetere il trattamento dopo
almeno 7 giorni.
Varroa, estate 2003:
se muoiono le famiglie ............
segue
dalla
prima
pagina
Aggiungiamo che in zone –come la costa tirrenica- dove
era tradizione usare il principio attivo Coumaphos, esso ha
dato risultati sconfortanti (anche su questo sono alcuni
anni che mettevamo in guardia!)
In tutti i casi si è salvato chi, per il fatto di tenere le api
sotto osservazione, è riuscito in tempo a somministrare un
trattamento alternativo.
Le temperature estreme possono avere provocato delle
anomalie nel funzionamento dei prodotti. Su questo punto
indagheremo ancora. Abbiamo faticosamente imparato a
capire le variabili che interagivano con l’apilaif var, dobbiamo approfondire quelle che interagiscono con l’apiguard,
un prodotto che avevamo consigliato -dopo varie
sperimentazioni- per il minor fastidio dato alle api, il minor lavoro richiesto, e un’efficacia che anche numerosi studi
-svolti nel corso di varii anni in varie parti d’Italia e del
mondo- avevano accertato.
Altra questione interessante: perché nessuno di quelli che
poi si è venuto a lamentare alla Coop.Apitoscana ha chiesto
tempestivamente l’assistenza dei nostri tecnici apistici?
Noi non vogliamo dunque condannare o assolvere l’apiguard
o altri prodotti, che mai abbiamo consigliato alla leggera,
vogliamo anzi continuare a indagare per usarli meglio.
Ma vogliamo anche far notare quanta è la responsabilità
degli apicoltori e quanta osservazione e presenza sono richieste per stabilire cause ed effetti.
Abbiamo diffuso un questionario (potete trovarlo alla Cooperativa Apitoscana) per monitorare meglio quanto avvenuto e migliorare il nostro livello di assistenza tecnica.
E porteremo queste questioni all’incontro della Commissione Sanitaria UNAAPI a dicembre.
P.S. Per questa riflessione mi sono avvalso, oltre che delle
mie personali esperienze, delle preziose osservazioni di
Patrizio Pratesi, Marco Valentini, Enzo Santini, Franca
Franzoni, Giuseppe Baldazzi, Marco Mantovani, Claudio
Scialoja, Paolo da San Gimignano, che ringrazio.
Importante!!!: il 15 novembre
incontro a Poggio a Caiano
Presso l’Oasi Apistica Le Buche, si terrà un incontro che durerà tutta la giornata del sabato, con il
C.d.A. dell’A.R.P.A.T. e tecnici, veterinari, amici dell’associazione per parlare di :
- IGP miele toscano, disciplinare e stato dell’arte
- Apicoltura e ricerca
- Proposte di modifica e integrazioni alla legge
regionale sull’apicoltura (L.r.. 69/95)
- Rete di monitoraggio ambientale
I posti per partecipare sono limitati, pertanto è
importante
contattarci
e
prenotarsi
(eventualmemte anche per il pranzo).
Fogli cerei per l’apicoltura biologica
Presso la cooperativa Apitoscana è possibile ordinare fogli
cerei senza residui rilevabili ad uso dell’apicoltura biologica. Perciò, fate i vostri piani per l’anno prossimo e i vostri
calcoli, e telefonateci.
Ricordando che è estremamente difficile, se non impossibile, riuscire a procurarsi questo tipo di cera all’ultimo momento, in prossimità dei lavori primaverili. La data entro la
quale potete fare le vostre ordinazioni è il 20 DICEMBRE.
Disinfezione dei materiali
contaminati da peste americana
Come ogni anno è possibile portare attrezzature provenienti
da famiglie colpite da peste americana per la disinfezione
coi raggi gamma. Questo tipo di disinfezione rende
riutilizzabili senza ulteriore lavoro (quale raschiatura o
sfiammatura): arnie, melari, telaini da melari anche costruiti, telaini da nido anche costruiti, purchè non contenenti
miele o covata.. Per ottenere questo servizio, telefonate
alla Cooperativa Apitoscana. Verrà stabilita una data per
portarci i vostri materiali, che verranno da noi assemblati
in modo da ottimizzare lo spazio.
Kit diagnostico per la peste europea
E’ in vendita presso la Cooperativa un kit diagnostico per la
peste europea. Consente, in casi di dubbio, di essere certi
che la putrefazione di larve dipenda da questa malattia. A
quanto ci risulta il test funziona soprattutto là dove la peste è comunque riconoscibile alla vista per un apicoltore
esperto. Funziona in modo molto semplice, mescolando un
pezzettino di larva a un solvente, sistemando il tutto su una
striscia, che si colora in caso positivo.
20° corso di apicoltura a Firenze
A febbraio 2004, organizzato dall’ARPAT e in collaborazione della Coop. Apitoscana, inizierà il 20° corso di apicoltura
per principianti.
Il corso prevede lezioni teoriche e pratiche, tenute da docenti universitari, apicoltori professionisti e tecnici apistici.
Le lezioni si terrano presso la sede della Coop. Apitoscana a
Firenze in Via della Resurrezione 2r, indicativamente il martedì ed il giovedì dalle ore 17,15 alle ore 19,15.
Contattateci per informazioni e iscrizioni
Concorso mieli toscani: il déja vu dell’annata apistica.
Marco Valentini
Ecco, finalmente siamo giunti al “giorno dopo” del 18°
Concorso regionale Mieli Toscani. Il 23 ottobre scorso è stato un vero e proprio tour de force della degustazione, ovvero il pericolo numero uno per ogni tipo
di palato. Infatti, quando una cosa la si fa esclusivamente per il gusto di farla, il rischio è strafare; assaggiare una ventina di mieli (grossomodo quello che
è toccato a ciascuno dei quindici giudici, riuniti in 4
giurie, convocati dall’Arpat per esaminare i campioni
presentati dagli apicoltori) vi assicuro che può essere deleterio anche per l’amante più appassionato del
nostro prezioso prodotto.
Per fortuna i mieli presentati erano tutti di ottima
qualità e questo ha alleviato le pene del degustatore
spinto dalla curiosità di assaporare le novità sensoriali
del campione successivo; presentazione ineccepibile,
pochissimi difetti, parametri in regola, questa potrebbe essere la breve descrizione dei mieli a disposizione dei nostri sommelier. E, a fine concorso, si può
affermare che, analizzando i campioni presentati, è
possibile evocare alla mente, come una breve sequenza cinematografica, l’intera l’annata produttiva di quest’anno.
Tre soli i campioni eliminati per l’umidità elevata, di
cui due di miele primaverile ed uno di castagno. Ed,
infatti, le piogge, quest’anno si sono protratte abbondanti fino alla primavera e poi hanno lasciato il
posto al sole più cocente.
Che solo un castagno avesse un’alta umidità, lo possiamo definire un evento storico che segna senz’altro
la maggiore attenzione che pongono gli apicoltori ad
un parametro di importanza capitale per la conservazione del loro miele. Ma non possiamo dimenticare la
temperatura elevatissima, vicina ai 40 °C che si è protratta, durante la fioritura del castagno, per giorni e
giorni e la concomitante raccolta di melata, probabilmente di quercia; fenomeni entrambi che hanno ridotto l’umidità del miele e (la melata) anche scurito e
“addolcito” un miele che nel nostro territorio è, di
solito, più chiaro ed amaro. Purtroppo le produzioni
sono state scarse, anche se la qualità è stata,
senz’altro, superiore a quella di molte altre parti d’Italia altrettanto vocate delle nostre.
Salta agli occhi, invece, la grande qualità del miele di
acacia presentato dei quali, almeno 5 si sono contesi
fino all’ultimo il primo premio. Vi ricordate le maledizioni che tuonavano dalle nostre case l’indomani la gelata tardiva di aprile e la meraviglia nel constatare
che, a maggio, nonostante tutto, l’acacia fioriva?
Particolarmente pregiate sono risultate anche le
melate, complice la secrezione di melata primaverile
che ha dato un tocco di classe in più ad un miele, purtroppo, ingiustamente poco amato nell’Italia centro
meridionale. Non hanno sfigurato neppure le melate
di metcalfa delle nostre colline se non fosse per una
scarsa umidità, che possiamo definire da record, che
solo di rado ha superato il 13%, dovuta, anche questa,
alla scarsissima umidità dell’aria che abbiamo avuto nel
periodo di produzione (luglio-inizi di agosto). Questo
ha prodotto un piccolo difetto tattile: quando ha un
bassissimo contenuto d’acqua – a parte il fatto che è
avaro di odori perché li mantiene a se e con grande
determinazione – il miele abbisogna di molto tempo,
una volta portato alla bocca, per essere diluito dalla
saliva; da qui una non piacevole sensazione di difficoltà
di deglutizione e un ritardo nella liberazione degli aromi e, questo, penalizzano il miele troppo poco umido.
Non di grande pregio, invece, dobbiamo ammetterlo, i
millefiori che solo in due casi non avevano almeno un po’
di melata nella loro composizione. Di questi, uno si è
aggiudicato il primo premio ed uno il terzo, penalizzato
da qualche piccola imperfezione di presentazione, chiaro messaggio che il millefiori con melata non attira i
palati degli esperti (e probabilmente neppure dei consumatori). Purtroppo (per il gusto, ma per fortuna per
le produzioni) il 2003 può essere ricordato come l’anno
in cui c’è stata una continua secrezione di melata (anche se non molto abbondante) tra giugno e fine luglio,
grazie gli afidi della quercia e alla Metcalfa pruinosa.
Miele millefiori con melata, sarà questo il nostro futuro? Attenzione, però, a chiamarlo millefiori. Se il miele
ha un contenuto di sali minerali superiore allo 0,6%, ce
lo dice la legge, non può essere definito millefiori, denominazione dalla quale traspare chiaramente la provenienza dal nettare dei fiori. Se abbiamo un dubbio,
che non vogliamo chiarire con una appropriata analisi,
per non rischiare una multa dalle autorità preposte al
controllo, meglio astenersi da ogni denominazione
aggiuntiva e chiamarlo solo “Miele”.
Altra caratteristica di questa sfortunata campagna
apistica (che, visto lo stato di prostrazione delle nostre api, speriamo di non dover ricordare anche come
quella che ha ridotto il patrimonio apistico) è stata la
quasi assenza di mieli monofloreali di grande qualità,
tutti presenti ma “inquinati” da altri nettari
concomitanti: dove sono l’erica, la sulla, il tiglio, il girasole e la melata di abete di una volta?
Siena: corso di analisi
sensoriale dei mieli
Stiamo organizzando un corso di analisi
sensoriale dei mieli di primo livello in
provincia di Siena. Presumibilmente il
corso si terrà nei mesi di gennaio- febbraio, Se siete interessati a partecipare contattateci, i posti sono limitati.
[email protected] - 0556533039