dossier varroa

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dossier varroa
Unione Nazionale
Associazioni Apicoltori Italiani
“PROGETTO DI INIZIATIVE
DI ASSISTENZA TECNICA PER
LA RAZIONALIZZAZIONE PRODUTTIVA
NEL SETTORE APISTICO”
M.I.P.A.F.
Ministero per le
Politiche
Agricole Forestali
I quaderni dell’apicoltore
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LOTTA ALLA
VARROASI
A cura di
Roberto Barbero
Francesco Panella
Barbara Leida
Qualsiasi riproduzione, noleggio, prestito, utilizzo in rete, rappresentazione pubblica, diffusione e trasmissione è autorizzata a condizione che se ne concordino le
modalità con l’ U.N.A.API.
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Lotta alla varroa:
le api sono salve
C
on un lavoro che ha saputo coordinare nella
Commissione Sanitaria dell’U.N.A.API. quanti sono stati concretamente disponibili a
fronteggiare la fase critica, siamo giunti a delineare
una metodologia di lotta che ci consente di dichiarare chiusa l’emergenza.
Sono varie le direzioni in cui stiamo lavorando per
migliorare la tecnica ed i metodi di approccio; contiamo di potervene presto dare conto e di derivarne altre indicazioni operative, ma oggi riteniamo di
essere giunti ad un primo risultato.
Una metodologia e una tempistica degli interventi,
compatibile e sopportabile economicamente, efficace se ben applicata, “dolce” nei confronti del
miele, degli apicoltori, delle api.
Sono però ancora molti gli apicoltori che utilizzano “scorciatoie” a base di esterofosforici.
Ciò in parte può essere addebitato a considerazioni
economiche e ad un eccesso di fiducia nella chimica
(ovvero molti apicoltori seguono la stessa “cultura”
nella valutazione di costi-benefici che criticano
quando la trovano applicata nel mondo agricolo).
Ma il vero punto critico, in molte zone, è dato:
✘ dalla scarsa, se non nulla, aggregazione associativa territoriale;
✘ dai bassi livelli di assistenza tecnica;
✘ dalla scarsa capacità dei veterinari e delle associazioni apistiche di organizzare gli apicoltori e
dare, in modo credibile, indicazioni operative.
Sono questi i requisiti indispensabili per la contemporaneità ed efficacia dei trattamenti.
E’ questa la “gamba” che sovente rende zoppicante
e non percorribile ed efficace l’approccio misurato
nella lotta alla varroa e che incentiva gli atteggiamenti “chimiconi” e “fai da te”.
IL TALLONE DI ACHILLE
E’ indispensabile progettare una ridefinizione del
tessuto associativo apistico, dei suoi connotati, dell’utilizzo delle risorse pubbliche, della tipologia dell’assistenza tecnica se vogliamo evitare di ritrovarci, a breve, nuovamente nell’emergenza.
Nessuno può, infatti, dire con quale velocità si diffonderanno sul territorio nazionale i fenomeni di
resistenza al coumaphos, già segnalati in alcune
zone dell’Italia. L’esperienza dell’Apistan (principio attivo fluvalinate) ne lascia tuttavia presagire
una veloce e rapida diffusione.
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L’U.N.A.API. PROPONE :
DARE ASSISTENZA TECNICA PER CREARE
ASSOCIAZIONE - CREARE ASSOCIAZIONE
PER RENDERE EFFICACE L’ASSISTENZA
TECNICA
razione dei tecnici e la continuità dell’assistenza
tecnica dipendono dalla capacità di raggiungere
tale obiettivo. Non è più pensabile, non è produttivo, oggi, affidarsi a figure “a tempo”, in “prestito”
o al sempieterno volontariato.
✔ Che le risorse pubbliche non coprano la totalità
dell’intervento, ma chiedano uno sforzo, anche
modesto, agli operatori ed alle associazioni. Ciò
che è regalato non viene valutato adeguatamente
ed è facilmente sprecato.
✔ Che non si distolgano, a fini sanitari, dai già magri
bilanci dell’agricoltura fondi per l’acquisto di presidi e che li si investano di converso nella ricerca,
in collaborazione con gli apicoltori, in prove di
efficacia sul campo, in risorse per sostenere la
comunicazione, oggi strumento vitale per l’efficacia dei piani di lotta.
Sono obiettivi, di certo, ambiziosi, ma oggi si delineano come percorribili grazie sia al “Programma di
assistenza tecnica per la razionalizzazione produttiva del settore apistico”, sia al regolamento comunitario 1221 e ancor più saranno realizzabili se verrà
approvata la Legge Quadro per l’apicoltura.
A condizione che ognuno si assuma le proprie
responsabilità, a partire dagli assessorati all’agricoltura regionali, passando per le associazioni professionali agricole, per i responsabili veterinari, per
l’associazionismo apistico, per giungere infine ai
singoli apicoltori.
Superare il localismo, il particolarismo ed i miseri
interessi di bottega, superare l’individualismo è sicuramente difficile ma è, pure, la migliore assicurazione per non ritrovarci (domani - presto?) nuovamente con le morie di colonie e nell’emergenza.
✔Che l’assistenza tecnica sia gestita dalle associazioni riconosciute; solo questa formula associativa, infatti, pone il settore in modo “leggibile”
all’ente pubblico ed “obbliga” a confrontarsi con i
problemi, oltre i paraocchi degli angusti confini
territoriali provinciali.
L’esperienza insegna come un’assistenza non
gestita da soggetti associativi apistici (divulgatori,
ricercatori, associazioni allevatori ecc) porta a
ben magri, se non nulli, risultati.
✔ Che le associazioni riconosciute siano effettivamente tali e che ai fini del riconoscimento le
Regioni utilizzino effettivamente quanto dettato
dalla norma: numero di partite IVA e fatturati
dimostrabili (e non stime approssimative).
✔ Che a partire dalla capacità di organizzare la “spina
dorsale” di chi fa l’apicoltore a fini economici nell’associazione riconosciuta trovino organizzazione
ed orientamento tutte le figure apistiche.
✔ Che i programmi di assistenza tecnica (in collaborazione con le autorità veterinarie e sanitarie)
abbiano valenza regionale o quantomeno interprovinciale.
✔ Che ci si sforzi di uscire dal contesto locale e si
cerchi di partecipare adeguatamente ed in modo
organizzato alle istanze ed ai momenti aggregativi
nazionali.
✔ Che ci si avvalga di tecnici professionali che
abbiano come missione: dare assistenza tecnica
per creare associazione - creare associazione per
rendere efficace l’assistenza tecnica. La remune-
Francesco Panella
L’apiario... un vaso
comunicante. Il piano
di lotta alla varroa può
riuscire solo se tutti gli
apicoltori presenti sul
territorio riescono a
salvare le api”
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Generalità della varroa
L
a Varroa è un acaro appartenente alla famiglia
Varroidae (ordine Gamasida o Mesostigmata).
Sino a poco tempo fa si riteneva che sulle nostre
api fosse presente Varroa jacobsoni, raccolta per la
prima all’inizio del secolo dallo svedese Edwar Jacobsoni nell’isola di Giava sull’ape indiana (Apis indica=cerana) ed inviata al famoso acarologo olandese A.
C. Oudemans, che nel 1904 ne descrisse i caratteri
principali sia per la specie che per la famiglia a cui la
assegnò. Dal 2001 invece la varroa ha cambiato nome,
diventando Varroa destructor; si è infatti scoperto
che V. jacobsoni non è in grado di vivere su Apis mellifera.
Varroa destructor è una specie di varroa che si divide in due aplotipi, quello giapponese, importato in
Sud America, meno aggressivo e quello coreano,
importato in Europa, Africa ed Asia, più aggressivo.
setole sensoriali.
Lateralmente si articolano quattro paia di zampe: il
primo paio è sempre proteso in avanti ed è munito di
organi di senso, le altre tre paia servono principalmente per la locomozione. La varroa è estremamente
veloce nei suoi movimenti. Le zampe sono composte
da sette articoli (coxa, trocantere, femore, ginocchio,
tibia, tarso e apotele), ricoperti di peli, ad eccezione
dell’apotele; questo articolo terminale comprende
una ventosa e due unghie.
L’apparato boccale è fornito di cheliceri dentali ed è
strutturato in modo tale da bucare e lacerare la cuticola di larve e pupe, ma anche la membrana intersegmentale dell’ape. La faringe è dotata di un robusto
sistema muscolare che permette di succhiare l’emolinfa. Lateralmente ai cheliceri sono presenti i pedipalpi, formati ciascuno da quattro segmenti, l’ultimo
dei quali è coperto da setole; esse hanno una funzione
sensoriale e d’aggancio per la nutrizione. Il tubo digerente comprende un esofago, un intestino medio con
sei intestini cechi e tubi malpighiani che si uniscono
al retto. La defecazione avviene in continuo.
Il sistema nervoso è formato da un ganglio sotto esofageo avvolto da una membrana corticale.
La respirazione si attua tramite un sistema interno di
trachee ed un diverticolo esterno, o peritrema, che
aumenta e favorisce gli scambi gassosi necessari quando il parassita è fermo all’interno della celletta, o
quando il tasso di anidride carbonica è elevato. Le trachee convergono tutte in uno stigma situato tra il
terzo ed il quarto paio di zampe.
La femmina possiede una spermateca che le permette
MORFOLOGIA
Gli esemplari dei due sessi sono caratterizzati da un
pronunciato dimorfismo sessuale.
La femmina
Ha una forma ellittica, assomiglia ad un piccolo granchio e misura 1,1 mm di lunghezza per 1,6 mm di larghezza. Piccole variazioni nelle dimensioni sono state
accertate tra varroe provenienti da differenti zone
geografiche. Il corpo della varroa è formato da placche (scudi) articolate tra loro. Lo scudo dorsale di
colore variabile dal bruno chiaro al bruno scuro, è
ricoperto da numerose setole. Ventralmente gli scudi
hanno forme e dimensioni legate alla funzione svolta
e da essa prendono il nome: scudo ventrale, scudi epigenitali, ecc. Anche questi scudi sono ricoperti da
Femmina di varroa ingrandita
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ALIMENTAZIONE
di conservare gli spermatozoi portati dal maschio
durante la fecondazione.
Normalmente le femmine vivono alcuni mesi.
Il maschio
Ha forma sferica e dimensioni inferiori a quelle delle
femmina (0.8 mm di diametro) ed è di colore bianchiccio. Possiede un corpo molle, pochissimo sclerificato. Le sue 4 paia di zampe non sono rivolte all’indietro, ma verso l’avanti.
La sua vita si svolge principalmente all’interno delle
cella, in quanto non è in grado di nutrirsi poiché le
sue appendici boccali sono trasformate in organi idonei al trasferimento delle spermatofore durante il
veloce accoppiamento.
Gli stadi di protoninfa, deutoninfa (in particolare) e
adulto della varroa femmina, si nutrono di emolinfa succhiata all’ape adulta, alle larve ed alle pupe. La quantità
di emolinfa inegerita varia con lo stadio fisiologico e, in
particolare, con la stagione.
LOCALIZZAZIONE DELLA VARROA
I maschi di varroa si trovano esclusivamente nella covata opercolata.
Le femmine di varroa possono essere localizzate sull’ape adulta e nella covata opercolata.
Sull’ape adulta, si trovano in corrispondenza delle
membrane intersegmentali degli anelli addominali, ventralmente e dorsalmente, in corrispondenza dell’articolazione testa-torace e torace-addome e sulle articolazioni delle zampe.Su di un ape operaia si possono contare
uno o più parassiti.
Quando non si nutrono si localizzano di preferenza sul
torace perché è la zona più calda, ed anche la zona più
difficilmente raggiungibile da parte dell’ape intenta a
liberarsi dal fastidioso inquilino.
Le varroe si localizzano nella covata opercolata maschile e femminile (raramente in quella di regina)
CICLO DI SVILUPPO
Responsabile della varroasi è la femmina adulta di
Varroa destructor, il cui ciclo di sviluppo si alterna
tra fasi foretiche e fasi riproduttive.
La femmina adulta della varroa può vivere anche tre
mesi, in presenza di covata. Durante questo periodo si
riproduce, mediamente, 2-3 volte, anche se, in laboratorio, è stato dimostrato che può arrivare fino a otto
cicli riproduttivi (non oltre perché non ha più di otto
oociti). La fase in cui vive a spese delle api adulte è
detta fase foretica. In questa fase, la varroa si nutre
dell’emolinfa dell’ape adulta, introducendo i suoi stiletti boccali attraverso la cuticola degli sterniti addominali. La varroa può vivere su tutte le api (talvolta
capita di osservarla anche sulla regina), ma si è osservato che preferisce le api giovani, in particolare le
nutrici, forse perché si servono di queste per introdursi nelle cellette prima dell’opercolatura.
La fase foretica, durante la stagione apistica, ha una
durata variabile da qualche giorno a un paio di mesi,
dopodiché, se c’è covata aperta, un giorno o due
prima dell’opercolatura, la varroa entra nella cella
dove, ad opercolatura completata, avviene la deposizione delle uova, la schiusa e la riproduzione delle
nuove varroe. La fase foretica si prolunga invece di
mesi (si pensa addirittura fino a otto) in caso di assenza di covata. È grazie a questa durata prolungata che
la varroa sopravvive in inverno (nessun trattamento
elimina l’acaro al 100%) e può ricominciare a riprodursi non appena la regina ricomincia a covare e le
condizioni climatiche divengono idonee.
La variabilità di durata della fase foretica dipende da
Maschio di varroa ingrandito
BIOLOGIA
Lo sviluppo è suddiviso in una fase embrionale ed in
una postembrionale.
Fase embrionale
L’uovo è ovale, di colore bianco, misura 0.6x0.300.40mm. Attraverso la sua membrana sottile e traslucida è possibile osservare l’embrione. L’embriogenesi
dura circa 48 ore. Nel corso delle prime 24 ore all’interno dell’uovo si forma una larva esapoda (sei
zampe), che si trasforma in protoninfa prima della
schiusa. La larva, rimanendo racchiusa nel corion dell’uovo, non si nutre né si sposta.
Fase postembrionale
E’ suddivisa in due fasi: protoninfa e deutoninfa,
entrambe caratterizzate da una prima fase mobile ed
una successiva immobile.
Protoninfa: colore bianco, 4 paia di zampe tese e
rade, contorno generalmente arrotondato nella femmina (0.6 x 0.8 mm), perfettamente rotondo nel
maschio (0.6 x 0.6), si sposta di poco a causa della disposizione delle zampe. La protoninfa, sia maschile che
femminile, è in grado di forare la cuticola e di nutrirsi
dell’emolinfa della larva e delle pupe dell’ape.
Deutoninfa: aspetto generale proprio del suo
sesso, forma ellittica per la femmina e circolare per
il maschio: la deutoninfa femminile è ancora bianca,
le zampe sono tese verso l’avanti.
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un ritmo di circa una al giorno. Il primo uovo deposto
è maschile (aploide), i successivi sono femminili.
Dopo la schiusa delle uova, le varroe neonate devono
raggiungere il più velocemente possibile la maturità
sessuale. Raggiunta la maturità sessuale, prima dello
sfarfallamento dell’ape ospite, avviene l’accoppiamento. Esso avviene con una certa frequenza anche tra
acari fratelli, determinando un certo grado di consanguineità. In realtà sono spesso più d’una le varroe adulte che entrano in una cella, limitando così il fenomeno.
Dall’altra parte (e per nostra fortuna) più sono le varroe
adulte che entrano in una cella e più la riproduzione
delle varroe stesse è inibita.
L’accoppiamento avviene sul fondo della cella, dove si
crea anche una “zona di accumulo fecale”. In seguito
all’accoppiamento e
allo sfarfallamento
dell’ape, i maschi
della varroa muoiono, in quanto il loro
apparato boccale è
modificato per l’accoppiamento (per il
trasporto degli spermatozoi) ed è troppo delicato per lacerare la cuticola dell’insetto, motivo per
cui non sono in
grado di nutrirsi.
Gli stadi pre-immaginali non ancora
adulti di varroa, che
non si sviluppano
prima dello sfarfallamento
dell’ape,
sono destinati a
morire. Sono quindi
quelle colonie di api
che hanno un periodo di opercolatura
più lento che favoriscono maggiormente lo sviluppo della varroa. Colonie di api già molto infestate hanno generalmente un periodo di opercolatura
più lungo, dovuto anche all’incapacità delle api “malate”
di disopercolare le celle infestate.
Da tempo sappiamo che la varroa nutre una preferenza
per le celle di covata da fuco.Normalmente,da una cella
da fuco escono da due a quattro varroe feconde, mentre
dalle celle di operaia ne escono solo una o due. Non è
chiaro quale meccanismo le attragga. Sicuramente l’acaro è favorito nella fase riproduttiva, dato che la fase di
opercolatura dura più a lungo. Ma non solo. La varroa
entra nella cella da fuco diverse ore prima rispetto alla
cella di operaia (45 contro 15 ore). Sembra, inoltre, che
nella covata maschile vi siano delle sostanze respon-
diversi fattori tra cui:
✘ le condizioni climatiche (nei climi caldi, dove c’è
covata disponibile quasi tutto l’anno, gli acari hanno
meno fretta di riprodursi);
✘ l’età degli acari (gli acari al primo ciclo riproduttivo
impiegano più tempo, mentre i più vecchi hanno
generalmente una fase foretica più breve); non si tratta tuttavia di una regola, essendo gli acari in grado di
iniziare - la deposizione anche dopo un giorno dallo
sfarfallamento dell’ape;
✘ l’attrattività della covata;
✘ il periodo dell’anno (più breve in primavera e più
lunga in estate);
✘ le variazioni di umidità relativa (la varroa ha bisogno
di molta umidità per vivere).
Durante la stagione
apistica, coesistono
sia la fase foretica
che quella riproduttiva. In inverno, invece, in assenza di
covata, si ha solo la
fase foretica. Occorre approfittare di
questo breve lasso di
tempo per intervenire con la lotta all’acaro, che, trovandosi
allo scoperto, non
può sfuggire ai trattamenti.
La fase riproduttiva
della varroa avviene
invece all’interno
della covata opercolata ed è così articolata: la femmina adulta entra nella cella
uno o due giorni
prima dell’opercolatura e si porta subito
sul fondo della stessa, al disotto della
larva, cosicché le api nutrici non possano raggiungerla.
La respirazione dell’acaro è permessa grazie a strutture
respiratorie modificate che gli permettono di vivere
anche dentro il cibo larvale.Anche all’interno della cella
opercolata la varroa si nutre a spese dell’emolinfa dell’insetto nei suoi stadi pre-immaginali. Ed è proprio
attraverso la nutrizione che danneggia l’ape, non tanto
per la sottrazione dell’emolinfa, quanto piuttosto per la
trasmissione di virosi che determinano le cosiddette “ali
mangiate” e paralisi. La nutrizione all’interno della celletta è molto importante per lo sviluppo della varroa.
Una nutrizione insufficiente, infatti, può ridurre o inibire completamente l’ovodeposizione. Una volta all’interno delle celle opercolate, la varroa depone le uova con
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DIAGNOSI
sabili dell’attrattività superiore. Fino ad oggi si pensava che tale sostanza fosse il palmitato di metile.
Recentemente questa ipotesi è stata smentita. Studi
ancora in corso sembrano attribuire queste proprietà
attrattive a qualche sostanza presente nel cibo larvale.
Nelle celle di fuco la quantità di quest’ultima è di circa
20 volte maggiore che in una cella normale.
In ogni caso risulterebbe utile tenere negli alveari favi
ben costruiti per evitare la formazione di covata
maschile in eccesso e di “coltivare”, conseguentemente, varroa.
La variabilità della durata delle fasi foretica e riproduttiva della varroa, purtroppo, sono alla base della
variabilità dei risultati ottenuti in seguito ai trattamenti.
La varroa c’è sempre. Il problema è: quanta?
Sono stati messi a punto diversi metodi per valutare il
livello dell’infestazione, ma nessuno offre una risposta
precisa.Vale in ogni modo la pena di elencarli.
o SINTOMATOLOGIA. Sono sintomi di elevata presenza di varroa: ali deformi, covata irregolare, api irrequiete, spopolamento degli alveari, mancata accettazione
della regine, deposizione inoltrata nel tardo autunno.
o CAMPIONAMENTO DI API. Le api raccolte vengono
lavate con un detergente, quindi setacciate in modo da
trattenere le api e lasciare cadere le varroe. Il metodo
non è preciso perché varia con il tipo di api analizzate
(nutrici o bottinatrici) e richiederebbe un grosso
numero di api per poter essere ritenuto indicativo.
o CAMPIONAMENTO DI COVATA. Questo metodo è
molto laborioso. Richiede di disopercolare in laboratorio o in casa un favo di covata e di scuotere il favo su
una superficie chiara, in modo che dalle celle fuoriescano larve e varroe.Anche in questo caso il livello di
precisione non è molto elevato.
o ESAME DEL FONDO. Consiste nel contare le varroe
che cadono naturalmente sul fondo dell’alveare.Richiede
la presenza di arnie con fondo a rete e di vaselinare la
superficie del cassettino, in modo che le varroe cadute
non vengano allontanate dalle formiche. Le varroe cadute moltiplicate per 120 danno un’indicazione del livello
di infestazione della colonia.Anche questo metodo non è
totalmente attendibile e richiede di valutare più colonie.
Il dato ottenuto potrebbe in ogni caso corrispondere
anche alla metà del reale livello di infestazione.
Tutti questi metodi, dunque, danno solo un’idea del livello di infestazione, ma possono aiutarci a capire se è il
caso di intervenire e quanto tempo posso ancora eventualmente aspettare. Occorre tenere presente che, indicativamente,la presenza di 4000 varroe in un alveare rappresentano il livello soglia per l’intervento. Considerando che la progressione di crescita è di circa del doppio
ogni 30 giorni, se dalla diagnosi ho stabilito che il livello
di infestazione è ad esempio di 1000 varroe, tra un mese
ne avrò 2000 e tra due mesi 4000. Occorre dunque che
l’intervento, in questo caso, venga effettuato entro due
mesi, pena la perdita della colonia.
DANNI
Recenti studi attribuiscono un valore limitato alla sottrazione di emolinfa da parte dell’acaro e alla lacerazione dei tessuti nell’atto della suzione. Ciò che sembra realmente grave è la diffusione, attraverso le ferite provocate con l’apparato boccale, di microrganismi patogeni ed in particolare di virosi. Sembra, infatti, che la varroa sia vettrice ed attivatrice di diversi
virus, o di forme diverse dello stesso, e in particolare
del Virus DWV o Virus delle Ali Deformi e del Virus
APV o Virus della Paralisi Acuta.
Il Virus delle Ali Deformi ha una progressione lenta,
non per questo meno pericolosa. Quando è manifesto, spesso è già troppo tardi per intervenire contro
la varroa.
Il Virus della Paralisi Acuta, invece, determina la morte
delle api colpite nel giro di pochi giorni. La varroa trasferisce il virus dalle api malate a quelle sane. La saliva dell’acaro, inoltre, crea un’immunodeficienza nell’ape, che non è quindi più in grado di mettere in atto
barriere difensive.
Le virosi non hanno cura. L’unica possibilità è controllare le cause predisponenti.
Ciò che si può fare dunque è mantenere la carica di
varroa ad un livello di infestazione accettabile.
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Strategie di lotta
I
l piano di lotta alla varroa che si è ormai consolidato
nella comune pratica apistica di numerosi apicoltori
ed in sempre più estesi ambiti territoriali si fonda sui
seguenti requisiti:
✘ deve essere eseguito a livello territoriale da tutti gli apicoltori nello stesso periodo e con i medesimi prodotti.
Chi non esegue i trattamenti contemporaneamente agli
altri apicoltori rischia di vanificare la riuscita del piano
perché ci sarà il rischio di una abbondante reinfestazione di acari con il risultato finale di portarsi un carico
eccessivo di questi parassiti sulle proprie api in inverno.
✘ Occorre intervenire con un duplice trattamento, il
primo estivo o tampone ed il secondo invernale o di
pulizia radicale. Le esperienze maturate nel corso degli
anni e le indicazioni a livello scientifico, indicano che è
bene diffidare delle proposte di lotta alla varroa che
consigliano l’uso di un unico trattamento con un solo
prodotto acaricida. La varroa ha già più volte dimostrato di essere capace di produrre resistenze nei confronti di alcuni prodotti acaricidi. L’uso invece di sostanze a
base di oli essenziali e di acidi organici sembrerebbe
garantire dalla possibile insorgenza di resistenze.
✘ Il conteggio della caduta di varroe è uno sforzo che
ogni apicoltore dovrebbe sostenere perché può fornire alcune utili indicazioni: la caduta spontanea ci fornisce un’idea, seppur di larga massima, del livello di infestazione. Il controllo dell’efficacia degli interventi ci
assicura sulla riuscita dei trattamenti eseguiti. L’osservare infine una diversa caduta negli alveari ci può guidare
nella selezione all’interno del nostro apiario di quelle
famiglie che ci sembrano in grado di convivere meglio
con l’acaro.
INTERVENTI FONDAMENTALI
Soprattutto per le zone al Centro-Nord Italia rimane sempre valida la percorribilità del seguente piano di lotta,
che si articola in un duplice intervento:
IN PRESENZA DI COVATA (trattamento tampone) API
LIFE VAR, IN ASSENZA DI COVATA (trattamento di pulizia radicale) ACIDO OSSALICO. L’uso del Perizin rimane
a discrezione dell’apicoltore, sapendo che è stata ufficialmente segnalata la presenza di varroe resistenti al suo
principio attivo.
INTERVENTI DI EMERGENZA
Normalmente gli interventi proposti sono sufficienti a
garantire un efficace controllo dell’infestazione delle varroe. Tuttavia in particolari situazioni possono rendersi
necessari interventi di emergenza, soprattutto in primavera o tra un raccolto e l’altro; particolare attenzione
dovrà essere dedicata alla scelta dei prodotti da impiegare al fine di salvaguardare la salubrità del miele.
ALTRI POSSIBILI INTERVENTI
Altre possibilità di intervento, pur non potendo essere
parte integrante del piano di lotta, possono essere prese
in considerazione da apicoltori dotati di maggior capacità professionale. In tale contesto va inserito il possibile
utilizzo dell’ac. formico e del timolo in polvere. In particolare l’acido formico ha palesato problemi connessi
all’evaporazione del prodotto, che ne condiziona in
modo diretto l’efficacia: dosaggio, condizioni climatiche,
forza della famiglia, ecc.
Il timolo in polvere, pur possedendo una elevata efficacia, ha evidenziato difficoltà di dosaggio in relazione alla
temperatura e alla forza della famiglia. Oltre ai trattamenti farmacologici gli apicoltori possono utilizzare appropriate tecniche per ridurre il tasso di incremento della
popolazione di acari. In particolare possono essere presi
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in considerazione i seguenti interventi di tecnica apistica:
• utilizzo di alveari con il fondo a rete;
• riduzione della presenza di favi con celle maschili;
• impiego del favo trappola;
• formazione di nuclei;
• blocco di covata.
Tali pratiche non possono essere assolutamente considerate come sostitutive degli interventi farmacologici fondamentali,sia perchè non sono alla portata di tutti gli apicoltori, sia perchè da sole non sono sufficienti a mantenere sotto controllo il tasso di infestazione delle colonie.
REGOLE FONDAMENTALI
✔ Tutto l’apiario deve essere trattato
contemporaneamente, pena la reinfestazione di quelli trattati da parte di quelli non
trattati. Lo stesso discorso vale per apiari
vicini. Quindi tutti gli apicoltori di una
zona devono effettuare i trattamenti nello
stesso periodo.
LE ASSOCIAZIONI
Combattere razionalmente la varroa vuol dire coordinare gli apicoltori in piani di lotta territoriali, affinché
tutti intervengano contemporaneamente. Ciò è possibile solo a condizione che esista una struttura che sappia
innanzitutto coinvolgere e successivamente coordinare
gli apicoltori presenti sul territorio con un opportuno
programma di iniziative. La lotta all’acaro non deve mai
essere intesa come l’azione del singolo apicoltore, ma
come l’intervento coordinato di tutti gli apicoltori che
operano in un ambito territoriale.
✔ È importante tenere sotto controllo i
propri alveari, cioè non abbandonarli, e
effettuare i trattamenti nei periodo corretti ed indicati. Bisogna evitare le sciamature
e/o recuperare gli sciami.Tutti questi fattori contribuiscono, infatti, alla diffusione
della varroa nel territorio. Non bisogna
dimenticare che sono soprattutto i saccheggi, oltre che derive, fuchi, ecc. a favorire la trasmissione della varroa da alveare
ad alveare.
L’ASSISTENZA TECNICA
L’elemento che tuttavia risulta fondamentale per la
riuscita dei programmi di lotta alla varroa è rappresentato dalle iniziative di assistenza tecnica, intesa come
una serie di iniziative che vanno dalle riunioni territoriali, alle prove di campo per testare l’efficacia di nuovi
formulati. Il tutto comunque svolto anche con l’obiettivo di creare fiducia negli associati e portare un servizio
utile e professionalmente preparato per la buona conduzione degli apiari.
✔ Occorre limitare la presenza dei fuchi,
eliminando quindi favi vecchi e rotti dove
preferibilmente le api costruiscono celle
da maschio.
✔ È importante effettuare gli interventi
in modo scrupoloso: osservare i dosaggi
prescritti, l’epoca di intervento adeguata
(molti acaricidi non sono efficaci in presenza di covata), osservare i piani di lotta
territoriali, non utilizzare ripetutamente,
negli anni, lo stesso prodotto, se chimico di
sintesi, per evitare problemi di resistenza,
non utilizzare prodotti per i quali la resistenza è già un dato di fatto.
✔ Non dimentichiamo la salute dell’operatore e del consumatore. Per il primo
occorre effettuare il trattamento proteggendosi adeguatamente. Per il secondo
bisogna effettuare i trattamenti in assenza
di melario e rispettando i tempi di sospensione previsti per ogni prodotto.
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Storia della lotta alla varroa
el corso degli ultimi 30 anni, sono stati passati in
rassegna diversi acaricidi. Nessuno ha avuto particolare fortuna. L’uso prolungato e spesso indiscriminato ha portato nel tempo a problemi di resistenza degli
acari, in particolare della varroa, nei confronti dei principi
attivi utilizzati.A oggi, la lotta chimica non ha alcuna chance. Le firme dell’agrochimica non sembrano interessate a
investire nella ricerca di nuovi prodotti, perché il settore
apistico non è economicamente interessante. D’altra parte,
anche la lotta biologica presenta qualche problema.
Le problematcità nella lotta alla varroa è dovuta, oltre che
ai problemi di resistenza prima accennati, alla difficoltà di
trovare sostanze che uccidano l’acaro senza nuocere alle
api (acari e insetti sono biologicamente simili), al ciclo di
vita della varroa che avviene prevalentemente nelle celle
opercolate, dove i principi attivi non arrivano, e che ha una
durata variabile, alle condizioni climatiche che influiscono
sull’efficacia dei prodotti, specialmente di quelli di origine
naturale, più aspecifica.
Oltre a ciò, l’azione degli apicoltori spesso scollegata dalle
strategie territoriali, vanifica l’efficacia degli interventi.Trattare le colonie in periodi diversi da altri apicoltori dello
stesso territorio non impedisce le reinfestazioni degli alveari dovute a derive, saccheggi, sciamature che sono la causa
prima di diffusione della varroa tra apiari.
La storia degli acaricidi inizia con la fine degli anni ’60, con
la phenotiazina contro la Braula coeca e il clorobenzilate
contro Acarapsis woodi. Entrambi i prodotti non offrivano un’efficacia particolarmente elevata e, in particolare, il
clorobenzilate provoca sterilità e mortalità della regina.
A metà degli anni ’70, entra in commercio il Folbex, a base di bromopropilato. Oggi è in disuso, anche se tra tutti i
prodotti è tra i meno tossici sia per l’ape sia per l’uomo (classe di tossicità III per l’Organizzazione Mondiale della
Sanità e IV per l’Agenzia di Protezione per l’Ambiente).
Alla fine degli anni ’70 è la volta dei cosiddetti prodotti naturali. Entrano in campo timolo e acido formico, tuttora
molto utilizzati.
All’inizio degli anni ’80 vengono riscoperti coumaphos e amitraz, già usati in agricoltura negli anni ‘40-50. Oggi esistono due prodotti: Perizin (a base di coumaphos) e Apivar (strisce a base di amitraz) ammessi per la lotta alla varroa. Il primo ha però problemi di resistenza in diverse zone del territorio nazionale, per il secondo la resistenza è
riconosciuta negli USA e nei Balcani, e si sospetta che il fenomeno sia presente anche da noi. In entrambi i casi,
comunque, l’efficacia non è elevatissima.
La varroa sembra sconfitta a metà degli anni ’80, con la scoperta di altri acidi organici (acido lattico e acido ossalico), del cimiazolo (Apitol), ma in particolare di due piretroidi: flumetrina (Bayvarol) e fluvalinate (Apistan). La caratteristica di quest’ultimi è di essere quasi perfetti: tollerati molto bene dalle api, efficacia elevata e i residui nel miele
limitati, tutto ciò anche sia per l’elevata affinità dei principi attivi per i grassi (99% finiva nella cera) sia per i bassi
dosaggi sufficienti ad uccidere la varroa. Purtroppo, nel giro di pochi anni, le varroe sono diventate resistenti ai piretroidi, togliendo ogni illusione agli apicoltori che credevano di aver risolto il problema della varroa.
L’Apitol è invece un prodotto da usare in assenza di covata ma con temperature sopra ai 10°C, pena la mortalità della
api. I due fattori sono raramente coincidenti. Non ci sono dati di efficacia conosciuti. Il prodotto è tra i pochi registrati, tuttavia non viene molto utilizzato.
Tra gli acidi organici, quello che sicuramente ha avuto più fortuna e che oggi viene largamente utilizzato e consigliato da molti Responsabili Veterinari, come trattamento autunnale, è l’acido ossalico. Pur non conoscendosene il
meccanismo d’azione, si è riscontrata un’efficacia, in assenza di covata, superiore al 90%. Il doppio trattamento viene
sconsigliato, specialmente in zone umide dove il prodotto persiste più a lungo, per problemi di mortalità alle api.
Dall’’85 in poi, l’industria farmaceutica non ha prodotto più nulla. Non solo il mercato è economicamente poco
rilevante, ma anche l’abitudine al “fai da tè” degli apicoltori ha disincentivato le multinazionali dal ricercare nuove
molecole.
N
11
Strategia di lotta della
Commissione Sanitaria UNAAPI
Nord e centro Italia
Intervento tampone in estate
P
er portare le famiglie all’inverno, è indispensabile effettuare un trattamento tampone in estate. Considerando che tutti i prodotti chimici di
sintesi presentano problemi di resistenza, oltre che
rappresentare un problema per il persistere dei residui nel miele e nella cera, crediamo sia molto importante utilizzare prodotti naturali quali il timolo e gli
acidi organici. Gli acidi organici, pur non esistendo
sul mercato prodotti registrati, così come il timolo,
sono prodotti ammessi dal regolamento CE 1804/99
che regolamenta l’apicoltura biologica.
da quella proposta dalla casa produttrice.
Non é consigliabile pertanto seguire le istruzione
riportate sulla confezione. Il tempo di carenza è di 30
giorni.
Trattamento
Per ogni alveare si impiega una tavoletta, divisa in trequattro parti, posizionate sul listello portafavo. Non mettere le porzioni di tavoletta nella vicinanza della covata.
Si devono effettuare tre interventi a distanza di 6-7 gior-
TIMOLO
Si trova in diversi formulati commerciali (Apilife var,
Apiguard). Inoltre viene utilizzato sciolto in alcool e,
più raramente, in cristalli. Il meccanismo d’azione del
timolo non è a oggi conosciuto. Sembra che agisca a
livello del sistema nervoso, provocando la paralisi, e
quindi la caduta, dell’acaro, ma non la morte. È quindi importante, o non posizionare il cassettino sotto il
fondo a rete dell’arnia, o svuotarlo tra un trattamento e l’altro.
L’azione del timolo si esplica con l’evaporazione; per
questo motivo è importante effettuare i trattamenti
con temperature superiori ai 20°C. Temperature
eccessivamente alte, tuttavia, possono disturbare le
api, poiché il timolo in questo caso evapora troppo in
fretta, provocando la fuoriuscita delle api dall’alveare
o un’eccessiva ventilazione delle stesse. I prodotti di
seguito elencati possono essere utilizzati uno in
luogo dell’altro.
• APILIFEVAR
Si tratta di tavolette costituite da un materiale inerte
(n.d.r. “Oasis”) impregnate di oli essenziali (timolo,
mentolo, eucaliptolo) e di canfora.
Viene commercializzato dalla Chemicals Laif in buste
di plastica sigillate contenenti due tavolette (per tavoletta si intende una delle due contenute nella busta).
Tutte le sperimentazioni sino ad ora condotte (sia dall’Istituto Nazionale di Apicoltura, sia dagli apicoltori)
ne consigliano una metodologia di impiego diversa
12
ni (più caldo c’è, minore deve essere l’intervallo). Per
ogni alveare si usano tre tavolette.Togliere i residui delle
tavolette alla fine dell’ultimo trattamento. Le api, appena
trattate, fanno molta barba e ventilano intensamente: fa
impressione, ma non soffrono.
solidago e erba medica). In questi casi l’uso dei melari dovrà essere finalizzato o alla costruzione di fogli
cerei o alla produzione di miele per l’alimentazione
delle api.
• APIGUARD
È un formulato in gel, a lento rilascio. Verrà commercializzato nei prossimi mesi da Vita Europe in vaschette di alluminio. Il trattamento deve essere effettuato
due volte, a distanza di 15 giorni, con un dosaggio di
50 grammi per ogni trattamento. Sono in corso sperimentazioni per valutare l’efficacia del prodotto.
ACIDO FORMICO
E’ un acido organico, liquido, incolore, fortemente
caustico e irritante per contatto, inalazione ed ingestione. Corrosivo per i metalli. Da usare adottando
opportuni accorgimenti: indossare protezioni per
mani (guanti di gomma), occhi, viso (idonee maschere) e dosare il prodotto all’aria aperta, mai sopra agli
alveari aperti. Sigillare sempre i contenitori di acido
formico. Evitare qualsiasi gocciolamento sulle api.
Metodo con panno spugna
L’esperienza sino ad oggi maturata indica questa
modalità di applicazione dell’acido formico come la
più diffusa e di pratico utilizzo. Prevede l’impiego di
un panno spugna (15x10x0,5 cm) impregnato con 40
ml di acido formico al 60% da introdurre ogni 4-5
giorni per 5 volte, appoggiato sul vassoio antivarroa.
Ha invece creato problemi l’impiego del panno
appoggiato sui favi (foto).
Periodo di uso
Importante la tempestività; trattare in estate il più
presto possibile, non oltre il primo di agosto. Ogni
mese le varroe raddoppiano e, se sono troppe, la tavoletta non è sufficiente. Se le api sono già vicine al collasso, l’Api Life Var non è sufficiente per salvare le
famiglie. Bisogna allora ricorrere agli interventi di
emergenza. Un uso del prodotto in stagione primaverile limita fortemente lo sviluppo delle famiglie, la
costruzione dei fogli cerei e deprime lo sviluppo
della covata. Con temperature inferiori ai 20°C l’efficacia è troppo bassa.
Predisposizione dell’apiario
• Trattare contemporaneamente l’intero apiario.
• Per limitare i rischi di saccheggio è necessario che
la forza delle famiglie presenti nell’apiario sia omogenea, eventualmente è opportuno costituire un
apiario di famiglie forti ed un altro di famiglie
deboli e nuclei.
• Chiudere la porticina di volo in posizione primaverile o, per le famiglie più deboli, invernale.
• Chiudere il fondo di rete.
• Evitare il cambiamento delle regine durante il trattamento.
• Non trattare in presenza di inizi di saccheggio.
• Eventualmente mettere un giorno prima del trattamento un pezzetto di tavoletta per abituare le api.
In presenza di raccolti tardivi?
E’ efficace anche in presenza di melario purché venga
messo fra nido e melario. In quasi tutte le situazioni
italiane in agosto non c’è raccolto e si può togliere il
melario.
Fanno eccezione pochi casi (melata e, più raramente,
ACIDO OSSALICO
Normalmente l’acido ossalico viene utilizzato per il
trattamento invernale, poiché la sua azione non si
esplica in presenza di covata. Nei casi in cui, tuttavia,
l’infestazione si riveli molto alta già in primavera, in
condizioni climatiche che non permettono ancora
l’utilizzo del timolo, è possibile effettuare dei trattamenti cadenzati a distanza di un mese, in occasione
della levata dei melari. Tale trattamento non elimina
comunque il trattamento estivo a base di timolo. Per
posologia e dosaggio vedi di seguito.
13
• ACIDO OSSALICO IN SOLUZIONE ZUCCHERINA.
Si ottiene sciogliendo 100 grammi di acido ossalico
diidrato e 1 chilogrammo di zucchero in 1 litro di
acqua distillata. Di questa soluzione si somministrano,
per gocciolamento tra i favi (servendosi di una siringa) 5 millilitri per favo (50 ml per una colonia con api
su 10 favi). Il trattamento va praticato una sola volta in
assenza di covata. Una seconda somministrazione in
inverno sembra, in alcuni casi, arrecare danni anche
alle api.
Una soluzione alternativa è quella di sciogliere 80
grammi di acido ossalico e 400 g di zucchero in 1 litro
di acqua. Riducendo la concentrazione dello zucchero sembra che il danno alle api sia inferiore.
Nord e centro Italia
Intervento invernale
I
l trattamento invernale si pratica appena le colonie
rimangono prive di covata. E’ molto importante
effettuare questo trattamento in giornate di bel
tempo, con le api in volo, quando la temperatura non é
ancora scesa eccessivamente.
ACIDO OSSALICO
L’acido ossalico è un acido organico già naturalmente
presente nel miele. Non si conosce il meccanismo
d’azione, ma sembra che interferisca con il meccanismo di assorbimento dell’acqua dell’acaro (le varroe
necessitano di molta umidità per vivere), mentre non
viene ingerito dalle api.
Attualmente si consigliano due metodi di utilizzo:
• ACIDO OSSALICO NEBULIZZATO.
Si prepara sciogliendo 28 grammi di acido ossalico diidrato in 1 litro di acqua. La soluzione viene spruzzata
su ogni facciata di favo coperta da api.
Il metodo è più laborioso e viene consigliato agli apicoltori con pochi alveari. La convenienza di questo
trattamento è che la quantità acido ossalico è notevolmente inferiore, evitando così i problemi di tossicità
nei confronti delle api. In questo caso, il trattamento
può essere ripetuto una seconda volta senza provocare alcun danno.
L’acido ossalico va somministrato in entrambi i casi in
giornate soleggiate, con le api in volo e con temperature sopra i 5°C. Anche per l’acido ossalico occorre
prestare qualche precauzione, poiché se inalato può
provocare intossicazione.
Sud Italia
I
n alcune zone del Sud gli apicoltori hanno la fortuna di poter sfruttare, per intervenire contro la varroa, il blocco di covata che generalmente si ha alla
fine di agosto, a causa del caldo eccessivo e del blocco
del flusso nettarifero. Quand’anche rimanesse qualche
favo di covata, questo può essere spostato dalla colonia da trattare, per la costituzione di nuovi nuclei.
Approfittando, dunque, della situazione ottimale, è possibile intervenire in questo periodo con acido ossalico
o con prodotti a base di timolo.
L’acido ossalico può essere inoltre utilizzato in dicembre, quando si verifichi il blocco di covata invernale.
Metodologia e dosaggi di somministrazione sono gli
stessi più sopra descritti.
DOSAGGI DA UTILIZZARE PER L’IMPIEGO DI ACIDO OSSALICO
famiglie di api
che popolano bene:
ml di prodotto
diluito
10 favi
9 favi
8 favi
7 favi
6 favi
5 favi
4 favi
50 ml
45 ml
40 ml
35 ml
30 ml
25 ml
20 ml
14
Interventi biomeccanici
Sono tutte quelle tecniche apistiche e quegli accorgimenti complementari alla lotta chimica.
✓ FONDI A RETE.
Sono ormai da bandire tutte le arnie a fondo chiuso. Il fondo a rete non permette alle varroe, che
cadono accidentalmente, di risalire. È inoltre un
utile strumento per la diagnosi delle varroe presenti nell’alveare.
✓ ASPORTAZIONE DELLA COVATA MASCHILE.
Nella celle da fuco si concentra la maggiore quantità di varroe.Asportare i telai con le celle maschile consente di portare via dall’alveare una buona
quantità di varroa.
✓ UTILIZZO DEI FAVI TRAPPOLA.
Sono telai con foglio cereo con cellette più grosse, che vengono costruiti con celle da fuco. Sfrutta il principio per cui la varroa predilige la covata
maschile per riprodursi. Una volta che la covata è
opercolata deve essere tolta prima che sfarfalli ed
eliminata.
✓ ELIMINAZIONE DEI FAVI VECCHI E
DEFORMI O ROTTI.
La varroa è attratta soprattutto dalle celle già precedentemente covate. Inoltre, su telai vecchi e
deformi o rotti, più facilmente vengono costruite
celle da fuco, con le conseguenze immaginabili.
✓ MESSA A SCIAME, BLOCCO DELLA COVATA.
Si tratta di eliminare tutta la covata presente, in
modo da poter intervenire con un trattamento
sicuramente più efficace.
✓ SOSTITUZIONE DELLE REGINE.
Invecchiando le regine tendono a deporre maggiormente uova da fuco. Una sostituzione razionale delle regine rappresenta un buon metodo di
prevenzione.
✓ FAMIGLIE FORTI.
La forza della famiglia favorisce il riscaldamento
della covata, accelerando così il periodo di sviluppo delle larve.
Riducendo il periodo di opercolatura, infatti, la
varroa ha meno tempo per riprodursi.
15
I lavori in corso
N
ella lotta alla varroa si é confermato in questi
ultimi anni un significativo utilizzo di ApiLife
Var e di altri prodotti a base di timolo, anche
se non è mancato il ricorso ad acaricidi tradizionali
ammessi e non, tra cui anche il fluvalinate, e questo
nonostante i grossi problemi di resistenza manifestati e che già lo avevano messo fuori gioco.
Una segnalazione di inefficacia dell’ApiLifeVar, particolarmente preoccupante, è ancora giunta dalla provincia di Como. In questa zona la messa a punto di
tempistica e metodologia di lotta a base di timolo é
infatti un patrimonio collettivo condiviso da molte
aziende apistiche. Utilizzando prodotti “dolci” (timolo ed acido ossalico) il livello di efficacia non raggiunge quasi mai percentuali vicine al 100%. E’, quindi, sufficiente qualora una delle somministrazioni
capitali (tampone estivo e trattamento invernale)
non sia effettuata nelle condizioni ottimali, avere
incrementi di varroa con danni consistenti anche a
distanza di molto tempo. Questo spiegherebbe i problemi verificatisi in alcune zone ed aziende nel corso
del 2001.
to dalla casa produttrice. È comunque evidente che
molta importanza assume la conservazione del prodotto: pur essendo le buste sigillate, una cattiva conservazione del prodotto (al caldo ed in posizione
rovesciata) rischia, probabilmente, di comportare
delle modifiche alla concentrazione delle tavolette.
Prove di efficacia sono state condotte in diverse provincie (Aosta, Pavia,Asti,Teramo) ed hanno portato a
risultati non totalmente concordi ma con un quadro
d’insieme positivo. Nelle prove effettuate dall’Assessorato agricoltura della Valle d’Aosta l’efficacia
media registrata è stata dell’81%; in Lombardia (Apilombardia) e in Abruzzo (Ist. Zooprofilattico dell’Abruzzo e Molise) dell’88%; in Piemonte (Aspromiele)
del 90%. Sembra confermato in tutti i casi che l’azione del timolo si esplica soprattutto dal secondo
trattamento e che l’aspecificità del timolo e l’influenza di molti fattori ambientali (temperature,
forza della famiglia, ecc.) portano a risultati molto
variabili con gap percentuali anche di 38 punti.
ApiLifeVar
In seguito alle lamentele espresse nel recente passato da molti apicoltori sull’efficacia del prodotto,
sono state condotte prove per verificare da una
parte la corrispondenza di quanto evidenziato in etichetta, dall’altra il grado di efficacia sugli alveari.
La prova del peso delle tavolette ha portato a concludere che il 69% delle stesse rientra nei limiti. Il
31% rimanente era comunque di peso vicino alla
media e, in ogni caso, mai inferiore a quanto indica-
Apiguard
Vita Europe dovrebbe, finalmente, riuscire a portare
sul mercato italiano l’Apiguard, acaricida a base di
timolo in gel. Quest’anno la ditta ha messo a disposizione i primi campioni di prodotto. Come per ApiLife Var, l’efficacia si è dimostrata variabile ma
comunque sufficiente. In Lombardia (Apilombardia)
la caduta media è stata del 72%, in Piemonte (Aspromiele) dell’89%, in Abruzzo (Istituto Zooprofilattico
16
dell’Abruzzo e Molise) del 92%. Anche in questo
caso, purtroppo, la variabilità delle condizioni
ambientali ha dato differenze tra gli alveari di 37
punti percentuali.
Le prove sono state effettuate con due soli trattamenti spalmando il prodotto sopra i favi del nido, a distanza di una settimana, secondo le indicazioni della casa
produttrice. È probabile che un terzo trattamento
possa portare a risultati migliori. Determinante sarà il
costo del prodotto che in ogni caso si pone tra i prodotti utilizzabili per l’apicoltura biologica.
Acido ossalico
Da tempo, si dibatte e si cerca la migliore formula di
acido ossalico per il trattamento autunnale contro la
varroa. È nota l’ipotesi per cui la tossicità dell’acido
sulle api possa risultare connessa alla presenza dello
zucchero nella soluzione. Sono state effettuate delle
prove dai tecnici di Apilombardia, Aspromiele e dell’Assessorato Agricoltura della Valle d’Aosta per verificare la differenza di efficacia tra la soluzione
100:1000:1000 (100 g acido ossalico, 1000 g zucchero, 1 l acqua) e la soluzione 80:400:1000 (80 g
acido ossalico, 400 g zucchero, 1 l acqua).
I risultati sono contrastanti: con la prima soluzione
c’è stata un’efficacia dell’81% in Lombardia, del 93%
in Piemonte e del 96% in Valle d’Aosta; la seconda
soluzione ha dato risultati dell’87% in Lombardia,
dell’82% in Piemonte e del 92% in Valle d’Aosta.
Notevole interesse ha sollevato la nuova modalità di
somministrazione per evaporazione a caldo (in particolare per l’asserita atossicità per le api e quindi
ripetibilità della somministrazione) su cui si impegneranno le prove di campo nel prossimo autunno.
Quest’anno l’arrivo dello specifico attrezzo non ha
consentito l’effettuazione di prove su vasta scala.
zione Produttori Apistici di Padova. I risultati, che
hanno una valenza preliminare, sono stati molto
variabili, con valori percentuali dal 32 al 93.
Una forchetta di efficacia veramente inaccettabile. Si
può pensare che Apedin Vapor possa rappresentare
un discreto trattamento tampone del tampone. Condivisa da quanti l’hanno provato l’impressione di un
buon apporto di “tonicità” alle famiglie. Tuttavia,
oltre alla necessità di effettuare ulteriori sperimentazioni per trovare il momento e la modalità ottimale di somministrazione, è stata rimarcata una valutazione di costi/benefici a fronte del prezzo del prodotto.
Apedin Vapor
Questo preparato, estratto in alcool di acetosella,
echinacea, tuja e spirea, è stato testato dall’Associa-
Ipereat
Le prove sono state condotte dall’Istituto Zooprofilattico delle Tre Venezie come preliminari di ulteriori sperimentazioni. Il lavoro si è svolto in autunno
con lo scopo del confronto con il tradizionale intervento a base di acido ossalico.
I primi risultati mostrano come i due trattamenti
siano pressoché intercambiabili con differenze non
significative: 92% dell’ipereat contro il 90% dell’acido ossalico. Al momento non sono state presentate
differenze significative in merito alla tossicità per le
api. Una valutazione sulla scarsa competitività, per il
costo della somministrazione, rispetto all’acido ossalico tal quale, è stata condivisa dai partecipanti. L’Istituto intende proseguire le prove, anche in periodi
con presenza di covata.
17
Resistenza: un fenomeno che
si combatte con prevenzione
e monitoraggio
L
a resistenza ad insetticidi ed acaricidi è stata
documentata in diverse centinaia di insetti ed
acari.
Le difficoltà e le notevoli perdite economiche provocate dallo sviluppo incontrollato di tale fenomeno
sono state affrontate con l’impiego di nuovi principi
attivi, dando per scontata la capacità dell’industria
chimica di offrire prodotti in grado di sostituire
periodicamente quelli diventati inefficaci. D’altra
parte le tecniche elaborate a livello teorico per
impedire o perlomeno rallentare la selezione e la diffusione di popolazioni di acari resistenti non hanno
trovato sempre applicazione pratica
DEFINIZIONE DI RESISTENZA
La resistenza è definita tradizionalmente come la
selezione e lo sviluppo di popolazioni capaci di
sopravvivere ad una dose di un determinato principio attivo, che sarebbe letale alla maggioranza degli
individui di una popolazione normale.
Nel caso della varroa il fenomeno si è manifestato
per acaricidi di sintesi (fluvalinate, principio attivo
dell’Apistan, e coumaphos, principio attivo del Perizin), ma non si può escludere che la resistenza
insorga anche per quelli naturali.
MECCANISMI CHE CONFERISCONO RESISTENZA AGLI ACARICIDI
La resistenza compare spesso come conseguenza di
mutazioni casuali del patrimonio genetico che permettono all’organismo mutato di neutralizzare un
principio attivo tossico o di sfuggire alla sua azione.
Gli organismi resistenti possono essere già presenti
all’interno di una popolazione mai trattata con quel
principio attivo, ma in numero estremamente ridotto
in quanto la frequenza di mutazione è molto bassa
(per un determinato gene si ritiene che la frequenza
di mutazione sia dell’ordine di 1 ogni 100.000 1.000.000 di individui in ogni generazione).Tali mutazioni sono più probabili in organismi con molte generazioni all’anno ed in popolazioni numerose e perciò
in esse la resistenza insorge più rapidamente. Poichè
le alterazioni del materiale genetico hanno in genere
un effetto negativo sulla funzionalità complessiva dell’organismo, la vitalità dell’individuo mutato è di solito più bassa di quella degli individui normali; perciò
in mancanza di altre spinte selettive, il numero degli
individui mutati all’interno della popolazione può difficilmente aumentare. L’uso degli acaricidi invece
favorisce gli individui mutati eliminando dalla popolazione gli individui normali sensibili (fig. 1)
fig. 1 - Gli acari resistenti prendono
il sopravvento su quelli suscettibili,
provocando il collasso dell’alveare
18
mento. Anche nel caso della resistenza ai fosforganici si suppone che ci siano enzimi in grado di degradare l’acaricida. Non sono state fatte però delle
prove a riguardo.
RESISTENZA CROCIATA
La resistenza crociata compare quando gli acaricidi
impiegati possiedono una struttura molecolare simile
ed agiscono sulle stesse molecole bersaglio.
Di conseguenza un meccanismo di resistenza può
essere sufficiente per rendere inefficace un’intera
famiglia di acaricidi. Ad esempio, popolazioni di varroa resistenti al fluvalinate sono allo stesso tempo
resistenti ad altri piretroidi, quali la flumetrina e l’acrinatrina, pur non essendo mai state sottoposte a
trattamento con prodotti contenenti tali principi
attivi.
Meccanismi che conferiscono resistenza al coumaphos potrebbero consentire agli acari di sopravvivere
ad altri acaricidi come il clorphenvinphos.
fig. 2 - Enzimi specifici sono in grado
di degradare l’acaricida, rendendolo inattivo.
I meccanismi più frequenti che conferiscono resistenza agli acaricidi sono tre:
1 - riduzione della permeabilità della cuticola (l’acaricida penetra con difficoltà all’interno del corpo dell’acaro);
2 - aumento della detossificazione metabolica (gli acaricidi vengono degradati da enzimi specifici);
3 - mutazione del sito bersaglio (target) (l’acaricida
non è più in grado di bloccare una proteina indispensabile per la sopravvivenza dell’acaro).
La resistenza può anche essere il risultato di più
d’uno dei meccanismi sopradescritti. Questo fatto
può determinare la comparsa di ceppi di acari con
differenti gradi di tolleranza ai principi attivi.
Prove di laboratorio effettuate impiegando una
sostanza che inibisce l’azione di enzimi specifici
hanno suggerito l’ipotesi che la resistenza della varroa al fluvalinate e ad altri piretroidi sia da attribuire
all’azione di enzimi detossificanti (fig. 2).
Infatti l’impiego di tale sostanza in aggiunta al fluvalinate riduce la dose letale per gli acari resistenti,
ciò significa che essi sono più suscettibili al tratta-
CARATTERISTICHE GENETICHE
DELLA RESISTENZA
Nel caso della varroa la variabilità genetica sembra
essere estremamente bassa a causa dell’elevato tasso
di inincrocio. Infatti le varroe si riproducono solamente all’interno delle cellette di covata opercolata.
Con livelli di infestazioni normali si trova con maggiore frequenza una sola varroa per cella e sono, perciò, numerosi i casi in cui le varroe figlie si incrociano con il fratello. Inoltre il maschio è aploide (R)
quindi si comporta da omozigote per tutti i caratteri.
Ciò chiaramente finisce per aumentare la proporzione di omozigoti nelle popolazioni naturali e quindi
anche degli acari che portano in omozigosi (RR) i
caratteri della resistenza (gli omozigoti sono quegli
acari che esprimono al meglio le doti della resistenza). Questo fatto può aumentare la rapidità di sviluppo delle popolazioni di acari resistenti.
REVERSIONE DELLA RESISTENZA
Gli svantaggi selettivi associati con la resistenza agli
acaricidi determinano la riduzione della proporzione
di acari resistenti una volta cessati i trattamenti (fig.
3). Questo comporta un graduale processo di reversione per cui popolazioni resistenti ridiventano
suscettibili.
Nella pratica, però, la reversione è stata spesso più
lenta di quanto atteso in base ad indagini di laboratorio; infatti, lo svantaggio del ceppo resistente è spesso molto modesto.
Risultati ottenuti fino al 1999 con saggi di laboratorio
su acari raccolti in diversi apiari stanziali del Friuli
Venezia Giulia hanno mostrato una riduzione della
resistenza al fluvalinate; essa però non è tale da consentire un reimpiego a breve termine dell’Apistan.
fig. 3 - In assenza di trattamenti
gli acari resistenti perdono terreno
rispetto a quelli suscettibili.
19
STRATEGIE PER PREVENIRE
L’INSORGERE DELLA RESISTENZA
Le misure pratiche da adottare discendono da modelli di controllo teorico dei fattori che influenzano la
velocità di selezione della resistenza negli organismi
viventi. Non tutte le tecniche indicate a livello teorico risultano vantaggiose sia per i costi che per la
laboriosità.
1) Impiego di alte dosi di prodotto acaricida
In genere con dosi molto alte solo gli omozigoti resistenti, presenti inizialmente con frequenze basse, tollerano i trattamenti. Ne consegue che se nella popolazione trattata immigrano individui suscettibili, la selezione della resistenza rallenta. Come già visto però, nel
caso della varroa, la proporzione di acari omozigoti è
molto elevata, rendendo la strategia meno efficace.
2) Durata e numero dei trattamenti
Un fattore determinante per la crescita delle popolazioni di acari resistenti è la durata e la frequenza dei
trattamenti acaricidi. La presenza costante della
sostanza attiva nell’ambiente di vita fornisce una spinta evolutiva forte verso la selezione della resistenza. È
quindi necessario ridurre il numero dei trattamenti
per dare la possibilità ai ceppi suscettibili di riguadagnare terreno nei confronti di quelli resistenti sopravvissuti ai trattamenti.
2) Impiego di acaricidi in rotazione
o in stretta successione
Se sono disponibili acaricidi differenti con diverso
modo di azione e metabolismo si potrebbe alternare il
loro uso fra un anno e l’altro.
Anche l’impiego di due acaricidi in stretta successione, se il secondo è diverso per meccanismo di azione,
riduce il vantaggio per gli individui resistenti. È pertanto improbabile che si sviluppi contemporaneamente la resistenza ad entrambi gli acaricidi.
MONITORAGGIO DELLA RESISTENZA
SUL TERRITORIO
Il monitoraggio della resistenza è stato utilizzato spesso
solo tardivamente, per verificare che l’insuccesso dei
trattamenti era dovuto appunto alla resistenza. In realtà il
monitoraggio, almeno dal punto di vista teorico, si propone di limitare lo sviluppo e la diffusione della resistenza. Affinchè il monitoraggio dia risultati concreti e
sia economicamente conveniente esso deve:
1) valutare quantitativamente le popolazioni resistenti;
2) identificare possibili centri di diffusione della resistenza;
3) valutare cambiamenti della tolleranza all’acaricida
nella popolazioni di acari resistenti;
4) verificare l’efficienza di strategie di controllo della
resistenza.
Esso viene attuato con l’impiego di saggi di laboratorio e
con prove di campo.
CONCLUSIONI
Gli acari hanno una straordinaria capacità di sviluppare
rapidamente popolazioni resistenti per le loro caratteristiche intrinseche (popolazioni numerose e quindi maggiori probabilità che si verifichino mutazioni che inducano resistenze); inoltre l’uso ripetuto di pochi principi
attivi che sembrano offrire maggiori garanzie di successo, spesso con costi inferiori finisce per favorire l’esplosione del fenomeno con danni irreparabili. È quindi
opportuno investire nella prevenzione e nel monitoraggio. Le strategie di lotta più valide impiegano diversi pro-
fig. 4 - Capsule impiegate per la valutazione
della suscettibilità della varroa
ad acaricidi piretroidi e fosforganici.
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dotti acaricidi in rotazione o in successione, a seconda
dell’efficacia. Spesso però tali schemi di intervento vengono utilizzati dopo la comparsa della resistenza, quando
i vantaggi ad essi collegati non sono più utili. Il successo
della lotta è comunque legato ad una azione coordinata
fra la maggior parte degli apicoltori.Il monitoraggio ha lo
scopo di impedire che la resistenza si sviluppi e si diffonda a macchia d’olio. Opportuni saggi di laboratorio
possono permettere di tenere sotto attenta osservazione
l’efficacia degli acaricidi sul territorio (fig. 4). Essi consentono di individuare in modo tempestivo il fenomeno, dando la possibilità agli operatori di adottare tecniche di lotta alternative, limitando i danni.Per disporre,
invece, di una mappa dettagliata che descriva la distribuzione e l’intensità della resistenza sul territorio è
necessario effettuare il maggior numero possibile di
prove di campo su alveari scelti a campione. Esse saranno condotte dagli apicoltori stessi che potranno avere
nello stesso tempo la dimensione del problema all’interno del proprio apiario.
In conclusione la resistenza sembra essere un fenomeno
inevitabile, se non si adottano tecniche che ne riducano le possibilità di sviluppo e di diffusione.
STRATEGIE PER RIDURRE IL RISCHIO
CHE INSORGANO FENOMENI DI RESITENZA
• Non affidarsi in maniera assoluta a trattamenti ripetuti e prolungati con acaricidi
che permettono di ottenere valori di efficacia superiori al 99%
• Alternare l’impiego degli acaricidi negli
anni o combinare l’utilizzo di diversi acaricidi nello stesso anno (ad esempio, olii
essenziali alla fine dell’estate + acido ossalico in novembre in assenza di covata)
• Integrare i trattamenti con tecniche di
controllo meccanico, quando possibile
N.B. La lotta è più difficile con i mezzi consentiti nelle zone a clima più caldo
testo a cura di Giorgio Della Vedova
(Dipartimento di Biologia applicata alla Difesa
delle Piante dell’Università di Udine)
In base all’esito di alcune prove di campo si ritiene che esistano ceppi di varroa resistenti al principio attivo
coumaphos contenuto nel Perizin. Non si sa con esattezza quale ne sia la diffusione a livello nazionale. Si
sconsiglia a chi volesse utilizzare il prodotto di verificarne preventivamente l’efficacia su un numero di alveari
anche minimo (almeno due) per apiario.
Al fine della correttezza dei risultati é indispensabile garantire:
1) assenza di covata opercolata per tutta la durata della prova (se necessario, la covata presente potrà essere spostata in altri alveari),
2) utilizzo di alveari con fondo a rete, sotto il quale andrà posto un foglio di carta vaselinato.
Per la verifica dell’efficacia dei trattamenti si può operare nel seguente modo:
1. Inserire il foglio di carta vaselinato e trattare con Perizin secondo le indicazioni del produttore.
2. Dopo tre-cinque giorni, sostituire il foglio vaselinato, contando le varroe cadute.
3. Subito dopo, trattare con ac. ossalico, gocciolando il prodotto sulle api presenti negli spazi interfavo con
l’aiuto di una siringa (50 millilitri alle colonie forti, 30-40 millilitri a quelle mediamente popolose). La soluzione di ac. ossalico andrà preparata come riportato nella relativa scheda. Nel caso in cui la temperatura sia
superiore ai 10°C (e le api non siano in glomere) è possibile trattare ciascun favo mediante nebulizzazione
di ac. ossalico al 2%. Per ottenere tale soluzione, occorre sciogliere 28 g di ac. ossalico diidrato in 1 litro di
acqua distillata. La soluzione verrà poi nebulizzata sui favi in ragione di 3-4 millilitri per facciata di favo.
4. Dopo cinque-sette giorni prelevare il foglio vaselinato e contare le varroe.
Il calcolo dell’efficacia del trattamento con Perizin si ottiene dalla seguente formula:
efficacia =
numero di varroe cadute in seguito al trattamento con Perizin
numero totale di varroe cadute (Perizin + Ac. Ossalico)
x 100
Se l’efficacia ottenuta è approssimativamente del 90%, non occorre eseguire ulteriori trattamenti. Se i valori di
efficacia risultano inferiori all’80%, sarà opportuno prendere contatto con la propria associazione chiedendo
di attivarsi presso i laboratori e gli Istituti scientifici operanti nella propria regione per verificare se l’inefficacia
è da attribuirsi a fenomeni di farmacoresistenza.
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I Semiochimici della Varroa:
conoscenze attuali e prospettive
IL CICLO BIOLOGICO DELLA VARROA
senso dell’olfatto e del gusto, ossia è capace di riconoscere odori e sapori, molecole chimiche che possono trasmettere informazioni preziose per il parassita. Così l’attrazione verso la celletta di covata dipende dall’effetto esercitato sulla varroa da sostanze odorose provenienti dalla celletta stessa.
Alle sostanze capaci di trasmettere un messaggio è
stato dato il nome di semiochimici. I più noti fra essi
sono senz’altro i feromoni delle farfalle che le femmine emettono per attirare da lontano i maschi
con cui accoppiarsi. Per
la loro elevatissima attività biologica queste
sostanze sono già state
largamente impiegate in
agricoltura soprattutto
per il monitoraggio
degli insetti dannosi ma
anche nella lotta con il
metodo della confusione sessuale o della cattura massale.
A tutt’oggi sono state
identificate varie sostanze attive sulla varroa.
Purtroppo però molte di
quelle implicate nelle
fasi cruciali del ciclo
biologico del parassita,
come ad esempio il succitato ingresso nella celletta, sono tuttora ignote. La ricerca sui semiochimici è piuttosto impegnativa e presuppone approfondite conoscenze sul ciclo biologico dell’organismo oggetto di studio e l’uso di sofisticate tecniche
analitiche.
Talvolta lo sforzo richiesto è tale da non giustificare
approfondite ricerche se non si ravvisa un notevole
interesse economico. Nel caso della varroa la disponibilità di prodotti acaricidi efficaci e ben tollerati
dalle api ha di fatto reso meno urgenti tali ricerche,
almeno fino a quando l’insorgenza di fenomeni di farmaco-resistenza della varroa a diversi principi attivi
ha reso necessaria la ricerca di metodi di lotta alternativi.
La varroa alterna fasi foretiche sulle api adulte a fasi
riproduttive all’interno delle cellette opercolate. La
fase riproduttiva ha inizio quando l’acaro, trasportato
da un’ape di casa, raggiunge una celletta prossima
all’opercolatura. Dopo l’opercolatura la varroa si nutre
a spese dell’emolinfa larvale e dopo una sessantina di
ore inizia a deporre le uova da cui si sviluppano un
maschio e alcune femmine. Dopo l’accoppiamento, le
femmine adulte fuoriescono dalla celletta assieme all’ape neosfarfallata.
Vari autori hanno riscontrato che quando più varroe invadono la stessa
celletta la riproduzione
risulta diminuita.
I SEMIOCHIMICI
Chiunque studi il ciclo
biologico della varroa
non può non essere colpito dalla perfetta sincronizzazione fra questo
e quello dell’ape suo
ospite. Basti pensare
all’ingresso nella celletta
per la riproduzione: esso
ha luogo poche ore
prima dell’opercolatura
quando la larva d’ape
che vi si trova è pronta a
filare il bozzolo. Un
ingresso troppo precoce
avrebbe probabilmente come esito la morte poichè
la varroa verrebbe facilmente scoperta dalle api di
casa che la rimuoverebbero senz’altro dalla celletta,
d’altra parte l’acaro non può neanche tergiversare
troppo se non vuole rischiare di rimanere chiuso
fuori dalla celletta opercolata.
Ma come fa la varroa a riconoscere con tanta precisione il momento adatto? Indubbiamente per far ciò
il parassita deve essere capace di captare segnali provenienti dall’ambiente esterno. È noto a tutti che la
varroa non ha occhi e poco si sa del suo senso dell’udito e del cosiddetto tatto; di sicuro però, come la
maggior parte degli artropodi, possiede un sofisticato
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LE RICERCHE SVOLTE AD UDINE
mento in cui queste sono state immerse durante lo
sviluppo.
3) Inibizione della riproduzione
È causata da sostanze emesse dalle larve infestate. Una
di queste sostanze è già stata identificata.Attualmente
sono in corso ulteriori studi per verificare l’attività di
questa sostanza nell’alveare.
Da alcuni anni presso il Dipartimento di Biologia applicata alla Difesa delle Piante dell’Università di Udine
sono in corso ricerche riguardanti i semiochimici coinvolti nel rapporto varroa-ape.
Si ritiene che ognuna delle fasi del ciclo biologico
della varroa sia controllata in qualche modo da uno o
più segnali chimici. In particolare, l’ingresso nella celletta è determinato dall’attrazione esercitata sulla varroa da sostanze provenienti dalla celletta stessa.Anche
la riproduzione è stimolata da sostanze presenti nella
celletta nelle prime ore dopo l’opercolatura, mentre la
riduzione della fertilità in condizioni di infestazione
multipla è determinata da semiochimici che vengono
liberati all’interno della celletta opercolata. Le ricerche svolte fin qui presso il laboratorio di Udine hanno
permesso di raggiungere i seguenti risultati.
1) Ingresso nella celletta
La varroa è attratta da sostanze chimiche contenute
nell’alimento larvale che è presente nella celletta
prima dell’opercolatura. L’isolamento e l’identificazione di queste sostanze sono tuttora in corso.
2) Ovideposizione
L’avvio della riproduzione della varroa dipende da
sostanze presenti nella celletta poco dopo l’opercolatura. Queste sostanze sono presenti sulla cuticola
delle larve d’ape ma potrebbero provenire dall’ali-
LE RICERCHE SVOLTE AD UDINE
Una volta identificate, le sostanze attrattive responsabili dell’ingresso della varroa nella celletta potrebbero
essere impiegate con diverse modalità. La messa a
punto di trappole innescate con sostanze attrattive
potrebbe presentare difficoltà difficilmente superabili; d’altra parte si può pensare di saturare con esse l’atmosfera dell’alveare, rendendo più difficile alla varroa
il riconoscimento delle cellette da invadere. Gli stimolatori dell’ovideposizione potrebbero invece essere
impiegati per indurre la riproduzione della varroa nei
periodi meno favorevoli, come quello invernale, conseguendo un probabile effetto letale sulle varroe indotte ad uscire dalla diapausa.
Gli inibitori della riproduzione, infine, saranno utilizzati
per rallentare il ritmo riproduttivo del parassita.
Francesco Nazzi
(Dipartimento di Biologia applicata alla Difesa
delle Piante dell’Università di Udine)
PROSPETTIVE FUTURE
La ricerca si sta occupando di studiare dei sistemi di lotta alla varroa alternativi, che non
prevedano l’uso, o che lo ridimensionino, della lotta chimica. In questo senso, due sono le
strade che potrebbero portare a qualche risultato: la resistenza genetica e i semiochimici.
Attualmente si stanno studiando quelle caratteristiche genetiche che le nostre api potrebbero sviluppare per convivere con la varroa e per limitarne la riproduzione.
I meccanismi di tolleranza che le api potrebbero sviluppare, attraverso delle modificazioni del loro patrimonio genetico, per convivere con la varroa o per limitarne la riproduzione, sono:
- periodo foretico più lungo;
- riduzione della fertilità della varroa sull’ape operaia;
- riduzione del periodo di opercolatura;
- rimozione della covata infestata (utile anche per covata calcificata e peste americana);
- capacità di “spulciamento” (grooming).
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