articolo completo in pdf - Giornale Italiano di Diabetologia e

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articolo completo in pdf - Giornale Italiano di Diabetologia e
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G It Diabetol Metab 2014;34:36-40
Dalla Letteratura
Nefropatia diabetica:
nuove e vecchie strategie terapeutiche
confermano il ruolo fondamentale
del controllo glicemico
Inibizione combinata
dell’angiotensina per il
trattamento della nefropatia
diabetica
N Engl J Med 2013;369(20):1892-903
Fried LF1, Emanuele N2, Zhang JH3,
Brophy M5, Conine TA6, Duckworth
W7, Leehey DJ2, McCullough PA8,
O’Connor T3, Palevsky PM1, Reilly
RF9, Seliger SL10, Warren SR6,
Watnick S11, Peduzzi P3,4, Guarino
P3; VA NEPHRON-D Investigators
1
From the Veterans Affairs (VA)
Pittsburgh Healthcare System and
University of Pittsburgh School of
Medicine, Pittsburgh; 2Hines VA
Hospital, Hines, and Loyola University
Medical Center, Maywood, Illinois;
3
Cooperative Studies Program
Coordinating Center, VA Connecticut
Healthcare System, West Haven e
4
Yale School of Public Health, New
Haven, Connecticut; 5VA Boston
Healthcare System and Boston
University School of Medicine,
Boston; 6VA Cooperative Studies
Program Research Pharmacy and
University of New Mexico College of
Pharmacy, Albuquerque; 7Carl T.
Hayden VA Medical Center, Arizona
State University, Tempe, and
University of Arizona, Phoenix;
8
St. John Providence Health System,
Warren, St. John Hospital and
Medical Center, Detroit, St. John
Oakland Macomb Center, Warren and
Madison Heights, and Providence
Hospitals and Medical Centers,
Southfield and Novi, Michigan;
9
VA North Texas Healthcare System
and University of Texas Southwestern
Medical Center, Dallas; 10VA Maryland
Healthcare System and University of
Maryland School of Medicine,
Baltimore; 11Portland VA Medical
Center and Oregon Health and
Sciences University, Portland
Premessa. La terapia combinata con inibitori dell’enzima di conversione dell’angiotensina (angiotensin converting enzyme, ACE) e antagonisti del recettore dell’angiotensina (angiotensin II receptor blockers, ARB) diminuisce la proteinuria; tuttavia, non
ci sono certezze relative alla sicurezza del trattamento e ai suoi effetti sulla progressione
dell’insufficienza renale.
Metodi. Dopo aver somministrato losartan (alla dose di 100 mg/die) a pazienti con diabete di tipo 2, un rapporto albuminuria-creatinuria (albumina misurata in milligrammi e
creatinina misurata in grammi) di almeno 300 e una filtrazione glomerulare (glomerular filtration rate, GFR) stimata di 30,0-89,9 ml/min/1,73 m2 di superficie corporea, essi
sono stati randomizzati a ricevere lisinopril (alla dose di 10-40 mg/die) o placebo.
L’endpoint primario era il primo cambiamento nella GFR stimata (un abbassamento
≥ 30 ml/min/1,73 m2 con una GFR iniziale stimata ≥ 60 ml min/1,73 m2 o un abbassamento ≥ 50% se la GFR iniziale stimata era < 60 ml/min/1,73 m2), insufficienza renale all’ultimo stadio (end-stage renal disease, ESRD) o decesso. L’endpoint
secondario renale era il primo verificarsi di un abbassamento della GFR stimata o
ESRD. Outcome di sicurezza includevano mortalità, iperpotassiemia e danno renale
acuto.
Risultati. Questo studio è stato interrotto precocemente a causa di problemi di sicurezza. Tra 1448 pazienti randomizzati con un follow-up mediano di 2,2 anni, ci sono
stati 152 eventi di endpoint primario nel gruppo in monoterapia e 132 fra quelli in terapia combinata (hazard ratio con la terapia combinata, 0,88; intervallo di confidenza
[IC] al 95%, 0,70-1,12; p = 0,30). Una tendenza verso un beneficio dato dalla terapia
combinata nel rispetto dell’endpoint secondario (hazard ratio, 0,78; IC al 95%, 0,581,05; p = 0,10) è diminuita col tempo (p = 0,02 per non proporzionalità). Non c’è stato
beneficio in relazione alla mortalità (hazard ratio per mortalità, 1,04; IC al 95%, 0,731,49; p = 0,75) o agli eventi cardiovascolari. La terapia combinata ha aumentato il rischio di iperpotassiemia (6,3 eventi per 100 persone-anni, vs 2,6 eventi per
100 persone-anni con la monoterapia; p < 0,001) e danno renale acuto (12,2 vs 6,7
eventi per 100 persone-anni, p < 0,001).
Conclusioni. La terapia combinata con ACE-inibitore e un ARB è stata associata a
un aumentato rischio di eventi avversi fra i pazienti con nefropatia diabetica.
Dalla Letteratura - Nefropatia diabetica
Bardoxolone nel diabete di tipo 2
e nello stadio 4 della
insufficienza renale cronica
N Engl J Med 2013;369(26):
2492-503
de Zeeuw D1, Akizawa T2, Audhya
P3, Bakris GL4, Chin M3, ChristSchmidt H6, Goldsberry A3, Houser
M5, Krauth M3, Lambers Heerspink
HJ1, McMurray JJ7, Meyer CJ3,
Parving HH8, Remuzzi G9, Toto RD10,
Vaziri ND11, Wanner C12, Wittes J6,
Wrolstad D6, Chertow GM13;
BEACON Trial Investigators
1
University of Groningen, Groningen,
the Netherlands; 2Showa University
School of Medicine, Tokyo; 3Reata
Pharmaceuticals, Irving, TX;
4
University of Chicago e 5AbbVie
Pharmaceuticals, Chicago; 6Statistics
Collaborative, Washington, DC;
7
University of Glasgow, Glasgow,
United Kingdom; 8Rigshospitalet,
University of Copenhagen,
Copenhagen; 9Istituto di Ricovero e
Cura a Carattere Scientifico-Istituto
di Ricerche Farmacologiche Mario
Negri, Bergamo; 10University of Texas
Southwestern Medical Center,
Dallas; 11University of California,
Irvine; 12University of Würzburg,
Würzburg, Germany; 13Stanford
University, Palo Alto, CA
Effetto sulla pressione
sanguigna della inibizione
combinata dell’enzima di
conversione dell’endotelina e
dell’endopeptidasi neutra con
daglutril in pazienti con diabete
di tipo 2 con albuminuria: uno
studio randomizzato,
cross-over, in doppio cieco,
controllato con placebo
Lancet Diabetes Endocrinol 2013;1:
19-27
Parvanova A1, van der Meer IM1,2,
Iliev I1, Perna A1, Gaspari F1, Trevisan
R4, Bossi A5, Remuzzi G1,3, Benigni
A1, Ruggenenti P1,3, per il Daglutril in
Diabetic Nephropathy Study Group
1
IRCCS Istituto di Ricerche
Farmacologiche Mario Negri, Centro
di Ricerche Cliniche per le Malattie
Rare Aldo e Cele Dacc., Bergamo;
2
Department of Internal Medicine,
Division of Nephrology, HAGA
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Premessa. Nonostante gli inibitori del sistema renina-angiotensina-aldosterone possano rallentare la nefropatia diabetica, il rischio è ancora alto. Non si sa se gli attivatori del fattore nucleare 1 (eritroide-derivato 2)-fattore 2 correlato riducano ulteriormente
questo rischio.
Metodi. Sono stati randomizzati 2185 pazienti con diabete mellito di tipo 2 e insufficienza renale cronica allo stadio 4 (filtrazione glomerulare [GFR] stimata da 15 a < 30 ml
al minuto per 1,73 m2 di superficie corporea) a bardoxolone alla dose di 20 mg/die o
placebo.
L’outcome primario era l’ultimo stadio della malattia renale (end-stage renal disease,
ESRD) o la morte per cause cardiovascolari.
Risultati. Lo sponsor e il comitato direttivo hanno completato lo studio sulla base
delle raccomandazioni del comitato indipendente per il monitoraggio dei dati e della sicurezza; il follow-up mediano è stato di 9 mesi.
I 69 su 1088 pazienti (6%) assegnati in modo randomizzato a bardoxolone e i 69 su
1097 (6%) assegnati a placebo avevano un outcome composito primario (hazard ratio
nel gruppo bardoxolone metile vs gruppo placebo, 0,98; intervallo di confidenza [IC]
al 95%, 0,70-1,37; p = 0,92). Nel gruppo bardoxolone ESRD si è sviluppato in 43 pazienti e 27 pazienti sono morti per cause cardiovascolari; nel gruppo placebo ESRD
si è sviluppato in 51 pazienti e 19 sono sono morti per cause cardiovascolari. Un totale di 96 pazienti nel gruppo bardoxolone è stato ospedalizzato o è morto per infarto
miocardico rispetto a 55 nel gruppo placebo (hazard ratio, 1,83; IC al 95%, 1,32-2,55;
p < 0,001).
GFR, pressione arteriosa e rapporto albuminuria-creatinuria sono aumentati significativamente e il peso corporeo è diminuito significativamente nel gruppo bardoxolone rispetto al gruppo placebo.
Conclusioni. Nei pazienti con diabete mellito di tipo 2 e stadio 4 della insufficienza renale cronica il bardoxolone non ha ridotto il rischio di ESRD o morte per cause cardiovascolari.
Un tasso più alto di eventi cardiovascolari con bardoxolone rispetto al placebo ha portato all’interruzione dello studio.
Premessa. Una riduzione efficace dell’albuminuria e della pressione arteriosa nei pazienti con diabete di tipo 2 con nefropatia viene raggiunta raramente con i trattamenti
disponibili. Abbiamo valutato gli effetti del trattamento di questi pazienti con daglutril,
un inibitore combinato dell’enzima di conversione dell’endotelina e dell’endopeptidasi
neutra.
Metodi. Lo studio randomizzato in cross-over è stato condotto in due ospedali italiani.
I criteri di eleggibilità sono stati: età ≥ 18 anni; escrezione urinaria di albumina 20999 μg/min; pressione sistolica < 140 mmHg e diastolica < 90 mmHg. I pazienti sono
stati assegnati in maniera casuale (1:1) da una sequenza generata random da computer a ricevere daglutril (300 mg/die) e poi placebo per 8 settimane ciascuno o viceversa, con un periodo di washout di 4 settimane. I pazienti nel frattempo assumevano
anche losartan. Partecipanti e ricercatori non erano a conoscenza del trattamento assegnato. L’endpoint primario era l’escrezione urinaria di albumina nelle 24 ore nella
popolazione intention-to-treat. Gli endpoint secondari erano la pressione sanguigna
mediana in studio e in ambulatorio (24 ore, diurna e notturna), la funzione emodinamica e renale, e i risultati dei test metabolici e di laboratorio.
Risultati. Sono stati sottoposti a screening 58 pazienti, 45 dei quali sono stati arruolati nello studio (22 assegnati a daglutril e poi placebo, 23 a placebo e poi daglutril; arruolamento da maggio 2005 a dicembre 2006) e 42 (20 vs 22) sono stati inclusi
nell’analisi primaria. Daglutril non ha influenzato in modo significativo rispetto al placebo
l’escrezione urinaria di albumina (differenza nel cambiamento: –7,6 μg/min, IQR –78,7
a 19,0; p = 0,559). Trentaquattro pazienti hanno presentato lettura completa 24 ore
della pressione sanguigna; in confronto al placebo, daglutril ha ridotto significativamente nelle 24 ore la pressione sistolica (–5,2 mmHg, DS 9,4; p = 0,0013), quella diastolica (–2,5, 6,2; p = 0,015), quella pulsata (–3,0, 6,3; p = 0,019), e quella media
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Dalla Letteratura - Nefropatia diabetica
Hospital, Den Haag, Netherlands;
3
Unità di Nefrologia, 4Unità di
Diabetologia, Azienda Ospedaliera
Papa Giovanni XXIII, Bergamo;
5
Unità di Diabetologia,
Ospedale di Treviglio, Bergamo
[email protected]
Danno renale e i relativi risultati
del Diabetes Control and
Complications
Trial/Epidemiology of Diabetes
Interventions and
Complications Study
Diabetes Care 2014;37:24-30
de Boer IH; DCCT/EDIC Research
Group
Division of Nephrology and Kidney
Research Institute, University of
Washington, Seattle, WA
[email protected]
Il controllo intensivo della
glicemia migliora gli outcome
renali nei pazienti con diabete
di tipo 2
Kidney Int 2013;83:517-23
Perkovic V, Heerspink HL, Chalmers
J, Woodward M, Jun M, Li Q,
MacMahon S, Cooper ME, Hamet P,
Marre M, Mogensen CE, Poulter N,
Mancia G, Cass A, Patel A, Zoungas
S; ADVANCE Collaborative Group
(–3,1, 6,2; p = 0,003), così come tutte le letture della pressione notturna e tutte quelle
della pressione diurna tranne la diastolica. Inoltre, in confronto al placebo daglutril ha
anche ridotto significativamente la pressione sistolica misurata nello studio medico
(–5,4, 15,4; p = 0,028), ma non quella diastolica (–1,8, 9,9; p = 0,245), quella pulsata
(–3,1, 10,6; p = 0,210) o quella media (–2,1, 10,4; p = 0,205) e ha aumentato la concentrazione sierica di big-endotelina. Gli altri outcome secondari non hanno mostrato
differenze significative fra i periodi di trattamento. Tre pazienti in trattamento con placebo e 6 in trattamento con daglutril hanno avuto lievi eventi avversi correlati al trattamento; il più comune è stato edema facciale o periferico (in 4 pazienti trattati con
daglutril).
Interpretazione dei dati. Daglutril ha migliorato il controllo della pressione sanguigna
nei pazienti con diabete di tipo 2 e nefropatia mantenendo un profilo di sicurezza accettabile. L’inibizione combinata dell’enzima di conversione dell’endotelina e dell’endopeptidasi neutra può rappresentare un nuovo approccio all’ipertensione in questa
popolazione ad alto rischio.
Obiettivo. Il danno renale si manifesta clinicamente con elevata escrezione urinaria di
albumina (albumin escretion rate, AER) e filtrazione glomerulare (glomerular filtration
rate, GFR) compromessa o entrambe, ed è causa di notevole morbilità e mortalità nel
diabete di tipo 1 (T1D). Lo studio Diabetes Control and Complications Trial/Epidemiology of Diabetes Interventions and Complications (DCCT/EDIC) ha valutato se il trattamento intensivo del diabete (INT), portando il più possibile le concentrazioni del
glucosio ai livelli normali, riduca il rischio di danno renale e altre complicanze del diabete.
Disegno dello studio e metodi. Nello studio DCCT 1441 pazienti con diabete di
tipo 1 sono stati randomizzati a trattamento intensivo (INT) o convenzionale (CON) per
una durata media di 6,5 anni. I partecipanti sono stati successivamente seguiti per
altri 18 anni nello studio osservazionale in corso EDIC. Durante lo studio DCCT/EDIC
sono state condotte misurazioni standardizzate longitudinali di AER, GFR e pressione
sanguigna.
Risultati. Durante lo studio DCCT il trattamento INT ha ridotto il rischio di microalbuminuria (AER ≥ 40 mg/24 h) e macroalbuminuria (AER ≥ 300 mg/24 h) rispettivamente
del 39% (IC al 95% 21-52%) e del 54% (29-74%). Durante lo studio EDIC, anni 1-8, i
partecipanti assegnati precedentemente al trattamento INT hanno continuato ad avere
una bassa incidenza di micro- e macroalbuminuria con una riduzione del rischio rispettivamente del 59% (39-73%) e 84% (67-92%). Gli effetti positivi di INT sullo sviluppo di una GFR scompensata (stimata come GFR < 60 ml/min/1,73 m2) e
dell’ipertensione si è resa evidente durante il follow-up combinato DCCT/EDIC, con
una riduzione del rischio rispettivamente del 50% (18-69%) e 20% (6-21%), rispetto
al trattamento CON.
Conclusioni. Nello studio DCCT/EDIC, il trattamento INT ha dato risultati clinicamente
importanti, riduzioni durature del rischio di micro- e macroalbuminuria, miglioramento
del GFR e ipertensione.
L’effetto del controllo intensivo della glicemia sui maggiori outcome renali nel diabete di
tipo 2 resta da chiarire. A questo scopo lo studio ADVANCE ha randomizzato 11.140 partecipanti a una strategia intensiva per l’abbassamento del glucosio (obiettivo: emoglobina glicata, HbA1c ≤ 6,5%) o a un controllo glicemico standard. Sono stati poi
valutati gli effetti del trattamento su malattia renale all’ultimo stadio (end-stage renal disease, ESRD) che richiedeva dialisi o trapianto renale, eventi renali totali, morte per
cause renali, raddoppio della creatinina oltre ai 200 μmol/l, inizio di macro- o microalbuminuria e progressione o regressione di albuminuria. Dopo un periodo di 5 anni
l’HbA1c media era 6,5% nel gruppo in trattamento intensivo e 7,3% nel gruppo standard. Il controllo glicemico intensivo ha ridotto significativamente il rischio di ESRD del
65% (20 vs 7 eventi), la microalbuminuria del 9% (1298 vs 1410 pazienti) e la macroal-
Dalla Letteratura - Nefropatia diabetica
The George Institute for Global
Health, University of Sydney, Sydney,
New South Wales, Australia
[email protected]
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buminuria del 30 % (162 vs 231 pazienti). La progressione dell’albuminuria si è ridotta
significativamente del 10% e la sua regressione è aumentata significativamente del
15%. I risultati sono stati molto simili tenendo in considerazione rischi potenzialmente
correlati. Il numero dei partecipanti da trattare per 5 anni per prevenire l’ESRD è variato da 410 nello studio complessivo a 41 partecipanti con macroalbuminuria al basale. Quindi, un migliore controllo del glucosio migliorerà i principali outcome nei
pazienti con diabete di tipo 2.
Commento alla rassegna “Nefropatia diabetica: nuove e vecchie strategie
terapeutiche confermano il ruolo fondamentale del controllo glicemico”
R. Trevisan
USC Malattie Endocrine, Diabetologia, AO Papa Giovanni XXIII, Bergamo
La nefropatia diabetica rimane una delle complicanze più temibili della malattia diabetica. Poiché il diabete sta assumendo
le dimensioni di un’epidemia globale, anche le complicanze
croniche del diabete sono in costante aumento. Circa il 3040% dei pazienti diabetici, sia di tipo 1 sia di tipo 2, presenta
nel corso della malattia i segni della malattia renale cronica. La
nefropatia diabetica è, insieme alla nefroangiosclerosi secondaria all’ipertensione arteriosa, la causa più frequente di malattia renale cronica. Come conseguenza, non solo i diabetici
sono i soggetti a più elevato rischio di insufficienza renale terminale (con necessità di dialisi o di trapianto renale), ma anche
e soprattutto a un rischio più elevato di morbilità e mortalità
precoce per cause cardiovascolari. È interessante notare che
l’aumentato rischio di morte per qualsiasi causa, sia nel diabete di tipo 1 che di tipo 2, è associato quasi interamente alla
presenza di malattia renale cronica. In assenza di malattia renale, il rischio di morte tra le persone con diabete è simile, o di
poco superiore, a quello della popolazione generale.
Il cardine del trattamento della malattia renale cronica nel diabete è basato sul trattamento dell’iperglicemia e dell’ipertensione. L’utilizzo di farmaci che inibiscono il sistema reninaangiotensina si è dimostrato fondamentale non solo nel ridurre
la micro- e macroalbuminuria, ma anche nel rallentare la progressione del declino della funzione renale, tanto che in alcuni
casi è possibile stabilizzare o, addirittura, far regredire i segni
di danno renale associati al diabete. Proprio per questa azione
benefica dell’inibizione del sistema renina-angiotensina, è
stato ipotizzato che l’utilizzo combinato di due farmaci inibenti
tale sistema fosse uno strumento adeguato per proteggere
ulteriormente il rene del paziente diabetico con nefropatia diabetica. Da anni specialisti nefrologi e diabetologi hanno riportato dati, su piccole coorti di pazienti, che sembravano
dimostrare la bontà del doppio blocco del sistema reninaangiotensina nel ridurre la proteinuria e la perdita di funzione
renale.
Purtroppo i dati dello studio VA NEPHRON-D pubblicato recentemente nel NEJM ha raffreddato notevolmente questa
convinzione. Lo studio voleva dimostrare che il doppio blocco,
un ACE-inibitore associato a un antagonista del recettore dell’angiotensina II, era superiore al trattamento con il singolo farmaco per quanto riguardava il rischio di peggioramento della
funzione renale, di dialisi e di morte nei pazienti con nefropatia diabetica conclamata. Lo studio è stato bloccato prematuramente per un eccesso di rischio di eventi avversi nei
pazienti trattati col doppio blocco. In particolare, il doppio
blocco aumentava il rischio di iperpotassiemia e di insufficienza renale acuta. Pertanto, anche se i pazienti in doppio
blocco mostravano segni di ridotta progressione della malattia renale, tale beneficio era totalmente oscurato dai rischi acuti
associati a tale terapia. Inoltre non si è osservata alcuna riduzione di mortalità cardiovascolare nei pazienti in doppio
blocco.
È questa la fine del doppio blocco come terapia della nefropatia diabetica con proteinuria? Sicuramente i dati di questo
trial dimostrano che tale terapia, pur riducendo la proteinuria
e migliorando, seppur modestamente, la perdita di funzione
renale, è rischiosa e va monitorata con attenzione per evitare
il rischio di iperpotassiemia e di rapido peggioramento della
funzione renale. Riteniamo allo stadio attuale che il doppio
blocco vada riservato solo ai pazienti con proteinuria residua
elevata (> 1 g/die) dopo trattamento con ACE-inibitore o ARBs
(angiotensin receptor blockers, antagonisti del recettore dell’angiotensina). Se i pazienti dimostrano una riduzione della
proteinuria, il trattamento può essere proseguito, ma va monitorato in modo stretto al fine di evitare eventi avversi. Va invece sospeso se la proteinuria non diminuisce. Il rischio di
eventi avversi è sicuramento superiore ai suoi possibili benefici a lungo termine.
Altrettanto deludenti sono stati i risultati ottenuti col bardoxolone. Il bardoxolone è una molecola che attiva dei fattori di tra-
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Dalla Letteratura - Nefropatia diabetica
scrizione nucleare che regolano i geni che svolgono azione
antiossidante. Dati preliminari nell’uomo avevano dimostrato
che il bardoxolone fosse in grado di aumentare la velocità di
filtrazione glomerulare in pazienti con insufficienza renale severa o moderata, e pertanto era stata posta l’ipotesi che questo nuovo trattamento fosse l’ideale per i diabetici con
nefropatia conclamata. Purtroppo il trial, anche questo recentemente pubblicato sul NEJM, è stato sospeso prematuramente per la presenza di gravi effetti avversi nel gruppo di
pazienti trattati col bardoxolone. In particolare il farmaco aumentava il rischio di insufficienza cardiaca e di eventi cardiovascolari, aumentava la proteinuria, la pressione arteriosa e la
frequenza cardiaca, portava a perdita di peso e a sintomi gastrointestinali. Anche se i motivi di tali eventi avversi non è
chiaro, risulta evidente che le nuove terapie dovrebbero essere testate molto attentamente in fase preclinica, prima di arrivare alla sperimentazione nei pazienti. Il fallimento di questa
nuova molecola si aggiunge ad altri insuccessi, quali l’inibizione della proteina chinasi C e di farmaci che riducevano la
glicosilazione avanzata delle proteine.
Più promettenti invece sono stati i risultati ottenuti con daglutril, un farmaco nuovo che inibisce le endopeptidasi e l’enzima
convertente l’endotelina in forma attiva. Il lavoro pubblicato
dal Negri-Bergamo su The Lancet Diabetes & Endocrinology
ha dimostrato che questa nuova molecola è in grado di migliorare significativamente la pressione arteriosa sia sistolica
sia diastolica in 8 settimane in pazienti diabetici ipertesi già in
trattamento con losartan. Purtroppo non ha invece dimostrato
alcuna capacità di riduzione dell’albuminuria.
Nonostante ciò, va ricordato quanto sia difficile il controllo
pressorio nel diabetico iperteso e nefropatico. Avere a disposizione un nuovo farmaco potrà offrire migliore opportunità di
ottenere un controllo pressorio ottimale, essenziale per rallentare la perdita di funzione renale. Ovviamente altri studi, più a
lungo termine e su coorti di pazienti più ampie, saranno necessari prima di promuovere questa molecola a trattamento
efficace per i pazienti diabetici con malattia renale.
Di fronte a questi dati deludenti o molto preliminari, emerge
con sempre maggiore evidenza il ruolo del buon controllo
glicemico: non solo è la migliore strategia per la prevenzione
della nefropatia diabetica, ma è anche importante nel rallentare la progressione del danno renale nel diabetico con
malattia renale cronica. A questo proposito ci è sembrato
interessante segnalare due contributi apparsi recentemente
nella letteratura internazionale. Nel numero di gennaio di Diabetes Care sono stati pubblicati una serie di articoli dedicati
al trentennale del DCCT, lo studio seminale per il diabete di
tipo 1 che ha dimostrato l’efficacia del buon controllo nel ritardare le complicanze croniche. Uno degli articoli è dedicato ai risultati ottenuti a livello renale. In modo elegante è
ricordato che il DCCT e il successivo follow-up, l’EDIC
Study, hanno dimostrato che il controllo intensivo della glicemia porta a risultati clinici rilevanti in termini di riduzione
del rischio di microalbuminuria, macroalbuminuria, perdita
di funzione renale e di ipertensione. Non c’è alcun dubbio
che il buon controllo glicemico è in grado di produrre effetti
benefici prolungati e duraturi sulla funzione renale e crediamo che, proprio per questi risultati, assisteremo nei prossimi anni a una netta riduzione della nefropatia nel diabete di
tipo 1.
Ancora più interessante è l’articolo di Perkovic, pubblicato su
Kidney International, che ha analizzato in dettaglio i dati renali
dello studio ADVANCE, uno studio condotto su 11.140 diabetici di tipo 2. Si dimostra che il trattamento intensivo della
glicemia per 5 anni era in grado di ridurre il rischio di insufficienza renale terminale del 65%, di microalbuminuria del 9%
e di macroalbuminuria del 30%. La progressione dell’albuminuria era ridotta del 10% e la possibilità di remissione della
stessa aumentava del 15%. È stimato che il trattamento intensivo della glicemia in 41 diabetici con microalbuminuria sia
sufficiente per prevenire un caso di insufficienza renale terminale. Questi dati dimostrano ulteriormente che il buon controllo glicemico gioca un ruolo preponderante nella terapia
della nefropatia diabetica non solo nelle fasi iniziali.