Una finestra su Saba
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Una finestra su Saba
XIV Edizione I Colloqui Fiorentini – Nihil Alienum Umberto Saba “Ode la voce che viene dalle cose e dal profondo” 26 – 28 febbraio 2015, Firenze, Palazzo dei Congressi SECONDO CLASSIFICATO SEZIONE TESINA TRIENNIO "UNA FINESTRA SU SABA" Studenti: Federica Babbi, Benedetta Cecchini, Rachele Donati, Giulia Martera, Camilla Senni Classe V AL, V AS, V BS del Liceo "Marcello Malpighi" Bologna Docenti Referenti: Prof.ssa Mara Ferroni, Mila Ferroni, Prof.ssa Sabina Gerardi Motivazione: Un lavoro che congiunge un taglio molto personale a una matura finezza di analisi, capace di illuminare il duplice movimento, spesso drammatico e lacerante, dello sguardo del poeta e della realtà esterna: ecco che persino il dolore può rivelarsi "quasi un caro amico". Percorrendo l'intero Canzoniere di Saba, ci siamo accorte che nelle sue poesie è sempre a tema il rapporto del poeta, cioè dell'uomo, con la realtà. Un rapporto talora di amicizia, talora di scontro, ma comunque sempre importante e decisivo per la scoperta della verità delle cose e di sé. Saba non può scoprire qualcosa di sé a prescindere da quella "povera" ma tangibile e quotidiana realtà con cui, in un qualche modo, occorre fare i conti. Incuriosite, abbiamo tentato di "indagare", guidate dalle sue parole, il movimento biunivoco tra la realtà e il poeta. Non si tratta solo del movimento del poeta che si protende verso la realtà, ma anche dell'irruzione, talora violenta, di quest'ultima nella vita del poeta. È un movimento reciproco che assume aspetti e sfumature differenti nelle diverse poesie. Un elemento di continuità, a questo proposito, è l'immagine della finestra che mette in contatto l'intimità del poeta e l'esterno. La finestra deve essere spalancata o rotta in qualche modo: lo stesso Saba prende coscienza della realtà immergendosi in essa, contemporaneamente il mondo collabora a questa riscoperta con il suo violento impatto e la sua evidente manifestazione. Essendo la poesia di Saba il “racconto” della sua vita, espresso nella sua interezza, questi due potenti elementi si scambiano in una prevaricante alternanza dell'uno sull'altro. Tutto si muove contro te. Il maltempo, le luci che si spengono, la vecchia casa scossa a una raffica e a te cara per il male sofferto, le speranze deluse, qualche bene in lei goduto. Ti pare il sopravvivere un rifiuto d'obbedienza alle cose. E nello schianto del vetro alla finestra è la condanna. La lirica Il vetro rotto esprime uno dei due movimenti sopra citati. Il contenuto della lirica è quasi elementare: il maltempo rompe il vetro di una finestra. L'inizio è cosmico: Tutto si muove contro di te. La prima parola è universale, macrocosmica. Tutto, il mondo, chiunque. L'ultima, invece, è semplice, intima e personale. Te, persona, uomo. L'intimità dell'essere umano è oggetto di un’avversità come evidenzia la parola contro. Non utilizzando "verso", il poeta esclude un significato positivo e vuole indicare la sua estraneità rispetto al tutto che si muove contro di lui. Saba, comprensibilmente, si estranea da questa avversità, rendendo impersonale l'esperienza, attraverso l'uso della seconda persona singolare. Ci comunica che così come tutto è contro l'uomo, lui è contro il fatto che tutto sia contro l'uomo. Subito dopo cerca di spiegare cosa sia il tutto: il maltempo, le luci che si spengono, la casa scossa da una raffica di vento e le speranze deluse, ma anche il bene goduto nella casa e il male sofferto che rende l'edificio intimo e protetto. E proprio questa intimità viene spezzata attraverso lo schianto del vetro. La finestra rappresenta la debole barriera che separa la sicurezza domestica dai pericoli del mondo. L'angoscia del momento è resa dall'improvviso schianto del vetro che traduce la minaccia imminente della condanna. La finestra è la parte più fragile della parete di una casa: se viene rotta fa entrare il freddo dell'inverno, le foglie dell'autunno, il caldo dell'estate e il polline della primavera. Separa l'interno dall'esterno, quindi, analogicamente, separa l'animo di Saba dalla realtà. L'irruzione del maltempo si impadronisce della casa violandone l'intimità nascosta e protettiva e provocando uno sconvolgimento totale. Nei versi precedenti allo schianto, Saba scrive: ti pare il sopravvivere un rifiuto d'obbedienza alle cose. Abbiamo discusso a lungo su queste parole, sono molto forti poiché sembrano dire che tutto concorre alla morte e che la vita diventa disobbedienza alla realtà, quasi un involontario sopravvivere. O forse questo rifiuto sembra essere voluto dall'uomo: è una volontà di sopravvivenza? E' un rifiuto cosciente? In un'altra poesia si vede come l'impatto della realtà non lasci indifferente il poeta. Lo ferisce, ma ciò non è negativo: questa ferita è cara perché è sua e lo costringe a muoversi verso la realtà. Ecco cosa accade in Principio d'estate1. Il dolore è talmente presente e opprimente nella vita del poeta da diventare l'arma più efficace della realtà per colpirlo. Questo potente sentimento è un'arma a doppio taglio, infatti il dolore è, sì, qualcosa che nasce dalla brutalità della realtà impattandosi con il poeta ma, trattandosi di sensibilità umana, preferiamo definirlo come proprio del poeta: il dolore diventa il campanello di allarme per Saba di una realtà presente e incalzante, quindi sintomo della sua ricerca volta all'esterno. Quasi come fosse un caro amico, Saba, in questa lirica, si rivolge direttamente al dolore nella sua domanda: Dolore dove sei? L'assenza di questo sentimento, ormai così familiare al poeta, suscita in lui un interrogativo potente, cioè la manifestazione più autentica e sincera di desiderio di conoscenza. La domanda viene rafforzata dal fatto che il poeta si rivolge direttamente al dolore, come fosse un amico, 1 Dolore dove sei? Qui non ti vedo;/ogni apparenza t'è contraria. Il sole/indora la città, brilla nel mare. /D'ogni sorta di veicoli alla riva/portano in giro qualcosa o qualcuno. /Tutto si muove lietamente, come/tutto fosse di esistere felice. diventato così caro perché strumento e possibilità di scoperta della realtà. Il poeta addirittura abbraccia il dolore, compiendo un'azione quasi paradossale. L'affezione verso questo dolore come mezzo di rottura del vetro viene esplicitata nella stessa poesia, in seguito alla domanda, in una sorta di apostrofe sempre riferita allo stesso destinatario: ogni apparenza t'è contraria. Per scoprire cosa è il dolore, bisogna capire cosa si intende per apparenza. Il sole / indora la città, brilla nel mare: la città sembra essere d'oro, il sole sembra brillare immerso nell'acqua in cui si riflette, ma non è realmente così; tutto si muove lietamente, come / tutto fosse di esistere felice. Il paesaggio, così “stranamente” sereno, introduce una possibilità nell'orizzonte del poeta. Si fa vivo e presente il sentore di una serenità, di una positività, mai ritenute possibili dall'autore. Eppure questa “ipotesi” di felicità forse irreale viene accarezzata come reale attraverso l'avverbio come . Rimane l'apparenza fugace di una realtà in cui questi momenti di felicità sono rari e brevi. Il dolore, al contrario, è così prevalente nella vita di Saba che, attraverso la sua presenza, il poeta sente il contraccolpo della realtà che lo invita a coglierne l'essenza. Ma nella vita di questo uomo non possono essere ignorati tali momenti di gioia, che con il dolore stabilisce un rapporto dialettico che può essere definito come un "ossimoro esistenziale". Un ossimoro non di opposizione ma in cui un elemento presuppone l'altro, quasi come un movimento circolare. Il dolore, in quanto tale, è, infatti, doloroso, provoca disperazione e solitudine, ma se in funzione della scoperta della realtà si dimostra il mezzo necessario per spalancare la finestra al mondo. È bene ritrovare in noi gli amori perduti, conciliare in noi l’offesa; ma se la vita all’interno ti pesa tu la porti al di fuori. Spalanchi le finestre o scendi tu tra la folla: vedrai che basta poco a rallegrarti: un animale, un gioco o, vestito di blu, un garzone con una carriola, che a gran voce si tien la strada aperta, e se appena in discesa trova un’erta non corre più, ma vola. La gente che per via a quell’ora è tanta non tace, dopo che indietro si tira. Egli più grande fa il fracasso e l’ira, più si dimena e canta. La poesia Il garzone con la carriola esprime in modo chiaro ed efficace il movimento del poeta verso la realtà esterna alla sua intimità. Le parole, ma se la vita all'interno ti pesa/ tu la porti al di fuori, sono il nucleo centrale della poesia poiché definiscono il movimento verso l'esterno per conciliare l'offesa. In modo semplice e quasi mimetico Saba sottolinea come sia immediato questo movimento: basta spalancare le finestre o scendere tra la folla. È il reale stesso che a sua volta rallegra con la sua voce che è impersonata dal garzone con la carriola. Questi è l'emblema della realtà che rallegra gridando l'allegria. Quindi la voce della realtà che è quella del garzone è ciò che il poeta deve udire per uscire dalla sua intimità. L'intimità è inevitabile, perché è bene ritrovare in noi gli amori/ perduti, conciliare in noi l'offesa, però, quando questa intimità, questo interno, pesa, bisogna portarla al di fuori perché al di fuori c'è una voce che libera dall'oppressione dell'interno. La vivacità e la bellezza del reale sono sottolineate dal fracasso del garzone, che non è solo un suono isolato o separato, ma è un suono che irrompe ed è udibile da tutti, nessuno può rimanerne indifferente. L'isolamento non esclude il senso di partecipazione al reale, infatti l'uno presuppone l'altro. La salvezza per il dolore degli amori perduti nasce nel momento in cui il poeta riscopre le ragioni della più elementare solidarietà e quindi quando esce e cerca un rapporto autentico con la realtà. Questo rapporto è così tangibile ed immediato che nasce da qualsiasi elemento: da un animale ad un gioco, fino ad arrivare ad un garzone con una carriola. In questo caso viene descritto il moto personale di apertura verso la realtà per cui il vetro della finestra viene spaccato dal poeta stesso, che, richiamando l'immagine del vetro rotto, spalanca le finestre per fare entrare il reale. È da questa apertura alla realtà che poi nasce la poesia che è lineare, perché il beneficio della realtà stessa lo è, per cui gli elementi di questa vengono descritti in modo semplice ma non banale. Anche nella drammaticità della sua condizione Saba manifesta quel bisogno di una "poesia onesta", come la chiamava il poeta, di adattarsi, prima di tutto, all'andamento stesso del moto dell'anima. Moto che lo spinge ad assistere al male esterno, alla storia, che irrompe e distrugge "tutto". Il dolore primigenio degli amori perduti dei primi due versi è ciò che spacca il vetro protendendo il poeta verso l'esterno, per cui il dolore diventa amico: grazie a tale dolore, che porta allo spalancamento verso la realtà, ne scopre la verità nella sua umiltà, perché sono gli elementi umili del reale ad essere descritti. Nella lirica Città vecchia2, ad esempio, il poeta cammina per una via oscura di Trieste, incontrando le creature della vita e del dolore, quali prostituta e marinaio, il vecchio che bestemmia, la femmina che bega [...], la tumultuante giovane impazzita d'amore: ritrova l'infinito nell'umiltà. Proprio da questa umiltà nasce la verità che il dolore riscopre amica. Come espresso nella lirica Amai3, il dolore è il mezzo con cui Saba spacca il vetro; il dolore non è ostile, ma fa riscoprire la sua familiarità con la verità, sua amica, che è il fine della sua azione, il suo compimento. Ed è questa verità, questa "voce" che il poeta riscopre al fondo di tutte le cose. Questa scoperta è animata da una totale disponibilità dell'autore di aprirsi alla vita. L'apertura è resa evidente nella 2 Spesso, per ritornare alla mia casa/prendo un’oscura via di città vecchia. / Giallo in qualche pozzanghera si specchia /qualche fanale, e affollata è la strada./Qui tra la gente che viene che va /dall’osteria alla casa o al lupanare, /dove son merci ed uomini il detrito /di un gran porto di mare, /io ritrovo, passando, l’infinito /nell’umiltà. /Qui prostituta e marinaio, il vecchio /che bestemmia, la femmina che bega, /il dragone che siede alla bottega/del friggitore, /la tumultuante giovane impazzita /d’amore, /sono tutte creature della vita/e del dolore;/s’agita in esse, come in me, il Signore./Qui degli umili sento in compagnia /il mio pensiero farsi/più puro dove più turpe è la via. 3 Amai trite parole che non uno/osava. M'incantò la rima fiore/ amore, /la più antica, difficile del mondo./Amai la verità che giace al fondo, /quasi un sogno obliato, che il dolore /riscopre amica. Con paura il cuore/le si accosta, che più non l'abbandona./Amo te che mi ascolti e la mia buona/carta lasciata al fine del mio gioco. lirica anche grazie alla presenza di molte vocali chiare, in particolare della "a", che ha un suono lungo e aperto. Inoltre implica uno spalancamento della bocca che lo sottolinea maggiormente: Amai, osava, rima, amore, antica, Amai, verità, amica, paura, l'abbandona, la mia buona carta lasciata, per citare solo alcune parole o espressioni. È abbondante e quasi stancante questa presenza così marcata, ma è proprio questo forse l'effetto che il poeta vuole sortire. Si rende disponibile per scoprire la verità che giace in tutto ciò che lo circonda. Ritroviamo la medesima apertura alla realtà quotidiana nella poesia Notte d'estate4. Saba è un uomo in movimento, in cerca di un compimento nella sua vita e si affaccia a qualcosa di misterioso e lontano, ma allo stesso tempo di affascinante. In una notte di estate, una delle tante, lontano, in un punto quasi impercettibile, si scorge un lume. Tutto l’animo del poeta è scosso e risvegliato da questo bagliore. Il lume lo riporta al suo bisogno di cercare un profondo in tutte le cose, proprio perché la verità viene scorta nella semplicità della realtà. La luce è, però, in contrasto con il desiderio e la curiosità del poeta, perché è così lontana che non si sa nemmeno dove sia il suo punto di origine. Leopardi nello Zibaldone scriveva: Degli oggetti veduti per metà, o con certi impedimenti ec. ci destino idee indefinite, si spiega perché piaccia la luce del sole o della luna, veduta in un luogo dov'essi non si vedano e non si scopra la sorgente della luce. La non chiarezza della provenienza genera in Leopardi un’aura di mistero e quindi di soddisfazione, proprio perché è il modo per sollecitare l’immaginazione verso l'illusione. Saba in questa lirica ci appare in discordanza con Leopardi. L'indefinitezza della sorgente della luce non pare positiva, perché egli è in cerca di un contatto con la sua quotidianità che non sia abbellito dalla fantasia. Ma la visione di questo chiarore nella notte non è neppure del tutto negativa, perché la finestra è aperta. L’ostacolo materiale che poteva sembrare il vetro è stato abbattuto. E’ come se la realtà avesse già fatto un passo verso il poeta. Questo movimento biunivoco della realtà che si fa incontro all'uomo e dell'uomo che si fa incontro alla realtà ha il suo punto di congiunzione nella finestra. La realtà esiste per il poeta e il poeta ha la naturale inclinazione a coglierne la bellezza onesta. In conclusione, dalla nostra analisi dalle principali poesie di Saba, abbiamo colto un significativo motore della vita del poeta che poi viene esposto nella poesia. L'obbiettivo è quello di scorgere la verità al fondo delle cose e questo è possibile solo attraverso un movimento. Mentre certe poesie descrivono la realtà che entra nell'intimità del poeta, altre hanno uno sguardo su Saba che si fa incontro al mondo, al reale. E così potremmo vedere Saba da una parte o dall'altra della finestra, ma in ogni caso scorgeremmo un uomo in continua ricerca della verità nel profondo. 4 Dalla stanza vicina ascolto care/voci nel letto dove il sonno accolgo. /Per l'aperta finestra un lume brilla, /lontano, in cima al colle, chi sa dove. /Qui ti stringo al mio cuore, amore mio, /morto a me da infiniti anni oramai.