“Non dimenticherò mai quella notte, la notte in cui entrai nel Lager”.

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“Non dimenticherò mai quella notte, la notte in cui entrai nel Lager”.
Filippo Savi
“Non dimenticherò mai quella notte, la notte in cui entrai nel Lager”. Così recita una
delle ultime agghiaccianti battute dell‘opera “L’Istruttoria” di Peter Weiss, battuta che
tuttavia abbiamo escluso dalla rappresentazione per motivi scenici. Vorrei riflettere su
questa frase ricontestualizzandola (se mi è concesso, e se non manca di rispetto a una
frase così asciuttamente pregna di atroce verità) tramite una metafora teatrale. Quella
notte, e credo di poterlo dire a nome di noi tutti attori, abbiamo vissuto (e spero fatto
vivere) quell’ enorme sentimento di pietà che la sensibilizzazione e tutte le varie
manifestazioni che si tengono puntualmente per il giorno della memoria ci avevano
fatto provare solamente in via superficiale. E questo, prima che diventassimo
testimoni e imputati x e y, è stato quel sentimento ideale di cui ognuno di noi ha
dovuto scrollarsi. Entrare nella parte non è stato affatto facile, in quanto ha implicato
l’arduo passaggio da un atteggiamento che si rivela su un piano ancora troppo
astratto a uno che dimostra contatto con il reale. Ci dicono spesso che la storia serve
a evitare gli errori del futuro; ora, senza negare un’affermazione vera per logica, la
storia rimane comunque una semplice successione di fatti legati da rapporti di causaeffetto. Ma possiamo forse basare relazioni positive tra uomini sulla semplice analisi di
quelli che furono (e che con effetto continuo sono ancora) rapporti di causa-effetto?
Non credo proprio. La storia non basta. A dirci cos’è giusto e cosa sbagliato ci pensano
l’etica, la giustizia ecc… . Ma sono cose che rimangono solo su un piano teorico. E
allora, ci si chiede, quali mezzi sono adatti alla sensibilizzazione, a una
sensibilizzazione che tocchi la mente senza semplicemente impressionare
momentaneamente, ma sconvolgendo proprio l’individuo? Noi ci abbiamo provato con
il teatro, arte che io non smetterò mai di difendere in quanto la amo alla follia.
Personalmente, credo di essermi liberato dell’accidia del testimone 9 (il mio
personaggio) solo stamattina, ergo a distanza di due giorni dalla rappresentazione. E
questa è un’accidia che mi riempie ora il cuore di pietà, mi fa guardare a “quel
passato”, il passato del testimone 9, con lo sguardo e il cuore spaventati di chi
naufragato sulla costa si volta verso il mare denso e tempestoso dal quale è scappato,
come dice Dante nell’ Inferno. E di questa misericordia, abbiamo bisogno noi tutti.
Abbiamo bisogno, soprattutto in questi tempi, di concretizzare un’ umanità che troppo
spesso ( e qui torna molto utile la storia, sebbene solo come modello di riferimento) è
stata ed è data per scontata. Sul palco, quella sera, ognuno di noi ha cercato di dare
al pubblico la terribile verità di una testimonianza alla luce di un terribile dolore, di
una ferita enorme e vergognosa nella storia dell’umanità. Abbiamo rappresentato,
prima della storia, una vicenda umana; i fatti e i luoghi cambiano continuamente, ma
l’uomo rimarrà sempre lo stesso, nelle sue debolezze e nelle sue virtù. Grazie allo
scritto di Weiss che si presenta come atto di accusa, abbiamo dato vita alla potente
seppur spesso soffocata voce della giustizia, una giustizia che in realtà non andrebbe
nemmeno messa in discussione in quanto riguarda quelli che sono i diritti
fondamentali dell’uomo, primo tra tutti quello alla vita. E questo per continuare quella
giusta opera di sensibilizzazione che va assolutamente fatta ogni anno, per ricordarci
di quanto in basso la nostra umanità è caduta e invitarci a riflettere su come
migliorare la nostra. Posso dunque dire che non scorderò mai quella notte, e che non
scorderò mai il testimone 9; egli è ora una parte di me, e mi ha insegnato una pietà
della quale davvero la nostra generazione, sempre più tendente al nichilismo, ha
bisogno. E ora che so cosa significhi provare questa immensa misericordia
incondizionata verso ognuno (a parole sembra davvero banale, ma assicuro che non lo
è affatto data la sua grandezza), spero assolutamente che essa abbia conquistato
anche il pubblico. Ora dunque indosso i larghi pantaloni del testimone 9, scendo in
strada, e provo un’ineffabile e mai provata prima gioia nel conversare, scambiare
opinioni e stringere buoni rapporti con chiunque incondizionatamente, non dando più
davvero nulla per scontato e pensando a quale immenso dono è la vita di ognuno di
noi.
Giulia Picardi
“Se capire è impossibile conoscere è necessario”: questo è stato lo spirito che ci ha
animati in questo breve ma intenso cammino verso la giornata della memoria 2016.
Siamo soliti ricordare questo momento guardando un film o leggendo qualche pagina
d’un libro, ma quest’anno noi 25 ragazzi, accompagnati da qualche insegnante e
diretti dall’immancabile Carla Manzon, abbiamo inscenato uno spettacolo tratto dal
libro “L’istruttoria” di Peter Weiss. Divisi in solisti e coro, ciascuno interpretava uno o
più dei personaggi del libro: tre giudici, due avvocati, imputati, testimoni ed un
grande coro. Il percorso è stato arduo e tutto in salita: siamo stati spronati non solo
ad imparare a memoria la nostra parte ma anche e soprattutto ad entrare nel vivo
dell’opera, a cercare dentro noi stessi il coraggio di immedesimarci nel personaggio
che avevamo davanti, imputato da condannare che fosse o testimone da difendere.
Non sono mancate di certo le occasioni in cui abbiamo ricevuto rimproveri, che sono
serviti però a farci comprendere che non eravamo lì soltanto per ricordare ma anche
per raccontare a tutti una storia di umiliazione, dolore ed intimità. Essere catapultati
in una realtà d’altri tempi, rivivere la storia di qualcun altro. Riportare in vita,
attraverso le testimonianze, gli anni di torture, violenze subite. Rivedere con altri
occhi gli sguardi terrorizzati di coloro che varcavano le porte delle camere a gas,
consapevoli e non che ad attenderli ci fosse la morte. Essere partecipi del dolore più
straziante, la separazione di una madre dal figlio. Immaginare la rabbia dei
sopravvissuti di fronte all’indifferenza di coloro che, malgrado il tempo trascorso,
ancora negano e si giustificano di fronte all’evidenza.
Ma non siamo solo stati chiamati a difendere: il ruolo più difficile è stato proprio
interpretare la parte contraria, i colpevoli, che in molti casi continuavano a proclamare
la loro innocenza, gridando contro coloro che avevano tentato invano di annientare.
E’ stata un’esperienza coinvolgente ed illuminante perché ci siamo messi in gioco,
abbiamo condiviso paura ed emozione; abbiamo imparato a capire che le parole
hanno un peso e che siamo stati noi, in questi due giorni, ad averle comunicate ad un
pubblico commosso.
Andrea Meneghel
Nella sua opera, Peter Weiss vuole far rivivere il percorso delle innumerevoli vittime
del campo di Aushwitz attraverso gli sconvolgenti racconti dei 9 testimoni anonimi.
Utilizzando uno stile freddo e distaccato, rigorosamente descrittivo, vuole distanziare
criticamente il lettore e generare in lui un effetto catartico.
Numerosi accorgimenti, come l’assenza di punteggiatura e l’uso di frasi brevi e
incisive, ci permettono di sentire empaticamente le sensazioni di alienazione
trasmesse da quelle parole realmente pronunciate durante il processo.
Gli imputati, dotati per antitesi di nome, ricorrono a diverse strategie per giustificare il
proprio operato, coerentemente alla propria situazione giuridica e morale.