simbolo allegoria figura Epistola a Cangrande della Scala

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simbolo allegoria figura Epistola a Cangrande della Scala
Prof.ssa Rossella D'Alfonso
Dante e il medioevo
SIMBOLO E ALLEGORIA, ALLEGORIA E FIGURA
L'epistola XIII a Cangrande della Scala
Di Dante ci sono giunte tredici lettere ufficiali scritte in latino, indirizzate a persone importanti
(politici, ecclesiastici, ...). Queste epistole (lettere) sono scritte secondo i canoni stabiliti nelle artes
dictandi (letteralmente: "le tecniche dello scrivere"), documenti che appunto sancivano lo stile e la
forma con i quali si doveva comporre un testo di un determinato genere letterario (prosa, lettera,
poesia, età).
La tredicesima epistola di Dante è indirizzata a Cangrande della Scala, appartenente alla dinastia
degli Scaligeri, signori di Verona. Dante, esiliato da Firenze nel 1302, fu ospite presso la loro corte
(anzi, furono i primi ad accoglierlo). Dante nutriva una profonda ammirazione e riconoscenza nei
confronti degli Scaligeri, non solo per averlo accolto generosamente nella loro casa, ma anche
perché essi incarnavano l'ideale di corte ideale che Dante aveva: questi signori infatti amavano e
promuovevano la cultura, erano magnanimi e saggi.
La prima parte dell'epistola è scritta in un latino alto, la seconda invece è scritta redatta in uno stile
più trasandato e grossolano, cosa che ha spinto molti studiosi a dubitare dell'autenticità della lettera
stessa (o di una sua parte): si ipotizza che Dante, già malato all'epoca della stesura dell'epistola,
avesse scritto la seconda parte frettolosamente o che addirittura l'avesse dettata a qualcuno che la
scrivesse al posto suo; oppure, che qualcuno molto vicino a lui abbia steso questo commento alla
terza cantica facendolo poi circolare con il nome dell'Alighieri.
L'epistola XIII è di carattere esplicativo, in quanto svela la chiave di lettura della Commedia o
almeno della III cantica, di cui accompagnava l'invio dei primi canti a Cangrande: essa rappresenta
il primo commento del Paradiso. Nell'epistola Dante dice esplicitamente che la sua opera è
polisema (polisignificante), cioè ha più sensi: il senso letterale, quello immediato ed evidente, e il
senso allegorico, quello più profondo, che si carpisce solo leggendo tra le righe, andando al di là di
ciò che appare superficialmente. Riportiamo ora uno schema generale che illustri come erano
analizzati i testi dal punto di vista dei significati che trasmettevano:
SENSO ALLEGORICO
(o "sensus mysticus", significato mistico)
anagogico
morale
allegorico (propriamente detto
SENSO LETTERALE
(su di esso si costruiscono gli altri)
Per spiegare questo concetto, Dante fa un esempio molto chiaro e sicuramente di facile
comprensione per la gente del suo tempo, che aveva ben presente le vicende narrate nella Bibbia:
"All'uscita di Israele dall'Egitto, della casa di Giacobbe da una nazione barbara, la Giudea diventò
il suo santuario, Israele il suo dominio" [salmo 113]1
1 Dante aveva già utilizzato questo passo anche nel Convivio (II, i).
1
Prof.ssa Rossella D'Alfonso
SENSO LETTERALE/STORICO (storia degli Ebrei):
Gli Ebrei uscirono dall'Egitto grazie a Mosè, che li condusse verso la terra promessa.
SENSO ALLEGORICO (storia cristiana):
Gli uomini sono redenti dal peccato originale da Cristo.
SENSO MORALE (come deve essere il comportamento degli uomini in vita):
L'anima si converte dal peccato alla virtù con l'aiuto della grazia di Dio.
SENSO ANAGOGICO (ciò che accade dopo la morte):
Dopo la morte, l'anima beata si libera dalla schiavitù del corpo verso la pace della
gloria eterna in Dio.
Nel medioevo tutto era posizionato ad un certo livello di importanza secondo una rigida gerarchia
prestabilita. Così avveniva quindi per i significati di un testo scritto: il senso letterale, alla base,
accessibile a tutti, e quello allegorico (non necessariamente ripartibile in tutti e tre i punti prima
elencati, allegorico, morale e anagogico), più alto, al quale si può arrivare solo con una certa
elevazione d'animo ed intelletto. L'espressione per indicare l'allegoria era "aliud verbis, aliud
sententiis", una cosa con le parole, un'altra con i pensieri. La medesima espressione era usata
nell'età classica per rappresentare la metafora (tanto che l'allegoria fu spesso definita una metafora
continuata).
Dante nel suo "sacrato poema" (come lo definisce più volte nella cantica) dice più volte di avere
vissuto davvero la sua esperienza del mondo celeste,di aver fatto tale viaggio con tutto il corpo e di
avere goduto della visione di Dio, l'uniion emistica col quale chiude l'opera. Pertanto, il poeta
applica alla propria opera i quattro sensi delle Sacre Scritture: vero il viaggio, veri i sensi mistici (o
allegorici) che vi si fondano. È questa l'estrema novità della Commedia: la sua fictio è quella di non
essere una fictio.
(appunti corretti di una studentessa di una terza classe di liceo scientifico del novembre 2009)
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