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MALI
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Colpo di stato
d
imenticare Touré
Una minaccia di destabilizzazione
per la regione saheliana
U
Bamako, 25 marzo.
n’atmosfera sospesa da
drôle de guerre avvolge Bamako a tre giorni dal golpe militare che ha portato
al rovesciamento del presidente Amadou Toumani Touré, a poco più di un mese dalle elezioni previste
per il prossimo 29 aprile. Dopo una
notte di tensione, percorsa da voci insistenti di un contrattacco dei lealisti che
non ha poi avuto luogo, la capitale del
Mali ha provato a risvegliarsi dal torpore spaventato in cui era precipitata
dal pomeriggio del 21 marzo. Le bancarelle cariche di manghi dorati sono rispuntate agli angoli delle strade e i cittadini di Bamako hanno con cautela ripreso le proprie attività, riversandosi
nelle arterie principali, insolitamente
poco trafficate, della metropoli africana
e sciamando sui ponti che, scavalcando
agilmente le acque scure del Niger, collegano le due parti della città. Ma la parvenza di prosaica normalità non ha
tardato a essere scalfita da raffiche di
colpi d’arma da fuoco, quasi a voler ricordare che la situazione è ben lungi
dalla normalizzazione.
Un golpe da decifrare
Il Mali sta vivendo quella che potrebbe definirsi una fase di transizione
piuttosto fluida. Il potere della giunta
militare, autobattezzatasi «Comité national pour le redressement de la démocratie et la restauration de l’État» («Comitato nazionale per il ristabilimento
della democrazia e la restaurazione
dello stato», CNRDR), non è ancora
consolidato. Manca il sostegno di ben
38 partiti,1 tra cui il Party for National
Renewal (PARENA), che in una dichiarazione congiunta hanno condannato la sospensione della democrazia e
invocato il ritorno all’ordine costituzionale, una rapida organizzazione di elezioni libere e trasparenti e la liberazione dei prigionieri politici. Manca il
sostegno della comunità internazionale,
in primis dell’Unione Africana, che ha
provveduto a sospendere il Mali, e dell’Economic Community Of West African States (ECOWAS), che ha escluso il
paese dal summit previsto ad Abidjan il
27 marzo. Manca il sostegno di Francia,
Stati Uniti, Unione Europea, Banca
mondiale e Banca africana dello svi-
luppo, che hanno interrotto o minacciato d’interrompere la cooperazione
con il paese. Persino la Cina, di solito
restia a intervenire e commentare affari
riguardanti la giurisdizione interna di
altre nazioni, ha condannato tout court
il putsch.
Manca il sostegno delle alte gerarchie militari, che non si sono schierate
a favore di un golpe ideato e gestito da
oscuri militari di rango medio-basso.
Manca il sostegno di parte della popolazione,2 abituata a un ventennio di democrazia e stabilità politica e spaventata dalle razzie e requisizioni di cui
alcuni militari si sono macchiati nelle
Amadou Toumani Touré.
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prime confuse ore del golpe. E soprattutto, nonostante l’incarcerazione di
molti ministri del precedente governo,
manca ancora all’appello ATT (acronimo con cui è conosciuto in tutta
l’Africa occidentale il presidente deposto). Le voci sulla sorte del presidente
sono contrastanti: i membri della
giunta si limitano a dire che l’ex capo di
stato si trova «in sicurezza»; i lealisti dicono che è ben protetto dai «berretti
rossi», come viene chiamato il corpo di
paracadutisti maliani cui ATT apparteneva prima di gettarsi nell’agone politico. Le incertezze sull’esatta localizzazione di Amadou Toumani Touré, e
soprattutto sulla consistenza di eventuali forze lealiste che potrebbero virtualmente tentare di scalzare la giunta
golpista, contribuiscono ad alimentare
la tensione. Tuttavia si sospetta che, discretamente, sia in atto una negoziazione tra le due parti.
La ribellione tuareg
Il «pronunciamiento» del 21 marzo,
partito da una caserma di Kati a 15
km dalla capitale, vuole essere la risposta, nelle parole del luogotenente Konaré portavoce (ironicamente afono)
della giunta, proprio all’«incapacità
notoria» del governo di ATT di far
fronte alla crisi che imperversa nel
Nord del paese.
Da metà gennaio infatti, nei vasti
territori semidesertici del Nord del
Mali, si è registrata una recrudescenza
dell’insurrezione tuareg. Organizzati
nel Movimento nazionale per la liberazione dell’Azawad (Mouvement national pour la liberation de l’Azawad,
MNLA) e in altri gruppi,3 i separatisti
tuareg hanno guadagnato molte posizioni, conquistando la città di Tessalit,
infliggendo umilianti sconfitte all’esercito maliano e provocando un’emorragia di sfollati e rifugiati che, secondo
l’United Nations Office for the Coordination of Humanitarian Affairs (OCHA),
ha superato le 150.000 persone4 in
fuga verso i paesi confinanti o altre regioni del Mali.
La reviviscenza della ribellione tuareg
sarebbe una delle tante cause indirette
della cosiddetta primavera araba e in particolare della caduta di Gheddafi. La proliferazione e la rapida circolazione delle
armi un tempo custodite negli arsenali
del raìs avrebbe permesso ai tuareg di
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rafforzarsi e dar vita a una rivolta in grande stile, finalizzata alla secessione e all’indipendenza dell’Azawad.5 Questo nuovo
elemento di destabilizzazione rende ancora più precaria una zona già infestata
da Al-Qaeda au Maghreb islamique
(Al-Qaeda nel Maghreb islamico,
AQMI), cellula ben insediata nella regione e che prospera grazie al business
del rapimento di cittadini occidentali,
finanziandosi con i ricchi riscatti (cf. in
questo numero a p. 200).
Sebbene non esistano prove inconfutabili a riguardo, in molti, tra cui il ministro della Difesa del deposto governo e il
giornalista di Radio France Internationale Daniel Leger, autore del libro AQMI,
l’industria del rapimento,6 credono che
negli ultimi tempi i legami tra il movimento separatista tuareg e la cellula terroristica si siano rinsaldati. Il MNLA nega
però ufficialmente ogni connivenza con i
fondamentalisti.
Se il motivo scatenante del golpe è effettivamente da ricercare nell’esasperazione dell’esercito maliano di fronte a un
atteggiamento troppo accomodante di
ATT nei confronti dei tuareg e nell’insufficienza di mezzi messi a disposizione
dell’esercito per sedare la ribellione in
atto, certo è che la confusione ingenerata
dal putsch ha sortito l’effetto contrario. I
ribelli tuareg hanno infatti approfittato
del caos per tentare di estendere il proprio controllo del territorio verso Sud,
tra le inquietudini sempre più palpabili
degli abitanti di Kidal, che si sentono per
la prima volta seriamente minacciati dall’insurrezione.
L’inf luenza di Al-Qaeda
Tutti si aspettavano che il Comitato nazionale per il ristabilimento
della democrazia e la restaurazione
dello stato, viste le motivazioni addotte
per giustificare il golpe, avrebbe tenuto
una linea dura contro i ribelli tuareg.
Invece il capo del CNRDR, Sanogo,
ha dichiarato di essere aperto alla negoziazione. Ma il MNLA, pur non rifiutando il dialogo, preferisce attendere il consolidarsi del potere della
giunta e una sua più ampia legittimazione internazionale prima di impegnarsi in un nuovo round di negoziati.
Nel frattempo, approfittando della situazione, continua a guadagnare posizioni, incrementando la destabilizzazione del Nord del paese.
Insomma: il golpe non sembra aver
contribuito a districare i problemi in cui
si dibatte il paese ma sembra piuttosto
averli esacerbati, con una lapalissiana assenza di tempismo. Infatti in capo a un
mese i maliani sarebbero stati chiamati
alle urne per scegliere un nuovo presidente e ATT, come più volte dichiarato
(e a differenza di molti leader africani
della regione pervicacemente attaccati
alla poltrona), era pronto a lasciare il potere favorendo l’alternanza.
Ironico epilogo quello di Amadou
Toumani Touré, putschista anche lui,
che con un golpe aveva interrotto la sanguinosa dittatura di Moussa Traoré nel
1991. Insolitamente però, dopo aver guidato un governo di transizione democratica, aveva riconsegnato il potere ai
civili e solo anni dopo, terminata la carriera nell’esercito, si era presentato alle
elezioni riuscendo per ben due volte (nel
2002 e nel 2007) a farsi eleggere democraticamente!
E ora il «militare democratico»,
l’uomo considerato in tutta l’Africa come
un modello, è stato a sua volta deposto
dall’esercito a solo un mese dalle elezioni
cui aveva promesso di non ricandidarsi,
in onore alla Costituzione del paese. Il
colpo di stato rappresenta dunque un
grave vulnus alla stabilità della regione
saheliana, non risolvendo i nodi critici
della ribellione tuareg e della minaccia
terroristica di AQMI, e riportando il
paese indietro di trent’anni sulla strada
della democrazia.
Francesca Datola
1
Il golpe è invece sostenuto dal movimento
MP22 di cui fa parte il SADI (Solidarité africaine
pour la démocratie et l’indépendance) di Oumar
Mariko.
2
Rieletto nel 2007 con il 71% dei suffragi,
Amadou Toumani Touré era stato recentemente
criticato per una certa arrendevolezza nei confronti dei ribelli tuareg e per una cultura del consensus così spinta da aver praticamente assorbito
l’opposizione in una sorta di Große Koalition alla
maliana.
3
Tra di essi spicca l’Ansar Dine (Difensori
dell’islam), che, a differenza dei laici dell’MNLA
vorrebbe instaurare la sharia nelle zone sottoposte al suo controllo.
4
Cf. Il rapporto dell’UNHCR aggiornato
all’8.3.2012 (Mali UNHCRupdate_1_8march2012.
pdf).
5
Regione abitata dai nomadi tuareg e che
comprende parte del Mali, dell’Algeria e del Niger.
6
S. DANIEL, AQMI, l’industrie de l’enlèvement, Fayard, Paris 2012.