Dicono che Cuba... - Italia-Cuba

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Dicono che Cuba...
è un Paese terrorista
Nel corso degli anni gli attentati terroristici contro Cuba hanno prodotto oltre tremila morti,
un numero imprecisato di mutilati a vita e danni materiali ingenti.
Responsabili confessi di questi attentati sono personaggi come Bosch e Posada Carriles, che
operano dal territorio degli Stati Uniti, con base a Miami, capitale storica dell’emigrazione anticastrista.
Le vittime sono cittadini cubani, come l’intera squadra di scherma femminile, perita nell’attentato
ad un aereo della Cubana de Aviación nel 1976, insieme all’equipaggio e agli altri passeggeri,
ma anche stranieri, come l’italiano Fabio Di Celmo, ucciso da una bomba esplosa nel bar dell’albergo
nel quale si trovava, nel 1996.
Per prevenire queste operazioni terroristiche, il governo cubano ha infiltrato
le organizzazioni che le mettevano in atto, ottenendo importanti informazioni che
hanno consentito, fra l’altro, di prevenire ulteriori stragi.
Nel 1998, con la mediazione dello scrittore colombiano García Márquez, il presidente Clinton
acconsentì allo svolgimento di una riunione all’Avana cui parteciparono esponenti
del Dipartimento di Stato e dell’Fbi. In tale occasione, il governo cubano presentò le prove
delle attività terroristiche condotte a partire dal territorio statunitense.
Ma, pochi mesi dopo, anziché porre fine alle attività terroristiche, l’Fbi arrestò cinque
degli agenti cubani a Miami: Gerardo Hernández, Ramón Labañino, Fernando González,
Antonio Guerrero e René González. La principale accusa contro di essi, come ammesso
dagli accusatori e dal giudice a partire dalla loro imputazione fino all’ultimo giorno
del processo, è stata quella di essersi infiltrati pacificamente, senza armi,
in gruppi anti-terroristici cubani con l’intento di riferire a Cuba circa i loro piani criminali.
Era il settembre del 1998.
Dal giorno dell’arresto sino al 3 febbraio del 2000, per 17 mesi, sono rimasti in totale
isolamento, senza vedersi tra di loro e senza vedere altri prigionieri. Sono rimasti
tutto il tempo isolati, nel “buco”, violando gli stessi regolamenti statunitensi
che ammettono l’isolamento solo come castigo per infrazioni commesse
nelle prigioni con un limite massimo di 60 giorni per i casi più gravi, come l’omicidio.
Nel dicembre 2001, con un processo farsa tenutosi a Miami, dunque in una sede
e con una giuria popolare notoriamente ostile a Cuba e agli imputati, senza
una benchè minima prova, furono condannati a pesantissime pene detentive:
Gerardo Hernández: due condanne all’ergastolo più 15 anni.
Ramon Labañino: un ergastolo più 18 anni. Fernando González: 19 anni.
René González: 15 anni. Antonio Guerrero: un ergastolo più 10 anni.
I Cinque giovani, assai lontani da quella filistea tradizione degli USA che offre l’opportunità finale
agli accusati affinché possano elemosinare con il pentimento la clemenza dei giudici,
denunciarono e smascherarono i loro accusatori, misero in luce tutte le falsità e l’arbitrarietà
di un processo manipolato sin dal principio e riaffermarono la loro assoluta fedeltà alla Patria,
al popolo cubano, ai loro ideali.
Il Gruppo di Lavoro delle Nazioni Unite sulle Detenzioni Arbitrarie, ha determinato che la privazione
della loro libertà “è arbitraria e in contrasto con l’Art.14 della Convenzione Internazionale
dei Diritti Civili e Politici”. Dieci premi Nobel, centinaia di parlamentari di nove paesi
e organizzazioni legali e dei Diritti Umani di tutto il mondo si sono espressi a favore dei Cinque.
Ma, ad oggi, quattro sono ancora in carcere, dopo più di tredici anni. René è uscito dal carcere,
ma è per tre anni agli arresti domiciliari a Miami, con un serio pericolo per la sua vita.
Si tratta con tutta evidenza di un processo e di condanne di natura esclusivamente politica.
I Cinque patrioti o eroi, noti in tal modo a Cuba e nel mondo, hanno agito per impedire il terrorismo,
e sono in carcere da oltre tredici anni nel Paese che ha dichiarato la guerra al terrorismo.
Paradossi del diritto e della politica internazionale. Il premio Nobel per la pace Obama, purtroppo, non si è finora discostato
dalla linea dei suoi predecessori, rimanendo ostaggio di una dottrina politica che vede l’esistenza di Cuba come una minaccia
alla “sicurezza nazionale” degli Stati Uniti.