il discorso indiretto libero: roy pascal ei suoi successori

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IL DISCORSO INDIRETTO LIBERO:
ROY PASCAL E I SUOI SUCCESSORI
Alina BACI-POP
Universitatea „Babeş-Bolyai”, Cluj-Napoca
Nel 1977, viene pubblicato a Manchester il volume intitolato The dual voice:
free indirect speech and its functioning in the 19th century European novel, il
primo in lingua inglese, firmato da Roy Pascal (1977), libro considerato molto
importante in quanto fa una analisi rigorosa di testi presi dalla letteratura inglese,
francese e tedesca. Pascal nota che i tedeschi adottano la forma di “erlebte Rede”,
la quale viene spiegata come la diretta comunicazione dell’esperienza dei
personaggi, visto che, secondo lui, ci sono due tipi di linguaggio, immaginativo e
razionale, e due tipi di usi del linguaggio (uno che comunica esperienze e un altro
che comunica informazioni). Secondo Pascal, Oskar Walzel è il primo studioso ad
affermare l’identità e l’importanza della “erlebte Rede” in un articolo del 1924, che
due anni dopo sarà pubblicato in volume (apud Pascal 1977: 28). Walzel non è
d’accordo in nessun modo con gli argomenti proposti da Lorck, considerando
sbagliata l’idea della “erlebte Rede” sia una forma di discorso indiretto. Pascal lo
associa piuttosto al discorso diretto simile a “to a self-expression of a dramatic
character, and calls it a type of mimicry through which the reader ‘experiences
directly what the character in the narrative is experiencing” (Pascal 1977: 28). A
suo parere, nel compimento di questo stile, l’autore abbandona il suo punto di vista
e allo stesso tempo si toglie tutta la responsabilità nei confronti dei personaggi.
Questa rinuncia non significa però in nessun modo la morte dell’autore; anzi, la
presenza sua si fa sentire attraverso un comportamento ironico. Nell’ambito
dell’inglese, Pascal considera Dorrit Cohn uno dei primi che ha provato trovare
un’equivalente in “narrated monologue”, ma la maggior parte degli studiosi ha
adottato la forma di “free indirect speech”. Se nel francese la parola “libre” lo
delimita dal punto di vista delle caratteristiche grammaticali, e nel tedesco rende
evidente un fenomeno psicologico, nell’inglese assume un valore più vicino
all’indiretto, quello che gli permette di esprimere l’implicazione di entrambe le
parti: autore e personaggio. In seguito, Roy Pascal si propone di studiare il discorso
indiretto libero da due punti di vista: dalla struttura stilistica da una parte e da
quella narrativa dall’altra parte. Pascal porta al compimento la sua tesi esaminando
vari testi presi sia dalla letteratura inglese, che francese e tedesca del XIX secolo.
Mediante l’analisi di testi tratti da Goethe e da Flaubert, Pascal prova a tracciare la
differenza tra il discorso indiretto libero e i passaggi narrativo-oggettivi. Anche se
un passo narrativo finisce con sintagmi come “ha pensato” oppure “queste erano le
sue osservazioni”, ecc., il brano rimane sempre in discorso indiretto libero, in
quanto, come aveva sostenuto Bally, questi passi trasmettono molto più di quanto
potrebbe trasmettere un testo nel semplice discorso indiretto. Pascal parla di una
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presenza soggettiva nei testi di Goethe, in cui la voce narrante è velata da un sapore
ironico. I passi in discorso indiretto libero hanno una forza persuasiva più profonda
nei confronti del lettore, di quanto lo hanno i passi narrativo-descrittivi: “But on the
other hand, the fact that the self-delusion remains only impicit makes the irony all
the more penetrating” (Idem: 40). Invece, nei testi di Jane Austen c’è sempre un
narratore che dice la storia, uno “storyteller”, addirittura un moralista, che non si
implica personalmente e non appare come un’entità definita, ma che può accedere
agli angoli più nascosti della coscienza dei personaggi. Caratterizzati da una
vivacità straordinaria, i passi trovati in discorso indiretto libero, sono più che
rilevanti per cogliere, senza aver la paura di sbagliare, la differenza tra autore e
narratore, e tra la voce dell’autore e quella narrativo - oggettiva. Graham Hough
sostiene che nei brani trovati in discorso indiretto libero c’è sempre una traccia di
mimesis in consonanza con l’ironia risultata da parole e intonazioni specifiche.
Contraddetto da Pascal, il quale sostiene che il discorso indiretto libero non
dipende dai ipsissima verba di un personaggio, Graham Hough mette in evidenza
il fatto che “the view of a character, when presented in free indirect speech, has
only a qualified validity in respect to truth, wins from the reader only a qualified
assent (if at all) and is always subordinate in status to the narrator’s objective
judgement” (Idem: 51); il contesto così rimane cruciale nel determinare la funzione
di un testo in discorso indiretto libero. Qualche volta, all’interno del discorso
indiretto libero ci sono delle parole scritte in corsivo perché no si faccia la
confusione fra le persone che le pronunciano, in quanto la prima persona si perde
all’interno di questo tipo di discorso (l’indiretto libero). In gran parte dei casi
l’effetto del discorso indiretto libero diventa solo intuitivo, poiché è difficile fare
con esattezza delle distinzioni nel grande miscuglio di “short snatches” (piccole
parti in discorso indiretto libero), “narratorial account and direct speech” (Idem:
57), suggerendo che l’implicazione soggettiva del discorso indiretto libero “spils
over into the neighbouring types of statement”.
Jane Austen, l’autrice che ha fatto largo uso del discorso indiretto libero
nella sua opera, sotto tutte le forme, mette così le basi di una tradizione, che nella
sua costruzione e sviluppo la vedrà come maestra. Basato su una relazione
personale con i gruppi socio-culturali, il discorso indiretto libero di Jane Austen
diventa un quadro dei pensieri dei personaggi e non delle descrizioni propriamente
dette. I personaggi sono coscienti di un ambiente o di uno spazio, oppure di un
altro personaggio, non attraverso lunghe parti narrative fatte dall’autore, ma tramite
i pareri dei personaggi, costruiti delle volte intorno alla loro agitazione, ai loro
brividi e sospiri con frasi senza fine, rimaste in sospeso, con gesti non controllati e
accompagnati da onomatopee. Nel romanzo Lenz di Georg Büchner, il discorso
indiretto libero riceve un’importanza maggiore, dato che acquista una funzione
essenziale nella stesura del romanzo. L’innovazione si fa palese nell’uso del
discorso indiretto libero, attraverso il quale il narratore allarga l’orizzonte grazie
alle prospettive fornite dal personaggio, e questa sovrapposizione delle prospettive
diventa tanto delicata, che si può parlare di una voce duale che non influenza in
nessun modo negativo il discorso. Il punto di svantaggio di Buchner è invece dato
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dalla sovrapposizione del narratore con il personaggio, fatto che diminuisce lo
spazio di sviluppo spettacolare e di azione degli altri personaggi, giacché tutto ciò
che si dice è filtrato attraverso la mente del personaggio principale. I romanzi del
periodo vittoriano scelti dal Pascal ci mettono davanti a varie situazioni dell’uso
del discorso indiretto libero. Quando tratta di parlare in prima persona, il narratore
non appare solo come un’entità con una forte personalità, ma anche come il più
veemente partecipante nello sviluppo della storia. La Bleak House di Dickens ci
presenta entrambe le forme, poiché è scritta sia in prima sia in terza persona. In
quest’ambito, il discorso indiretto libero è usato per mettere in risalto le parti con
impronta satirica, “and often seems to be an enlarged version of those fixed catchphrases which many of Dickens’s characters define themselves” (Idem: 68). Di
conseguenza, le parole in discorso indiretto libero sembrano assumere maggior
forza persuasiva, siccome hanno delle solidi basi nell’autorità del narratore.
Dickens è un esperto nell’uso dell’idioma personale specifico per ogni
personaggio, e molti passi in discorso indiretto libero diventano “estensioni” di
questi idiomi specifici, che dal punto di vista estetico non sono segnalati dalle
virgolette e non hanno nessun altro segno che li individui nel testo. Dickens mette
tutta la sua fiducia nelle decisioni prese dal narratore e non dà libertà di scelta ai
personaggi, essi essendo guidati da vicino da questa forza benefica che ne
determina i destini. Invece nell’opera di Thackeray, dice Pascal, i personaggi
godono di “confidential reflection” e trasformano il narratore o in una forza
assoluta che diventa un vero dittatore, o in uno che può rinunciare al suo statuto in
ogni momento, diventando uno dei personaggi. Anche da George Eliot il narratore
compie una valenza duale. In questi casi, il discorso indiretto libero appare come
evocazione delle lotte interiori che culminano con momenti di tensione, la
transizione dalla narrativa al discorso indiretto libero essendo ovvia grazie alla
punteggiatura, segno perfetto per ridare con esattezza le tensioni dell’anima.
Comunque per Eliot rimane specifico il suo commento, chiamato dal Pascal
“intrussive commentary” e “its wit, profundity, and immaginative brilliance often
fully justify its presence” (Idem: 85). Però, le riflessioni dei personaggi hanno lo
stesso alto valore, e gli avverbi di dubbio non fanno altro che attirare di più
l’attenzione del lettore e portarlo a un livello psichico degno di compassione e
pietà. La narrazione di Eliot è molto fluida e andando avanti con la lettura si sente
indubbiamente la necessità di questa domanda: “Please leave the characters alone,
to themselves, please leave us alone, to make our own conclusions” (Idem: 89). La
funzione duale del narratore si fa palese anche in Anthony Trollope, che adotta un
comportamento molto vicino al livello socio-culturale del personaggio, la
distinzione facendosi solo al livello espressionistico o strutturo-grammaticale.
Sebbene il narratore si trovi sempre sottoposto all’autore, i personaggi godono di
un largo spazio di movimento e sviluppo. L’uso del discorso indiretto libero una
“assertive personality in the author, a wide appreciation of people (within the bond
of the class he describes), patience with variants from the good, with human frailty;
a tolerance that is not unprincipled” (Idem: 97).
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Anche se molto studiato dai suoi predecessori, Madame Bovary di Flaubert,
occupa una buona parte della tesi di Pascal. Nella sua opinione, il discorso indiretto
libero di Flaubert non è solo un procedimento trovato occasionalmente ma un vero
e proprio strumento, che viene messo in risalto appunto per il suo sviluppo molto
naturale, senza segni specifici (esclamazioni o forme deittiche), ma “slips from one
to the other, guided by only the most delicate hints” (Idem: 99). E’ il primo a
servirsi all’interno del discorso indiretto libero dell’imperfetto indicativo, con cui
riesce, con grande raffinatezza estetica, a riprodurre i gesti, le parole dialettali
usate, in contrasto con i passi narrativi nella composizione dei quali si trovano.
Secondo Pascal, Flaubert deve essere considerato uno dei capostipiti del discorso
indiretto libero, in quanto non lo ha lasciato a un semplice livello grammaticale
basato su delle regole matematiche ben conosciute, ma ha voluto superare le
barriere imposte, ed è riuscito ad usare il discorso indiretto libero in modo “to
embrace, in this manner, those mental responses that are beyond (or beneath)
verbal formulation and definition, that remain at the level of sentient and nervous
apprehensions” (Idem: 101). Il secondo autore francese è il controverso Emile
Zola, che è stato molto criticato dal Bally e dalla Lips per aver ecceduto nell’uso
del discorso indiretto libero e per averlo trasformato in “mannerism”, e per averlo
portato al grado di “ossessione”. Zola si assume una grande responsabilità, dato che
la sua narrazione è basata sull’oggettività del narratore, possessore di
un’intelligenza impersonale capace di avvicinarsi o allontanarsi dai suoi
personaggi, e l’unico in grado di prendere delle decisioni o fare delle proposte. Con
questo narratore, Zola ha l’intenzione di raggiungere la vera arte considerata “a
corner of nature seen through a temperament” (Idem: 113) e vuole cancellare il
mito che il narratore assomiglia allo scienziato che adopera dei teoremi dimostrati e
validi, in quanto il narratore si serve della sua intuizione, immaginazione a cui si
aggiunge il momento del bilancio, accompagnato da lunghi momenti di
osservazione, di pensieri pieni di incertezze, di dubbi, di resi conti. Pascal conclude
con l’esistenza di due tipi di verità, uno appartenente al narratore e uno che fa parte
della struttura dell’anima di ogni essere umano. Invece, Zola li mette tutte e due
insieme “since the narrator’s truth comprehends and transcends the partial truth of
the characters”.
Nello stesso ambito di idee Percy Lubbock (1998: 58) non mette al centro
dell’interesse il narratore, che fa sentire la sua presenza andando avanti con la
storia, ma il lettore, al quale si offre la possibilità, oltre a essere spettatore o
ascoltatore di qualcosa ricevuto senza nessuno sforzo, di gettare uno sguardo in
modo diretto e di intervenire attraverso la sua immaginazione. Quando si tratta
della prima persona, i fatti sono tracciati con esattezza e il lettore “sembra che
osservi un riflesso dei fatti in uno specchio i cui bordi sono ben definiti; lo
specchio è racchiuso dai limiti della esperienza personale del narratore” (Idem: 59).
In questa sede, Brooks e Warren (1998: 69) sostengono che la narrazione in prima
persona è una “convenzione”, la creatrice di una realtà illusoria dove le esperienze
raccontate sono limitate, poiché appartengono a una sola persona. Anzi, quando si
tratta della terza persona, l’autore fa uso del personaggio e si nasconde dietro di lui
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“come se parlasse con la sua propria voce”. Il campo visivo è del personaggio, ma
la mente appartiene a due entità: l’autore, anche se si trova a una certa distanza, e il
personaggio. L’autore si allontana e lascia che il lettore acceda all’interiorità dei
personaggi, svelando un mondo del tutto nuovo, scendendo nelle profondità delle
loro anime. Esiste anche la possibilità, come sostiene Cesare Segre (1981: 57), che
il narratore si annulli lasciando il posto ai personaggi, “attraverso le cui coscienze il
lettore ha l’impressione di conoscere i fatti”. Così appaiono delle azioni che non
appartengono all’autore, ma “è il raggio d’azione della voce del protagonista che in
un modo o nell’altro si mescola alla voce dell’autore” (Bachtin 1979: 125). Si tratta
dunque, di un “discorso altrui” in “lingua altrui”, “una parola biunivoca che
esprime direttamente l’intenzione del personaggio e, rinfrangendola, quella
dell’autore” (Segre 1981: 57).
Al contrario, la studiosa americana Ann Banfield considera il discorso
indiretto libero l’indizio di una modalità di non comunicazione del linguaggio,
sostenendo l’idea di un discorso formato da unspekable sentences (Banfield 1982).
A questo punto è importante, per lei, distinguere dove è situato il narratore, se
all’interno o all’esterno della narrazione. E come osservava Georges Blin (1953), la
neutralità non è più oggettività: “Il n’y a point de monde qui ne soit le monde de
quelqu’un à quelque moment” (Idem: 11). Invece, Ann Banfield (Banfield 1963),
cominciando dalla supposizione che il discorso diretto e quello indiretto derivano
l’uno dall’altro, conclude che davvero possono sussistere insieme, ma non si tratta
di derivazione, poiché i verbi che introducono uno non possono introdurre l’altro.
Per quel che riguarda il discorso indiretto libero, l’autrice lo chiama “Nonreportive
Style in the Third-Person” e lo considera una mescolanza tra diretto e indiretto,
anche se alle volte non ha a che fare con nessuno di questi. Se il discorso indiretto
veste la forma di una parafrasi, interpretando le parole di un’altra persona usando
proprio le sue (in questo caso il parlante iniziale non si assume nessun ruolo
linguistico), esso diventa solo un modo di esprimere le attitudini e lo stato di spirito
del parlante e non di quello che ha espresso il giudizio. Mentre il discorso indiretto
libero “captures something between speech and thought which can neither be
paraphraseable in a propositional form nor cast into an expression with a new firstperson referent according to the Direct Speech Conventions” (Idem: 29). Cioè, il
discorso indiretto libero diventa un processo di riflessione che ha luogo mettendo la
lingua, con l’aiuto della quale si riporta, a “distanza” dalla comunicazione verbale,
trasformandola in un “vehicle for the expression of consciusness resposive to the
emotional dimension” (Ibidem). Con il discorso indiretto libero si manifesta un
punto di vista della terza persona e la logica della comunicazione ci fa evidente che
si tratta di un'altra persona che parla. In Lubbock (1921), autore citato da Ann
Banfield, la nozione di punto di vista, o meglio detto del punto di vista della terza
persona appare definita in contraddizione con il parlare. A questo punto Lukacs
(1970), un altro autore citato da Ann Banfield, accetta una situazione di
compromesso con due varianti: “We can be told what a character does or thinks in
a novel, or we can be shown it” (Banfield 1982: 69). Ma la risposta viene
immediatamente e Lubbock conclude che “the art of fiction does not begin until the
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novelist thinks of his history as a matter to be shown, to be so exhibited that will
tell itself” (Ibidem). Invece, Ann Banfield parla di una cosa che ancora non può
essere accettata, quella delle frasi senza narratore, una sorte di “narratorless
sentences which stem from a confusion between the language which represents and
the content of the consciousness represented. Represented consciousness is not a
realistic reproduction of the mind at work; it does not create transparent minds. The
mind is never transparent, not even to omniscient narrators” (Idem: 211). L’autore
appare come costruttore di teoria letteraria e non artefice di narratore e personaggi,
che sono, infatti, sempre le sue creazioni. La separazione tra essi può essere
realizzata solo a un livello ideale, in quanto tutto il testo è il risultato del lavoro di
composizione dell’autore e “their relation to their creator is different from their
textual relation to any fictional subject of conscoiusness or speaker. The text
speaks not the author in it” (Ibidem).
BIBLIOGRAFIE
Bachtin, Michail, Estetica e romanzo, Torino, 1979. (Bachtin 1979)
Banfield, Ann, Narrative Style and the Grammar of Direct and Indirect Speech,
«Foundations of Language», 10, 1963, pp. 1-39. (Banfield 1963)
Banfield, Ann, Unspeakable sentences, Boston, 1982. (Banfield 1982)
Blin, Georges, Stendhal et les problemes du roman, Paris, Josè Corti, 1953, in
Gothot-Merch, Claudine, Le point de vue dans Madame Bovary in «Cahiers
de l’Association Internationale des Etudes Francaises», XXIII, 1971, pp.
243-259. (Blin 1953)
Brooks, Clenth Clenth e Warren, Penn Robert, Focus della storia, focus della
narrazione, distanza, in Donata Meneghelli, op. cit. (Brooks e Warren 1998)
Lubbock, Percy, Teorie del punto di vista, in Donata Meneghelli, Teorie del putno
di vista, Firenze, La Nuova Italia, 1998. (Lubbock 1998)
Lubbock, Percy, The Craft of Fiction, New York, the Viking Press, London, 1921.
(Lubbock 1921)
Lukacs, Georg, Narrate and Describe in “Writer and critic”, New York, Grosset
and Dunlap, 1970 (Lukacs 1970)
Pascal, Roy, The dual voice: free indirect speech and its functioning in the 19th
century European novel, Menchester University Press, 1977 (Pascal 1977)
Segre, Cesare, Punto di vista e plurivocità nell’analisi narratologica, in Atti del
convegno internazionale “Letterature classiche e narratologia”, Perugia,
Istituto di filologia latina di Perugia, 1981, pp. 51-65. (Segre 1981)
ABSTRACT
The English linguist Roy Pascal refutes some of the theories about the
importance and identity of free indirect discourse, attempting to point out the
difference between this device and narrative-objective passages, using as a basis of
Il Discorso Indiretto Libero: Roy Pascal E I Suoi Successori
analysis texts collected from the pages of the great English prose writers, such as
Jane Austen, Charles Dickens, T.S. Eliot, W.M. Thackeray etc.
Key words: discourse, monologue, objective-subjective