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«Fui violentata da uno zio a 16 anni. Troppo doloroso tenere quel figlio»
MILANO - Lei aveva dieci anni. «All' inizio nemmeno capivo bene quello che stava accadendo ma
avvertivo un senso di fastidio crescente». Poi 11, 12, 13... Anni strappati dalle pagine della sua
adolescenza. Le mani di quell' uomo sotto la sua gonna, sui suoi seni, a pretendere sempre di più.
Baci estorti, carezze ripugnanti, ogni incontro una lama di coltello nella voglia di vivere di lei. Poi
arrivò quel giorno, il peggiore di tutti. Lo zio decise che l' occasione era buona e i tempi maturi: la
violentò. E lei, 16 anni, rimase incinta. Il cardinale Bertone dice che «bisogna salvare la vita anche
se è frutto di violenza». La nostra ragazzina - oggi ha 33 anni - decise di abortire. «A sedici anni
come avrei potuto trovare la forza di dire a mia madre "tuo fratello mi ha rovinato l' infanzia e
adesso mi ha messo incinta"?». «Sono persone, sono soggetti umani, con tutta la loro dignità di
esseri umani», argomenta il segretario di Stato Vaticano. E non è che questo lei lo neghi: «Lo so che
per la Chiesa è peccato abortire. Lo so perché ho studiato dalle suore e sono cattolica. Posso dire di
più: anche io la penso così. Non bisognerebbe mai abortire. Spesso c' è egoismo dietro un aborto.
Sembro contraddittoria? La verità è che io considero davvero sacra la vita ed in condizioni normali
non abortirei mai. Però poi penso alla situazione in cui mi sono ritrovata e mi rendo conto che c' è
un abisso tra il vivere certe cose e osservarle da fuori. Bisognerebbe ridurre questa distanza
abissale». Al cardinale Bertone vorrebbe chiedere «di continuare la battaglia contro l' aborto» ma
anche «di cercare di decifrare l' anima delle donne che fanno queste dolorosissime scelte. È vero
che avrei dato la vita a un bambino ma comunque l' avrei distrutta a mia madre e per me certo non
sarebbe stata una passeggiata...». Non è mai stata una passeggiata, la sua adolescenza. Anche
quando il mostro non c' era. Era lacerante tormentarsi alla sola idea che sarebbe arrivato di nuovo,
prima o poi, per le sue «visite di cortesia». I ricordi di lei hanno confini, arrivano fin dove si può
tollerare il dolore di rispolverarli. Prima il presente: «Adesso sono sposata, ho un bambino
splendido di 4 anni e sto studiando per laurearmi in legge». Poi il passato: «Non le dirò il mio nome
ma può chiamarmi Domenica. Non è un nome qualunque. Tutto quello che subivo avveniva la
domenica». Dalla ferita aperta di quelle domeniche sepolte dal tempo escono pensieri e parole.
«Quando avevo dieci anni i miei zii venivano a casa da noi a Genova e mio zio, fratello di mia
madre, cercava ogni occasione per rimanere solo con me. Mi portava al cinema o mi portava in una
stanza a giocare. Appena eravamo da soli mi metteva la mano sotto il vestito. Mi toccava e mi
baciava in bocca. Non mi va di dire altro. Sono cresciuta con l' incubo di queste visite domenicali».
Domenica arrivò a odiare i fine settimana. «Quando sono diventata più grande - ricorda - mi
vergognavo a dirlo ai miei genitori. Mia madre adorava e adora ancora adesso mio zio. Per evitare
problemi facevo in modo di non rimanere mai con lui da sola. Ma una domenica i miei genitori
sono stati chiamati con urgenza in ospedale e io sono rimasta con lui. Da sola. Quella volta non si è
limitato a toccarmi e baciarmi ma mi ha violentato. Avevo sedici anni. Ero sconvolta. Dirlo ai miei
genitori mi sembrava impossibile. La mia è una famiglia di avvocati e ingegneri. Questo voglio
sottolinearlo perché non è vero che le violenze esistono solo nelle situazioni di degrado sociale.
Rivelare quel che era accaduto avrebbe dato un dolore troppo forte a mia madre. Sono riuscita a
restare a casa e a vivere silenziosamente il mio dramma». Ma tutto quello non era ancora
abbastanza. «Quando ho scoperto che mio zio mi aveva messo incinta mi sono ritrovata a scegliere:
dare un dolore immenso a mia madre, per me amatissima, o non dare alla luce un figlio che non
avevo mai voluto. Alla fine ho deciso di non far nascere quel bambino. È stato tutto così doloroso...
In ospedale ho pianto moltissimo. A casa non si sono accorti di nulla. Chi subisce la violenza in
silenzio diventa esperto nel silenzio, su tutto». Ancora oggi nella storia di Domenica il non detto ha
un peso che lei non può ignorare. Anche se ne ha parlato con il marito, anche se ha deciso di
chiedere una mano a «Doppia Difesa», l' associazione di aiuto alle donne che subiscono violenza
(quella di Michelle Hunziker e Giulia Bongiorno), il non detto ha consentito allo zio di non finire
mai sott' accusa. Lei ogni tanto ci pensa, «se avessi fatto un' altra scelta, se non avessi abortito, la
mia vita sarebbe completamente diversa...». Ma allora le sembrò più doloroso tenere il bambino
piuttosto che no. E quando una volta all' anno per le riunioni natalizie di famiglia incrocia gli occhi
di suo zio, Domenica si sente forte: ha fatto la scelta giusta.
Fasano Giusi