7 Prologo In virtù della gentilezza di Dorothy Gale

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7 Prologo In virtù della gentilezza di Dorothy Gale
Prologo
In virtù della gentilezza di Dorothy Gale del Kansas, più tardi nota
come Dorothy di Oz, avvenne un tempo che un umile scrittore degli
Stati Uniti d’America fosse nominato “Storico Reale di Oz”, e che gli
venisse accordato il privilegio di narrare le cronache di quella terra
meravigliosa. Tuttavia, dopo aver riempito sei libri con le avventure
dei bizzarri e curiosi abitanti del Regno di Oz, lo Storico fu molto
triste nel venire a scoprire che, per editto della Suprema Sovrana
Ozma di Oz, da quel momento in poi il paese magico sarebbe divenuto invisibile a tutti coloro che vivevano fuori dai suoi confini, e
che tutte le comunicazioni con Oz, di lì in avanti, sarebbero state
interrotte.
I bambini, che avevano imparato ad attendersi i libri su Oz e che
amavano le storie sui popoli allegri e felici di quella terra fortunata, alla notizia che non vi sarebbero state più storie sul mondo di
Oz furono dispiaciuti tanto quanto il loro Storico. Scrissero un gran
numero di letterine chiedendo allo Storico se conoscesse qualche
avventura accaduta prima che il Regno di Oz venisse tagliato fuori
dal resto del mondo. Ma lui non ne sapeva. Infine, uno dei bambini
domandò se per caso non fosse possibile mettersi in contatto con
la Principessa Dorothy attraverso il telegrafo senza fili, uno strumento che le avrebbe permesso di riferire allo Storico qualsiasi cosa
avvenisse nel lontano Regno di Oz senza che lui la vedesse, né riuscisse a scoprire dove Oz si trovava.
Sembrava un’ottima idea: e così lo Storico costruì un’alta torre
nel cortile di casa sua, prese lezioni per imparare la telegrafia e poi
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Per prima cosa Margolotte aveva creato il corpo della fanciulla con la coperta di pezze, poi l’aveva vestita con
una gonna e un grembiule con le tasche, entrambi formati da toppe a vivaci colori. Ai piedi le aveva cucito un
paio di scarpette a punta, di pelle rossa.
Frank Baum
iniziò a trasmettere nell’aria messaggi diretti alla Principessa Dorothy di Oz.
Ora, era improbabile che Dorothy fosse in attesa di messaggi
telegrafici o che ricevesse la chiamata; ma di una cosa lo Storico era
certo, ossia che la potente Maga Glinda fosse al corrente del suo
desiderio di comunicare con Dorothy. Glinda, infatti, possedeva un
grande libro dove ogni evento che fosse mai avvenuto nel mondo era
riportato nel momento esatto in cui si verificava, perciò era ovvio
che anche il telegramma apparisse sulle sue pagine.
E fu così che Dorothy venne a sapere che lo Storico desiderava
parlare con lei, e grazie all’aiuto dello Straccione, un abitante del Regno di Oz capace di telegrafare, riuscì a inviargli un telegramma di
risposta. Il risultato fu che lo Storico implorò tanto la ragazzina di
raccontargli le ultime novità di Oz, così da poterle trascrivere per i
bambini, che Dorothy ne chiese il permesso a Ozma e la sovrana fu
così magnanima da acconsentire.
Ed ecco perché, dopo due lunghi anni di attesa, un’altra vicenda di
Oz viene presentata ai bambini d’America. Tutto questo non sarebbe
mai stato possibile se un uomo ingegnoso non avesse inventato il
telegrafo, e se un bambino altrettanto ingegnoso non avesse suggerito di usarlo per entrare in contatto col misterioso Regno di Oz.
L. Frank Baum
“OZCOT”, Hollywood, California
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Capitolo 1
Ojo e lo Zio Nunkie
D
ov’è il burro, Zio Nunkie? – chiese Ojo.
Lo zio guardò fuori dalla finestra e si carezzò la lunga barba.
Poi si voltò verso il giovane Rosicchiotto e scosse la testa.
– Finito – rispose.
– Il burro è finito? È un vero peccato, zio. Dov’è la marmellata,
allora? – domandò Ojo, arrampicandosi su uno sgabello per poter
controllare in tutti gli scaffali della credenza. Ma lo Zio Nunkie tornò
a scuotere la testa.
– Andata – disse.
– Non c’è più neppure la marmellata? E niente torta… niente gelatina… niente mele… nient’altro che pane?
– Già – replicò lo zio carezzandosi di nuovo la barba, lo sguardo fis­
so fuori dalla finestra.
Il ragazzino trascinò lo sgabello accanto allo zio e si sedette, ruminando lentamente il pane secco con aria meditabonda.
– Nel nostro cortile cresce solo un albero del pane – rifletté – e
sui suoi rami non rimangono che due pagnotte ancora acerbe. Dimmi,
zio: come mai siamo tanto poveri?
Il vecchio Rosicchiotto si voltò a guardare Ojo. I suoi occhi erano
gentili, ma sul suo volto non apparivano una risata o un sorriso da
così tanto tempo, che il ragazzo non riusciva a immaginarlo con un’espressione che non fosse seria e solenne. E poi lo zio non pronunciava
mai più parole di quante non fosse costretto a dire, di modo che il
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Frank Baum
suo nipotino, l’unico che vivesse con lui, aveva imparato a capire molte
cose da un’unica parola.
– Come mai siamo tanto poveri, zio? – ripeté il ragazzo.
– No – disse il vecchio Rosicchiotto.
– Io invece credo che lo siamo – dichiarò Ojo. – Cos’abbiamo, in fin
dei conti?
– Casa – fece lo Zio Nunkie.
– Lo so; ma tutti, qui nel Regno di Oz, hanno un posto dove vivere.
Che altro, Zio?
– Pane.
– Sto finendo proprio ora l’ultima pagnotta matura. Ecco, zio, ho
messo da parte la tua porzione. È lì sul tavolo, così potrai prenderla
quando avrai fame. Ma quando anche quella sarà finita, cosa mangeremo?
Il vecchio si agitò sulla seggiola, limitandosi a scuotere il capo.
– Ovviamente, – proseguì Ojo, costretto dal silenzio dello zio a
parlare, – nessuno muore di fame, nel Regno di Oz. C’è abbastanza
cibo per tutti, lo sai; solo che, se non si trova dalle tue parti, devi
andartelo a cercare.
L’anziano Rosicchiotto si agitò di nuovo e fissò il suo nipotino, co­
me se l’obiezione lo mettesse a disagio.
– Domattina, – continuò il ragazzo, – dovremo andare in cerca di
qualcosa da mangiare, o inizieremo a soffrire la fame e diverremo
molto infelici.
– Dove? – chiese lo zio.
– Dove andremo? Non ne sono sicuro, a dir la verità – replicò Ojo.
– Ma tu dovresti saperlo, zio. Devi pur aver viaggiato, ai tuoi tempi,
dato che sei così vecchio. Io non me ne ricordo, perché sin da quando
ho memoria abbiamo vissuto in questa casa rotonda e isolata, con
un giardinetto sul retro e fitti boschi tutt’intorno. Tutto ciò che ho
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La ragazza di pezza di Oz
visto in vita mia del grande Regno di Oz, caro zio, è il panorama delle
montagne del sud, dove pare che vivano i Martestoni (che non si lasciano avvicinare da nessuno) e quella montagna a nord, che si dice
sia disabitata.
– Una – lo corresse lo zio.
– Ah, sì; ci vive una sola famiglia, l’ho sentito dire. È formata dall’Alchimista Sbilenco, il cui nome è Dottor Pipt, e da sua moglie Margolotte. Me l’hai raccontato tu, un anno fa. Credo ti ci sia voluto
un anno intero, zio, per spiegarmi tutto ciò che ho appena riferito
sull’Alchimista Sbilenco e su sua moglie. Vivono in cima alla montagna,
proprio al confine della bella Terra dei Rosicchiotti, dove crescono fiori e frutta in quantità. È strano che noi due siamo costretti a vivere
quaggiù tutti soli, nel folto della foresta, non trovi?
– Già – confermò lo zio.
– Quand’è così, andiamocene a visitare la Terra dei Rosicchiotti e il
suo popolo allegro e gentile. Mi piacerebbe tanto vedere qualcosa di
diverso dai boschi, Zio Nunkie.
– Troppo piccolo – obiettò lo zio.
– Beh, io non sono più tanto piccolo com’ero prima – si affrettò a
rispondere il ragazzo. – Credo di poter camminare nella foresta veloce quanto te, zio, e arrivare altrettanto lontano. E adesso che nel
nostro cortile non cresce più nulla di buono da mangiare, dobbiamo
per forza andare dove c’è del cibo.
Lo Zio Nunkie, per un po’, non disse nulla. Poi chiuse la finestra e
voltò la seggiola verso il centro della stanza, poiché il sole stava calando dietro le chiome degli alberi, e l’aria si stava facendo fredda.
Poco dopo Ojo accese il fuoco e i ceppi arsero vivaci nell’ampio
caminetto. I due sedettero alla luce della fiamma per lungo tempo, il
vecchio Rosicchiotto dalla barba bianca e il ragazzino, ciascuno immerso nelle proprie riflessioni. Quando fuori scese il buio, Ojo disse:
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– Mangia il tuo pane, zio, poi ce ne andremo a letto.
Ma lo Zio Nunkie non mangiò il pane, e neppure andò subito a letto. Mentre il suo nipotino già dormiva profondamente nell’angolo della stanza, il vecchio sedeva ancora accanto al fuoco a riflettere.
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Capitolo 2
L’Alchimista Sbilenco
A
ppena spuntata l’alba, il giorno seguente, lo Zio Nunkie svegliò Ojo con una carezza sulla testa.
– Vieni – gli disse.
Ojo si vestì. Indossò calze di seta blu, brache azzurre dalle fibbie
d’oro, un panciotto blu pieno di balze e una giacca dello stesso colore
ricamata in oro. Le scarpe erano di pelle turchina, con le punte rivolte
all’insù. Il suo cappello era a forma di cono, con una tesa piatta circondata da una fila di minuscoli campanellini dorati che tintinnavano
a ogni suo movimento. Si trattava del costume tradizionale degli abitanti della Terra dei Rosicchiotti, nel Regno di Oz, così che anche lo Zio
Nunkie indossava abiti molto simili a quelli di suo nipote. Al posto delle
scarpe il vecchio indossava un paio di stivali dall’ampio risvolto, e il suo
cappotto blu aveva grandi polsini ricamati in oro.
Il ragazzo notò che suo zio non aveva mangiato il pane, ma immaginò che il vecchio non avesse avuto fame. Ojo, dal canto suo, era
affamato; così lo spezzò a metà, sul tavolo, e ne sgranocchiò la sua
parte per colazione, mandandola giù con un sorso di fresca acqua di
ruscello. Lo zio si infilò l’altro pezzo di pane nella tasca della giacca,
dopodiché ripeté, mentre oltrepassava la soglia: – Vieni.
Ojo ne fu felice. Era davvero stufo di vivere tutto solo nei boschi e aveva voglia di viaggiare e conoscere gente nuova. Da tempo
ormai desiderava esplorare lo splendido Regno di Oz nel quale viveva.
Una volta fuori, lo zio si limitò a serrare il chiavistello della porta e a
incamminarsi su per il sentiero. Nessuno avrebbe disturbato la loro
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casupola, anche ammesso che qualcuno si inoltrasse nel folto della
foresta durante la loro assenza.
Ai piedi della montagna che separava la Terra dei Rosicchiotti da
quella dei Porporosi, il sentiero si biforcava. Una parte conduceva
verso sinistra, l’altra verso destra, dritta su per la montagna. Lo Zio
Nunkie imboccò la strada di destra e Ojo lo seguì senza fare domande. Sapeva che il sentiero li avrebbe condotti a casa dell’Alchimista
Sbilenco, un uomo che Ojo non aveva mai visto, benché fosse il loro
vicino più prossimo.
Per tutta la mattinata i due arrancarono su per il sentiero di montagna e, a mezzogiorno, Ojo e lo zio sedettero su un tronco d’albero
caduto e mangiarono l’ultimo pezzo di pane che il vecchio Rosicchiotto
si era infilato in tasca. Poi ripresero il cammino e, due ore più tardi,
giunsero in vista dell’abitazione del Dottor Pipt.
Era una casa molto grande, rotonda come tutte quelle dei Rosicchiotti, e dipinta di blu, il colore tipico di quella regione di Oz. Tutt’intorno c’era un grazioso giardino, dove fiori e alberi azzurri crescevano
in abbondanza e dove, da un lato, si potevano scorgere piantagioni
di cavoli, carote e lattuga, tutti blu e tutti deliziosi da mangiare. Nel
giardino del Dottor Pipt crescevano alberi di ciambelle e di torte, cespugli di meringhe, fior di miele blu che producevano ottimo miele blu e
una schiera di piante di cioccolatini. Vialetti di ghiaia azzurra dividevano l’orto dalle aiuole di fiori, mentre un viale più ampio conduceva alla
porta d’ingresso. Il tutto sorgeva in una radura in cima alla montagna,
poco distante dalla foresta oscura che la circondava da ogni lato.
Lo zio bussò alla porta della casa e una donnina grassottella e
con la faccia simpatica, vestita tutta d’azzurro, la aprì e accolse i
visitatori con un sorriso.
– Ah, – disse Ojo, – voi dovete essere Dama Margolotte, la buona
moglie del Dottor Pipt.
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La ragazza di pezza di Oz
– Proprio così, mio caro, e tutti i viandanti sono i benvenuti, in
casa mia.
– Potremmo vedere il famoso Alchimista, signora?
– In questo momento è molto occupato – rispose lei scuotendo la
testa, dubbiosa. – Ma entrate, vi prego, e lasciate che vi offra qualcosa da mangiare. Avrete compiuto un lungo viaggio per raggiungere
la nostra dimora solitaria.
– È vero – replicò Ojo, mentre lui e lo zio entravano in casa. – Arriviamo da un luogo di gran lunga più isolato di questo.
– Un luogo più isolato! Qui, nella Terra dei Rosicchiotti? – esclamò
lei. – Ma allora dovete provenire da qualche parte nel folto della Foresta Azzurra!
– Proprio così, cara Dama Margolotte.
– Santo cielo! – disse lei, osservando l’uomo. – Voi dovete essere lo
Zio Nunkie, noto come il Taciturno – e poi, guardando il ragazzo: – E tu
devi essere Ojo lo Sfortunato! – aggiunse.
– Già – confermò lo zio.
– Non sapevo che mi chiamassero lo Sfortunato – commentò Ojo,
con aria solenne; – ma in effetti è davvero un nome perfetto, per me.
– Beh, – osservò la donna, mentre si affaccendava in giro per la
stanza, apparecchiando la tavola e tirando fuori le provviste dalla
dispensa, – sei stato sfortunato a dover vivere tutto solo in quella
lugubre foresta, che è ancora peggiore di quella che circonda noi;
ma forse, adesso che ne sei uscito, il tuo destino cambierà. Se, nel
corso dei tuoi viaggi, riuscirai a lasciarti dietro quella “S” all’inizio del
tuo soprannome, potrai divenire Ojo il Fortunato, il che sarebbe un
bel miglioramento.
– Come potrei scrollarmi di dosso quella “S”, Dama Margolotte?
– Non lo so, ma tu tienilo a mente e forse un giorno ne avrai l’opportunità – replicò lei.
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Ojo non aveva mai mangiato così bene in vita sua. C’erano uno
stufato saporito, caldo e fumante, un vassoio di piselli blu, una ciotola di latte dolce dal delicato colore azzurrognolo e un budino celeste
guarnito di prugne azzurre. Quando i visitatori furono ben sazi, la
donna rivolse loro queste parole:
– Desiderate vedere il Dottor Pipt per una questione d’affari, o la
vostra è solo una visita di cortesia?
Lo zio scosse la testa.
– Siamo in viaggio – rispose Ojo – e ci siamo fermati da voi solo per
riposare e riprendere le forze. Non credo che allo Zio Nunkie importi
granché di incontrare il famoso Alchimista Sbilenco; per quanto mi
riguarda, però, sarei curioso di conoscere un uomo così celebre.
La donna parve riflettere.
– Ricordo che lo Zio Nunkie e mio marito erano amici, molti anni or
sono, – disse, – perciò può darsi che saranno felici di incontrarsi di
nuovo. Mio marito è un uomo molto impegnato, come vi ho già detto, ma se promettete di non disturbarlo vi lascerò entrare nel suo
laboratorio e osservarlo mentre prepara una pozione sorprendente
– Grazie – replicò il ragazzo, soddisfatto. – Mi farebbe davvero
piacere.
Così la donna li guidò fino a una grande sala dal soffitto a cupola, sul retro della casa, dove si trovava il laboratorio dell’Alchimista.
Quasi tutta la stanza era circondata da una fila di finestre che la
rendevano luminosissima, mentre sul retro si scorgeva un’altra, imponente porta d’ingresso. Sotto le finestre correva un ampio sedile e, tutt’intorno, erano sparse sedie e panchetti. Da un lato, in
un grande focolare, un ceppo blu ardeva in una fiamma dello stesso
colore e, sopra il fuoco, erano appesi in fila quattro pentoloni che
ribollivano e fischiavano a più non posso tutti insieme. L’Alchimista li
stava mescolando tutti e quattro allo stesso tempo, due con le mani
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La ragazza di pezza di Oz
e due con i piedi; a questi ultimi erano legati dei mestoli di legno, dato
che il corpo dell’uomo era talmente sghembo e sbilenco da permettergli di usare le gambe come un secondo paio di braccia.
Lo Zio Nunkie si fece avanti per salutare il suo vecchio amico ma,
non potendo stringergli né le mani né i piedi, poiché troppo occupati
a mescolare, diede qualche colpetto amichevole sulla testa pelata
dell’Alchimista e chiese: – Cosa?
– Chi si rivede, il Taciturno – commentò il Dottor Pipt, senza neppure sollevare lo sguardo. – E vuole sapere che cosa sto preparando.
Beh, quando l’avrò finita, questa mistura diverrà l’incredibile Polvere
della Vita, che io sono l’unico al mondo in grado di realizzare. Ogniqualvolta verrà spruzzata su un oggetto, di qualunque si tratti, esso
prenderà immediatamente vita. La realizzazione della Polvere richiede parecchi anni, ma in questo momento sono felice di annunciare
che è quasi completata. La sto preparando per la mia brava moglie
Margolotte, che desidera usarne un po’ per un suo progetto. Accomodati pure, Zio Nunkie, e non appena avrò finito potremo parlare.
– Dovete sapere, – spiegò Margolotte, quando tutti si furono
accomodati sulla panca accanto alla finestra, – che mio marito un
tempo fu tanto sciocco da cedere la sua prima dose di Polvere alla
vecchia strega di nome Mombi, che viveva a nord di questa zona, nella Terra dei Porporosi. Mombi offrì al Dottor Pipt una Polvere dell’Eterna Giovinezza in cambio della sua Polvere della Vita, ma era solo
un perfido imbroglio, poiché la Polvere della Giovinezza non possedeva
alcun potere magico.
– Magari lo stesso valeva per la Polvere della Vita – osservò Ojo.
– Nient’affatto, quella era perfetta – asserì lei. – Sperimentammo
il primo campione sulla nostra Gatta di Vetro, e lei non soltanto prese vita, ma sopravvive ancora oggi. Si trova in giro per la casa proprio
in questo momento.
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– Una Gatta di Vetro! – esclamò Ojo, stupefatto.
– Già, è una compagnia molto gradevole, anche se le piace ammirarsi più di quanto la modestia imponga e si rifiuta nel modo più
assoluto di dar la caccia ai topi – proseguì Margolotte. – Mio marito
le ha fabbricato un cervello rosa, ma quello si è dimostrato troppo
altezzoso ed esigente per la testa di un gatto, tanto che la bestiola
è convinta che cacciare topi non si addica alla sua dignità. Possiede
anche un bel cuore rosso sangue, ma è fatto di pietra (rubino, credo),
perciò è piuttosto duro e insensibile. Credo che la prossima volta
l’Alchimista fabbricherà un Gatto di Vetro senza cervello né cuore,
così non avrà obiezioni a catturare i topi e potrà esserci di qualche
utilità.
– Cosa fece la vecchia strega Mombi, con la Polvere sottratta a
vostro marito? – domandò il ragazzo.
– Portò in vita Jack lo Zuccone, tanto per cominciare – fu la risposta. – Suppongo che abbiate già sentito parlare di Jack lo Zuccone.
Oggi vive dalle parti della Città di Smeraldo, ed è uno dei favoriti della
Principessa Ozma, la sovrana di tutto il Regno di Oz.
– No, non l’ho mai sentito nominare – commentò Ojo. – Temo di non
sapere molto riguardo al Regno di Oz. Ho trascorso tutta la mia vita
accanto allo Zio Nunkie il Taciturno, capite? Perciò nessuno mi ha mai
raccontato nulla.
– Motivo in più per considerarti Sfortunato – disse la donna in
tono comprensivo. – Più cose si sanno, più si ha fortuna, perché la
conoscenza è il più grande dono della vita.
– Ma ditemi, vi prego, cosa intendete fare con la nuova dose di
Polvere che il Dottor Pipt sta preparando? Ha detto che serviva per
un vostro speciale progetto.
– Proprio così – rispose lei. – Desidero donare la vita alla mia Ragazza di Pezza.
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La ragazza di pezza di Oz
– Oh! Una Ragazza di Pezza? E che roba è? – domandò Ojo, pensando che sembrava qualcosa di ancor più strano e insolito di una
Gatta di Vetro.
– Credo sia meglio che ve la mostri, – disse Margolotte, ridendo
dello stupore del ragazzo, – è piuttosto difficile da descrivere. Ma
prima devo spiegarvi che per molti anni ho desiderato avere accanto una servetta che mi aiutasse a sbrigare le faccende di casa, a
cucinare e a lavare i piatti. Nessuno vuole venire a lavorare qui, dato
che questo posto è così isolato e remoto, motivo per cui il mio geniale marito, l’Alchimista Sbilenco, mi ha proposto di confezionare una
ragazza fatta di qualche sorta di materiale, che lui avrebbe poi reso
viva spruzzandola di Polvere della Vita. Mi è parso un suggerimento
eccellente, così il Dottor Pipt si è messo subito al lavoro per preparare una nuova dose di polvere magica. Ci lavora ormai da molti, molti
anni, perciò ho avuto tutto il tempo per fabbricare la ragazza. E
tuttavia non è stata un’impresa facile come si potrebbe credere. Da
principio non sapevo che materiale usare ma alla fine, frugando in un
baule, mi sono imbattuta in una vecchia coperta di pezze cucita da
mia nonna quand’era giovane.
– Cos’è una coperta di pezze? – chiese Ojo.
– Si tratta di un copriletto fatto di pezze di varie stoffe e colori,
tutte cucite con cura fra loro. Le toppe sono delle forme e dimensioni più disparate, così che una coperta del genere è davvero un oggetto meraviglioso. Qualcuno la chiama anche “coperta arlecchino”,
tanto le sue forme e colori sono mescolati. Non abbiamo mai usato
il copriletto di mia nonna, benché sia bellissimo, dato che noi Rosicchiotti non amiamo altro colore che il blu, perciò è rimasto rinchiuso
nel baule per circa un centinaio d’anni. Quando l’ho trovato, mi sono
detta che sarebbe stato perfetto per la mia domestica, perché in
questo modo il suo miscuglio di colori le avrebbe impedito di diventare
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superba e vanesia come la Gatta di Vetro, o di voler essere tanto
dignitosa quanto i Rosicchiotti blu.
– Volete dire che il blu è l’unico colore degno di rispetto? – s’informò
Ojo.
– Per un Rosicchiotto, sì. Tutta la nostra regione è blu, non lo sapevi? Però, nelle altre zone di Oz, la gente apprezza colori differenti. Nella Città di Smeraldo, dove vive la nostra Principessa Ozma, il
colore più popolare è il verde. Tutti i Rosicchiotti, però, preferiscono il blu a qualsiasi altra tinta e, quando la mia domestica prenderà
vita, scoprirà di possedere così tanti colori ridicoli che non oserà mai
comportarsi in modo ribelle o impudente, come a volte fanno i servi
quando sono fatti della stessa stoffa dei padroni.
Lo Zio Nunkie annuì, con aria d’approvazione.
– Buona idea – disse; e quelle due parole, in bocca a lui, costituivano
un discorso lunghissimo.
– Così ho tagliato la coperta – proseguì Margolotte – e l’ho usata
per creare un bel pezzo di ragazza che poi ho imbottito di cotone.
Ora vi farò vedere come sono stata brava – e, avvicinandosi a un’alta
credenza, ne spalancò le ante.
Poi tornò indietro, portando fra le braccia la Ragazza di Pezza e
sistemandola sulla panca in modo tale che non si rovesciasse.
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