Relazione Madre-Bambino
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Relazione Madre-Bambino
LA RELAZIONE MADRE-BAMBINO NON VEDENTE Barbara Celani La cecità del proprio figlio rappresenta sicuramente un trauma per i genitori, poiché intacca fortemente l’immagine e le aspettative da essi costruite sul bambino e anche su se stessi. La nascita di un bambino implica sempre riorganizzazioni e ridistribuzioni dei ruoli in una famiglia. Tutti questi cambiamenti possono comportare delle difficoltà, che sono sicuramente amplificate se il neonato presenta problemi gravi, come appunto, una disabilità visiva. L’impatto della cecità può provocare diverse reazioni in una famiglia. Il primo rischio che si corre è quello di mettere in atto strategie e reazioni di tipo disfunzionale, quali depressione, negazione, rifiuto, iperprotezione, che hanno effetti negativi sia sul bambino, sia sugli altri membri della famiglia. Talvolta comunque, a dispetto dei problemi che obiettivamente l’assenza della vista pone nell’interazione, le madri sanno interpretare fin dall’inizio le esigenze e i comportamenti dei bambini ciechi e sanno adattarsi ad essi allo scopo di sostenere l’interazione e dirigerla verso forme mature (Sellaroli, 1990). La sensibilità delle madri nei confronti di quelle che sono le esigenze dei loro figli e la loro capacità di prevederne il comportamento sono ingredienti essenziali per un attaccamento sicuro. Nel caso dei bambini ciechi, la capacità di interpretazione dei comportamenti e la capacità di risposte adeguate è di assoluta rilevanza (Monti Civelli, 1983). Secondo la Burlingham esistono dei fattori che influenzano il comportamento della madre e la sua relazione con il bambino: • Il periodo di tempo in cui la madre ritiene il bambino normale. • Il momento effettivo in cui si individua il deficit. • Il modo in cui i genitori ne sono informati. • Le reazioni latenti e manifeste del padre e della madre (e dei nonni e dei parenti) a seguito dell’annuncio e i successivi cambiamenti di atteggiamento nei confronti del figlio. • Il periodo di tempo durante il quale la madre tende ad allontanarsi dal figlio ed il suo accentuato concentrarsi sull’ handicap. 1 • Il modo in cui il genitore torna al figlio e la maniera in cui riconosce gli specifici bisogni di questi. È inevitabile che la disabilità influisca sull’ interazione madre-bambino e in particolare sulla spontaneità e sulla immediatezza della stessa. Si pensi, ad esempio, alla progressiva diminuzione di reciprocità mimica, nell’interazione fra una madre e il suo bambino cieco, dovuta alla graduale perdita della competenza espressiva innata e alle difficoltà di interiorizzare una adeguata prossemica da parte di chi nasce con grave disabilità visiva. Le capacità di dialogo emozionale con la figura di accudimento sono piuttosto compromesse. Gli stimoli provenienti dall’ambiente, sono percepiti come frammentari, incoerenti, scarsamente integrati a livello intermodale; l’attribuzione di significato a questi stimoli troppo discontinui e precari, risulta quindi molto più difficile, più lenta e comunque meno ricca (Galati, 1996). Alcuni studi hanno confrontato le modalità interattive delle diadi madre-bambino caratterizzate dalla presenza di un bambino con handicap, con le modalità interattive di coppie con bambini che non presentavano disabilità. (Dunst, 1985; Marfo, 1984; Marfo, 1992; Rogers, 1988). Da questi studi è emerso che, in generale, i bambini che presentano disabilità hanno minori capacità espressive, sono in genere meno attivi e meno responsivi rispetto ai bambini normodotati e che le loro madri sono più direttive, più intrusive. Alcuni dei citati studi suggeriscono inoltre che tali modalità interattive materne possano avere un impatto negativo sullo sviluppo del bambino in quanto tenderebbero a limitare o a sopprimere le necessità esplorative dei minori. Sotto il profilo evolutivo la vista è la primaria modalità sensoriale per la conoscenza del mondo e per l’interazione con gli altri. Il contatto visivo con la madre rappresenta una delle prime modalità di scambio affettivo con lei e costituisce la base per lo sviluppo di altre funzioni importanti. Le madri di bambini non vedenti, in genere, hanno difficoltà ad interpretare i segnali non verbali dei loro bambini con implicazioni negative sulla continuazione dell’interazione (Perez-Pereira, Conti-Ramsden, 2002). Dell’Osbel e Veglia (2001) hanno concluso, tramite una ricerca su quindici soggetti ciechi dalla nascita con genitori normovedenti, che il comportamento maggiormente direttivo delle madri dei bambini ciechi poteva essere considerato utile e adattivo, tenuto conto dei bisogni specifici dei bambini ciechi: frequentemente il loro comportamento era di 2 incoraggiamento alla locomozione o un tentativo di interpretare il comportamento autostimolatorio del bambino. Per quanto riguarda lo sviluppo della relazione madre-bambino, il neonato normodotato, fin dai primi giorni di vita, ha la capacità di orientarsi verso una fonte di stimolazione visiva e, già dai primi mesi, conservare l’immagine di un oggetto che si sposta. Il contatto visivo, come già accennato, è uno dei fattori più importanti nella formazione della relazione madre-bambino e, la risposta del sorriso all’apparire del volto materno, è uno dei segnali che gratificano maggiormente la madre e alimentano il suo attaccamento al figlio. Facendo riferimento al paradigma teorico dell’attaccamento di Bowlby, si prende in considerazione il legame del bambino con la madre come punto focale e determinante per lo sviluppo successivo del bambino. Tale teoria sostiene che la sopravvivenza dell’essere umano è strettamente connessa alla possibilità di mantenere la prossimità, la disponibilità della figura di attaccamento, alla quale potersi rivolgere per chiedere protezione e sostegno in situazioni vissute come pericolose. Bowlby considera il legame che unisce la madre e il bambino come una necessità primaria (innata) che si sviluppa indipendentemente dalla soddisfazione dei bisogni fisiologici di base (Bowlby, 1958). Tale legame ha origine da comportamenti quali il succhiare, l’aggrapparsi, il seguire, il piangere; tali segnali sociali, che inizialmente sono diretti ad una persona specifica, richiamano l’attenzione della madre o delle figure che si prendono cura del bambino. La figura materna viene progressivamente discriminata dalle altre; dalla seconda metà del primo anno di vita, il comportamento del bambino diviene maggiormente attivo, soprattutto nei comportamenti di avvicinamento. La teoria di Bowlby ha trovato conferma nelle ricerche della Ainsworth (1978), la quale, per valutare la qualità dell’attaccamento al caregiver nei bambini di un anno, ha utilizzato la videoregistrazione di situazioni create sperimentalmente (Strange Situation). In queste situazioni, il bambino viene esposto ad ambienti sconosciuti, a separazioni di tre minuti dal genitore e alla presenza di un estraneo. Alla base, l’idea che la relazione con l’oggetto primario, che fornisce le cure e il conforto, sia un fattore causale nel determinare il modello di comportamento del bambino nella Strange Situation (Fonagy, 1992). Sulla base di queste osservazioni la Ainsworth propone un sistema di classificazione per descrivere il modello di risposta del bambino al genitore. 3 Modello “sicuro”: il bambino impiega la presenza materna come “base sicura” per l’esplorazione e il gioco, piange, cerca la madre durante la sua assenza e l’accoglie attivamente al suo ritorno. In genere richiede vicinanza o contatto e, una volta assicurata la sua presenza, torna a giocare. Modello “insicuro-evitante”: il bambino mostra scarso o nessun disagio alla separazione dalla madre, continuando ad esplorare attivamente i giocattoli e la stanza. Al ritorno della madre il bambino la ignora e la evita, guardando altrove e rifiutando il contatto prima di tornare ad esplorare l’ambiente. Modello “insicuro/ambivalente”: il bambino mostra disagio prima della separazione, quando entra in un ambiente sconosciuto o alla presenza dell’estraneo. Il bambino risponde alla separazione dalla madre con grande sofferenza, ma il suo ritorno non sembra confortarlo, continua a mostrare disagio e non riescono a riprendere l’esplorazione. A volte esprime rabbia, alternata o combinata alla ricerca di contatto. Modello “disorganizzato/disorientato”: questo modello è stato introdotto da Main e Solomon (1986) per alcuni bambini che non risultavano categorizzabili nei tre modelli precedenti in quanto presentavano comportamenti conflittuali, disorganizzati. Ad esempio, un bambino poteva piangere mentre cercava di raggiungere la madre, per poi tornare a tacere improvvisamente e rimanere immobile per diversi secondi. La caratteristica di questi bambini è la contraddizione nei movimenti, che sembra corrispondere ad una contraddizione nell’intenzione o nel piano comportamentale (Main, Solomon, 1990). Nella teoria dell’attaccamento viene ribadita l’importanza delle esperienze infantili e delle prime relazioni, che tendono a persistere anche nelle fasi successive della vita attraverso processi consci e inconsci. Ipotesi di Bowlby è che lo stile di attaccamento infantile sia dipendente dalla qualità delle cure materne ricevute ed inoltre che lo stile dei primi rapporti di attaccamento influenzi notevolmente l’organizzazione precoce della personalità e il concetto che il bambino svilupperà di sé e degli altri. Lo stabilirsi di relazioni oggettuali nell’infanzia è dunque altamente agevolato dall’esperienza visiva. Un bambino normodotato, normalmente, è in grado di stabilire in legame oggettuale con specifiche figure di attaccamento durante i primi diciotto mesi di vita. Già dal terzo mese in poi, il bambino risponde alla configurazione del volto umano col sorriso. Verso la metà del primo anno dimostra il suo attaccamento alle persone significative, 4 mostrando eccitazione alla loro presenza e disagio alla separazione da esse e alla presenza di estranei. Alcuni autori (Field et al., 1984; Bushnell et al., 1989; Walton et al., 1992; Pascalis et al., 1995) hanno mostrato come nei primi 2-4 giorni di vita i neonati guardino preferenzialmente il viso della madre rispetto al viso di un’estranea, anche se questo risulta simile per colore dei capelli, conformazione generale, e per neutralità dell’espressione con immobilità dei lineamenti; lo sguardo preferenziale che i neonati rivolgono al viso della madre viene interpretato come il riconoscimento dello stesso viso materno. Il bambino non vedente, già a quattro settimane di vita, come avviene nel vedente, mostra un sorriso selettivo in risposta alla voce della madre (Revuelta, 1999). Durante il primo anno il bambino non vedente risponde in maniera sempre più selettiva e differenziata alla voce della madre, del padre e delle persone più importanti e, dopo i setteotto mesi, egli denuncia una chiara preferenza per la madre, tanto che, se posto in braccio ad un estraneo, protesta e si irrigidisce (Sellaroli, 1990). Alcuni autori (Vianello, Bolzonella, 1998) ritengono che gli stadi di attaccamento nel bambino non vedente non siano completamente sovrapponibili a quelli del coetaneo vedente. Si verificherebbe in molti casi, un ritardo di alcuni mesi in alcune tappe fondamentali, quali ad esempio la capacità di discriminare le figure familiari da quelle estranee. Un altro ambito che generalmente presenta un certo ritardo nel bambino non vedente è il processo di differenziazione-individuazione, che avviene attraverso l’instaurarsi del senso di differenziazione a partire dal proprio corpo e dall’oggetto d’amore primario. È un processo che dura tutto l’arco dell’esistenza, è sempre attivo e si arricchisce in ogni fase evolutiva. Le principali conquiste si concentrano nel periodo dal 4/5 mese al 30/36 mese, cosiddetta fase di differenziazione-individuazione (Mahler et. al., 1975). Differenziazione ed individuazione sono due aspetti complementari di un unico avvenimento progressivo. La differenziazione è l’emancipazione del/la bimbo/a dalla fusione simbiotica con la madre, differenziandosi, allontanandosi e svincolandosi. L’individuazione esprime la denotazione soggettiva attraverso le manifestazioni psicologiche (affettività, emotività, relazionalità, cognitività, percezione, memoria, pensiero, esame di realtà) delle caratteristiche soggettive (Zabonati, 2003). Questo processo potrà essere ritardato, poiché è strettamente dipendente dalla possibilità di esplorare il mondo e dalla locomozione, le quali si sviluppano con ritardo nel bambino non vedente. 5 La capacità di distacco momentaneo dalla madre e dalle figure familiari, importante per il raggiungimento di una autonomia psicologica, è possibile ad alcune condizioni: un legame soddisfacente con i propri genitori nel primo periodo di vita, una certa consapevolezza della propria e altrui identità, una certa tolleranza per la momentanea assenza delle figure familiari basata sulla fiducia della continuità del rapporto. Nel secondo anno di vita, il bambino vedente, mostra già qualche segno di indipendenza dalla madre e, pur avendo sviluppato un forte legame con lei, riesce a sopportare brevi separazioni. Nel bambino non vedente, invece, sono stati notati episodi di disperato attaccamento alla madre e di estrema angoscia durante i periodi di separazione (Chiarelli, 2002). Nelle relazioni con “oggetti umani”, la cecità non è di ostacolo allo stabilirsi di intensi legami affettivi nel primo anno di vita, ma la stabilità di questi legami, può essere messa in pericolo da un prolungamento della dipendenza infantile. Per il bambino cieco, per il quale nessun’altra modalità sensoriale è in grado di sostituire la vista come recettore della distanza e organizzatore degli insiemi percettivi, sembra che sia l’oggetto umano a fornire la massima esperienza della costruzione del concetto di oggetto (Brambring, 2004). Se la carica affettiva dell’oggetto umano e i dati sensoriali non visivi hanno realizzato una stabile rappresentazione dell’oggetto, l’andare e venire della madre, il seguirla attraverso elementi guida uditivi e successivamente il cercarla muovendosi, condurranno il bambino non vedente al concetto di una madre che esiste anche quando egli ha perso il contatto con lei (Sellaroli, 1990). Riferimenti bibliografici Ainsworth, M. D. S., Bell, S. 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