Alpin 16.pub - ANA Gruppo Alpini Milano Centro
Transcript
Alpin 16.pub - ANA Gruppo Alpini Milano Centro
Anno IV - Numero 5 - Settembre 2003 Fotocopiato in proprio da: Associazione Nazionale Alpini - Sezione di Milano - Gruppo Milano Centro “Giulio Bedeschi” Redazione: Via Vincenzo Monti 36 - 20123 Milano - Tel. 02 48010991 - Responsabile: Alessandro Vincenti - Inviato gratis ai Soci ubi maior minor cessat CHE C’ENTRA QUESTO TITOLO, DIRANNO I NOSTRI 25 LETTORI… C’ENTRA: STAVOLTA LA PREDICA DEL CAPOGRUPPO CEDE IL PASSO ALLA VOCE DI ANTONIO REZIA. 75° ANNIVERSARIO DI FONDAZIONE DELLA NOSTRA SEZIONE RIFLESSIONI DI UN ʺVECIOʺ di Antonio Rezia I 75° è una meta importante che invoglia a tirare le somme e ciò, per noi, vuol dire analizzare nel loro complesso, l’attività della Sezione e il nostro modo di vivere nell’Associazione, e senza lasciarci fuorviare da particolari che possono inquinare il giudizio, trarre le conclusioni utili per il futuro. È quindi un bilancio morale, che sfugge al controllo dei collegi sindacali e delle assemblee, ma non a quello più severo della nostra coscienza. Dei 75 anni della Sezione ne ho vissuti 66 (1937/2003) da socio, dapprima utile solo per il pagamento del bollino, poi impegnato a vario titolo e, infine, pensionato: ora che sono decisamente “Vecio” per naia e per anagrafe e come tale fatalmente portato alla nostalgia e al “mugugno”, ricordare gli anni di naia e di Socio L della nostra Sezione, alcuni complicati dai gravi problemi connessi al rapido mutare della nostra vita, ma che oggi mi appaiono tutti belli, sereni e desiderabili, per me significa fare l’esame di coscienza; ora questo ricordo, non è più per me motivo di angoscia per ciò che ho perso, ma mi conforta e mi aiuta a tirare avanti. Due guerre la 15/18 e la 40/45 due eventi determinanti per la storia degli Alpini: dalla prima, vinta, è nata l’Associazione, dalla seconda, persa e purtroppo sfociata nella lotta civile, è iniziata la lenta opera di distruzione del nostro patrimonio morale che, per motivi diversi, ma convergenti ai fini elettorali, da sempre infastidisce i nostri politici in preda, specie nel dopoguerra, a una vera smania di annientamento e denigrazione di un passato che, nel bene e nel male, è stato e comunque sempre sarà, parte della nostra storia. *** Negli anni Cinquanta, non erano molti i reduci e i giovani di leva che ancora sostenevano i valori e gli ideali dei nostri Fondatori o che, come già successo al loro tempo, mal tolleravano l’esaltazione e l’imposizione, a senso unico, di ideologie poco compatibili con la nostra tradizione. È stato un periodo difficile di dubbi e di scelte sofferte, ma il buonsenso degli alpini anche se militanti in opposte fazioni, ha prevalso sulle passioni e la nostra Sezione, pur con ranghi ridotti rispetto al passato, è andata avanti raggiungendo importanti mete e acquistando sempre maggior prestigio nell’Associazione. *** Già ai primi degli anni ’70, la Sezione di Bergamo, con la Casa per disabili di Endine Gaiano e il motto “onoriamo i morti aiutando i vivi”, e la nostra Sezione, con la raccolta delle firme per il voto degli Italiani all’estero perfettamente riuscita, ma insabbiata, cioè di fatto annullata, perché invisa ai politici, avevano dato il chiaro segno di voler operare oltre i limiti dello statuto dell’Associazione, ma è stata la decisa svolta imposta dal Presidente Bertagnolli in occasione del terremoto del Friuli del 1976, che ha mutato radicalmente la nostra vita associativa rendendoci consapevoli della nostra forza e della possibilità di indirizzarla all’azione e all’impegno civile. Alpin del Domm – 1 È stato un cambio di rotta salutare che, anche nella nostra Sezione, ha favorito la rapida e pacifica conclusione del processo di trasformazione dell’Associazione, dagli Alpini di guerra agli Alpini di pace, da molti ritenuto e temuto, come possibile causa della nostra estinzione ... nessuno allora poteva prevedere l’abolizione della leva. L’attività della Sezione, Gruppi e Sede, non ha mai avuto sosta e se a volte qualcuno si è fermato, è stato solo per riprendere fiato. Dopo tanti anni tutto appare facile e semplice ma non lo è mai stato: il nostro cammino è stato in costante salita ma lo abbiamo percorso caparbiamente, forse a volte con qualche incertezza, mai con rinunce. Siamo andati avanti perché abbiamo saputo adattarci per gradi ai mutamenti della vita di tutti i giorni senza compromessi lesivi della nostra identità, senza rinnegare le nostre peculiarità e senza lasciarci tentare dalle lusinghe del denaro e della politica, che il più delle volte sono solo causa di grossi guai. Nei momenti difficili ci siamo uniti e impegnati come nei più tragici momenti della naia ed anche oggi che il nostro cammino è diventato una difficile e pericolosa scalata, se veramente crediamo negli ideali e nei valori propri del nostro essere Alpini, dobbiamo sentire imperioso il dovere di rimanere compatti eliminando le piccole divergenze che inevitabilmente incrinano la realizzazione in comune di qualsiasi libera iniziativa e unire in un solo blocco le nostre volontà, i nostri mezzi e le nostre forze, per difenderci dal nemico più pericoloso che mai abbiamo dovuto combattere, un nemico invisibile, ma presente ovunque, un nemico subdolo che a parole ci blandisce, ci esalta e ci sorregge, mentre coi fatti ci pugnala (alla schiena) e lentamente ci distrugge. Tirate le somme, anche se qualcuno potrà considerare il mio giudizio poco attendibile perché “di parte”, considero positivo il bilancio dei primi 75 anni di vita della Sezione. Chi è nato nei primi decenni del 2 – Alpin del Domm secolo scorso, è passato attraverso le più diverse e drammatiche esperienze che si possano immaginare che, spesso, hanno lasciato segni profondi nel fisico e nell’animo di chi le ha vissute. Ieri, oggi, domani e così all’infinito, fatti, scelte e comportamenti di quel periodo fuori da qualsiasi normale regola di vita, sono stati, sono e sempre saranno oggetto di studio e di severi giudizi da pare degli ortodossi analisti delle vite altrui, sempre pronti a pontificare e sempre prodighi di sentenze di assoluzione o di condanna emesse col “senno di poi”. Come Alpino, ammetto di non essere entusiasta delle mie peripezie belliche che comunque hanno influito su tutta la mia vita, ma in coscienza non mi rimprovero nulla, se non l’eccessiva fiducia nel mio prossimo; sarei pronto a ripetere le stesse esperienze che mi hanno insegnato molte cose tra cui due particolarmente importanti: primo, che è stupido e ingiusto dividerci in gruppi, alcuni composti solo da cittadini buoni, onesti, virtuosi, santi e valorosi, altri solo da cattivi, disonesti, corrotti, empi e pavidi, perché essi sono ovunque ed equamente distribuiti in ogni gruppo, parte e fazione, secondo che molte sentenze di condanna probabilmente sarebbero ben diverse se i giudici avessero fatto le stesse esperienze del condannato. *** Come socio della Sezione, per molti anni sono stato convinto di fare tutto quello che potevo, pur sempre nei limiti delle mie capacità, ma con tanta continua fatica e sacrificio, dapprima per ubbidienza al Colonnello Belotti, glorioso comandante del “Morbegno” e dell’ “Edolo”, mio ultimo battaglione dopo il suo rientro dalla Russia, poi per dovere e spirito di servizio, convinto di non esserne né degno, rispetto a tanti grandi Alpini che onorano la Sezione, né all’altezza a causa del mio carattere poco socievole e della mia avversione, maturata nel campo di concentramento, per tutto ciò che è forma, apparenza, ufficialità e soprattutto arroganza nell’esercizio del potere. Solo ora che è troppo tardi, mi rendo conto che avrei potuto e soprattutto dovuto impegnarmi di più per dimostrare la mia immensa riconoscenza per quanto gli Alpini mi hanno dato e hanno fatto per me dalla naia ad oggi. È un esame di coscienza che può essere giudicato inopportuno, ma che consiglio a tutti per evitare inutili tardivi rimpianti: sarà forse inopportuno, ma a me fa bene perché, malgrado tutto, mi porta a conclusioni non del tutto negative, mi commuove e accresce in me la nostalgia del mio passato di Alpino sempre vivo nel mio cuore, passato meraviglioso per le amicizie, per gli affetti, per le attività e per i tantissimi sogni che l’hanno arricchito. Mi rendo conto che il futuro non è più mio ma dei giovani, però ugualmente mi cruccio perché non riesco a non preoccuparmi del futuro e, osservando come tutto oggi velocemente cambia e scompare, temo che uguale sorte tocchi alla nostra Sezione frutto dello spirito, dell’impegno e dei sacrifici di tanti carissimi amici. Brontolo, mi arrabbio, protesto e a volte sono tentato di piantare tutto... ma, se vado in Sede e ancora vi trovo tanti “Bocia” più entusiasti e più preparati di me alla loro età, che con mentalità e mezzi moderni, con idee e iniziative innovative e forze fresche e soprattutto con grande serietà e spirito alpino si impegnano a consolidare e migliorare ciò che è stato fin qui costruito dai “Veci”, non sulle sabbie mobili del comune sentire e vivere attuale, ma sulla salda roccia della nostra tradizione, riacquisto la speranza, capisco che il nostro futuro è in ottime mani e mi rassereno. Veci ! Bocia ! forza ! nessuno potrà toglierci il futuro se saremo uniti nel pretenderlo e nel difenderci ricordando il nostro passato, lo dobbiamo a noi stessi ma soprattutto lo dobbiamo a chi ci ha preceduto come Alpino e come Socio ANA. Una sola parola possiamo dire: Grazie Antonio! Uomini come te ci permettono di proseguire sull’erto cammino alpino fiduciosi di arrivare in vetta! ORTIGARA 2003 CRONACA DEL PELLEGRINAGGIO E DEI DUE INCONTRI CHE LO HANNO CARATTERIZZATO Ogni anno gli alpini, quale che sia il tempo, salgono sull’Ortigara, luogo simbolo della memoria, e lo fanno con compostezza, devozione e, perché no, anche con gioia e serenità, sentimenti che scaturiscono spontanei quando si è consapevoli di compiere un’azione giusta. E perseverare, come fanno gli alpini, nella conservazione gelosa della memoria e dei valori che in essa sono racchiusi è proprio una di queste azioni. Salire in Ortigara fa bene a tutti: per fare un paragone, forse un tantino irriverente, è come per un’automobile fare il pieno di benzina. In Ortigara si è naturalmente portati a riflettere sul sacrificio dei nostri soldati, sul significato del dovere e del dolore, e questa riflessione ci rinsalda in quei valori che sono il fondamento ed il collante della nostra Associazione. Il Monte Ortigara, dunque, è il nostro luogo d’origine e rappresenta la sorgente dei vincoli associativi, alla quale è bene andare ad abbeverarsi, di tanto in tanto. Con questo spirito, anche quest’anno, il nostro Gruppo si è presentato puntuale all’appuntamento. Ma questa volta il Pellegrinaggio è stato impreziosito da due incontri che rispettivamente hanno aperto e chiuso la nostra … due giorni. Prima di andare ad Asiago, infatti, ci siamo fermati ad Arzignano per incontrare quello che è ormai un nostro amico sincero: Bepi De Marzi. Con lui abbiamo pranzato parlando di molte cose, chiedendo i soliti consigli per future manifestazioni, ma soprattutto stando ad ascoltare quanto lui aveva da dirci dell’Ortigara. E così siamo rimasti ad ascoltare, rapiti come al solito dal suo raccontare semplice, delle sue salite con Gianni Pieropan (scrittore, storico e profondo conoscitore della storia scritta con sacrificio e sangue in quei luoghi), della vita e della gente dell’epoca, di un Veneto essenzial- mente contadino e di quanto diverso fosse dall’attuale … “Nord Est”. Mi è difficile, per non dire impossibile, trasmettervi le atmosfere che De Marzi è riuscito ad evocare ma, per chi fosse interessato all’argomento consiglio vivamente la lettura di un libro, scritto a quattro mani da De Marzi e dalla moglie, Cecilia Petrosino, dal titolo “Arciso di Alvese” (edizioni Cora - può essere ordinato anche via internet al sito www.cora.it ) che, prendendo le mosse dal racconto della vita di una famiglia delle colline vicentine a cavallo tra le due Guerre, descrive con semplicità e dolcezza un intero mondo fatto di sentimenti profondi e di gente semplice e per bene. Ma torniamo a noi. Prima di lasciarci De Marzi ci ha fatto un autentico regalo: ci ha messo in contatto con Carlo Geminiani (per quei pochi che non lo conoscessero, trattasi dell’autore di alcune bellissime cante quali, ad esempio, “L’ultima notte”, “Monte Pasubio”, “Joska la Rossa” e tante altre) che aveva piacere di conoscerci. Gli ha telefonato, anticipandogli la nostra visita, e ci ha spiegato il percorso disegnandoci, persino, una piccola mappa. Da Arzignano siamo ripartiti per Asiago ed essendo suddivisi in due equipaggi entrambi dotati di navigatore satellitare siamo riusciti a perderci, a fare strade diverse, per poi ritrovarci ad un bar alle porte dell’Altipiano. Misteri dell’elettronica. Ad Asiago, la serata del sabato è trascorsa, più o meno, come al solito, grazie alla squisita ospitalità di Massimo Bonomo (Presidente della locale Sezione) e dei suoi alpini. Naturalmente ci siamo ritrovati con tanti tantissimi amici: Maurizio Astorri, con la pattuglia parmense, gli amici di Varese guidati dal consigliere Botter e tanti altri tra i quali, naturalmente il Presidente Parazzini e l’onnipresente Edo Biondo. Quest’anno, prima della sontuosa cena, visita guidata al Museo di Roana, veramente interessantissima. Domenica mattina ore 6,00 partenza per la salita, prima con la jeep e poi a piedi. Verso le 8,00 siamo arrivati in cima, al cospetto della “Colonna Mozza” dove già erano arrivate parecchie centinaia di alpini, una vera e propria folla. Tanti i vessilli e tantissimi i gagliar- detti. La folla vociante si è zittita di colpo all’inizio della celebrazione della Messa e l’atmosfera si è fatta, d’un tratto, mistica: non volava una mosca, si sentivano solo le parole del celebrante e qualche tintinnio di medaglie provenire dalla zona dei vessilli. Al termine della messa, senza preventivi ordini o accordi, qualcuno ha cominciato ad intonare “Signore delle Cime” ed il canto, nella mistica cornice dell’Ortigara, alla fine, ha coinvolto tutti i presenti. Raramente ho provato una simile emozione. Finita la cerimonia ci si è spostati a rendere omaggio al “Cippo degli Austriaci” e poi, giù, in fretta, per raggiungere la chiesetta di Cima Lozze e partecipare alla cerimonia ufficiale. Non vi racconto del mio passaggio nei cunicoli austriaci (e dell’effetto “tappo” che ho temuto) solo per dignità … la mia. Anche la cerimonia a Cima Lozze è stata commovente ma nulla in confronto dell’emozione provata alla Colonna Mozza. Terminata la cerimonia la pattuglia di Milano Centro si è ritrovata a Gallio, per … mettere le gambe sotto al tavolo. Al termine del pranzo, poi, si sono riformati i due equipaggi: il primo è tornato dritto a Milano, mentre il secondo (Marchesi, Guerino ed il sottoscritto) ha puntato verso Trento per raggiungere Lavarone, dove ad attenderlo c’era Carlo Geminiani. L’incontro è stato, non temo di esagerare, di una dolcezza profonda: ci ha accolto in casa come amici (cosa che di questi tempi accade assai di rado) e come amici ci ha trattato. Dopo pochi minuti si aveva la sensazione di conoscerlo da tempo. Ci ha parlato di molte cose e di tanti personaggi mostrando una sensibilità che è assai raro riscontrare. Ci ha parlato di Bedeschi, di Rigoni-Stern, dei Crodaioli, della Guerra, del dolore e della sofferenza anche di chi è tornato. Ci ha intrattenuto per circa un’ora e mezza, ci ha chiesto delle nostre iniziative, delle nostre aspirazioni, mostrandosi sinceramente interessato. Insomma un incontro eccezionale con un Uomo … eccezionale. Saremmo restati ore ad ascoltarlo, purtroppo, però, dovevamo rientrare; ci siamo lasciati con un abbraccio e con la consapevolezza di aver trovato un nuovo Amico. Miracoli dell’Ortigara. Cesare Lavizzari Alpin del Domm – 3 Riceviamo e – ringraziando – pubblichiamo! La Festa Sezionale a Legnano Echi da Aosta – Echi dal Cuore Nessun articolo di stampa né qualsiasi parola potrà mai rendere la realtà di quest’atmosfera gioiosa, fatta di semplicità, sana allegria ed espressioni dialettali – che deriva dalla coscienza pulita e dallo spirito generoso ed altruista. Quale abisso la separa dall’atmosfera che respiriamo quotidianamente leggendo di squallide vicende; dove si levano accuse e contraccuse; dove qualunque iniziativa anche buona viene subito boicottata; dove si sprecano in tavole rotonde di tutti i generi banalità e invettive; dove, in definitiva, ciò che conta di più è il denaro. Ad Aosta nulla di questo. Il giorno precedente, anzi anche la notte precedente, canti, risate; tutta gente che sembrava felice di essersi ritrovata; parecchi allegri sopra le righe. Il giorno della sfilata non si notava la minima traccia della nottata in bianco. Delle 300.000 penne nere presenti per l’occasione, dalla tribuna ne ho viste 80.000, in fila per 9, ondeggiare davanti agli occhi dall’alba al tramonto con passo cadenzato al suono delle fanfare che apparivano a intervalli regolari. All’orizzonte la marea ondulatoria proveniente dai punti di ammassamento sembrava montare di ora in ora facendosi sempre più fitta e compatta, lasciando molte domande senza risposta: ma come è possibile? Da dove provengono? Dove hanno passato la notte? Come hanno fatto ad organizzarsi per la sfilata? I grandi tricolori stesi orizzontalmente, i muli tenaci, i cani da salvataggio, le piccozze e le corde, l’enorme paracadute trascinato di corsa e gonfio d’aria, la teca contenente un riquadro di bandiera conservato durante una lunga e sofferta prigionia… Quale abisso tra il significato ed il valore di queste palpitanti realtà e lo squallore degli ottusi e pericolosi simboli sventolati nelle manifestazioni che siamo purtroppo costretti a subire a scadenze sempre più ravvicinate! Da una parte canzoni patriottiche e incitamento all’aiuto fattivo, all’altruismo, all’amore per il prossimo; dall’altra solo sterili slogan capaci di criticare, insultare, maledire. Ed alla fine? Da una parte: ordine e pulizia nei prati dove sostavano tende e roulotte e dove fumavano polenta e salsicce e si brindava; sì gli alpini brindano col vino; bevanda e simbolo; perché ricorda di chi ha provato a trascorrere notti all’addiaccio “quando tira un forte vento e si sente l’acqua giù per le spalle” e quando un gavettino di rosso era forse l’unico conforto. E dall’altra parte? Provocatorie distruzioni, vandalismi, devastazioni … e desolante sporcizia. Ma la maggioranza delle persone guarda, giudica, fa confronti e speriamo che non continui ad essere silenziosa, che cominci a far sentire la propria voce e soprattutto che mandi a queste sfilate intere scolaresche dei propri figli a far domande, ad entusiasmarsi, ad imparare cos’è l’alpinità, scolaresche di cui ho sentito una dolorosa mancanza. Ornella Crocco 4 – Alpin del Domm … e gli altri dove sono? Il Contrin quest’anno: gli Alpini in armi (volontari) e gli Alpini in congedo(entusiasti) E dista più che Legnano! CARO NOVANTUNO di Giulio Bedeschi a cura di Andrea Bianchi Pubblicare un articolo su un fucile ai più potrebbe sembrare un argomento fuori luogo, visto le cronache di questi ultimi mesi. Le armi sono sempre state viste come strumento negativo, da sopprimere e inutile. Al di là di ogni ideologia e nel rispetto di qualsiasi opinione al riguardo, ho deciso comunque di proporre alla Vostra attenzione il brano in questione per due motivi: il primo, personale – permettetemelo – in ricordo di mio nonno, combattente nella Seconda Guerra Mondiale, mancato all’età di 92 anni. Quando riesumai un vecchio fucile 91 fabbricato a Torino nel 1896, mio nonno, non più tanto lucido, ebbe un sussulto; con la mano, lentamente accarezzò la cassa in legno e con gli occhi lucidi ed un groppo in gola disse: “L’è il novantün!!!”. Rimasi estremamente colpito. Il secondo motivo è che questo articolo, pubblicato su “Storia Illustrata n.197 – aprile 1974” porta la firma dell’illustre Bedeschi: e ciò non ha bisogno di ulteriori spiegazioni del perché ripubblicarlo sul nostro giornale di Gruppo! *** Per più di mezzo secolo tutta la storia militare italiana, in tempo di pace come in guerra, è strettamente connessa a questo tipo di fucile, che per le generazioni italiane che si sono susseguite dalla fine dell’Ottocento fino alla metà del secolo attuale ha rappresentato “l’arma” per antonomasia. In esercitazione o in combattimento, imbracciato e puntato con estrema tensione in ore risolutive, oppure ridotto ad affaticante peso portato a spall’arm o a tracolla, a gravare sulle reni a ridosso dello zaino durante interminabili marce, il fucile modello 91 ha condiviso le sorti dei soldati e ne è stato inseparabile compagno. Con le sue molteplici varianti e modifiche, attuate di decennio in decennio, ha seguito l’evolversi delle richieste funzionali che tendevano ad adeguarlo alle sempre nuove esigenze di tempi, di innovazioni tecniche, di adattamento a compiti di soldati d’arma diversa, in modo d’essere, nelle sue versioni, arma adatta al soldato che di notte faceva la guardia a una polveriera, oppure al cavalleggero che doveva fissarlo alla sella del suo cavallo. Dovendo essere, secondo le intenzioni di chi lo ideò e ne curò la messa in opera, arma costruita all’altezza dei tempi, ebbe invece il destino, per l’immancabile divario di tempo intercorrente fra l’ordinazione, la messa a punto e la consegna, di trovarsi sempre in arretrato coi tempi e con le esigenze belliche, e risultare antiquato almeno per alcune determinate caratteristiche. Sicché, in definitiva, per i soldati finì con l’essere un amico indivisibile sì, ma non sempre adeguato e sicuro. 1906: gli alpini provano l’uniforme grigia; l’armamento è il fucile modello 91 Tuttavia, bene o male, costituisce a tutt’oggi, per diverse generazioni di italiani, anche se considerato un cimelio posto da tempo fuori uso, un punto di riferimento a cui si agganciano innumerevoli ricordi; e, per molti che hanno partecipato alle guerre, attorno al modello 91 sono rimasti appesi, come fossero buffetterie accessorie, interi anni della loro vita. Non è senza una sottile emozione, infatti, che ancor oggi innumerevoli uomini possono leggere frasi in apparenza insignificanti, quali “il fucile modello 91 si divide nelle seguenti parti principali: canna, culatta mobile, cassa, meccanismo di caricamento e sparo, bacchetta, sciabola baionetta, fornimenti vari”. Oppure: “l’otturatore si compone di: cilindro con manubrio e noce; percussore con punta, testa, asta e coda; molla a spirale con 32 giri; tubetto con nasello; bottone zigrinato”. È un intero mondo giovanile che si fa innanzi, a corteo di queste frasi elencative, che nella loro aridità hanno lasciato tuttavia un solco indelebile nella memoria e spesso nel cuore. Perciò vale forse la pena di riassumere brevemente la vita di questo fucile 91, e di rintracciarne le sorti, che nell’arco di mezzo secolo finirono col diventare complicate, trovandosi ad essere esso stesso, per la sua sola presenza o assenza, protagonista di eventi e di storia, se non addirittura un simbolo di un’epoca. Nella seconda metà del secolo scorso, con varia progressione e priorità ma presso tutti gli eserciti delle varie nazioni, il fucile subì molteplici trasformazioni. 1906: gli alpini provano l’uniforme grigia; l’armamento è il fucile modello 91 Dal caricamento ad avancarica, e di conseguenza a colpo singolo e talvolta dall’accensione a pietra focaia, passò al sistema di caricamento a retrocarica e poi a ripetizione, alla canna rigata, a calibri più piccoli. Per quanto riguarda l’Italia, i vecchi fucili ad avancarica dell’esercito piemontese vennero trasformati a retrocarica con un sistema a otturazione girevolescorrevole detto anche “a catenaccio” messo a punto dal Carcano nonché diffuso a tutti gli eserciti; nel 1870 da noi venne adottato il fucile svizzero Wetterly, ma senza serbatoio. Questo, per quanto riguarda l’Italia, venne applicato al Wetterly dopo l’avvento dell’impiego della polvere senza fumo, mediante una modifica apportata dal Vitali, dalla quale derivò il Wetterly-Vitali con scatolaserbatoio centrale fissa per il riempimento rapido mediante caricatore. Ma anche quest’arma risultò superata, nel 1888, dal Mannlicher austriaco e dal Mauser tedesco; e in conseguenza il Ministero italiano decise di dare incarico a una Commissione istituita presso la Scuola di Fanteria di Parma di portare a termine gli studi al fine Alpin del Domm – 5 di poter realizzare un nuovo tipo di fucile che sfruttando le più avanzate acquisizioni tecniche potesse tener testa, nel confronto, alle armi similari in dotazione presso gli eserciti delle altre nazioni. Venne subito affrontata l’ipotesi preliminare di ideare un fucile a calibro ridotto, affinché il soldato potesse disporre di un maggior numero di pallottole; ma nonostante la presentazione di qualche decina di modelli nel giro di alcuni mesi da parte di inventori italiani e stranieri, la Commissione respinse tutti i progetti e finì con l’affidare direttamente alle fabbriche d’armi statali la progettazione della nuova arma. Il segretario stesso della Commissione, maggiore Garelli, propose di modificare la rigatura della canna, ritenendo troppo corto il passo delle righe elicoidali, e di adottare invece una rigatura progressiva, aumentandone il passo con un rapporto di circa 3:1 dalla camera di scoppio alla volata. Una serie di tiri di confronto eseguiti nell’estate del 1890 confermarono la validità dell’innovazione che in seguito venne nuovamente abbandonata per chissà quale ragione. Nel frattempo era affluita un’altra cinquantina di progetti da tutt’Italia e dall’estero, ma furono regolarmente scartati. E per giungere a una conclusione venne indetto un concorso con scadenza definitiva a fine d’anno 1891, e furono ancora sollecitate a concorrere le quattro fabbriche d’armi italiane. L’esito del concorso portò alla scelta del tipo di fucile presentato dalla fabbrica d’armi di Torino, con una variante relativa al sistema di alimentazione dell’arma mediante caricatore a pacchetto, secondo la tecnica adottata dal modello 88 del Mannlicher-Mauser tedesco. A titolo di curiosità, si può riferire che l’Italia pagò a von Mannlicher trecentomila lire la cessione del brevetto. Anche sul terreno pratico, il modello di fucile uscito dalla fabbrica torinese, posto a confronto in alcune migliaia di esemplari con altrettanti fucili presentati dalle altre fabbriche di Torre Annunziata e di Terni, e distribuiti in prova a reparti militari, otten6 – Alpin del Domm ne una netta preferenza. Vennero fatte polverificio di Fontana Liri venne alcune scelte, come la asportabilità del- modificata la formula della balistite la baionetta, che consentiva all’attrezzo riducendo la quantità di nitrogliceriusi diversi da quello principale d’arma na, e il nuovo composto fu chiamato bianca; soprattutto venne fissato il cali- solenite; la cartuccia a solenite entrò bro della pallottola in mm. 6,5 e la car- in distribuzione nel 1896. tuccia, anziché presentare al fondello Da alcune parti si è insinuato che la un orlo rilevato, fu al contrario ideata battaglia di Adua sia stata perduta con una scanalatura anulare su cui fa- anche perché i soldati italiani non ceva presa il dente dell’estrattore. avevano sufficiente dimestichezza col Ciò comportò naturalmente ulteriori modello 91; in realtà pare accertato modifiche al caricatore, al serbatoio e che questo non sia stato in dotazione all’otturatore. In definitiva, fu nel mar- a quelle nostre truppe, le quali, piutzo 1892 che la Commissione preposta tosto, fra metropolitane e di colore firmò il verbasommavano a neppure le conclusivo, quindicimila uomini, contro p r o po ne n d o i ben centoventimila etiopil’adozione del ci. Sembra vero invece, purfucile che controppo, che il “91” per la trassegnò: prima volta sia stato impiemodello 1891. gato contro italiani, allorché Entro la fine le truppe vennero schierate dello stesso e spararono contro i milanemarzo, il Misi insorti durante i moti di nistero della piazza del maggio 1898. Figuerra ribadì no al 1911, e cioè alla guerra la sanzione di Libia, il nuovo fucile in che divenne sostanza venne quasi esclusubito operansivamente adoperato per te, i primi eaddestramento dei soldati semplari vendelle nuove leve, perdendo nero assegnati a poco a poco i difetti che alla fanteria e man mano si andavano distribuiti agli 1910: in caserma per la foto ricordo. Il sol- manifestando e diventanalpini, i quali dato mostra un bellissimo moschetto 91 TS do sempre più un’arma di ultimi ben tutto rispetto, anche se presto posero non fu da considerare ecin evidenza l’eccessiva lunghezza cellente fra le consorelle in dotazione dell’arma, in relazione a determinate presso gli altri eserciti. Dotata di noloro condizioni d’impiego. Non si tar- tevole precisione, in mani di tiratori dò, perciò, a porre allo studio un nuo- esperti nei poligoni di tiro dimostravo tipo di arma, nel suo insieme più va di saper costantemente concentracorta, chiamata “moschetto”, che aven- re in una piccola rosa le sue pallottole do canna e cassa accorciate e una baio- anche a distanze ragguardevoli, e col netta alleggerita, triangolare e ripie- passare degli anni cominciò ad acquighevole, già nel giugno 1893 venne po- stare un significato quasi simbolico a sto in distribuzione e assegnato in do- costituire “l’arma” per eccellenza sultazione anche ai carabinieri, alla caval- la quale si andavano concentrando leria, ai reparti ciclisti. ricordi, episodi, confronti, tutto un Naturalmente, in questa prima fase insieme di circostanze d’ordine anche d’impiego emersero alcuni inconve- sentimentale, sportivo o velleitario nienti, perché con una certa frequenza che comunque, avendo come termine l’arma si inceppava a causa di non riu- fisso di paragone il “91”, ponevano a scite estrazioni di bossoli, i cui fondelli cimento e a confronto anno per anno, invece altre volte si staccavano. La cau- classe per classe, la gioventù italiana sa principale di questi difetti venne in- di quei tempi. dividuata nell’azione della balistite; nel (1 continua) Sessant’anni dopo I monumenti, i cippi, le croci, dinanzi ai quali ci ritroviamo ogni anno per rivolgere un reverente pensiero alla memoria di Caduti della Guerra 1915 – 1918 e della Guerra 1940 – 1945, impongono – oggi – alcune riflessioni. Dal 1918, fine della prima guerra mondiale, sono trascorsi 85 anni: i protagonisti di quei gloriosi e storici eventi sono vivi, oramai, solo nella nostra memoria. Ma anche i combattenti della seconda guerra mondiale, terminata nel 1945, 58 anni or sono, se ne sono già andati, quasi tutti. La guerra, pur nella sua crudeltà, ne ha risparmiati molti. La legge del tempo, implacabile come un gigantesco devastante compressore, non risparmia nessuno. E oggi, davanti a questi monumenti, ad onorare coloro che ci hanno preceduti, ci ritroviamo in numero sempre minore. Ma proprio per questo ci è di conforto vedere, al nostro fianco, molte di quelle persone cui l’anagrafe ha evitato gli orrori della guerra. Non tutte, certo. Il tempo, purtroppo, cancella molti ricordi. E troppi italiani vivono dimentichi del passato, delle memorie storiche dalle quali originano le tradizioni della nostra terra. E mentre – quando rivolgo un pensiero reverente alla memoria dei coetanei scomparsi, dai commilitoni caduti in combattimento agli amici falciati poi dalla vita – sento stringersi accanto a me in un abbraccio ideale tutti coloro i quali hanno condivise le nostre stesse amare esperienze – io colgo spesso, nell’espressione dei giovani che ci ascoltano, una sorta di rispetto misto all’incapacità di capire, di cogliere appieno il significato del nostro ricordo, delle nostre parole. Capita infatti, sempre più di frequente, a noi veterani, di percepire nella stupita perplessità di molti giovani interlocutori, delle grosse lacune storiche, delle forti GINETTO ACHILLI Per non dimenticare Per ricordare la volontà dell’amico Ginetto Achilli come già pubblicato sul numero precedente, Palloni e Ravizzotti sono a disposizione per raccogliere fondi che andranno all’Istituto Disabili Gravi – Fondazione Don Gnocchi – per l’acquisto di materiale didattico a questi fratelli meno fortunati. È un segno a ricordo del nostro amico Ginetto. Grazie del vostro buon cuore. zone d’ombra su di un passato che, per noi ancora vivo, si perde per taluni di loro nella notte dei tempi. Molti di noi se ne rattristano. Ma è un fatto più che naturale. Quando, ancora adolescenti, negli anni del primo dopoguerra, noi sentivamo parlare i “vecchi” della prima guerra mondiale, li ascoltavamo con il rispetto che si doveva ai nonni. Ma erano pur sempre dei “giovani nonni” quarantenni, non ottantenni quali noi siamo adesso. E, quando a scuola, ci parlavano delle guerre del Risorgimento, dei moti del 1848, risalenti a 90 anni prima, ci sembravano storie di altri tempi. Ora noi parliamo, a nostra volta, ai giovani, di avvenimenti che risalgono “solo” a 60 anni or sono, ma in un mondo che in questi sei decenni ha bruciato i tempi, sei decenni che hanno completamente sconvolta la nostra vita, portando, assieme al benessere economico, al completo sconvolgimento di quelli che erano i nostri ideali, i valori per cui ci siamo battuti. Oggi viviamo nell’era del telefonino. Quel telefonino che sessant’anni or sono era rappresentato, per noi, dai portaordini che correvano da un punto all’altro dei campi di battaglia, inseguiti dalle granate. Perché le radio e i telefoni c’erano già, certo, ma nel momento del bisogno non funzionavano quasi mai. Oggi viviamo nell’era del fast-food. Quel fast-food che nei nostri ricordi era – quando arrivava – una mezza gavetta di brodaglia in cui navigavano si e no 7 – 8 maccheroni della naia, quelli che chiamavamo “tubi”. Oggi viviamo in case linde, dotate di servizi igienici raffinati, d’acqua calda e fredda. Quell’acqua che andava già bene se ce n’era per bere, non certo per lavarci, sporchi com’eravamo, non le divise lacere e straripanti di pidocchi. Quando la doccia era per noi la pioggia che ci penetrava nelle ossa. Oggi dormiamo al tepore dei termosifoni. Quei termosifoni che noi non sapevamo nemmeno cosa fossero. Non c’erano nep- pure nelle nostre case, a quei tempi. E men che meno in guerra. Quando per materasso avevamo la neve, o il fango, e per coperta il cielo. Tutto questo, questo ed altro io ricordo quando – più fortunato dei miei compagni falciati in combattimento dalla mitraglia, o, peggio, consumati dalla fame, stecchiti dal gelo, affondati con la loro nave – io mi raccolgo in preghiera con reduci sopravvissuti a quelle tragiche giornate per ricordare ed onorare coloro che la guerra ha stroncato a vent’anni. Ma c’è un’altra guerra, della quale nessuno parla. Quella che tutti i superstiti del secondo devastante conflitto hanno dovuta combattere al loro ritorno. Quando pagammo la riconquistata libertà con la distruzione delle nostre case, con la miseria, con la fame. Quando fummo costretti a ricominciare tutto da capo. Le case da ricostruire, i campi minati da bonificare. Ci rimboccammo le maniche, tutti, e combattemmo un’altra guerra, non meno dura, per taluni aspetti. La guerra per procurarci il pane. Ricordando tutto questo, mi è di conforto il fatto che i nostri sacrifici di allora abbiano fatto capire a molti uomini che è assurdo impugnare le armi contro altri uomini solo perché nati un po’ più a nord, o a sud, o ad est, o ad ovest della nostra terra natale, come purtroppo ancor oggi accade presso altre genti. Mi è di conforto il fatto che stiamo dando vita ad una Europa unita dove non ci siano più né vinti né vincitori, ma solo uomini volti a costruire una civiltà sempre migliore. A voi più giovani, dunque, l’impegno di ricordare, anche nel futuro, il sacrificio dei nostri e vostri padri: di coloro i quali, sopravvissuti a quel periodo di lotte, combatterono una seconda guerra per procurarsi il pane. Quella guerra che oggi ha recato benessere a tutti noi, quel benessere che ci auguriamo possa, un giorno, raggiungere tutti i popoli della terra. Sergio Pivetta Ci vediamo a … 27-28 settembre Tambre (BL) - Premio fedeltà alla Montagna 18 ottobre Milano, ore 17:45 presentazione del Libro di Nardo Caprioli Cantavamo Rosamunda all’istituto Palazzolo, via Don L. Palazzolo 21, con la partecipazione del nostro Coro. 19 ottobre Missaglia inaugurazione nuova baita 15-16 novembre Milano Castagnata in piazza Cairoli Alpin del Domm – 7 Scheda Anagrafica Donatori di Sangue In collaborazione con " Gruppo Donatori di Sangue Istituto Nazionale dei Tumori - ANA Sezione di Milano" N.ro Campo DATI ANA 1 Sezione di Appartenenza: 2 Gruppo di Appartenenza: DATI PERSONALI 3 COGNOME: 4 NOME: Nascita 5 Data - gg/mm/aaaa: 6 Luogo: 7 Provincia: Residenza, telefoni, e-mail 8 Località: 9 Via/Viale/Piazza ...: 10 Numero civico: 11 CAP: 12 Provincia: 13 Telefono abitazione: 14 Telefono lavoro: 15 Cellulare 1: 16 Cellulare 2: 17 e-mail: DONAZIONE SANGUE 18 Gruppo Sanguigno: 19 Tipo Donazione: (sangue intero, piastrine, etc. ) 20 Abilitazione: (1,2,3,4, ... volte all'anno) 21 Donazioni effettuate nel corso dell'ultimo anno: 22 Associazione di appartenenza od Ente abituale di donazione: 23 Località: Questa pagina può essere fotocopiata ovvero ritagliata, poi consegnata al Capogruppo Alessandro Vincenti completa di tutti i dati richiesti. Potete inoltre darne copia ad altri (possibili) donatori che volessero aggregarsi. 8 – Alpin del Domm Parola di Capogruppo … Ci abbiamo provato Sul numero 4 – luglio 2003 – dell’Alpin del Domm, il nostro Capogruppo ha sollevato una giusta lamentela, in merito alla mancata adesione da parte dei soci del Gruppo alla gita organizzata, con destinazione Rovereto alla fine di maggio. Le prenotazioni sono state scarse, al punto di rinunicare alla gita. Ora dobbiamo fare delle riflessioni. La prima è questa: è inutile “mugugnare” e dire il Gruppo non pensa a organizzare cose alla portata di tutti, questa era valida per tutti! Secondo: rimane sempre il dubbio se fare altri tentativi o no? Attenzione, chi deve organizzare è impegnato a scegliere una località accessibile a tutti (non è possibile inserire scarpinate di due o tre di cammino) con una distanza chilometrica che non superi le due o tre ore di viaggio in pullman; deve trovare una località di interesse turistico-culturale che possa piacere alla massa; non deve trascurare i costi - viaggio più pranzo - entro certi limiti. Gli organizzatori sono impegnati nella prenotazione del pullman, del ristorante, tutto questo molto tempo prima, almeno 30/40 giorni; devono inviare il programma ai Soci, almeno un mese prima. Se mettiamo insieme tutti questi questi fattori, vi renderte conto che la programmazione richiede tempi abbastanza lunghi. Fatto tutto questo rimanse solo che attendere le prenotazioni che purtroppo arrivano sempre all’ultimo minuto (vedi Cene) creando agli organizzatori un sacco di problemi. Ma non è tutto: se non va in porto occorre disdire ciò che è stato fatto trovando delle scuse con i nostri interlocutori (pullman, ristorante, guide ecc.) con giustificazioni un po’ amene. A questo punto rimane ancora da risolvere il problema del futuro. È doveroso da parte di tutti i Soci dire (non mugugnare) quale interesse possono avere nel partecipare a eventuali gite e di che tipo in modo che il Gruppo possa valutare e programmare il domani . Il Capogruppo ed i Consiglieri sono a vostra disposizione per raccogliere impressioni, suggerimenti e altro, in modo da definire questo problema nel migliore dei modi e nell’interesse di tutti. Se per voi è più comodo scrivere le vostre impressioni, sono ben accette, l’importante è conoscere il vostro pensiero in materia di gite. Non mettete la testa sotto la sabbia … Rav