Alpin 16.pub - ANA Gruppo Alpini Milano Centro

Transcript

Alpin 16.pub - ANA Gruppo Alpini Milano Centro
Anno IV - Numero 5 - Settembre 2003
Fotocopiato in proprio da: Associazione Nazionale Alpini - Sezione di Milano - Gruppo Milano Centro “Giulio Bedeschi”
Redazione: Via Vincenzo Monti 36 - 20123 Milano - Tel. 02 48010991 - Responsabile: Alessandro Vincenti - Inviato gratis ai Soci
ubi maior minor cessat
CHE C’ENTRA QUESTO TITOLO, DIRANNO I NOSTRI 25 LETTORI… C’ENTRA: STAVOLTA LA
PREDICA DEL CAPOGRUPPO CEDE IL PASSO ALLA VOCE DI ANTONIO REZIA.
75° ANNIVERSARIO
DI FONDAZIONE
DELLA NOSTRA SEZIONE
RIFLESSIONI DI UN ʺVECIOʺ
di Antonio Rezia
I
75° è una meta importante che
invoglia a tirare le somme e ciò,
per noi, vuol dire analizzare nel loro
complesso, l’attività della Sezione e il
nostro modo di vivere
nell’Associazione, e senza lasciarci
fuorviare da particolari che possono
inquinare il giudizio, trarre le conclusioni utili per il futuro. È quindi un
bilancio morale, che sfugge al controllo dei collegi sindacali e delle assemblee, ma non a quello più severo
della nostra coscienza.
Dei 75 anni della Sezione ne ho vissuti 66 (1937/2003) da socio, dapprima utile solo per il pagamento del
bollino, poi impegnato a vario titolo
e, infine, pensionato: ora che sono
decisamente “Vecio” per naia e per
anagrafe e come tale fatalmente portato alla nostalgia e al “mugugno”,
ricordare gli anni di naia e di Socio
L
della nostra Sezione, alcuni complicati
dai gravi problemi connessi al rapido
mutare della nostra vita, ma che oggi
mi appaiono tutti belli, sereni e desiderabili, per me significa fare l’esame di
coscienza; ora questo ricordo, non è
più per me motivo di angoscia per ciò
che ho perso, ma mi conforta e mi aiuta a tirare avanti.
Due guerre la 15/18 e la 40/45 due
eventi determinanti per la storia degli
Alpini: dalla prima, vinta, è nata
l’Associazione, dalla seconda, persa e
purtroppo sfociata nella lotta civile, è
iniziata la lenta opera di distruzione
del nostro patrimonio morale che, per
motivi diversi, ma convergenti ai fini
elettorali, da sempre infastidisce i nostri politici in preda, specie nel dopoguerra, a una vera smania di annientamento e denigrazione di un passato
che, nel bene e nel male, è stato e comunque sempre sarà, parte della nostra storia.
***
Negli anni Cinquanta, non erano
molti i reduci e i giovani di leva che
ancora sostenevano i valori e gli ideali
dei nostri Fondatori o che, come già
successo al loro tempo, mal tolleravano
l’esaltazione e l’imposizione, a senso
unico, di ideologie poco compatibili
con la nostra tradizione.
È stato un periodo difficile di dubbi
e di scelte sofferte, ma il buonsenso
degli alpini anche se militanti in opposte fazioni, ha prevalso sulle passioni e la nostra Sezione, pur con ranghi ridotti rispetto al passato, è andata avanti raggiungendo importanti
mete e acquistando sempre maggior
prestigio nell’Associazione.
***
Già ai primi degli anni ’70, la Sezione di Bergamo, con la Casa per disabili di Endine Gaiano e il motto
“onoriamo i morti aiutando i vivi”, e
la nostra Sezione, con la raccolta delle firme per il voto degli Italiani
all’estero perfettamente riuscita, ma
insabbiata, cioè di fatto annullata,
perché invisa ai politici, avevano dato il chiaro segno di voler operare oltre i limiti dello statuto
dell’Associazione, ma è stata la decisa svolta imposta dal Presidente Bertagnolli in occasione del terremoto
del Friuli del 1976, che ha mutato radicalmente la nostra vita associativa
rendendoci consapevoli della nostra
forza e della possibilità di indirizzarla all’azione e all’impegno civile.
Alpin del Domm – 1
È stato un cambio di rotta salutare
che, anche nella nostra Sezione, ha
favorito la rapida e pacifica conclusione del processo di trasformazione
dell’Associazione, dagli Alpini di
guerra agli Alpini di pace, da molti
ritenuto e temuto, come possibile
causa della nostra estinzione ... nessuno allora poteva prevedere
l’abolizione della leva.
L’attività della Sezione, Gruppi e
Sede, non ha mai avuto sosta e se a
volte qualcuno si è fermato, è stato
solo per riprendere fiato. Dopo tanti
anni tutto appare facile e semplice
ma non lo è mai stato: il nostro cammino è stato in costante salita ma lo
abbiamo percorso caparbiamente,
forse a volte con qualche incertezza,
mai con rinunce.
Siamo andati avanti perché abbiamo saputo adattarci per gradi ai mutamenti della vita di tutti i giorni senza compromessi lesivi della nostra
identità, senza rinnegare le nostre
peculiarità e senza lasciarci tentare
dalle lusinghe del denaro e della politica, che il più delle volte sono solo
causa di grossi guai.
Nei momenti difficili ci siamo uniti
e impegnati come nei più tragici momenti della naia ed anche oggi che il
nostro cammino è diventato una difficile e pericolosa scalata, se veramente crediamo negli ideali e nei
valori propri del nostro essere Alpini,
dobbiamo sentire imperioso il dovere
di rimanere compatti eliminando le
piccole divergenze che inevitabilmente incrinano la realizzazione in
comune di qualsiasi libera iniziativa
e unire in un solo blocco le nostre
volontà, i nostri mezzi e le nostre
forze, per difenderci dal nemico più
pericoloso che mai abbiamo dovuto
combattere, un nemico invisibile, ma
presente ovunque, un nemico subdolo che a parole ci blandisce, ci esalta e
ci sorregge, mentre coi fatti ci pugnala (alla schiena) e lentamente ci distrugge.
Tirate le somme, anche se qualcuno
potrà considerare il mio giudizio poco attendibile perché “di parte”, considero positivo il bilancio dei primi
75 anni di vita della Sezione.
Chi è nato nei primi decenni del
2 – Alpin del Domm
secolo scorso, è passato attraverso le
più diverse e drammatiche esperienze che si possano immaginare che,
spesso, hanno lasciato segni profondi
nel fisico e nell’animo di chi le ha vissute. Ieri, oggi, domani e così
all’infinito, fatti, scelte e comportamenti di quel periodo fuori da qualsiasi normale regola di vita, sono stati, sono e sempre saranno oggetto di
studio e di severi giudizi da pare degli ortodossi analisti delle vite altrui,
sempre pronti a pontificare e sempre
prodighi di sentenze di assoluzione
o di condanna emesse col “senno di
poi”.
Come Alpino, ammetto di non essere entusiasta delle mie peripezie belliche che comunque hanno influito su
tutta la mia vita, ma in coscienza non
mi rimprovero nulla, se non
l’eccessiva fiducia nel mio prossimo;
sarei pronto a ripetere le stesse esperienze che mi hanno insegnato molte
cose tra cui due particolarmente importanti: primo, che è stupido e ingiusto dividerci in gruppi, alcuni
composti solo da cittadini buoni, onesti, virtuosi, santi e valorosi, altri solo
da cattivi, disonesti, corrotti, empi e
pavidi, perché essi sono ovunque ed
equamente distribuiti in ogni gruppo, parte e fazione, secondo che molte sentenze di condanna probabilmente sarebbero ben diverse se i giudici avessero fatto le stesse esperienze del condannato.
***
Come socio della Sezione, per molti
anni sono stato convinto di fare tutto
quello che potevo, pur sempre nei
limiti delle mie capacità, ma con tanta continua fatica e sacrificio, dapprima per ubbidienza al Colonnello Belotti, glorioso comandante del
“Morbegno” e dell’ “Edolo”, mio ultimo battaglione dopo il suo rientro
dalla Russia, poi per dovere e spirito
di servizio, convinto di non esserne
né degno, rispetto a tanti grandi Alpini che onorano la Sezione, né
all’altezza a causa del mio carattere
poco socievole e della mia avversione, maturata nel campo di concentramento, per tutto ciò che è forma, apparenza, ufficialità e soprattutto arroganza nell’esercizio del potere.
Solo ora che è troppo tardi, mi rendo
conto che avrei potuto e soprattutto
dovuto impegnarmi di più per dimostrare la mia immensa riconoscenza
per quanto gli Alpini mi hanno dato e
hanno fatto per me dalla naia ad oggi.
È un esame di coscienza che può essere giudicato inopportuno, ma che
consiglio a tutti per evitare inutili tardivi rimpianti: sarà forse inopportuno,
ma a me fa bene perché, malgrado tutto, mi porta a conclusioni non del tutto
negative, mi commuove e accresce in
me la nostalgia del mio passato di Alpino sempre vivo nel mio cuore, passato meraviglioso per le amicizie, per gli
affetti, per le attività e per i tantissimi
sogni che l’hanno arricchito.
Mi rendo conto che il futuro non è
più mio ma dei giovani, però ugualmente mi cruccio perché non riesco a
non preoccuparmi del futuro e, osservando come tutto oggi velocemente
cambia e scompare, temo che uguale
sorte tocchi alla nostra Sezione frutto
dello spirito, dell’impegno e dei sacrifici di tanti carissimi amici.
Brontolo, mi arrabbio, protesto e a
volte sono tentato di piantare tutto...
ma, se vado in Sede e ancora vi trovo
tanti “Bocia” più entusiasti e più preparati di me alla loro età, che con mentalità e mezzi moderni, con idee e iniziative innovative e forze fresche e soprattutto con grande serietà e spirito
alpino si impegnano a consolidare e
migliorare ciò che è stato fin qui costruito dai “Veci”, non sulle sabbie mobili del comune sentire e vivere attuale,
ma sulla salda roccia della nostra tradizione, riacquisto la speranza, capisco
che il nostro futuro è in ottime mani e
mi rassereno.
Veci ! Bocia ! forza ! nessuno potrà
toglierci il futuro se saremo uniti nel
pretenderlo e nel difenderci ricordando il nostro passato, lo dobbiamo a noi
stessi ma soprattutto lo dobbiamo a chi
ci ha preceduto come Alpino e come
Socio ANA.
Una sola parola possiamo dire:
Grazie Antonio! Uomini come te ci permettono di proseguire sull’erto cammino
alpino fiduciosi di arrivare in vetta!
ORTIGARA
2003
CRONACA DEL PELLEGRINAGGIO
E DEI DUE INCONTRI CHE LO HANNO CARATTERIZZATO
Ogni anno gli alpini, quale che sia il
tempo, salgono sull’Ortigara, luogo simbolo della memoria, e lo fanno con compostezza, devozione e, perché no, anche
con gioia e serenità, sentimenti che scaturiscono spontanei quando si è consapevoli di compiere un’azione giusta.
E perseverare, come fanno gli alpini,
nella conservazione gelosa della memoria e dei valori che in essa sono racchiusi
è proprio una di queste azioni.
Salire in Ortigara fa bene a tutti: per
fare un paragone, forse un tantino irriverente, è come per un’automobile fare il
pieno di benzina.
In Ortigara si è naturalmente portati a
riflettere sul sacrificio dei nostri soldati,
sul significato del dovere e del dolore, e
questa riflessione ci rinsalda in quei valori che sono il fondamento ed il collante
della nostra Associazione.
Il Monte Ortigara, dunque, è il nostro
luogo d’origine e rappresenta la sorgente
dei vincoli associativi, alla quale è bene
andare ad abbeverarsi, di tanto in tanto.
Con questo spirito, anche quest’anno,
il nostro Gruppo si è presentato puntuale
all’appuntamento.
Ma questa volta il Pellegrinaggio è
stato impreziosito da due incontri che
rispettivamente hanno aperto e chiuso la
nostra … due giorni.
Prima di andare ad Asiago, infatti, ci
siamo fermati ad Arzignano per incontrare quello che è ormai un nostro amico
sincero: Bepi De Marzi.
Con lui abbiamo pranzato parlando di
molte cose, chiedendo i soliti consigli per
future manifestazioni, ma soprattutto
stando ad ascoltare quanto lui aveva da
dirci dell’Ortigara.
E così siamo rimasti ad ascoltare, rapiti come al solito dal suo raccontare
semplice, delle sue salite con Gianni Pieropan (scrittore, storico e profondo conoscitore della storia scritta con sacrificio e
sangue in quei luoghi), della vita e della
gente dell’epoca, di un Veneto essenzial-
mente contadino e di quanto diverso fosse
dall’attuale … “Nord Est”.
Mi è difficile, per non dire impossibile,
trasmettervi le atmosfere che De Marzi è
riuscito ad evocare ma, per chi fosse interessato all’argomento consiglio vivamente
la lettura di un libro, scritto a quattro mani
da De Marzi e dalla moglie, Cecilia Petrosino, dal titolo “Arciso di Alvese” (edizioni
Cora - può essere ordinato anche via internet al sito www.cora.it ) che, prendendo le
mosse dal racconto della vita di una famiglia delle colline vicentine a cavallo tra le
due Guerre, descrive con semplicità e dolcezza un intero mondo fatto di sentimenti
profondi e di gente semplice e per bene.
Ma torniamo a noi.
Prima di lasciarci De Marzi ci ha fatto
un autentico regalo: ci ha messo in contatto
con Carlo Geminiani (per quei pochi che
non lo conoscessero, trattasi dell’autore di
alcune bellissime cante quali, ad esempio,
“L’ultima notte”, “Monte Pasubio”, “Joska
la Rossa” e tante altre) che aveva piacere
di conoscerci.
Gli ha telefonato, anticipandogli la nostra visita, e ci ha spiegato il percorso disegnandoci, persino, una piccola mappa.
Da Arzignano siamo ripartiti per Asiago ed essendo suddivisi in due equipaggi entrambi dotati di navigatore satellitare siamo riusciti a perderci, a fare strade diverse, per poi ritrovarci ad un bar alle porte
dell’Altipiano.
Misteri dell’elettronica.
Ad Asiago, la serata del sabato è trascorsa, più o meno, come al solito, grazie
alla squisita ospitalità di Massimo Bonomo
(Presidente della locale Sezione) e dei suoi
alpini. Naturalmente ci siamo ritrovati con
tanti tantissimi amici: Maurizio Astorri,
con la pattuglia parmense, gli amici di Varese guidati dal consigliere Botter e tanti
altri tra i quali, naturalmente il Presidente
Parazzini e l’onnipresente Edo
Biondo.
Quest’anno, prima della sontuosa
cena, visita guidata al Museo di Roana, veramente interessantissima.
Domenica mattina ore 6,00 partenza
per la salita, prima con la jeep e poi
a piedi.
Verso le 8,00 siamo arrivati in cima,
al cospetto della “Colonna Mozza”
dove già erano arrivate parecchie
centinaia di alpini, una vera e propria folla.
Tanti i vessilli e tantissimi i gagliar-
detti.
La folla vociante si è zittita di colpo
all’inizio della celebrazione della Messa
e l’atmosfera si è fatta, d’un tratto, mistica: non volava una mosca, si sentivano
solo le parole del celebrante e qualche
tintinnio di medaglie provenire dalla zona dei vessilli.
Al termine della messa, senza preventivi ordini o accordi, qualcuno ha cominciato ad intonare “Signore delle Cime”
ed il canto, nella mistica cornice
dell’Ortigara, alla fine, ha coinvolto tutti
i presenti.
Raramente ho provato una simile emozione.
Finita la cerimonia ci si è spostati a
rendere omaggio al “Cippo degli
Austriaci” e poi, giù, in fretta, per
raggiungere la chiesetta di Cima
Lozze e partecipare alla cerimonia ufficiale.
Non vi racconto del mio passaggio nei cunicoli austriaci (e
dell’effetto “tappo” che ho temuto) solo per dignità … la mia.
Anche la cerimonia a Cima Lozze è
stata commovente ma nulla in confronto
dell’emozione provata alla Colonna
Mozza.
Terminata la cerimonia la pattuglia di
Milano Centro si è ritrovata a Gallio, per
… mettere le gambe sotto al tavolo.
Al termine del pranzo, poi, si sono
riformati i due equipaggi: il primo è tornato dritto a Milano, mentre il secondo
(Marchesi, Guerino ed il sottoscritto) ha
puntato verso Trento per raggiungere
Lavarone, dove ad attenderlo c’era Carlo
Geminiani.
L’incontro è stato, non temo di esagerare, di una dolcezza profonda: ci ha accolto in casa come amici (cosa che di
questi tempi accade assai di rado) e come
amici ci ha trattato.
Dopo pochi minuti si aveva la sensazione di conoscerlo da tempo. Ci ha parlato di molte cose e di tanti personaggi
mostrando una sensibilità che è assai raro
riscontrare. Ci ha parlato di Bedeschi, di
Rigoni-Stern, dei Crodaioli, della Guerra,
del dolore e della sofferenza anche di chi
è tornato.
Ci ha intrattenuto per circa un’ora e
mezza, ci ha chiesto delle nostre iniziative, delle nostre aspirazioni, mostrandosi
sinceramente interessato.
Insomma un incontro eccezionale con
un Uomo … eccezionale.
Saremmo restati ore ad ascoltarlo,
purtroppo, però, dovevamo rientrare; ci
siamo lasciati con un abbraccio e con la
consapevolezza di aver trovato un nuovo
Amico.
Miracoli dell’Ortigara.
Cesare Lavizzari
Alpin del Domm – 3
Riceviamo e – ringraziando – pubblichiamo!
La Festa Sezionale a Legnano
Echi da Aosta – Echi dal Cuore
Nessun articolo di stampa né qualsiasi parola potrà mai rendere la
realtà di quest’atmosfera gioiosa, fatta di semplicità, sana allegria
ed espressioni dialettali – che deriva dalla coscienza pulita e dallo
spirito generoso ed altruista.
Quale abisso la separa dall’atmosfera che respiriamo quotidianamente leggendo di squallide vicende; dove si levano accuse e contraccuse; dove qualunque iniziativa anche buona viene subito boicottata; dove si sprecano in tavole rotonde di tutti i generi banalità e
invettive; dove, in definitiva, ciò che conta di più è il denaro.
Ad Aosta nulla di questo.
Il giorno precedente, anzi anche la notte precedente, canti, risate;
tutta gente che sembrava felice di essersi ritrovata; parecchi allegri
sopra le righe.
Il giorno della sfilata non si notava la minima traccia della nottata
in bianco.
Delle 300.000 penne nere presenti per l’occasione, dalla tribuna ne
ho viste 80.000, in fila per 9, ondeggiare davanti agli occhi
dall’alba al tramonto con passo cadenzato al suono delle fanfare
che apparivano a intervalli regolari.
All’orizzonte la marea ondulatoria proveniente dai punti di ammassamento sembrava montare di ora in ora facendosi sempre più fitta
e compatta, lasciando molte domande senza risposta: ma come è
possibile? Da dove provengono? Dove hanno passato la notte? Come hanno fatto ad organizzarsi per la sfilata?
I grandi tricolori
stesi orizzontalmente, i muli tenaci, i cani da salvataggio, le piccozze
e
le
corde,
l’enorme paracadute trascinato di corsa e gonfio d’aria,
la teca contenente
un riquadro di bandiera conservato
durante una lunga e
sofferta prigionia…
Quale abisso tra il significato ed il valore di queste palpitanti realtà
e lo squallore degli ottusi e pericolosi simboli sventolati nelle manifestazioni che siamo purtroppo costretti a subire a scadenze sempre
più ravvicinate!
Da una parte canzoni patriottiche e incitamento all’aiuto fattivo,
all’altruismo, all’amore per il prossimo; dall’altra solo sterili slogan
capaci di criticare, insultare, maledire.
Ed alla fine?
Da una parte: ordine e pulizia nei prati dove sostavano tende e roulotte e dove fumavano polenta e salsicce e si brindava; sì gli alpini
brindano col vino; bevanda e simbolo; perché ricorda di chi ha provato a trascorrere notti all’addiaccio “quando tira un forte vento e si
sente l’acqua giù per le spalle” e quando un gavettino di rosso era
forse l’unico conforto.
E dall’altra parte? Provocatorie distruzioni, vandalismi, devastazioni … e desolante sporcizia.
Ma la maggioranza delle persone guarda, giudica, fa confronti e
speriamo che non continui ad essere silenziosa, che cominci a far
sentire la propria voce e soprattutto che mandi a queste sfilate intere scolaresche dei propri figli a far domande, ad entusiasmarsi, ad
imparare cos’è l’alpinità, scolaresche di cui ho sentito una dolorosa
mancanza.
Ornella Crocco
4 – Alpin del Domm
… e gli altri dove sono?
Il Contrin quest’anno:
gli Alpini in armi (volontari)
e gli Alpini in congedo(entusiasti)
E dista più che Legnano!
CARO NOVANTUNO
di Giulio Bedeschi
a cura di Andrea Bianchi
Pubblicare un articolo su un fucile ai più
potrebbe sembrare un argomento fuori
luogo, visto le cronache di questi ultimi
mesi. Le armi sono sempre state viste come strumento negativo, da sopprimere e
inutile.
Al di là di ogni ideologia e nel rispetto di
qualsiasi opinione al riguardo, ho deciso
comunque di proporre alla Vostra attenzione il brano in questione per due motivi: il primo, personale – permettetemelo –
in ricordo di mio nonno, combattente
nella Seconda Guerra Mondiale, mancato
all’età di 92 anni. Quando riesumai un
vecchio fucile 91 fabbricato a Torino nel
1896, mio nonno, non più tanto lucido,
ebbe un sussulto; con la mano, lentamente accarezzò la cassa in legno e con gli
occhi lucidi ed un groppo in gola disse:
“L’è il novantün!!!”. Rimasi estremamente colpito.
Il secondo motivo è che questo articolo,
pubblicato su “Storia Illustrata n.197 –
aprile 1974” porta la firma dell’illustre
Bedeschi: e ciò non ha bisogno di ulteriori
spiegazioni del perché ripubblicarlo sul
nostro giornale di Gruppo!
***
Per più di mezzo secolo tutta la storia
militare italiana, in tempo di pace come in guerra, è strettamente connessa
a questo tipo di fucile, che per le generazioni italiane che si sono susseguite dalla fine dell’Ottocento fino
alla metà del secolo attuale ha rappresentato “l’arma” per antonomasia.
In esercitazione o in combattimento,
imbracciato e puntato con estrema
tensione in ore risolutive, oppure ridotto ad affaticante peso portato a
spall’arm o a tracolla, a gravare sulle
reni a ridosso dello zaino durante interminabili marce, il fucile modello
91 ha condiviso le sorti dei soldati e
ne è stato inseparabile compagno.
Con le sue molteplici varianti e modifiche, attuate di decennio in decennio, ha seguito l’evolversi delle richieste funzionali che tendevano ad
adeguarlo alle sempre nuove esigenze di tempi, di innovazioni tecniche,
di adattamento a compiti di soldati
d’arma diversa, in modo d’essere,
nelle sue versioni, arma adatta al soldato che di notte faceva la guardia a
una polveriera, oppure al cavalleggero
che doveva fissarlo alla sella del suo
cavallo. Dovendo essere, secondo le
intenzioni di chi lo ideò e ne curò la
messa in opera, arma costruita
all’altezza dei tempi, ebbe invece il destino, per l’immancabile divario di
tempo intercorrente fra l’ordinazione,
la messa a punto e la consegna, di trovarsi sempre in arretrato coi tempi e
con le esigenze belliche, e risultare antiquato almeno per alcune determinate
caratteristiche. Sicché, in definitiva, per
i soldati finì con l’essere un amico indivisibile sì, ma non sempre adeguato e
sicuro.
1906: gli alpini provano l’uniforme grigia;
l’armamento è il fucile modello 91
Tuttavia, bene o male, costituisce a
tutt’oggi, per diverse generazioni di
italiani, anche se considerato un cimelio posto da tempo fuori uso, un punto
di riferimento a cui si agganciano innumerevoli ricordi; e, per molti che
hanno partecipato alle guerre, attorno
al modello 91 sono rimasti appesi, come fossero buffetterie accessorie, interi
anni della loro vita.
Non è senza una sottile emozione, infatti, che ancor oggi innumerevoli uomini possono leggere frasi in apparenza insignificanti, quali “il fucile modello 91 si divide nelle seguenti parti principali: canna, culatta mobile, cassa,
meccanismo di caricamento e sparo,
bacchetta, sciabola baionetta, fornimenti vari”. Oppure: “l’otturatore si
compone di: cilindro con manubrio e
noce; percussore con punta, testa, asta e coda; molla a spirale con 32 giri;
tubetto con nasello; bottone zigrinato”. È un intero mondo giovanile che
si fa innanzi, a corteo di queste frasi
elencative, che nella loro aridità hanno lasciato tuttavia un solco indelebile nella memoria e spesso nel cuore.
Perciò vale forse la pena di riassumere brevemente la vita di questo fucile
91, e di rintracciarne le sorti, che
nell’arco di mezzo secolo finirono col
diventare complicate, trovandosi ad
essere esso stesso, per la sua sola presenza o assenza, protagonista di eventi e di storia, se non addirittura
un simbolo di un’epoca. Nella seconda metà del secolo scorso, con varia
progressione e priorità ma presso tutti gli eserciti delle
varie nazioni, il fucile subì molteplici
trasformazioni.
1906: gli alpini provano l’uniforme grigia; l’armamento è il fucile modello 91
Dal caricamento ad avancarica, e di
conseguenza a colpo singolo e talvolta dall’accensione a pietra focaia, passò al sistema di caricamento a retrocarica e poi a ripetizione, alla canna
rigata, a calibri più piccoli. Per quanto riguarda l’Italia, i vecchi fucili ad
avancarica dell’esercito piemontese
vennero trasformati a retrocarica con
un sistema a otturazione girevolescorrevole detto anche “a catenaccio”
messo a punto dal Carcano nonché
diffuso a tutti gli eserciti; nel 1870 da
noi venne adottato il fucile svizzero
Wetterly, ma senza serbatoio.
Questo, per quanto riguarda l’Italia,
venne applicato al Wetterly dopo
l’avvento dell’impiego della polvere
senza fumo, mediante una modifica
apportata dal Vitali, dalla quale derivò il Wetterly-Vitali con scatolaserbatoio centrale fissa per il riempimento rapido mediante caricatore.
Ma anche quest’arma risultò superata, nel 1888, dal Mannlicher austriaco
e dal Mauser tedesco; e in conseguenza il Ministero italiano decise di dare
incarico a una Commissione istituita
presso la Scuola di Fanteria di Parma
di portare a termine gli studi al fine
Alpin del Domm – 5
di poter realizzare un nuovo tipo di
fucile che sfruttando le più avanzate
acquisizioni tecniche potesse tener
testa, nel confronto, alle armi similari
in dotazione presso gli eserciti delle
altre nazioni.
Venne subito affrontata l’ipotesi preliminare di ideare un fucile a calibro
ridotto, affinché il soldato potesse
disporre di un maggior numero di
pallottole; ma nonostante la presentazione di qualche decina di modelli
nel giro di alcuni mesi da parte di
inventori italiani e stranieri, la Commissione respinse tutti i progetti e
finì con l’affidare direttamente alle
fabbriche d’armi statali la progettazione della nuova arma. Il segretario
stesso della Commissione, maggiore
Garelli, propose di modificare la rigatura della canna, ritenendo troppo
corto il passo delle righe elicoidali, e
di adottare invece una rigatura progressiva, aumentandone il passo con
un rapporto di circa 3:1 dalla camera
di scoppio alla volata. Una serie di
tiri di confronto eseguiti nell’estate
del 1890 confermarono la validità
dell’innovazione che in seguito venne nuovamente abbandonata per
chissà quale ragione.
Nel frattempo era affluita un’altra
cinquantina di progetti da tutt’Italia e
dall’estero, ma furono regolarmente
scartati. E per giungere a una conclusione venne indetto un concorso con
scadenza definitiva a fine d’anno 1891, e furono ancora sollecitate a concorrere le quattro fabbriche d’armi
italiane. L’esito del concorso portò
alla scelta del tipo di fucile presentato dalla fabbrica d’armi di Torino,
con una variante relativa al sistema
di alimentazione dell’arma mediante
caricatore a pacchetto, secondo la tecnica adottata dal modello 88 del
Mannlicher-Mauser tedesco. A titolo
di curiosità, si può riferire che l’Italia
pagò a von Mannlicher trecentomila
lire la cessione del brevetto.
Anche sul terreno pratico, il modello
di fucile uscito dalla fabbrica torinese, posto a confronto in alcune migliaia di esemplari con altrettanti fucili presentati dalle altre fabbriche di
Torre Annunziata e di Terni, e distribuiti in prova a reparti militari, otten6 – Alpin del Domm
ne una netta preferenza. Vennero fatte polverificio di Fontana Liri venne
alcune scelte, come la asportabilità del- modificata la formula della balistite
la baionetta, che consentiva all’attrezzo riducendo la quantità di nitrogliceriusi diversi da quello principale d’arma na, e il nuovo composto fu chiamato
bianca; soprattutto venne fissato il cali- solenite; la cartuccia a solenite entrò
bro della pallottola in mm. 6,5 e la car- in distribuzione nel 1896.
tuccia, anziché presentare al fondello Da alcune parti si è insinuato che la
un orlo rilevato, fu al contrario ideata battaglia di Adua sia stata perduta
con una scanalatura anulare su cui fa- anche perché i soldati italiani non
ceva presa il dente dell’estrattore.
avevano sufficiente dimestichezza col
Ciò comportò naturalmente ulteriori modello 91; in realtà pare accertato
modifiche al caricatore, al serbatoio e che questo non sia stato in dotazione
all’otturatore. In definitiva, fu nel mar- a quelle nostre truppe, le quali, piutzo 1892 che la Commissione preposta tosto, fra metropolitane e di colore
firmò il verbasommavano a neppure
le conclusivo,
quindicimila uomini, contro
p r o po ne n d o
i ben centoventimila etiopil’adozione del
ci. Sembra vero invece, purfucile che controppo, che il “91” per la
trassegnò:
prima volta sia stato impiemodello 1891.
gato contro italiani, allorché
Entro la fine
le truppe vennero schierate
dello
stesso
e spararono contro i milanemarzo, il Misi insorti durante i moti di
nistero della
piazza del maggio 1898. Figuerra ribadì
no al 1911, e cioè alla guerra
la
sanzione
di Libia, il nuovo fucile in
che divenne
sostanza venne quasi esclusubito operansivamente adoperato per
te, i primi eaddestramento dei soldati
semplari vendelle nuove leve, perdendo
nero assegnati
a poco a poco i difetti che
alla fanteria e
man mano si andavano
distribuiti agli 1910: in caserma per la foto ricordo. Il sol- manifestando e diventanalpini, i quali dato mostra un bellissimo moschetto 91 TS do sempre più un’arma di
ultimi
ben
tutto rispetto, anche se
presto posero
non fu da considerare ecin evidenza l’eccessiva lunghezza cellente fra le consorelle in dotazione
dell’arma, in relazione a determinate presso gli altri eserciti. Dotata di noloro condizioni d’impiego. Non si tar- tevole precisione, in mani di tiratori
dò, perciò, a porre allo studio un nuo- esperti nei poligoni di tiro dimostravo tipo di arma, nel suo insieme più va di saper costantemente concentracorta, chiamata “moschetto”, che aven- re in una piccola rosa le sue pallottole
do canna e cassa accorciate e una baio- anche a distanze ragguardevoli, e col
netta alleggerita, triangolare e ripie- passare degli anni cominciò ad acquighevole, già nel giugno 1893 venne po- stare un significato quasi simbolico a
sto in distribuzione e assegnato in do- costituire “l’arma” per eccellenza sultazione anche ai carabinieri, alla caval- la quale si andavano concentrando
leria, ai reparti ciclisti.
ricordi, episodi, confronti, tutto un
Naturalmente, in questa prima fase insieme di circostanze d’ordine anche
d’impiego emersero alcuni inconve- sentimentale, sportivo o velleitario
nienti, perché con una certa frequenza che comunque, avendo come termine
l’arma si inceppava a causa di non riu- fisso di paragone il “91”, ponevano a
scite estrazioni di bossoli, i cui fondelli cimento e a confronto anno per anno,
invece altre volte si staccavano. La cau- classe per classe, la gioventù italiana
sa principale di questi difetti venne in- di quei tempi.
dividuata nell’azione della balistite; nel
(1 continua)
Sessant’anni dopo
I monumenti, i cippi, le croci, dinanzi ai
quali ci ritroviamo ogni anno per rivolgere un reverente pensiero alla memoria di
Caduti della Guerra 1915 – 1918 e della
Guerra 1940 – 1945, impongono – oggi –
alcune riflessioni.
Dal 1918, fine della prima guerra mondiale, sono trascorsi 85 anni: i protagonisti di quei gloriosi e storici eventi sono
vivi, oramai, solo nella nostra memoria.
Ma anche i combattenti della seconda
guerra mondiale, terminata nel 1945, 58
anni or sono, se ne sono già andati, quasi
tutti.
La guerra, pur nella sua crudeltà, ne ha
risparmiati molti. La legge del tempo,
implacabile come un gigantesco devastante compressore, non risparmia nessuno.
E oggi, davanti a questi monumenti, ad
onorare coloro che ci hanno preceduti, ci
ritroviamo in numero sempre minore.
Ma proprio per questo ci è di conforto
vedere, al nostro fianco, molte di quelle
persone cui l’anagrafe ha evitato gli orrori della guerra. Non tutte, certo. Il tempo,
purtroppo, cancella molti ricordi. E troppi italiani vivono dimentichi del passato,
delle memorie storiche dalle quali originano le tradizioni della nostra terra.
E mentre – quando rivolgo un pensiero
reverente alla memoria dei coetanei
scomparsi, dai commilitoni caduti in
combattimento agli amici falciati poi dalla vita – sento stringersi accanto a me in
un abbraccio ideale tutti coloro i quali
hanno condivise le nostre stesse amare
esperienze – io colgo spesso,
nell’espressione dei giovani che ci ascoltano, una sorta di rispetto misto
all’incapacità di capire, di cogliere appieno il significato del nostro ricordo, delle
nostre parole.
Capita infatti, sempre più di frequente, a
noi veterani, di percepire nella stupita
perplessità di molti giovani interlocutori,
delle grosse lacune storiche, delle forti
GINETTO ACHILLI
Per non dimenticare
Per ricordare la volontà dell’amico
Ginetto Achilli come già pubblicato
sul numero precedente, Palloni e Ravizzotti sono a disposizione per raccogliere fondi che andranno
all’Istituto Disabili Gravi – Fondazione Don Gnocchi – per l’acquisto
di materiale didattico a questi fratelli
meno fortunati.
È un segno a ricordo del nostro amico Ginetto.
Grazie del vostro buon cuore.
zone d’ombra su di un passato che, per noi
ancora vivo, si perde per taluni di loro nella notte dei tempi.
Molti di noi se ne rattristano. Ma è un fatto
più che naturale. Quando, ancora adolescenti, negli anni del primo dopoguerra,
noi sentivamo parlare i “vecchi” della prima guerra mondiale, li ascoltavamo con il
rispetto che si doveva ai nonni. Ma erano
pur sempre dei “giovani nonni” quarantenni, non ottantenni quali noi siamo adesso.
E, quando a scuola, ci parlavano delle
guerre del Risorgimento, dei moti del 1848, risalenti a 90 anni prima, ci sembravano
storie di altri tempi.
Ora noi parliamo, a nostra volta, ai giovani, di avvenimenti che risalgono “solo” a
60 anni or sono, ma in un mondo che in
questi sei decenni ha bruciato i tempi, sei
decenni che hanno completamente sconvolta la nostra vita, portando, assieme al
benessere economico, al completo sconvolgimento di quelli che erano i nostri ideali, i valori per cui ci siamo battuti.
Oggi viviamo nell’era del telefonino. Quel
telefonino che sessant’anni or sono era rappresentato, per noi, dai portaordini che correvano da un punto all’altro dei campi di
battaglia, inseguiti dalle granate. Perché le
radio e i telefoni c’erano già, certo, ma nel
momento del bisogno non funzionavano
quasi mai.
Oggi viviamo nell’era del fast-food. Quel
fast-food che nei nostri ricordi era – quando arrivava – una mezza gavetta di brodaglia in cui navigavano si e no 7 – 8 maccheroni della naia, quelli che chiamavamo
“tubi”.
Oggi viviamo in case linde, dotate di servizi igienici raffinati, d’acqua calda e fredda.
Quell’acqua che andava già bene se ce
n’era per bere, non certo per lavarci, sporchi com’eravamo, non le divise lacere e
straripanti di pidocchi. Quando la doccia
era per noi la pioggia che ci penetrava nelle ossa.
Oggi dormiamo al tepore dei termosifoni.
Quei termosifoni che noi non sapevamo
nemmeno cosa fossero. Non c’erano nep-
pure nelle nostre case, a quei tempi. E
men che meno in guerra. Quando per materasso avevamo la neve, o il fango, e per
coperta il cielo.
Tutto questo, questo ed altro io ricordo
quando – più fortunato dei miei compagni falciati in combattimento dalla mitraglia, o, peggio, consumati dalla fame,
stecchiti dal gelo, affondati con la loro
nave – io mi raccolgo in preghiera con
reduci sopravvissuti a quelle tragiche
giornate per ricordare ed onorare coloro
che la guerra ha stroncato a vent’anni.
Ma c’è un’altra guerra, della quale nessuno parla. Quella che tutti i superstiti del
secondo devastante conflitto hanno dovuta combattere al loro ritorno. Quando
pagammo la riconquistata libertà con la
distruzione delle nostre case, con la miseria, con la fame. Quando fummo costretti a ricominciare tutto da capo. Le
case da ricostruire, i campi minati da bonificare. Ci rimboccammo le maniche,
tutti, e combattemmo un’altra guerra,
non meno dura, per taluni aspetti. La
guerra per procurarci il pane.
Ricordando tutto questo, mi è di conforto
il fatto che i nostri sacrifici di allora abbiano fatto capire a molti uomini che è
assurdo impugnare le armi contro altri
uomini solo perché nati un po’ più a
nord, o a sud, o ad est, o ad ovest della
nostra terra natale, come purtroppo ancor
oggi accade presso altre genti. Mi è di
conforto il fatto che stiamo dando vita ad
una Europa unita dove non ci siano più
né vinti né vincitori, ma solo uomini volti
a costruire una civiltà sempre migliore.
A voi più giovani, dunque, l’impegno di
ricordare, anche nel futuro, il sacrificio
dei nostri e vostri padri: di coloro i quali,
sopravvissuti a quel periodo di lotte,
combatterono una seconda guerra per
procurarsi il pane. Quella guerra che oggi
ha recato benessere a tutti noi, quel benessere che ci auguriamo possa, un giorno, raggiungere tutti i popoli della terra.
Sergio Pivetta
Ci vediamo a …
27-28 settembre
Tambre (BL) - Premio fedeltà alla
Montagna
18 ottobre
Milano, ore 17:45 presentazione del
Libro di Nardo Caprioli Cantavamo Rosamunda
all’istituto Palazzolo, via Don L. Palazzolo
21, con la partecipazione del nostro Coro.
19 ottobre
Missaglia inaugurazione nuova baita
15-16 novembre
Milano Castagnata in piazza
Cairoli
Alpin del Domm – 7
Scheda Anagrafica Donatori di Sangue
In collaborazione con " Gruppo Donatori di Sangue Istituto Nazionale dei Tumori - ANA
Sezione di Milano"
N.ro Campo
DATI ANA
1 Sezione di Appartenenza:
2 Gruppo di Appartenenza:
DATI PERSONALI
3 COGNOME:
4 NOME:
Nascita
5 Data - gg/mm/aaaa:
6 Luogo:
7 Provincia:
Residenza, telefoni, e-mail
8 Località:
9 Via/Viale/Piazza ...:
10 Numero civico:
11 CAP:
12 Provincia:
13 Telefono abitazione:
14 Telefono lavoro:
15 Cellulare 1:
16 Cellulare 2:
17 e-mail:
DONAZIONE SANGUE
18 Gruppo Sanguigno:
19 Tipo Donazione:
(sangue intero, piastrine, etc. )
20 Abilitazione:
(1,2,3,4, ... volte all'anno)
21 Donazioni effettuate nel corso dell'ultimo anno:
22 Associazione di appartenenza od Ente abituale di donazione:
23 Località:
Questa pagina può essere fotocopiata ovvero ritagliata, poi consegnata al Capogruppo
Alessandro Vincenti completa di tutti i dati richiesti. Potete inoltre darne copia ad altri
(possibili) donatori che volessero aggregarsi.
8 – Alpin del Domm
Parola di Capogruppo …
Ci abbiamo provato
Sul numero 4 – luglio 2003 – dell’Alpin
del Domm, il nostro Capogruppo ha sollevato una giusta lamentela, in merito alla
mancata adesione da parte dei soci del
Gruppo alla gita organizzata, con destinazione Rovereto alla fine di maggio.
Le prenotazioni sono state scarse, al punto
di rinunicare alla gita. Ora dobbiamo fare
delle riflessioni.
La prima è questa: è inutile “mugugnare” e
dire il Gruppo non pensa a organizzare cose alla portata di tutti, questa era valida per
tutti!
Secondo: rimane sempre il dubbio se fare
altri tentativi o no? Attenzione, chi deve
organizzare è impegnato a scegliere una
località accessibile a tutti (non è possibile
inserire scarpinate di due o tre di cammino) con una distanza chilometrica che non
superi le due o tre ore di viaggio in pullman; deve trovare una località di interesse
turistico-culturale che possa piacere alla
massa; non deve trascurare i costi - viaggio
più pranzo - entro certi limiti.
Gli organizzatori sono impegnati nella prenotazione del pullman, del ristorante, tutto
questo molto tempo prima, almeno 30/40
giorni; devono inviare il programma ai Soci, almeno un mese prima.
Se mettiamo insieme tutti questi questi
fattori, vi renderte conto che la programmazione richiede tempi abbastanza lunghi.
Fatto tutto questo rimanse solo che attendere le prenotazioni che purtroppo arrivano sempre all’ultimo minuto (vedi Cene)
creando agli organizzatori un sacco di problemi.
Ma non è tutto: se non va in porto occorre
disdire ciò che è stato fatto trovando delle
scuse con i nostri interlocutori (pullman,
ristorante, guide ecc.) con giustificazioni un
po’ amene.
A questo punto rimane ancora da risolvere
il problema del futuro. È doveroso da parte
di tutti i Soci dire (non mugugnare) quale
interesse possono avere nel partecipare a
eventuali gite e di che tipo in modo che il
Gruppo possa valutare e programmare il
domani .
Il Capogruppo ed i Consiglieri sono a vostra disposizione per raccogliere impressioni, suggerimenti e altro, in modo da definire questo problema nel migliore dei modi e
nell’interesse di tutti.
Se per voi è più comodo scrivere le vostre
impressioni, sono ben accette, l’importante
è conoscere il vostro pensiero in materia di
gite.
Non mettete la testa sotto la sabbia …
Rav