L`estate del mio primo bacio

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L`estate del mio primo bacio
Giovedì
10 Agosto 2006
IL TIRRENO
25
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«Un amore per imparare»
Pago: «Ero troppo impegnato a capire come funzionasse»
Il concorso. Con le
storie di Marina,
Alessia e Lisa continua
la pubblicazione
dei racconti
inviati dai lettori
I
l primo bacio per imparare, capire “come si
fa”, senza aspettarsi niente di più. Pacifico
Settembre, in arte Pago, che l’estate scorsa
impazzava nelle radio con “Parlo di te”, la sua
esperienza l’ha vissuta così. «Con Tania, una ragazza tipicamente sarda. Quindi bellissima!», ricorda proprio dalla Sardegna, dove si trova per
un paio di serate, in attesa del nuovo singolo
che arriverà a settembre.
È stato un colpo di fulmine?
«Beh, sì, io ero pazzamente innamorato di questa ragazzina. Lei abitava proprio vicino a casa
mia a Quartu S. Elena, in provincia di Cagliari».
Quanti anni avevi?
«Non ricordo esattamente, comunque non superavo i tredici e lei aveva la mia stessa età. Era
piccola, non ancora pienamente sviluppata, ma
già molto carina».
Da quanto la conoscevi quando è successo?
«Eh, è passata un’eternità prima che mi decidessi, più di un anno, perché ero molto timido e
lei lo stesso, poverina...».
Hai preso tu l’iniziativa?
«Sì, ci vedevamo praticamente tutte le sere,
eravamo nello stesso gruppetto di ragazzini,
quindi le occasioni non mancavano. Però nessuno di noi due trovava il coraggio. Finché mi sono deciso».
È stato bello?
«Bello proprio non direi... Nessuno dei due sapeva esattamente come muoversi. Eravamo impacciati e in più pensavamo ad altro. Dovevamo
capire come funzionasse».
Avete avuto tempo per fare pratica?
«Non tanto. Siamo stati insieme pochissimo.
Poi abbiamo cambiato casa e ci siamo persi di vista».
A distanza di anni che significato dai a
quel primo bacio?
«Un’esperienza che è servita per il futuro. Di
occasioni poi, per fortuna, ne sono capitate anche altre...».
Mauro Cappiello
Il gran caldo, una cravatta a righe
e noi due a mangiare cibo cinese
Q
uando gli anni successivi avrei ripensato a
quell’estate
sarebbe
stato certamente questo che
mi sarebbe venuto in mente
per primo: il caldo, una cravatta a righe e l’odore di cibo
cinese.
Ore 8 e 15. Mi guardai attorno desolata: la stanza era
l’apoteosi del caos, ed in più
era impregnata da quel maledetto odore di cibo cinese. Sarebbero stati tutti lì a momenti: utopistico pensare di
riordinare. Accesi un incenso alla verbena nel vano tentativo di coprire quell’odore.
Continuavo a fissare la beffarda cravatta a righe: sembrava sapesse già tutto. Quella cravatta mi seppellirà,
continuavo a pensare accogliendo gli amici sulla terrazza, e tentando di spiegare
che il curry non è quella cosa gialla che mettono sui risotti a Milano... Che cosa stupida! Come poteva una cravatta sapere qualcosa? Eppure, allora, sembrava così
plausibile.
Mangiavo riflettendo su
quante cose si possono imparare su una persona mentre
mangia: Martina scansava
dal suo riso cantonese i cubetti di prosciutto ma poi si
ingozzava di pollo fritto, Michele ad ogni boccone azzardava voli pindarici sulla cultura cinese, Giulia continuava a ripetere di non avere fame mentre ingurgitava uno
dopo l’altro pezzetti di pollo
al limone, Davide ci deliziava con truci notizie su gatti
morti trovati nelle cucine di
alcuni ristoranti cinesi giù a
Roma. Poi c’era Claudio.
Non riuscivo a smettere di
guardarlo. Mi viene da ridere al pensiero di come lo trovassi perfetto quella sera,
qualsiasi cosa facesse: mentre si riempiva la bocca di
pollo al curry, ripuliva la vaschetta di quello alle mandorle e finiva tutti gli involtini
In giro per festeggiare con gli amici
ma quella sera venne solo Martino
T
primavera, era proprio perfetto. Magicamente, come
sempre, al momento di sparecchiare, ripulire e liberarsi di tutti quei cartocci bisunti, ognuno aveva trovato
qualcosa di improrogabile da
fare: Martina e Giulia erano
in bagno, mentre Federica teneva loro la porta; Michele
era al telefono mentre Davide...beh, lui era semplicemente fuggito.
Nella sera estiva eravamo
rimasti solo io, Claudio e
qualche montagna di carte bisunte.
«Che bella serata stasera».
«Già».
«Pieno di stelle».
«Eh sì».
Non sapevo cosa dire.
Ma dopotutto cosa potevo
rispondere
all’espressione
«pieno di stelle»? Non aveva
alcun senso.
Odiavo i silenzi.
Solo che, ad un tratto non
sentii più il bisogno di cercare le parole.
Quando gli anni successivi
avrei ripensato a quell’estate
sarebbe stato certamente
questo che mi sarebbe venuto in mente per primo: il caldo, la cravatta a righe, l’odore di cibo cinese e il mio primo bacio.
Marina Petri, 16 anni
Livorno
utto cominciò con un
cambiamento di programma. Le lezioni all’università erano finite per la
pausa estiva, ed il biglietto
del mio treno per casa aveva
la data del 21 giugno. Mi ero
sentita un po’ in colpa mentre ero in agenzia, perché era
il compleanno di Sabina e mi
dispiaceva andarmene da Milano senza salutarla. Era mezzogiorno, avevo ancora tre
ore di tempo prima di partire
e di sicuro l’avrei trovata in
biblioteca a cazzeggiare con
quelli del gruppo “emmezeta”, così avevamo deciso di
chiamarci dato che la nostra
amicizia era nata grazie alla
suddivisione alfabetica dei nostri cognomi.
Raggiunsi Sabina che stava
chiacchierando con alcune
persone. Con una rapida occhiata notai qualche viso sconosciuto, in particolare quello di un ragazzo con l’aria sorridente che fissava in maniera impertinente le tette di
una morettina amica brianzola della Sabi. «Ciao, sono Mar-
Pago, all’anagrafe
Pacifico Settembre,
sul palco
del FestivalBar 2005
con la sua chitarra
«C’hai presente?». E fermai tutto sul più bello
O
gni giorno di quell’estate, tempo
permettendo, io e le mie amiche
prendevamo i nostri Ciao per raggiungere i mitici scogli piatti. Fu un
giorno di quelli, che conobbi Paolo.
Lui, ventisette anni, una vita vissuta
con dolore, io diciannovenne con l’entusiasmo di chi vuol cambiare il mondo.
Ci incontrammo sulla battigia proprio mentre cadevo sull’erbetta scivolosa. Iniziammo a parlare. E fu un parlare lungo tanto quanto i giorni che trascorsero prima che io cadessi in un suo
Il cantante. «Tania
era una mia
vicina di casa
Una ragazza
tipicamente sarda
Quindi bellissima!»
inaspettato tranello.
«Sì, è vero, ti aspettavo ieri sera all’ippodromo», confessai.
Ci demmo appuntamento per il giorno successivo sugli stessi scogli.
«Allora, stiamo insieme?», mi chiese.
Ed io, con il mio solito sorriso ingenuo
annuii. Fu così che avvicinò le sue labbra alle mie ed io risposi timidamente.
Ad un tratto dissi: «C’hai presente?»
ed interruppi il tutto! Lui fra l’incredulo ed il meravigliato forse capì.
Io, appena affacciata al castello delle
meraviglie, ero stata sfiorata dai fantasmi della paura e dal fatto che tutti, lì,
in quel meraviglioso luogo mi conoscevano.
Ogni tanto, nella nostra lunga storia,
ci sorprendevamo a ridere sull’inesauribile «c’hai presente».
Oggi, dopo altri primi baci, osservando la vita nei ragazzi, ripenso a quel momento, riuscendo ad illuminare il cuore
con lo stesso sorriso.
Lisa Canaccini, 36 anni
Livorno
tino!», aveva quasi urlato porgendomi la mano. Quella sua
allegria mi affascinò subito,
soprattutto perché ero valsa
un minuto di distrazione dalle famigerate tette, e questo
ahimè non capitava spesso.
Noi del gruppo “emmezeta”
eravamo famose in università perché simpatiche e molto dotate di senso dell’umorismo, data la natura che, in
materia di estremità, ci era
stata avversa alla nascita.
La Sabi dette appuntamento a tutti alle sette e trenta in
piazza del Duomo per gli opportuni festeggiamenti. Non
fui capace di sottrarmi all’euforia del gruppo per la serata,
e soprattutto a quel ciao che
era stato di una potenza devastante, da non farmi dubitare
neppure per un micro-secondo che io a quell’appuntamento ci dovevo proprio andare,
nonostante questo mi sarebbe probabilmente costato: a)
cazziatone di mia madre per
non aver rispettato quanto
convenuto, b) cazziatone di
mio fratello che mi avrebbe
aspettato alla stazione smadonnando, c) non sapere dove
andare a dormire dato che
oramai avevo consegnato la
chiave della stanza al dormitorio dell’università.
Mi presentai all’ora ics stabilita più dieci minuti di ritardo per darmi un tono e non
sembrare una spaccaballe
maniaca della precisione. Ed,
incredibilmente, fui l’unica a
rispettare gli accordi. Per un
inspiegabile e misterioso motivo, ancora oggi irrisolto,
non si presentò nessun altro
a parte Martino. A dire il vero, la cosa non ci dispiacque,
soprattutto quando ci scambiammo il nostro primo bacio, al cinema, durante la pausa di “Waterworld”.
Era il 1995, e dopo undici
anni non siamo finalmente
più solo noi due.
Alessia Maggiani
Milano