Tutto secondo copione, affondate le quote rosa

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Tutto secondo copione, affondate le quote rosa
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art.1, comma 1, dcb roma
Martedì 11 Marzo 2014
Anno XII • N°49
1,00
EUROPEE PD
TAGLIO TASSE
CGIL DIVISA
I carissimi nemici. Renzi
presenterà il libro di D’Alema:
A PAGINA 2
verso il disgelo?
Il ministro Padoan illustra a
Bruxelles il piano del governo
su crescita e lavoro A PAGINA 3
Non solo Landini. Adesso
anche Cantone si smarca
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dalla leader GOVERNO
ITALICUM
EDITORIALE
OGGI IL SÌ DI MONTECITORIO
Bellezza e green economy,
la forza del Jobs Act
Renzi, Camusso
e quella foto
che non c’è
ERMETE REALACCI
P
er dirla con una metafora
dell’inizio del secolo scorso
abbiamo bisogno del pane ma anche delle rose. Le scelte che il governo Renzi farà domani, il Jobs
Act, andranno valutate dalla credibilità dei numeri, ma anche
dalla direzione di marcia che
proporranno all’Italia, dalla capacità di mobilitare energie vitali.
Giusto partire da una riduzione del cuneo fiscale, in Italia
altissimo, e giusto orientarsi a
concentrare la riduzione soprattutto sui redditi più bassi. Non
solo per ovvie ragioni di equità,
ma perché l’effetto sarà più av-
vertibile per le famiglie e per la
ripresa del mercato interno, che
è il vero grande malato italiano.
L’Italia non è infatti, contrariamente a molti luoghi comuni, un
paese incapace di competere e il
nostro costo del lavoro rimane,
nonostante l’abnorme tassazione, inferiore a quello dei maggior
paesi europei, a cominciare dalla Germania. Siamo infatti uno
dei soli cinque paesi al mondo
che vanta un surplus manifatturiero superiore a cento miliardi
di dollari: gli altri sono Cina,
Germania, Giappone e Corea del
Sud.
Quella spregiudicatezza
tornerà utile in Europa
MONTESQUIEU
L’
intensità di una delusione si
misura sull’intensità della
illusione che la ha generata. Cosicché, la delusione, ancora teorica e prematura, per una mediocre riuscita del governo di Matteo
Renzi sarebbe assai più penetrante di quella derivante da un
analogo risultato della gran parte dei gabinetti che lo hanno preceduto.
Eccezion fatta per i primi
esecutivi di Silvio Berlusconi, che
erano circondati da due stati d’animo inossidabili ed inconciliabili: da un lato di taumaturgica
aspettativa, dall’altro di timore
quasi catastrofico.
Si può forse sottolineare una
differenza, tra le molte di due leader lontani per epoca politica
ed età anagrafica: se erano e sono, per entrambi, assai numerosi
i tifosi, che chiameremo rispettivamente “berlusconiani” e “renziani”, nel caso del sindaco fiorentino essi sono affiancati da
una folta presenza di una categoria di sostenitori non militanti,
che potrebbero definirsi “renzisti”.
Mentre è sempre stata categoria assai sparuta e contraddittoria quella equivalente dei “berlusconisti”.
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RENZI /2
Contro i veti del sindacato,
anche Blair iniziò da lì
FABRIZIO RONDOLINO
re milioni di iscritti alla Cgil
(su un totale di circa 5,7) sono pensionati; i lavoratori cosiddetti “atipici” – cioè tutti quelli
che non hanno un contratto a
tempo indeterminato – sono
70.000, i disoccupati appena
13.000. In queste nude cifre –
ammesso che siano veritiere,
poiché non esiste alcuna autorità terza di controllo sul tesseramento, sulla vita interna e sui
bilanci dei sindacati italiani – è
racchiuso il senso dello scontro
fra Matteo Renzi e Susanna Camusso.
Bisogna essere onesti. Il sindacato italiano non è “il sinda-
GIOVANNI
COCCONI
C
SEGUE A PAGINA 3
RENZI/1
T

cato dei lavoratori”, e tantomeno
è una “parte sociale”: il sindacato italiano rappresenta i pensionati e i lavoratori del settore privato e (soprattutto) pubblico
garantiti dal “posto fisso”. Ma ad
avere il posto fisso, su quasi 23
milioni di occupati, sono appena
14,8 milioni, poco più della metà
(dati Istat 2012). E se consideriamo anche gli oltre tre milioni
di disoccupati ufficiali e i tre milioni di lavoratori in nero (stima
della Cgia), la conclusione è semplice: la maggioranza del mondo
del lavoro non è rappresentata
dai sindacati.
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Tutto secondo copione,
affondate le quote rosa
Dopo un interminabile tira e molla la camera respinge tutti gli
emendamenti per la parità di genere. Si spaccano i grandi partiti
RUDY FRANCESCO
CALVO
L
a camera ha bocciato tutti gli
emendamenti sulla parità di
genere. È stato questo il discutibile passo principale compiuto
ieri a Montecitorio dalla riforma
elettorale, che oggi dovrebbe ottenere il via libera sul testo complessivo da parte dei deputati per
poi passare al vaglio del senato.
Non è bastata l’iniziativa plateale di molte deputate (e deputati), che si sono presentate in
aula vestite di bianco, né la scelta
di governo e prima commissione
di rimettersi all’aula, così come la
decisione di Partito democratico,
Forza Italia e Nuovo centrodestra
di lasciare ai propri deputati libertà di coscienza sui tre emendamenti bipartisan che avevano
come prima firmataria la dem
Roberta Agostini. A coprire i
tanti contrari a un’equa rappresentanza di genere nelle posizioni di vertice (e quindi “utili” all’elezione) delle prossime liste elettorali è stata la richiesta di voto
segreto, che è stata sottoscritta
da un numero sufficiente di deputati, soprattutto della parte
destra dell’emiciclo.
L’attenzione si concentrava
soprattutto sull’emendamento
1.92, che prevedeva la presenza di
almeno il 40 per cento di donne
come capilista. La bocciatura è
arrivata con 298 voti contrari, a
fronte dei 253 favorevoli.
Non sono bastati i numerosi
interventi di esponenti del Pd a
convincere l’emiciclo all’approvazione. Sono stati soprattutto i
deputati cuperliani (Alfredo
D’Attorre, Guglielmo Epifani,
Barbara Pollastrini) a chiedere
esplicitamente il sì dei colleghi,
alcuni (Nico Stumpo e la lettiana
Anna Ascani) rivolgendosi esplicitamente anche ai Cinquestelle.
Ma anche tra i renziani (Ermete
Realacci, Walter Verini) sono venuti sì espliciti alla proposta di
Agostini.
L’emendamento 1.88, che impediva la presenza in lista di due
candidati consecutivi dello stesso
genere, è stato bocciato con 335
no e 227 sì. Crescono i no – anche
per l’opposizione di Fratelli d’Italia – sulla richiesta di parificare il numero dei capilista: 344,
contro 214 sì. Come lasciano intendere i numeri, l’opposizione
alle quote rosa è stata trasversale,
coinvolgendo sia Forza Italia, la
cui contrarietà “ufficiosa” era no-
n n ROBIN
Rottamazione
Il premier alla presentazione del
nuovo libro di D’Alema. Titolo:
Rifarsi una vita dopo la
rottamazione.
ta ed esplicita, sia il Pd, come ha
fatto notare Sandra Zampa.
La giornata è stata caratterizzata da numerose “pause di riflessione”, che hanno fatto slittare il voto sulle quote rosa fino a
sera. Il ministro Maria Elena Boschi ha provato a mediare tra le
diverse posizioni, per evitare clamorose rotture e provare a raggiungere un risultato condiviso.
Ma non è riuscita ad andare oltre
la disponibilità di FI a lasciare
libertà di voto, anche per rispetto
delle proprie deputate, che condividevano la battaglia promossa
dalla collega dem Agostini: da
Renata Polverini a Mara Carfagna, da Stefania Prestigiacomo a
Laura Ravetto.
L’esame della riforma riprenderà questa mattina per arrivare
al voto finale. Ma la battaglia per
introdurre correttivi ricomincerà
certamente al senato, dove già
Ncd e la minoranza dem – fra gli
altri – promettono battaglia
sull’abbassamento delle soglie
d’accesso per le liste coalizzate e
non (anche questo bocciato ieri a
Montecitorio), sulle preferenze e,
ovviamente, sulla rappresentanza
di genere.
Il regolamento di palazzo Madama – a differenza di quello di
Montecitorio – non prevede su
questi temi il voto segreto. Si tratta di un’arma a doppio taglio: se
su alcuni emendamenti, che rischierebbero di far saltare l’accordo Renzi-Berlusconi, il voto
palese dovrebbe evitare sgraditi
sgambetti, sulle quote rosa, ad
esempio, sarà più difficile una
bocciatura “a volto scoperto”.
@rudyfc
he le aspettative verso Matteo Renzi di quello che un
tempo chiamavamo paese reale
restino ancora alte non lo dicono
solo i sondaggi. Riascoltatevi gli
applausi partiti l’altra sera in alcuni passaggi dell’intervista a Fabio Fazio a Che tempo che fa. Per
esempio quando, parlando della
possibile opposizione dei sindacati, il premier ha risposto: «Ce
ne faremo una ragione».
Il consiglio dei ministri di domani rappresenta il vero battesimo del nuovo governo, il primo
passo dagli annunci ai fatti. Gli
annunci, fino ad oggi, sono stati
molti, forse troppi, dal pagamento di tutti i debiti della pubblica
amministrazione al grande piano
per l’edilizia scolastica al taglio
delle tasse. Anzi, il rischio è l’effetto over promise, di non riuscire
a mantenere le attese molto diverse tra loro e molto alte di un
paese unito solo dalla delusione
verso la classe politica ma che
sembra concedere un’ampia
apertura di credito al nuovo arrivato.
La strada preferita da Renzi
sembra quella di una scossa per
rimettere in moto i consumi interni attraverso un taglio dell’Irpef dei redditi più bassi da finanziare soprattutto con i risparmi
della spesa pubblica frutto del lavoro del commissario per la spending review Carlo Cottarelli, che
dalla settimana prossima lavorerà nella squadra di palazzo Chigi.
Oltre al decreto sul taglio delle
tasse il premier dovrebbe presentare il disegno di legge sul Jobs
Act e anche su quello non potrà
accontentarsi di un po’ di manutenzione sugli ammortizzatori
sociali. Ci si aspetta molto su una
radicale riforma delle politiche
attive per il lavoro e la licenziabilità dei dirigenti della pubblica
amministrazione.
Non solo Renzi non ha convocato prima le parti sociali ma sarà
molto difficile immortalarlo dopo
in quelle fotografie di rito nella
Sala verde di palazzo Chigi con
centinaia di persone sedute dietro i segretari di Cgil-Cisl-Uil e il
presidente di Confindustria. Il
metodo è cambiato, Susanna Camusso dovrà farsene una ragione.
Anche perché se davvero il premier riuscirà a tagliare l’Irpef ai
redditi più bassi in modo visibile
(si parla di 80-100 euro al mese
in più in busta paga, non come
fece il governo Prodi nel 2006)
farà esattamente quello che i sindacati, Cgil in testa, chiedono da
alcuni anni senza ottenere quasi
nulla. E poi dice la crisi della
rappresentanza. @giovannicocconi
Chiuso in redazione alle 20,30