Tutto secondo copione, affondate le quote rosa
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Tutto secondo copione, affondate le quote rosa
Poste Italiane s.p.a. - sped. in abb. post. d.l. 353/2003 (conv. in l. 27.02.2004, n.46) art.1, comma 1, dcb roma Martedì 11 Marzo 2014 Anno XII • N°49 1,00 EUROPEE PD TAGLIO TASSE CGIL DIVISA I carissimi nemici. Renzi presenterà il libro di D’Alema: A PAGINA 2 verso il disgelo? Il ministro Padoan illustra a Bruxelles il piano del governo su crescita e lavoro A PAGINA 3 Non solo Landini. Adesso anche Cantone si smarca A PAGINA 2 dalla leader GOVERNO ITALICUM EDITORIALE OGGI IL SÌ DI MONTECITORIO Bellezza e green economy, la forza del Jobs Act Renzi, Camusso e quella foto che non c’è ERMETE REALACCI P er dirla con una metafora dell’inizio del secolo scorso abbiamo bisogno del pane ma anche delle rose. Le scelte che il governo Renzi farà domani, il Jobs Act, andranno valutate dalla credibilità dei numeri, ma anche dalla direzione di marcia che proporranno all’Italia, dalla capacità di mobilitare energie vitali. Giusto partire da una riduzione del cuneo fiscale, in Italia altissimo, e giusto orientarsi a concentrare la riduzione soprattutto sui redditi più bassi. Non solo per ovvie ragioni di equità, ma perché l’effetto sarà più av- vertibile per le famiglie e per la ripresa del mercato interno, che è il vero grande malato italiano. L’Italia non è infatti, contrariamente a molti luoghi comuni, un paese incapace di competere e il nostro costo del lavoro rimane, nonostante l’abnorme tassazione, inferiore a quello dei maggior paesi europei, a cominciare dalla Germania. Siamo infatti uno dei soli cinque paesi al mondo che vanta un surplus manifatturiero superiore a cento miliardi di dollari: gli altri sono Cina, Germania, Giappone e Corea del Sud. Quella spregiudicatezza tornerà utile in Europa MONTESQUIEU L’ intensità di una delusione si misura sull’intensità della illusione che la ha generata. Cosicché, la delusione, ancora teorica e prematura, per una mediocre riuscita del governo di Matteo Renzi sarebbe assai più penetrante di quella derivante da un analogo risultato della gran parte dei gabinetti che lo hanno preceduto. Eccezion fatta per i primi esecutivi di Silvio Berlusconi, che erano circondati da due stati d’animo inossidabili ed inconciliabili: da un lato di taumaturgica aspettativa, dall’altro di timore quasi catastrofico. Si può forse sottolineare una differenza, tra le molte di due leader lontani per epoca politica ed età anagrafica: se erano e sono, per entrambi, assai numerosi i tifosi, che chiameremo rispettivamente “berlusconiani” e “renziani”, nel caso del sindaco fiorentino essi sono affiancati da una folta presenza di una categoria di sostenitori non militanti, che potrebbero definirsi “renzisti”. Mentre è sempre stata categoria assai sparuta e contraddittoria quella equivalente dei “berlusconisti”. SEGUE A PAGINA 4 RENZI /2 Contro i veti del sindacato, anche Blair iniziò da lì FABRIZIO RONDOLINO re milioni di iscritti alla Cgil (su un totale di circa 5,7) sono pensionati; i lavoratori cosiddetti “atipici” – cioè tutti quelli che non hanno un contratto a tempo indeterminato – sono 70.000, i disoccupati appena 13.000. In queste nude cifre – ammesso che siano veritiere, poiché non esiste alcuna autorità terza di controllo sul tesseramento, sulla vita interna e sui bilanci dei sindacati italiani – è racchiuso il senso dello scontro fra Matteo Renzi e Susanna Camusso. Bisogna essere onesti. Il sindacato italiano non è “il sinda- GIOVANNI COCCONI C SEGUE A PAGINA 3 RENZI/1 T cato dei lavoratori”, e tantomeno è una “parte sociale”: il sindacato italiano rappresenta i pensionati e i lavoratori del settore privato e (soprattutto) pubblico garantiti dal “posto fisso”. Ma ad avere il posto fisso, su quasi 23 milioni di occupati, sono appena 14,8 milioni, poco più della metà (dati Istat 2012). E se consideriamo anche gli oltre tre milioni di disoccupati ufficiali e i tre milioni di lavoratori in nero (stima della Cgia), la conclusione è semplice: la maggioranza del mondo del lavoro non è rappresentata dai sindacati. SEGUE A PAGINA 4 Tutto secondo copione, affondate le quote rosa Dopo un interminabile tira e molla la camera respinge tutti gli emendamenti per la parità di genere. Si spaccano i grandi partiti RUDY FRANCESCO CALVO L a camera ha bocciato tutti gli emendamenti sulla parità di genere. È stato questo il discutibile passo principale compiuto ieri a Montecitorio dalla riforma elettorale, che oggi dovrebbe ottenere il via libera sul testo complessivo da parte dei deputati per poi passare al vaglio del senato. Non è bastata l’iniziativa plateale di molte deputate (e deputati), che si sono presentate in aula vestite di bianco, né la scelta di governo e prima commissione di rimettersi all’aula, così come la decisione di Partito democratico, Forza Italia e Nuovo centrodestra di lasciare ai propri deputati libertà di coscienza sui tre emendamenti bipartisan che avevano come prima firmataria la dem Roberta Agostini. A coprire i tanti contrari a un’equa rappresentanza di genere nelle posizioni di vertice (e quindi “utili” all’elezione) delle prossime liste elettorali è stata la richiesta di voto segreto, che è stata sottoscritta da un numero sufficiente di deputati, soprattutto della parte destra dell’emiciclo. L’attenzione si concentrava soprattutto sull’emendamento 1.92, che prevedeva la presenza di almeno il 40 per cento di donne come capilista. La bocciatura è arrivata con 298 voti contrari, a fronte dei 253 favorevoli. Non sono bastati i numerosi interventi di esponenti del Pd a convincere l’emiciclo all’approvazione. Sono stati soprattutto i deputati cuperliani (Alfredo D’Attorre, Guglielmo Epifani, Barbara Pollastrini) a chiedere esplicitamente il sì dei colleghi, alcuni (Nico Stumpo e la lettiana Anna Ascani) rivolgendosi esplicitamente anche ai Cinquestelle. Ma anche tra i renziani (Ermete Realacci, Walter Verini) sono venuti sì espliciti alla proposta di Agostini. L’emendamento 1.88, che impediva la presenza in lista di due candidati consecutivi dello stesso genere, è stato bocciato con 335 no e 227 sì. Crescono i no – anche per l’opposizione di Fratelli d’Italia – sulla richiesta di parificare il numero dei capilista: 344, contro 214 sì. Come lasciano intendere i numeri, l’opposizione alle quote rosa è stata trasversale, coinvolgendo sia Forza Italia, la cui contrarietà “ufficiosa” era no- n n ROBIN Rottamazione Il premier alla presentazione del nuovo libro di D’Alema. Titolo: Rifarsi una vita dopo la rottamazione. ta ed esplicita, sia il Pd, come ha fatto notare Sandra Zampa. La giornata è stata caratterizzata da numerose “pause di riflessione”, che hanno fatto slittare il voto sulle quote rosa fino a sera. Il ministro Maria Elena Boschi ha provato a mediare tra le diverse posizioni, per evitare clamorose rotture e provare a raggiungere un risultato condiviso. Ma non è riuscita ad andare oltre la disponibilità di FI a lasciare libertà di voto, anche per rispetto delle proprie deputate, che condividevano la battaglia promossa dalla collega dem Agostini: da Renata Polverini a Mara Carfagna, da Stefania Prestigiacomo a Laura Ravetto. L’esame della riforma riprenderà questa mattina per arrivare al voto finale. Ma la battaglia per introdurre correttivi ricomincerà certamente al senato, dove già Ncd e la minoranza dem – fra gli altri – promettono battaglia sull’abbassamento delle soglie d’accesso per le liste coalizzate e non (anche questo bocciato ieri a Montecitorio), sulle preferenze e, ovviamente, sulla rappresentanza di genere. Il regolamento di palazzo Madama – a differenza di quello di Montecitorio – non prevede su questi temi il voto segreto. Si tratta di un’arma a doppio taglio: se su alcuni emendamenti, che rischierebbero di far saltare l’accordo Renzi-Berlusconi, il voto palese dovrebbe evitare sgraditi sgambetti, sulle quote rosa, ad esempio, sarà più difficile una bocciatura “a volto scoperto”. @rudyfc he le aspettative verso Matteo Renzi di quello che un tempo chiamavamo paese reale restino ancora alte non lo dicono solo i sondaggi. Riascoltatevi gli applausi partiti l’altra sera in alcuni passaggi dell’intervista a Fabio Fazio a Che tempo che fa. Per esempio quando, parlando della possibile opposizione dei sindacati, il premier ha risposto: «Ce ne faremo una ragione». Il consiglio dei ministri di domani rappresenta il vero battesimo del nuovo governo, il primo passo dagli annunci ai fatti. Gli annunci, fino ad oggi, sono stati molti, forse troppi, dal pagamento di tutti i debiti della pubblica amministrazione al grande piano per l’edilizia scolastica al taglio delle tasse. Anzi, il rischio è l’effetto over promise, di non riuscire a mantenere le attese molto diverse tra loro e molto alte di un paese unito solo dalla delusione verso la classe politica ma che sembra concedere un’ampia apertura di credito al nuovo arrivato. La strada preferita da Renzi sembra quella di una scossa per rimettere in moto i consumi interni attraverso un taglio dell’Irpef dei redditi più bassi da finanziare soprattutto con i risparmi della spesa pubblica frutto del lavoro del commissario per la spending review Carlo Cottarelli, che dalla settimana prossima lavorerà nella squadra di palazzo Chigi. Oltre al decreto sul taglio delle tasse il premier dovrebbe presentare il disegno di legge sul Jobs Act e anche su quello non potrà accontentarsi di un po’ di manutenzione sugli ammortizzatori sociali. Ci si aspetta molto su una radicale riforma delle politiche attive per il lavoro e la licenziabilità dei dirigenti della pubblica amministrazione. Non solo Renzi non ha convocato prima le parti sociali ma sarà molto difficile immortalarlo dopo in quelle fotografie di rito nella Sala verde di palazzo Chigi con centinaia di persone sedute dietro i segretari di Cgil-Cisl-Uil e il presidente di Confindustria. Il metodo è cambiato, Susanna Camusso dovrà farsene una ragione. Anche perché se davvero il premier riuscirà a tagliare l’Irpef ai redditi più bassi in modo visibile (si parla di 80-100 euro al mese in più in busta paga, non come fece il governo Prodi nel 2006) farà esattamente quello che i sindacati, Cgil in testa, chiedono da alcuni anni senza ottenere quasi nulla. E poi dice la crisi della rappresentanza. @giovannicocconi Chiuso in redazione alle 20,30