Perché a Renzi piace il numero uno

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Perché a Renzi piace il numero uno
Michele Ainis
Legge e libertà www.lespresso.it - [email protected]
Sindacato unico, monocamera lismo, premio a un
solo partito. La "reductio ad unum " è la filosofia
che guida il premier Al passo con i tempi
Perché a Renzi
piace il numero uno
OGNI STAGIONE DELLA STORIA alleva
uno spiritello che le soffia nell'orecchio. Si chiama Zeitgeist, lo spirito del
tempo. E questo è il tempo della decostruzione, o meglio della rottamazione, per usare lo slogan di Renzi. Il suo
successo sta tutto in questa chiave,
nella capacità d'intercettare e dare
sfogo a una pulsione collettiva. Dunque via le vecchie classi dirigenti, le
vecchie istituzioni, le vecchie prassi
sociali. Del resto succede in politica
come nella vita: c'è un tempo in cui si
costruisce e un tempo in cui si demolisce. Anzi: le ruspe servono per far
spazio ai muratori, così come il divorzio è indispensabile per contrarre un
nuovo matrimonio. Ma quale futuro
si proietta dal presente? Qual è il segno della prossima stagione?
È LA REDUCTIO AD UNUM , per dirla
con un'espressione antica. Uno al
posto di molti. Basta ascoltare il nostro Premier, per ottenerne la conferma. L'ultima uscita è del 22 maggio:
«Vorrei un sindacato unico». Susanna Camusso e gli altri leader sindacali sono saltati sulla sedia, hanno
evocato Mussolini e Stalin, ma ormai
ogni loro protesta è senza testa. La
«disintermediazione», il rifiuto dei
corpi intermedi, ha già ghigliottinato
la Cgil non meno che la Confindustria. Però la ghigliottina venne brevettata dalla Rivoluzione francese,
non dai totalitarismi del secondo
Novecento. Il 14 giugno 1791 la leg-
ge Le Chapelier proibì corporazioni
e associazioni, in nome dell'unità del
popolo, della volonté générale teorizzata da Rousseau. E nei decenni successivi quel divieto rimbalzò nei codici penali dell'Austria, dell'Inghilterra, del Portogallo, perfino dello
Stato Vaticano.
RENZI TUTTAVIA NON VUOLE porre
fuori legge i sindacati: gli basta che il
plurale diventi un singolare. Dai sindacati al sindacato; e magari dai
partiti al partito. Non è forse questo
l'obiettivo dell'Italicum, col suo premio di maggioranza elargito a un
unico partito, anziché alla coalizione? Ma, dopotutto, ogni riforma
avviata dall'esecutivo Renzi muove
nella stessa direzione. Il superamento
del bicameralismo paritario, che di
fatto si sbarazza del Senato. La riforma della riforma del Titolo V: un taglio netto alle competenze regionali,
torna centrale lo Stato centrale. Nel
primo caso uno al posto di due (Camere), nel secondo caso uno al posto
di venti (Regioni).
E non è finita, perché il verticismo
si propaga dalle istituzioni all'economia, al lavoro, agli assetti sociali. Da
qui il Jobs Act: estendendo il potere
di licenziamento, estende al contempo il potere dei manager. Da qui la
Buona Scuola, che consegna il bastone del comando ai dirigenti scolastici. Il medesimo bastone che Renzi
prese in pugno all'avvio del suo go-
verno, concentrando su di sé le cariche di Premier e segretario del Pd.
Diciamolo: è un cambiamento epocale. Sul versante delle istituzioni,
timbra il passaggio dalla democrazia
parlamentare a una democrazia esecutiva, perché l'esecutivo s'impadronisce dello stesso Parlamento. Sul
versante sociale, è il funerale della
concertazione, in nome del rapporto
diretto fra il leader e i propri elettori.
Sul versante culturale, è la crisi del
pluralismo, del frazionismo, dell'assemblearismo, nonché di tutti gli altri
ismi che ci aveva recato in dote il
Sessantotto: ne era sopravvissuta
talvolta una caricatura, adesso non
rimane neanche quella. Ma forse il
demolitore non è Renzi, lui è solo il
megafono che dà voce al nostro tempo. In economia, per esempio, la disintermediazione è già stata operata
dalla Rete, che ha messo in crisi l'industria del turismo come quella culturale, dato che ogni utente può servirsi à la carte scavalcando le agenzie
di viaggio al pari delle case discografiche, degli editori, dei giornali.
SICCHÉ DOBBIAMO rassegnarci: nel
monoteismo che avanza siamo tutti
soli davanti al nostro Dio. E quel Dio
uno e bino è al contempo il nostro
dittatore, sui banchi di scuola, nei
luoghi di lavoro, nelle cabine elettorali. Vabbè, confesso: piace anche a
me la dittatura. Ma temperata dal
tirannicidio.