Irrompe in tribunale con un coltello: arrestata
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Irrompe in tribunale con un coltello: arrestata
10 Mercoledì 27 maggio 2015 DALL’ITALIA L’ENNESIMO EPISODIO A LODI FA SCATTARE NUOVAMENTE LA POLEMICA SICUREZZA Irrompe in tribunale con un coltello: arrestata La donna, che voleva avventarsi su un pm, è stata fermata grazie all’intervento di una funzionaria, rimasta contusa, e degli agenti. È passata sotto uno scanner fuori uso da mesi entrata in tribunale armata di un coltello e ha cercato di aggredire un pm. Dopo la strage avvenuta a Milano, dove Claudio Giardiello ha ucciso tre persone e ne ha ferite due, è quanto accaduto ieri mattina al Palazzo di giustizia di Lodi che fa scoppiare nuovamente la polemica sulla sicurezza nei Tribunali italiani. Ad evitare il peggio, ieri, è stato l’intervento di una funzionaria, e, poi, del personale di polizia giudiziaria e carabinieri del nucleo operativo in servizio nell’edificio che ha permesso di bloccarla prima che riuscisse a prendere l’arma per scagliarsi contro il magistrato Alessia Menegazzo. La donna Rosa Maria Capasso, 38 anni, è stata immediatamente arrestata mentre la funzionaria che è intervenuta per evitare l’aggressione è rimasta contusa. È Erano le 9.30 del mattino, quando la 38enne, persona offesa in un procedimento in fase di indagine, è passata inosservata con il coltello nascosto al’interno della borsa. Non è stata sottoposta al controllo a ‘raggi x’ del bagaglio a mano, perché il macchinario è fuori servizio per un guasto da mesi. Così ha raggiunto gli uffici della Procura, ha chiesto di parlare con il magistrato che si occupa dell’inchiesta. E al rifiuto della funzionaria, la donna l’avrebbe aggredita per poi colpire la pm prima di essere bloccata. Sembra che in nessuna fase dell’aggressione sia riuscita tuttavia a tirare fuori il coltello. “Era venuta per uccidere”, ha detto il pm. A quel punto sono intervenuti agenti di polizia giudiziaria e carabinieri del nucleo operativo radiomobile di Lodi che l’hanno bloccata, scoprendo il lungo coltello nascosto nella borsetta. Ora la 38enne (che aveva presentato una denuncia, in aprile, per evidenziare una presunta illegittimità della procedura con la quale non le era stato assegnato un posto a scuola) dovrà rispondere di resistenza e lesioni aggravate dalla premeditazione, porto abusivo d’arma e anche di danneggiamento. Intanto, appresa la notizia, il personale amministrativo del Palazzo di Giustizia ha proclamato un’assemblea per denunciare i problemi legati alla mancanza di sicurezza nel palazzo di giustizia ed in particolare lo scanner per borse e bagagli a mano, che sarebbe fuori uso da diversi mesi. Secondo quanto si è appreso le riparazioni competono al Comune, che però anche recentemente ha lamentato di dover percepire almeno 2milioni di euro dal ministero della giustizia, che è in arretrato con i pagamenti. Non è da escludere, a questo punto, che la donna fosse a conoscenza del mancato funzionamento del varco elettronico e ne abbia approfittato per provare a mettere a segno il suo piano. D’altronde, la cronaca degli ultimi mesi insegna. Era il 9 aprile scorso quando nel tribunale di Milano l’imputato Claudio Giardiello riuscì ad entrare nel Pa- lazzo di Giustizia addirittura con una pistola (senza essere fermato da nessuno) uccidendo tre persone: un giudice, un testimone e un coimputato. Un caso che fece scoppiare non poche polemiche, politiche e non solo. Di certo ora, con quanto accaduto a Lodi, il dibattito sembra destinato ad aumentare. Quali saranno, questa volta, le trovate della classe dirigente? Chissà se Emanuele Fiano, capogruppo commissione Affari Costituzionali e responsabile sicurezza del Pd, è pronto ad annunciare un ddl per obbligare i cittadini a chiedere il porto d’armi per i coltelli da cucina? Già perché questo ci si può attendere. Peccato che la triste realtà sia ben altra: la sicurezza nel Bel Paese sembra divenuta ormai un’utopia. E a pagarne le spese sono i cittadini Barbara Fruch perbene. ACCOLTO IL RICORSO DI ALCUNE ASSOCIAZIONI DI TASSISTI UberPop fuorilegge: sarà bloccato in tutta Italia Il giudice, nell’ordinanza, parla di concorrenza sleale, abusivismo, e dell’attualità del problema con l’Expo in corso. Ma l’azienda annuncia: “Faremo appello” Concorrenza sleale” e “violazione della disciplina amministrativa che regola il settore taxi”. Con queste motivazioni il Tribunale di Milano ha deciso il blocco su tutto il territorio nazionale di UberPop, uno dei servizi messi a disposizione dalla app Uber che permette a chiunque di ‘inventarsi’ tassista anche se sprovvisto della regolare licenza. Il giudice della sezione specializzata imprese, Claudio Marangoni, con un’ordinanza ha infatti accolto il ricorso presentato dalle associazioni di categoria dei tassisti. L’attività svolta da Uber attraverso “ la ‘app’ Uber-pop è “interferente con il servizio taxi organizzato dalle società, svolto dai titolari di licenze” scrive Marangoni nell’ordinanza. La richiesta “di trasporto trasmessa dall’utente mediante l’app Uber-pop - si legge oltre ad essere modalità tecnica già utilizzata dalle cooperative di tassisti appare di fatto del tutto assimilabile al servizio di radio taxi”. “La mancanza di titoli autorizzativi da parte degli autisti Uber-Pop comporta un effettivo vantaggio concorrenziale e uno sviamento di clientela indebito scrive ancora il giudice - Senza costi inerenti al servizio taxi possono applicare tariffe sensibilmente minori rispetto a quelle del servizio pubblico”. Tra le ragioni che hanno portato il giudice a disporre in via cautelare ed urgente la sospensione di Uber-Pop ci sono anche “gli effetti pregiudizievoli nel settore” taxi accentuati “per effetto del previsto consistente numero di visitatori della manifestazione Expo 2015”. Uber avrà ora 15 giorni di tempo per adeguarsi all’inibitoria disposta, altrimenti scatteranno delle penali. Lo sbarco di Uber-Pop aveva creato malumori, polemiche e manifestazioni in diverse città dì’Italia. Soddisfatti ora i tassisti milanesi che però restano critici verso le istituzioni. “Siamo dovuti arrivare in aula di giustizia perché qualcuno decidesse, nessuno voleva prendersi questa responsabilità: prima di ricorrere in Tribunale ci siano rivolti a Comune, Regione, al Governo, tutto inutile – ha detto Pietro Gagliardi, responsabile sindacale per la categoria dei tassisti dell’Unione Artigiani della Provincia di Milano – È una grande vittoria e non l’abbiamo fatto solo per noi e il nostro lavoro, ma anche per la sicurezza degli utenti”. Di parere opposto il Codacons. “È impensabile che un paese moderno possa essere privato di sistemi innovativi come Uber, che rispondono ad esigenze di mercato e sfruttano le nuove possibilità introdotte dalla tecnologia - afferma il presidente del Codacons Carlo Rienzi - Ciò che serve, semmai, è integrare Uber nel mercato italiano rendendolo conforme alle disposizioni vigenti, garantendo legalità e sicurezza senza danneggiare gli altri operatori. Per tale motivo - conclude - rivolgiamo oggi un appello al ministro dei Trasporti, Graziano Delrio, af- ERANO SPARITI NEL 1957. STAVANO PER FINIRE ALL’ASTA finché studi le misure necessarie a rendere pienamente legale Uber senza limitazioni medievali alla concorrenza”. Reazioni critiche anche sui social, dove la maggior parete degli utenti si è schierata dalla parte dell’app. “Il giudice amministrativo ha disposto il ripristino delle cabine telefoniche a gettone”, “Uber pop bloccato dal tribunale di Milano. Le caste in Italia si proteggono a vicenda”, “Hanno bloccato Uberpop. Ora, cari postini d’Italia, mobilitatevi per far bloccare tutte le email, dai”, “Uber La sentenza blocca l’applicazione Uberpop. Vittoria dei tassisti. quindi se mi coltivo il basilico mi denuncia ‘il pesto Divella’?”, si legge in alcuni post twitter. Dal canto suo l’azienda ha già annunciato il ricorso affermando che UberPop continuerà a operare nelle prossime due settimane in Italia. B.F. Affreschi rubati a Pompei: recuperati negli Usa C i sono voluti quasi sessant’anni, ma alla fine, torneranno a casa. I carabinieri del reparto Tutela Patrimonio Culturale (Tpc) hanno recuperato negli Stati Uniti tre splendidi affreschi del I secolo a.C. razziati nel 1957 dai locali della Soprintendenza di Pompei. Appartenevano, secondo quanto si apprende, alla collezione privata di un magnate americano deceduto e dovevano andare all’asta. I tre affreschi raffigurano una giovane donna con amorino sulla spalla, una figura maschile e una figura femminile con “oinochoe” (vaso). Nel 1957 erano stati rubati dall’ufficio Scavi della Soprintendenza Archeologica di Pompei insieme con altri tre affreschi poi recuperati dai carabinieri dei beni culturali, nel corso degli anni, in Europa e negli Stati Uniti. Si tratta di un affresco con un pavone, ritrovato in Svizzera, di un ritratto di Dioniso che era finito in Gran Bretagna e infine di una Ministra sacrificante recuperata negli Usa. Ora sono stati individuati anche gli altri tre dipinti che ritorneranno a far parte del patrimonio artistico tricolore.