Provincia di Lecce - Mediateca - Progetto EDIESSE

Transcript

Provincia di Lecce - Mediateca - Progetto EDIESSE
.E
Provincia di Lecce - Mediateca - Progetto EDIESSE (Emeroteca Digitale Salentina)
a cura di IMAGO - Lecce
quasi sempre, sono prosieguo delle arterie esterne ed in tutti i casi non sono
mai avulse da intimo rapporto col traffico cittadino (v. pure M. Poete, Introduct.
l'Urbanisme, trad. Zocca, Torino 1958, cap. III).
E non è qui il caso di approfondire l'argomento enumerando i moltissimi
esempi. E' probabile invece che cause diverse abbiano modificato l'originario
rapporto tra reticulo urbano e porte, delle quali forse non conosciamo le primitive, ed a conforto di tanto diremo che di queste strade esterne noi oggi possediamo scarsissimi elementi per ricostruirle; il N. ne intravede due ad occidente
che li suppone direttrici dello sviluppo urbano extra moenia: una che raccordava Neapolis col porto ed un'altra collineare e non costiera, per Puteolis (v.
p. 112) la quale partendo da Piazza S. Domenico e passando per Piazza Mazzini,
Vía Salvator Rosa, ecc., scavalcato il Vomero, raggiungeva Pozzuoli da dove si
partivano le altre strade per Baia, Cuma e Capua. Un'altra strada per Pozzuoli
partiva invece da Palepoli, rappresentata forse dal vallone occupato da Via
Chiaia la quale, superata Piazza dei Martiri e Via Poerio e raggiunto il colombarium, comunemente ritenuto tomba di Virgilio, si infilava nella Crypta Neapolitana, architettata in età augustea da Cocceio (Strab. V, 5, 7), e che forse in precedenza, dopo aver deviato alquanto per Via Mergellina, scavalcava il colle, traforato in età augustea anche dalla Crypta di Sciano, per raggiungere i campi
Flegrei. La parte bassa di questo colle, è noto, fu in età romana una zona residenziale preferita e lo dimostrano i numerosi ruderi affioranti, e molti sono
celati dal mare, appartenenti tutti a terme e a ville che il Gunther tentò
ricostruire; tra queste la sola identificata è la villa Pausilypana di Vedio Pollione
alla quale è attribuito il vicino odéon.
Incerte sono tutte le altre strade, comprese quelle per Atella e per Ercolano
col cui agro confinava ad oriente il territorio napoletano. Da questo versante,
come a settentrione, non si hanno tracce di sviluppo urbanistico fuori le mura e
nella parte più bassa venne allogata la necropoli del III-II sec. compresa poi
entro le mura aragonesi.
Nell'interno della polis vi sono altre tracce di murazioni (S. Agostino della
Zecca, cortile del Grande Archivio, ecc.) la cui funzione molto incerta ha lasciato
sospettare un sistema difensivo a compartimenti stagno che sarebbero entrati
in funzione a salvaguardia dei nuclei urbani qualora avesse ceduto la difesa
dell'intiera cinta. L'uso di questo sistema dí diateichisma è frequente nel mondo
greco e, come meglio diremo altrove, lo ritroviamo nella Messapia.
Dei monumenti pubblici di Neapolis (p. 183 segg.), per quanto di alcuni di
essi ci rimanga il ricordo epigrafico e letterario, sappiamo ben poco come
pure della loro ubicazione che a dato luogo a molti parti di fantasia pur non
tralasciati dall'analisi del nostro autore.
Solo di due monumenti, tra i molti, rimane la documentazione archeologica
sicura: il theatrum romano esteso tra Via Anticaglia, Via S. Paolo e Via Giganti
(v. fig. 8 a pag. 184) e l'aerariu,n riconosciuto nelle strutture sottostanti alla Ba
silica di S. Lorenzo Maggiore, mentre le strutture apparse in Piazza della Borsa
vengono interpretate come resti di edifici termali. Ancor meno sappiamo dei
numerosi edifici sacri per di più scarsamente documentati (cap. VI) sebbene per
i culti si abbia il soccorso della informazione letteraria ed epigrafica. Sappiamo
per essi che il pantheon religioso neapolitano era fondamentalmente greco e
tale rimase anche in età romana : alla terna fondamentale, Apollo - Demetra Dioscuri ricordata da Stazio (Silv. IV, 8, 45, 54) si affiancano divinità marine
(Euplea e Leucothea e quindi, le Sirene) e poi ancora Athena, il cui culto fu certo
potenziato dai siracusani, Dioniso che Macrobio (I. 18, 9) dice venerato col nome
di Hebone, probabilmente anche Herakles che avrebbe dato il nome alla regio
Herculanensis Furcellensis. Meno importanti dovettero essere i culti di Zeus,
98
Provincia di Lecce - Mediateca - Progetto EDIESSE (Emeroteca Digitale Salentina)
a cura di IMAGO - Lecce
Marte, Mercurio, Artemide, la quale è pur rappresentata in alcune monete bronzee napoletane del IV sec. a. Cr., Afrodite della quale un tempietto si rinvenne
a Corso Umberto nei pressi dell'Università, e infine altre divinità ricordate da
testi epigrafici sono : Sebeto, Tyche di Neapolis, Nemesi, Silvano ecc. Sulla base
d i questi culti numerosi si è imbastita la rissa delle ipotesi per attribuire loro
le sedi del culto e se tutto ciò rende seducente la lettura del VI cap. dobbiamo
dire che in definitiva siamo certi solo del tempio di Dioscuri che conosciamo
nella sua interezza perchè rilevato nel XVI sec. da Francisco d'Olanda prima che
rovinasse e che fosse riadattato (1590) nell'attuale chiesa di S. Paolo Maggiore.
Si aggiunga un probabile tempio di Herakles a Forcella mentre di incerta attribuzione rimane il complesso di S. Gregorio Armeno.
Infine un altro capitolo di particolare interesse riguarda le Fratrie napoletane, pienamente fiorenti ancora in età romana (Strab. V, 246), documentate da
molti reperti epigrafici (I - II sec. d. Cr.). Trattasi com'è noto di istituzioni a
carattere religioso-familiare, vere e proprie « confraternite » con autonome amministrazioni, che ebbero nel tempo atteggiamenti o meglio « colore » diverso.
Di queste Fratrie in Neapolis ne conosciamo con sicurezza solo nove:
la Fratria degli Aristei (dalla divinità greco-euboica Aristaius?), degli Artemisi,
Eubei, degli Eumenidi, degli Eunostidi, dei Theodati, dei Kretondi, dei Kumei e
quella dei Panclidi. Altre Fratrie supposte dal Capasso sono quelle degli Oinonei
e degli Antinoiti (da Antinoo divinizzato da Adriano); il Beloch invece ne sospettava dodici ma in effetti non sappiamo in realtà quante fossero né siamo in
grado di ubicarle, tentativo ipotetico intrapreso da diversi studiosi e via via
esposto nel libro del N.
All'inizio abbiamo detto che Napoli è una città che ebbe vita continua nel
tempo ed è logico supporre che usi e costumanze, sia pure in minima parte, si
siano perpetuate. Esuleremmo dal nostro compito se volessimo soffermarci su
questo insidioso argomento del quale si compiacciono gli stessi napoletani, coscienti come sono della vetustà del loro ceppo. In questo fugace cenno ci piace
solo supporre, come altri hanno fatto, che le caratteristiche cantilene dei venditori ambulanti, dei mellonari, dei pizzaiuoli sia un retaggio di antichi modi
quanto i tipici maccheroni (da Ty_
.7 .-A 1, ? tgt ? cfr. P. Mingazzini in « Arch. Cl. »,
VI, 1954, pag. 292 e segg.) sono lo specchio di lontani sistemi culinari e le corse
lampadiche in onore di Partenope, agoni che conosciamo largamente attraverso la pittura vascolare, si rispecchiano nelle ben note « fiaccolate »
di Piedigrotta, eco vivente del passato come lo è la brulicante graticola stradale
che compone la vecchia Napoli la quale ci auguriamo di cuore che venza pre•
cervata da indiscriminati sventramenti... a scopo igienico, che, se per un verso il
vecchio fa nguacchio e oltre tutto non più si confà alle mutate esigenze individuali e della collettività, e se, insomma, l'eco del monologo di Filomena Marturano, nella omonima commedia di De Filippo, in cui il gravoso rezzo umano
nella insalubrità dei « bassi » soffoca l'anima ed avalla i criter i di risanamento,
dall'altro c'è il miracolo, paradossale nell'apparenza, della vitalità delle genti
costrette ad abitarvi sì che Salvatore Di Giacomo cantava :
Ma sta disgrazia — si pe nu mumento,
vuie ce trasite — nun ve pare overa:
So muorte vinte? Ne so' nate ciento.
E sta gente nzevata e strellazzera
cresce sempe, e mo so' mille e treciento.
Nun è un vico. E' na scarraffunera.
A NTONIO FRANCO
99
Provincia di Lecce - Mediateca - Progetto EDIESSE (Emeroteca Digitale Salentina)
a cura di IMAGO - Lecce
LO SCRITTORE DEGLI SCA NDALT
Roger Peyrefitte è lo scrittore dal le molteplici edizioni: 2', 6', 8 2 , sono i numeri che occhieggiano dalle vetrine su quelle vistose fascette sopra copertina, che
sembrano un invito imperioso a leggere un libro già acquistato da tanti e tanti
lettori. (A meno di essere animati da un fortissimo spirito di contraddizione : ma,
di questi tempi, chi se la sente di esercitarlo?).
Il mio primo incontro con Peyrefitte avenne anni fa, in casa dí amici. lino
di essi, reduce dalla Francia, aveva portato con sé « Les clefs de Saint Pierre », allora inedito (e proibito) in Italia. E fu così che venni introdotta nel mondo degli
scandali di Peyrefitte. Questo autore infatti di scandali vive e scandali ci ammannisce continuamente in tutte le sue opere, che non son poche e tutte pavesate dalla
solita (direi quasi connaturale) fascettina.
Prendiamone due a caso, ed esaminiamole un po' più da vicino.
« Le ambasciate » è il libello che ha suscitato uno degli scandali più clamoi osi degli ultimi anni : tale è il commento della retro-copertina.
E' la storia di un giovane diplomatico, Giorgio De Sarre, che, negli anni che
precedettero immediatamente l'ultima guerra, fu inviato, per la sua prima missione, ad Atene, culla del suo amore per l'antichità. Qui incontrò Francesca, figlia
dell'ambasciatore di Francia, di cui divenne l'amante, dividendone per altro i favori con un giovanotto; Rodolfo, un collega dell'ambasciata tedesca, con cui divise invece gite e piaceri culturali, e tanti altri diplomatici dediti ad amori omosessuali, al culto della propria persona e a piccoli intrighi (e che diplomatici sarebbero se no?). Ad un certo momento, in seguito ad una festa giovanile degenerata in orgia, in casa dell'ambasciatore assente, scoppiò lo scandalo, e il giovane
Giorgio fu costretto a lasciare Atene e a tornare in patria. Egli sa di poter dare
ora un significato alle parole amicizia ed amore, ma più nessun significato alla
parola « ambasciata ».
Nè lo sfondo di Atene e dei SU-0i monumenti, nè lo studio deì personaggi
riesce, a me sembra, a salvare quest'opera dal limbo dei libri di piacevole lettura,
che alla fine lasciano ben poco di loro dentro. L'amore per il classicismo resta un
pretesto di cui l'autore si serve solo per animare alcune pagine del suo romanzo,
mentre i personaggi, a cominciare dal protagonista, restano abbozzati come se il
Peyrefitte stesso non si fosse saputo decidere a trarre, dalle infinite possibilità
d'essere insite in essi, quella che li avrebbe caratterizzati per l'eternità. Di essi due
soli per altro appaiono convincenti ed umani, tanto da risaltare come figure vive
in un mondo di larve : l'ambasciatore e l'addetto militare di Francia in eterna lotta
fra loro per riaffermare, l'uno sull'altro, il proprio prestigio e la propria autorità.
E proprio dai loro scontri e battibecchi, dai loro frizzi velati, dalla più formalistica delle cortesie, che nascono le pagine più belle del romanzo, che inducono
al sorriso anche il lettore più smagato ed esigente.
« Le giovani prede » sono tre creature che hanno in comune la patria, il Belgio, i gusti amorosi (naturalmente omosessuali) e l'impulso a scrivere ed a scriverne.
Sulle loro lettere, sulle loro confessioni, sui loro incontri con l'Autore, si
intesse l'intero romanzo: per Philippe, l'ancòr quasi fanciullo, l'incontro resterà
solo epistolare : egli sparisce infatti dolcemente nella Mosa, fin dalle prime pagine
del racconto. Ma la sua figura rivive nelle lettere dell'amico Bernard, che la fa
« come risalire dal fondo dell'acqua » e, con amore infinito, che annulla ogni bruttura nel ricordo, ne rievoca fatti ed episodi salienti. Philippe è il filo che conduce
quindi Bernard all'autore, ma anche alla morte, perchè il giovane non sa rassegnarsi alla perdita di tutte le sue illusioni, dei suoi più intimi segreti, alla vergogna di un momento di debolezza.
100
Provincia di Lecce - Mediateca - Progetto EDIESSE (Emeroteca Digitale Salentina)
a cura di IMAGO - Lecce
Così anch'egli va incontro alla morte.
E' a questo punto che appare l'unico personaggio femminile del racconto,
Edwige, la ragazza che ha la passione dei cavalli, dei libri « ...ed un'altra poco lodevole ». E' questa frase che getta il ponte magico fra le due anime prima, e avvince i due corpi poi. In tal modo il loro viaggio finale attraverso la Crecia assume il significato di un pellegrinaggio. Attraverso Lesbo « l'isola delle vergini dal
cuore sublime » e Pergamo, « la città degli efebi dal cuore tenero », essi giuri.
gc,no infine a Cnido, patria del più celebre tempio di Atene e qui vivono il loro
giorno più bello. Nel simbolo degli amori, che li avevano smarriti e dell'amore
che adesso li unisce essi rendono quasi omaggio ad un passato non rinnegato e
ad un presente pieno di speranza. In questo intrecciarsi di destini, le figure dei
protagonisti assumono un rilievo particolare in cui è l'essenza stessa del racconto.
L'indagine psicologica appare più approfondita, soprattutto per quel che rigaurda
Ph il ippe la cui figura è tratteggiata con amore, direi con tenerezza.
La prima parte del libro comunque, costituita in massima parte da lettere,
che sono un vero e proprio denudarsi di anime, appare, a mio gusto, nettamente
superiore alla seconda, che si mantiene su un piano più squisitamente narrativo.
GINA BONAVOGLIA
*
0.
SPECCHIA -
Introduzione ali' .EpiliOnti .
Con notevole compiacimento si segnala qui il lavoro di uno studioso nostro
conterraneo, O. Specchia, che mostra completezza di informazione ed acume di
metodo filologico.
Il saggio ha il modesto titolo « Introduzione all'Epinomis » (XIII libro delle
Leggi di Platone), ma supera i limiti di una semplice introduzione per affrontare
il problema assai dibattuto e controverso dell'autenticità della Epinomis e per
dare una valida interpretazione del pensiero platonico, considerato nella sua
ultima fase.
Alla luce di un'analisi non solo stringata, ma anche sensibile alla infinita varietà di moduli stilistici e mentali che il filosofo presenta, l'opera di Platone appare
in tutta la sua complessità di contenuto e di stile.
Ben a ragione lo S. dimostra che dare valore assoluto all'analisi dello stile, in
funzione della dimostrazione dell'autenticità o meno dell'opera, è metodologicamente poco efficace, trattandosi, per l'Epinomis, di un'opera filosofica, ed interviene nella discussione di critici come Fr. Mi_iller, A. E. Theiler, J. Harward e E.
des Places per confutarne o rafforzarne le tesi o per aggiungere acute e pertinenti
osservazioni, mostrando attenzione per il particolare atteggiamento spirituale di
Platone, che anche nello stile si rivelerebbe con quella varietà di aspetti, incertezza
e ardore contenuto nello stesso tempo, di fronte alla scoperta di una nuova verità.
Osservazione questa che s'innesta nel vivo del problema dell'attribuzione, che
non può essere risolto che in base al pensiero espresso nell'opera. Su questa linea
è lo S., allineandosi gli studi illuminati di E. des Places e di altri e discutendo e
confutando persino argomentazioni di uno studioso insigne come W. Jaeger.
Il nucleo della tesi dello Specchia è questo: Platone nell'Epinomis espone l'iconsiderato sotto due aspetti: mistico-religioso e scientifico.
deale della vera
punto
di vista non si può negare che la formulazione di tale
Sotto il primo '
ideale dipenda in Platone da una conoscenza approfondita della religione astrale
degli orientali, ín particolare caldei, filtrata forse attraverso i pitagorici, per la
quale l'astronomia è un avviamento alla penetrazione della vera realtà e gli astri
sono « immagini di divinità, quasi statue lavorate dagli stessi dei ».
101
Provincia di Lecce - Mediateca - Progetto EDIESSE (Emeroteca Digitale Salentina)
a cura di IMAGO - Lecce
Non è necessario pensare, per l'Epinomis, ad un discepolo di Platone e quindi
ad uno sviluppo posteriore del pensiero dell'Accademia, poichè già al tempo di
Pla t. dell'Accademia era ospite e membro ordinario un caldeo e Platone stesso,
fu maestro e poi amico di Eudosso di Cnido.
Non solo: non è neppure necessario pensare ad una evoluzione, ín senso aristotelico, del pensiero platonico nell'opera in questione, per spiegare lo spiccato interesse di Platone per la scienza nel suo continuo progresso e insieme la sua lode
di un nuovo ideale di vita, avente come ultimo fine la pura sapienza. Bisogna anzi
ammettere che l'ideale del S-z (,) 7iTtrè:); 5;0- derivò a Platone dai sacerdoti egizi, senza
per altro affermare che nelle sue ' argomentazioni di carattere teoretico e mistico
egli seguisse una direzione diversa dalla propria.
Lo S. documenta e dimostra le sue affermazioni, con ricchezza di approfondimenti e di analisi su altri aspetti particolari della questione, mostrando la possibilità di una evoluzione religiosa e scientifica nel pensiero di Platone, che spiegherebbe la Epinomis.
E qui lo si vuole ringraziare non solo del valido contributo portato agli studi
platonici con la sicurezza del suo metodo, ma anche di aver proposto al nostrg
interesse un aspetto poco noto e piuttosto trascurato del pensiero del filosofo.
N. d. R.
MARIO MOSCARDINO -
Favole di tutti i tempi - Tip. Commerciale, Lecce.
Dopo l'armistizio del 1943, non tutti i Leoni alati furono distrutti a Sebenico
in quella prima furia iconoclasta: uno scampò alla strage, quello inciso profondamente nella roccia viva su cui sorgeva l'antico forte veneziano.
Ancor oggi, il solitario leone domina dall'alto l'estuario del Kirke; ma parlano veneziano soltanto con Pio X, in Paradiso, tutte le care nonnette che, raccontando ai piccoli le vecchie favole nello stesso dialetto in cui erono state raccontate a loro da bambine, l'avevano tramandato vivo su alcune poche labbra intantili, fino al breve periodo in cui la Dalmazia fu annessa all'Italia. E, Cenerentola, la bella addormentata del bosco, i baldi principi delle loro vicende e tutti i
personaggi delle favole divennero, in quei primi difficili tempi della Scuola italiana, argomenti di conversazione, spunto per esercizi di grammatica e addirittura testi di lingua... Guerra ed odio avvampavano le strade, ma nelle aule si viveva
in buona compagnia, dentro una miracolosa aura serena.
Nel mondo delle favole infatti non esistono questioni politiche, nè rivalità
linguistiche o razziali: unica frontiera quella fra il bene ed il male, fra il buono
e il cattivo, ma è acquisito tuttavia già in partenza che se il buono soffre, lotta,
alla fine sicuramente trionfa.
Nella vita invece, il più delle volte, la faccenda va in tutt'altra maniera, chi
scende a patti coll'onestà « mette » presto la fuori serie, metre l'uomo di carattere, o fa il pedone a marcia in utilitaria. E tuttavia chi persevera « nella continua,
affannosa ricerca del meglio » anteponendo sempre ai vantaggi concreti i valori
spirituali, a dispetto delle apparenze, rimane il vittorioso.
L'elemento centrale di ogni favola è, per il Moscardino, proprio questo continuo combattimento fra i bisogni e gli istinti più materiali che vorrebbero tenerci chiusi e murati, rendendoci simili a bruti, e l'intimo anelito che spinge a
superare questi limiti, a lottare ed a soffrire, perchè il bene trionfi in noi stessi e
nei nostri fratelli.
Le favole rispecchiano quindi l'essenza di tutta la storia, vale a dire la nobiltà
dello spirito' umano, affermantesi attraverso i millenni ; da ciò la ragione della
102
Provincia di Lecce - Mediateca - Progetto EDIESSE (Emeroteca Digitale Salentina)
a cura di IMAGO - Lecce
loro perenne attualità, sicchè possono essere chiamate dall'autore, con paradosso
soltanto apparente, « prezioso tesoro... la cui conoscenza rende degna di essere
vissuta l'intera vita ».
Addentriamoci ormai, seguendo l'esperta guida, nel gran giardino delle favole, fresco ed antico insieme come la natura stessa.
Al contrario della fiaba, che radicata in una stessa aiuola, getta attraverso
i secoli e suoi vilucchi in modo da farsi sempre più complessa e remota dalla
terrestre realtà, la favola si inserisce sul folclore dei vari paesi e qui si confonde
coi miti e là tocca tasti di un verismo sconcertante. Moventi infatti freudiani, per
dirla con parola avanti lettera, stanno alla base, spiegano la persecuzione del cattivo padre di Pelle d'asino (storia che i nostri ragazzi conoscono, grazie al cielo ed
al buon senso, in una molto addomesticata versione).
Sarebbe anche interessante studiare il riflesso psicologico dei vari popoli nelle favole-mito ricorrenti identiche o simili dalle rive dell'Egeo a quelle del Gange,
dal Cataio al Wahalla.
La lotta e la vittoria dell'uomo contro la Dea Morte ha per eroina in Italia
la moglie fedele, (Sakuntala) che strappa il marito al regno delle ombre col suo
eroico amore. Si risveglia egli come da un sogno : non sa, non saprà mai d'essere
un miracolato e la vita dei due trascorrerà dolcemente, all'ombra delle grandi foreste, dove i bramini pregano e fanno penitenza.
In Grecia chi salva, è invece l'uomo, anzi il superuomo: Orfeo, ma l'impresa ha
diversa e meno lieta fine perchè il poeta vince l'inferno ed il suo re, ma non sa
vincere se stesso...
Dalle favole di Esopo, fino ad arrivare, con un salto di millenni, alla fattoria
degli animali, dell'Owen rimane vero ciò che Fedro scrisse all'inizio delle sue
opere; (che è poi rimasto quello del più faticato latinetto dei nostri figli) Duplex
libelli dos est quod risum movet — et quod prudenti vitam consilio munet.
Nella favola, a scopo prevalentemente morale, prendono un posto sempre
maggiore i dialoghi fra gli animali (ed ancor oggi, se aprite la radio all'ora della
voce dei campi, ascolterete i saggi ammonimenti del bue, nuovo e dubbio archetipo di saggezza, alle rimanenti bestie del cortile...).
Non possiamo seguire qui il nostro autore nel suo dotto studio sulla favolistica: come corrente nel mare, la favola scorre entro il sonante fiume dell'epica,
s'insinua nei meandri della satira, fa sentire la sua voce nella letteratura di ogni
popolo. C'è perfino « un'epoca animalesca », la cui popolarità è dimostrata anche
dalle rozze sculture delle cattedrali romaniche, commovente alba della Rinascita.
Prima, molto prima della Commedia dell'Arte, gli animali, caratterizzato ciascuno da un carattere dominante e quasi direi obbligato, diventavano attori di
piccole scene nelle quali l'uomo si riconosce in quella forma caricaturale che
divertendo, ammonisce.
Lo scopo didascalico però, facendosi prevalente, toglie vita a troppe favole
dell'epoca barocca ed a talune pure del settecento; ma basta che un poeta getti
l'anima sua nelle vecchie forme e questa si riplasma e rivive. Ci incanta ancora
colle favole di Krilov, ci rende pensosi sulle pagine dell'Esopo Moderno, nelle
quali Pietro Pancrazi, quando altra critica non era permessa, ricordava agli
Italiani (quelli ancora pensanti) l'insopprimibile bisogno della libertà.
Anche le favole del Moscardino, sotto un aspetto interessante e vivace, sì da
Dilettare un bambino od un poeta, evocano una tragedia vissuta e sofferta in tempi a noi ancora tanto vicini, non ira traendo dal ricordo, ma fede in un mondo
r uovo dove bontà e scambievole fiducia imperino e non violenza.
Ecco l'aquila rinunciataria che non vuole più saperne di fatiche e di pericoli,
eppure si getta un giorno sopra la serpe che stava per uccidere una pecorella.
Il pastore mostra la sua gratitudine, ferendola ad un'ala, sicché a stento può
103
Provincia di Lecce - Mediateca - Progetto EDIESSE (Emeroteca Digitale Salentina)
a cura di IMAGO - Lecce
.1141l AMMINi.lilm■m11■101 11111
riparare nel nido « lontana dagl i uomini che non hanno voluto capire ».
Non m[liti però (almeno nel mondo degli animali) stanno dalla parte di chi
« ìn nome di una fiera morale cli razza » ama il pericolo, l'ardimento e conquiste
sempre maggiori. Il lupo, geloso della « posizione morale » e di prestigio che l'aquila buona s'era procurata col suo atto eroico, ne macchina la rovina pensando di
approffi tiare della sua momentanea invalidità. Non gl'importa di essere considerato un violento, purchè nessuno scopra il miserevole complesso d'inferiorità che
lo domina. Immagina un agguato per aggredire la vittima all'improvviso. La folle
corsa nel bosco, l'immobilità silenziosa della sua attesa, il brivido dell'attesa ín
ogni creatura del bosco, sono fra le pagine anche stilisticamente meglio riuscite.
« Vince alfine il sole sull'incerta nebbia -- trionfa, illumina e riscalda ». La battaglia ingloriosa termina con la sconfitta del violento che, spiccando il preparato
salto, vinto da paura precipita nel burrone, causando così la sua propria fine.
Al ricordo di questa battaglia, di ciò che avrebbe potuto significare la vittoria
del lupo « il Mondo ancor oggi si turba ».
La matta bestialità, la cupidigia senza legge è rappresentata, nella terza ed
ultima favola, da un pastore, quello — pensiamo — che fu vergognosamente ing rato coll'aquila buona.
La speranza del tesoro nascosto, i piani tramati per impadronirsene, senza
dover dividerlo con nessuno; e poi la corsa affannosa nell'ora più solitaria, il sudare e la fatica dello scavo sono descritti in modo rapido, quasi incalzante. Più
completa, tragica direi ne risulta la delusione e la rabbia del maligno.
« Una pecora sul ciglio belò », simbolo degli uomini indifesi e buoni che conoscono il vero tesoro « quello duraturo e puro della bontà ».
FRANCESCA FRATTIN
IL « Crepuscolo » DEL TENCA in una monografia di Lina Jannuzzi.
Lamentare l'assenza di uno studio d'insieme sul giornalismo letterario dello
Ottocento, potrebbe finire col diventare un luogo comune dei piagnistei di mestiere se non si cominciasse col dare il dovuto rilievo a quelle sparse monografie e a
quei rari articoli di rivista che s'interessano dell'argomento.
Un genere di lavoro critico, che scarseggia come l'acqua nel deserto, è la monografia su di un determinato aspetto del problema giornalistico-letterario oppure
su una specifica rivista.
Naturalmente, la monografia non è per tutti i gusti nè può pretendere di
sottrarsi al rischio del processo astrattivo, quando di un argomento si ponga in
luce un aspetto secondario cincischiandovi sopra con la dovuta opulenza verbale.
Con la monografia bisogna dar prova di profonda conoscenza dell'argomento, di
chiara analisi storica, di mordente critico; la questione dev'essere spulciata nei
minimi particolari, senza che, però, venga dimenticato il senso del legame del
particolare col tutto.
Ed è con questi requisiti che a noi si è presentata la monografia di Lina
Jannuzzi su « Il « Crepuscolo » del Tenca e la cultura del secondo Ottocento »
(Estratto dagli Annali del Corso di Lingue e Letterature Straniere presso la Università di Bari, Voll. III-V, 1960, Grafiche Cressati, Bari).
Scrivere dell'attività letteraria di Carlo Tenca significa vangare un terreno
incolto, direi quasi abbandonato, ma che, una volta fertilizzato, è lì pronto a
produrre i frutti più inattesi di originalità e di novità.
104
Provincia di Lecce - Mediateca - Progetto EDIESSE (Emeroteca Digitale Salentina)
a cura di IMAGO - Lecce
Prima ancora che qualcuno si decida a darci una storia esauriente del giornalismo letterario italiano, non è male esplicitare i richiami e i nessi che legano
rivista a rivista e movimento intellettuale a movimento intellettuale.
Indubbiamente, per lo storico futuro del giornalismo letterario italiano un
compito piuttosto delicato si farà innanzi, allorchè si tratterà di risalire alle
esperienze della cultura illuministica per collocare il punto d'inizio dell'attività
pubblicistica dell'Italia letteraria alla fine del 1700.
Gli si presenterà, allora, il « Caffé » e il gruppo milanese dei fratelli Verri,
le loro aspirazioni enciclopedistiche e il gusto di sapersi aggiornati sugli avvenimenti culturali del tempo; seguiranno la « Frusta letteraria » e il « Giornale dei
letterati d'Italia », la « Gazzetta veneta » e gli altri periodici del tempo. Ovviamente, allo storico importerà cogliere il nucleo centrale di tale fervore culturale,
e lo troverà nel carattere poco popolare, e diremmo salottiero, delle riviste settecentesche.
Passando all'Ottocento la visuale gli si allargherà, il giornalismo periodico assumerà un volto più preciso e delineato, si presenterà affiancato da una esigenza
morale o patriottica, sarà impegnato in senso nazionale.
Le stesse pubblicazioni si orienteranno a seconda delle direzioni stabilite dai
singoli intellettuali che vi saranno preposti. Sicchè nuova luce acquisteranno, nell'analisi storica, le figure di Teresa Fonseca Pimentel, di Gian Domenico Romagnosi, di Carlo Cattaneo, Silvio Pellico, Giuseppe Porro Lambertenghi, Melchiorrc
Gioia, Ugo Foscolo, Giacinto Battaglia, Calo Tenca ed altri non certo minori, tutti
autentici intellettuali italiani che al problema del Risorgimento italiano hanno
dato il meglio di se stessi.
E' così che lo storico futuro giungerà alla personalità di Carlo Tenca, notevole
rappresentante della critica letteraria italiana del secondo Ottocento.
Certo Carlo Tenca è un intellettuale « sui generis », non esplicitamente impegnato in senso politico, sopratutto nel periodo di direzione del « Crepuscolo », causa
il divieto della censura austriaca. Ma, nonostante questa assenza del politico e dello
storico dei fatti, Tenca si riscatta per una esuberanza di motivi culturali che non
hanno nella letteratura il loro fine ultimo.
E' ad ogni costo necessario, nel delineare la figura del pubblicista lombardo,
soffermarsi sulla sua cencezione della letteratura e della società.
La monografia della Jannuzzi si muove su di un piano prettamente critico-letterario ed è rigorosa nella delineazione di tale intento. Non pretende di esaurire tutto
l'argomento, anzi si ripromette (v. pag. 92) di riprendere il discorso relativamente
alla storiografia letteraria tenchiana della maturità (il problema critico della storia della letteratura italiana).
E' quest'ultimo, forse, uno degli aspetti più validi del pensiero critico del Tenca.
Ci sono due scritti, « Delle condizioni dell'odierna letteratura in Italia » e « A proposito di una storia della letteratura italiana », il primo pubblicato sulla « Rivista
Europea » del febbraio 1846 e il secondo sul « Crepuscolo » del febbraio e del mar1852, ambedue presenti nella raccolta curata da Gianni Scalia di cui già ci siamo
interessati, che racchiudono in sintesi la concezione che il Tenca ha della letteratura
in rapporto alla società. Una affermazione dello stesso Tenca, inserita nel primo
d221i scritti citati, può essere per il lettore più che significativa: « Fra quanti hanno
parlato finora della letteratura italiana, niuno, a quanto sembra, è penetrato oltre
l'esteriore sua manifestazione, niuno l'ha esaminata nei suoi rapporti colla società,
di cui è l'espressione ». E si badi, nel Tenca non c é una speculazione di marca sociologica, né si dice una cosa giusta affermando che non ci poteva essere, perchè,
l'ambiente culturale milanese della seconda metà dell'Ottocento era il più vicino
alle teorie del positivismo sociale francese. In Carlo Tenca c'è solo l'idea, indubbiamente precorritrice
della storiografia letteraria desanctiana, della letteratura riflesso
105
8 - LA ZAGAGLIA
Provincia di Lecce - Mediateca - Progetto EDIESSE (Emeroteca Digitale Salentina)
a cura di IMAGO - Lecce
della società e della sua morale. « La letteratura è potenza di entusiasmo, dice il
Tenca, e come tale non può scaturire che dall'altezza del pensiero e dell'affetto »
E più oltre, con maggiore impeto morale : « Indizio di decadimento e solo nel traviamento delle opinioni, nella corruzione del gusto generale ». Non bisogna dimenticare nemmeno lo storicismo del Tenca, il suo modo di considerare la realtà storica
del passato in rapporto ad un ideale presente, i suoi primi spunti per una concezione della letteratura popolare per la quale il critico lombardo nutriva grandi speranze; ed infine, è necessario sottolineare la figura del Tenca giornalista, guida instancabile dei collaboratori, direttiva spirituale di tutta la rivista (rimane « classico »
il rifiuto di un articolo a sfondo biografo del Cattaneo, perché la rivista non doveva
scadere dal livello di serietà cui era giunta). Leggiamo lo stesso Tenca, col rammarico che il Croce dei « Problemi di Estetica » non abbia voluto farlo : « Il giornale è
divenuto oggidì un elemento indispensabile della letteratura, quasi una pubblica
necessità; e s'egli è per lo più frivolo e vano da noi, ciò avviene per le medesime
cagioni che mantengono povera la letteratura... Perchè noi crediamo che il danno
non sia tanto nell'allagamento dei cattivi giornali, quanto nella mancanza dei buoni...
Ad ogni modo e critica e giornalismo non sono che semplici manifestazioni dell'idea
letteraria, e non è a cercarsi in loro la causa dello attuale decadimento ».
Abbiamo voluto insistere su quest'ultimo aspetto perchè non ci sembra secondario dell'attività letteraria di Carlo Tenca; e saremo grati se, nel lavoro che la
Jannuzzi ci ripromette, ne sarà tenuto conto. In Tenca non c'è solo una concezione
della letteratura, ma una visione integrale comprensiva anche dell'aspetto critico e
giornalistico. Solo così si riuscirà a mantenere il Tenca in bilico tra una storia del
giornalismo letterario ed una storia della critica letteraria, l'una integrativa dell'altra.
Il discorso critico-espositivo che la Jannuzzi ci ha dato intorno al « Crepuscolo » del Tenca e la cultura del secondo Ottocento, è senz'altro esauriente e si fa
leggere per compitezza e chiarezza d'idee.
Non v'è aridume di spicciola erudizione, ma assimilazione critica dell'argomento, penetrazione del particolare, senso moderato del nuovo e dell'orig inale, documentazione esplicita nei riferimenti e nei legami storici.
L'attività letteraria tenchiana è vista in una traiettoria, dai primi avviamenti
del « Crepuscolo » alla narrativa campagnuola. Particolarmente sottolineata la
adesione del Tenca ai temi sinceri della letteratura popolare, a quelli particolari
che mancano di retorica e si lasciano ammirare per doti di freschezza e di ingenuità umana. E' il periodo del saggio sugli almanacchi popolari, caratteristico perchè segna il primo orientamento del Tenca fiducioso nella futura nascita di una
letteratura popolare che si alimenterà col rinnovamento sociale.
Del pari analizzati i nuovi orientamenti della narrativa, che la Jannuzzi concreta intorno ai racconti e ai romanzi, vedendo in questi quasi l'aspetto in nuce
« del romanzo realista, psicologico e sociale ».
La polemica anti-pratiana è seguita nella traiettoria che va dal Tenca al Carducci, ed è importante per chi voglia sforzarsi di cogliere il punto di partenza di
quella discussione, sulla decadenza morale della letteratura italiana del secondo
romanticismo, che sulla « Rivista Europea » ebbe il primo avvio sino agli scritti
giavanili del Carducci. E qui la Jannuzzi ha fatto bene a sottolineare la diversità
dei giudizi critici sul Prati ebbero a dare il Tenca da una parte e il Carducci giovane
dall'altra. Se non altro per formare un utile paravento al vezzo storiografico che si
preoccupa dei... debiti e dei crediti culturali tra due o più scrittori.
In merito alla questione del classicismo e del romanticismo ed alla loro importanza come correnti letterarie, la Jannuzzi ci dice che il giudizio discriminatore del
critico milanese insiste sulla maggiore o minore elasticità formale dei classici e romantici, sottolineando degli uni il carattere individualistico e la estrema armonia
formale e degli altri la nebulosità metafisica di un mondo fittizio. « Dal ritorno
106
Provincia di Lecce - Mediateca - Progetto EDIESSE (Emeroteca Digitale Salentina)
a cura di IMAGO - Lecce
al Medio Evo cristiano non era scaturita la grande poesia nazionale, più che per
difetto intrinseco della fonte ispiratrice, perchè era mancato il genio che rinnovellasse la tradizione francescana e jacoponica ».
Altro merito precipuo della critica del Tenca è lo studio delle letterature straniere, mediante saggi di letterature comparate.
Va dato indiscutibilmente atto alla preparazione culturale del Tenca per il
significativo sforzo di sprovincializzare la cultura letteraria italiana del secondo
01 tocento. In questi tentativi è il Tenca intellettuale, premuroso della formazione
ciel popolo italiano e della creazione di una cultura popolare.
Non gusto filologico delle letterature straniere, quindi, ma ansia di adesione
spirituale ad un dibattito europeo dal quale non bisognava rimanere esclusi, pena
l'inaridimento e lo sciovinismo municipale.
E' inutile dire quanto sia stato rivoluzionario nella storia della cultura lo scritto del Tenca su « Gli studi italiani in Francia », del 1855, che prelude direttamente
ai criteri della recente storiografia politico-culturale (v. Gramsci, Morandi ecc.)
che si sforza di cogliere la presenza attiva della cultura italiana nella cultura europea. Ma, anche in merito a tale problema, non siamo che... agli inizi.
Maggiore robustezza d'ideali presenta il Tenca degli studi storici e della letteratura delle origini, nel ricollegarsi alla più matura storiografia del tempo sopratutto germanica (Sismondi, Ozanam, Flegler). In questo stesso senso la cerchia degli scritti, pubblicati sul « Crepuscolo » e dedicati agli studi storici delle
origini del Comune italiano, si allargano e comprendono analisi del Rosa e del Cattaneo. Quest'ultimo, in un saggio pubblicato sulla rivista in quattro puntate e dedicato a « La città considerata come principio ideale delle istorie italiane », dimostra l'attualità della storia medioevale, dalla caduta del feudalesimo ai tempi presenti di decadenza.
Rientra pure nella storia del « Crepuscolo » la collaborazione dell'Ozanam e
il suo gusto per la letteratura delle origini. Nella storiografia letteraria del Tenca
dalle origini al Rinascimento, cioè negli scritti che hanno per oggetto la letteratura
italiana la sua storia e i suoi problemi dalle origini al Rinascimento, il critico lombardo dimostra ampiezza di vedute e di orizzonti storici, riscoprendo varia produzione letteraria e il carattere di attualità dell'etica cristiana. Da segnalare la positiva analisi tenchiana della poesia jacoponica.
Il saggio sul Foscolo si fa notare per doti di chiarezza e di dottrina.
L'uomo, il patriota, lo scrittore vicino alla spiritualità del tempo, la sua concezione della lingua legata alle sorti della letteratura, le sfumature psicologiche
dell'epistolario ne costituiscono gli elementi.
Altrettanto dicasi della estrema varietà ed originalità di vedute del Tenca
relativamente alla narrativa campagnuola.
L'impossibilità di trattare argomenti politici fu trasformata dal critico milanese in una nuova iniziativa prettamente giornalistica: pubblicò sul « Crepuscolo »
dei racconti « appositamente scritti pel giornale ».
Evidentemente non collocò sulla rivista tutti i racconti che potessero capitare tra le mani, ma solamente quelli che rivelavano particolari predilezioni per il
mondo contadino e per i problemi sociali ; senza che, peraltro, si trasformassero in
una pregiudiziale casistica pseudo-sociale. Nasce la novellistica di Caterina Percolo, particolarmente sensibile e delicata scrittrice che evita le facili sdolcinature
e i lacrimevoli lamenti. Come pure sorge l'amore dei Crepuscolanti per l'arte della
Sand, per il suo accostamento sentimentale alle esperienze della vita dei contadini.
L'ambiente culturale del « Crepuscolo » preannuncia, nella concezione critica,
la teoria del verismo, specialmente per bocca del Tenca instancabile nel combattere la poesia senza vita e gli abbandoni alla arcadica melodia.
Lina Jannuzzi individua nella recensione ad un romanzo d'Isabella Rossi « Dio
107
Provincia di Lecce - Mediateca - Progetto EDIESSE (Emerotcca Digitale Salentina)
a cura di IMAGO - Lecce
non paga il sabato », il punto centrale della discussione dei Crepuscolanti sulla
arte verista. E va a tutto merito della dinamica équipe giornalistica milanese
l'essere stati al corrente delle teorie del verismo e del naturalismo francese.
L'inaridimento del romanzo storico esige che la letteratura italiana si rítemprí
al fuoco di esperienze ambientali e regionali, attingendo alle risorse genuine della
provincia e della regione.
Sono, questi, preannunci di una teoria che, abbozzata nel 1854, avrà il continuatore in Luigi Capuana, nella sua saggistica fine e spregiudicata, capace di valorizzare l'arte del Verga nonostante l'indifferenza del De Sanctis.
Questo discorso critico è stato ripreso e concluso da Luigi Russo.
E qui fa punto la monografia di Lina Jannuzzi, che segnaliamo come la più
valida e completa attualmente in Italia nell'ambito dei nascenti studi tenchiani.
MARIO PROTO
108
Provincia di Lecce - Media teca - Progetto EDIESSE (Emeroteca Digitale Salentina)
a cura di IMAGO - Lecce