Memo - La indennità di fine rapporto di agenzia

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Memo - La indennità di fine rapporto di agenzia
Milano, 4 febbraio 2015
Memorandum : indennità di fine rapporto di agenzia
1.
Si applica l’accordo economico collettivo o l’art. 1751 c.c.?
1.1 L’intervento interpretativo della Corte di Giustizia della Comunità Europea
Di fronte alle diverse posizioni assunte da dottrina e giurisprudenza circa i rapporti tra
articolo 1751 e accordi economici collettivi, la Corte di Cassazione ha investito la Corte
di Giustizia della Comunità Europea (CGCE) della questione pregiudiziale relativa
all’interpretazione degli articoli 17 e 19 della direttiva 653 del 18 dicembre 1986.
La CGCE, pronunciatasi con la sentenza C-465/04 del 23.03.2006, ha interpretato gli artt.
17 e 19 della direttiva così affermando: “l’indennità di cessazione del rapporto che
risulta dall’applicazione dell’art. 17, n. 2, della direttiva non può essere sostituita, in
applicazione di un accordo collettivo, da un’indennità determinata secondo criteri
diversi da quelli fissati da quest’ultima disposizione a meno che non sia provato che
l’applicazione di tale accordo garantisce, in ogni caso, all’agente commerciale
un’indennità pari o superiore a quella che risulterebbe dall’applicazione della detta
disposizione” ed ha chiarito che la natura sfavorevole o meno della deroga alle
disposizioni dell’art. 17, consentita dall’art. 19 prima della scadenza del contratto,
“dev’essere valutata al momento in cui le parti la prevedono. Queste ultime non possono
convenire una deroga di cui esse ignorano se essa si rivelerà, alla cessazione del
contratto, a favore ovvero a scapito dell’agente commerciale”.
La Corte ha precisato che la deroga sarebbe ammissibile nell’ipotesi in cui l’applicazione
di un accordo collettivo non fosse mai sfavorevole all’agente commerciale. Quindi, in
pratica, mai almeno nei casi di contratto a tempo indeterminato in cui il metodo di
calcolo per accumulo annuale previsto dagli accordi economici collettivi in teoria non ha
limiti.
La sentenza CGCE del 23.03.2006 n° C-465/04 ha infatti testualmente stabilito che gli
accordi collettivi potrebbero derogare al sistema di cui all’articolo 1751 cod. civ. solo se
in grado di garantire in ogni caso all’agente “un’indennità superiore o almeno pari a
quella che risulterebbe dall’applicazione dell’art. 17 della direttiva”
Secondo parte della dottrina, la sentenza della Corte di Giustizia del 23.03.2006 avrebbe
sancito la nullità della disciplina prevista dagli accordi economici collettivi perché questi
non garantiscono sempre e comunque la corresponsione agli agenti di un’indennità in
misura superiore a quella derivante dall’applicazione dall’articolo 1751 cod. civ..
Non è così per la giurisprudenza italiana.
1.2 L’attuale posizione della Corte di Cassazione
Contrariamente alla tesi di coloro che sostenevano la loro nullità, la Corte di Cassazione
affermava la piena legittimità della contrattazione collettiva, stabilendo addirittura che le
indennità da essa previste rappresentavano per l’agente un trattamento minimo garantito.
Per prima la Sezione Lavoro, con sentenza n. 21301 del 3 ottobre 2006, prendendo
posizione se dovessero prevalere le norme del codice civile o quelle degli accordi
economici collettivi, stabiliva la prevalenza della disciplina che, al momento della
cessazione del rapporto, risultava in concreto più favorevole per l’agente.
Di analogo orientamento sarebbero state anche le successive sentenze della Suprema
Corte, come ad esempio:
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Sezione Lavoro Civile n. 687 del 16.01.2008, secondo cui “il comma 6
dell'articolo 1751 del cod. civ. si interpreta nel senso che il giudice deve sempre
applicare la normativa che assicuri all'agente, alla luce delle vicende del
rapporto concluso, il risultato migliore, siccome la prevista inderogabilità a
svantaggio dell'agente comporta che l'importo determinato dal giudice ai sensi
della normativa legale deve prevalere su quello, inferiore, spettante in
applicazione di regole pattizie, individuali o collettive”, e
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-
Sezione Lavoro n. 12724 del 01.06.2009, che, stabilendo che la quantificazione
dell'indennità calcolata sulla base dei criteri posti dagli accordi economici
collettivi può essere integrata dal giudice fino al massimo previsto dall’articolo
1751 cod. civ., ha confermato che quanto previsto dalla contrattazione collettiva
rappresenta un “trattamento minimo garantito”.
Da ultimo la Corte di Cassazione, con le sentenze n. 4202/14, 7567/14 e 11369/14, si è
ripetutamente espressa per ritenere applicabili gli accordi economici collettivi solo se, ad
una valutazione in concreto ed ex post, essi risultino assicurare all’agente cessato un
trattamento per le indennità di cessazione migliore rispetto a quanto ottenibile ai sensi
dell’art. 1751 c.c.. Anche negli anni precedenti tale indirizzo è stato maggioritario (Cass.
8295/2012).
2.
Metodo di calcolo da applicare ai sensi dell’art. 1751 c.c.
Stabilito che, se gli accordi economici collettivi sono applicabili e cioè a) se sono
richiamati nel contratto individuale di agenzia o b) se sia il preponente che l’agente sono
iscritti ai sindacati che li hanno sottoscritti, per calcolare l’indennità ex art. 1751 c.c., dei
criteri esaustivi sono contenuti nella Relazione della Commissione Europea 23.7.1996
sull’applicazione dell’art. 17 della Direttiva 86/653/CE da cui l’art. 1751 c.c. trae origine
normativa.
I criteri sono i seguenti:
i)
ii)
iii)
iv)
v)
accertamento del numero di nuovi clienti e dello sviluppo degli affari con i
clienti esistenti;
i clienti esistenti che non sono stati sviluppati non devono essere presi in
considerazione;
calcolo della relativa provvigione lorda per gli ultimi 12 mesi del contratto
d’agenzia con riferimento ai soli clienti nuovi o sensibilmente sviluppati;
stima (calcolata in termini di anni) della probabile durata futura dei vantaggi
che derivano al preponente dagli affari con i nuovi clienti e con i clienti
sviluppati;
aggiustamento della cifra per motivi di equità sulla base di diversi fattori;
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vi)
raffronto dell’importo calcolato con il massimo previsto dall’art. 17, par. 2,
lett. b) della Direttiva (1 annualità di provvigioni).
Ecco un esempio di applicazione. Il conteggio avviene in tre fasi.
FASE 1
Provvigioni maturate nell’ultimo anno: € 160.000.
La media provvigionale degli ultimi 5 anni è invece di € 140.000.
100 clienti di cui 30 clienti nuovi e 20 clienti sviluppati. Su questi 30 nuovi e 20
sviluppati (cioè sulla differenza fra quota di affari finale e quella iniziale riveniente da
questi “sviluppati”) le provvigioni maturate sono € 70.000.
A questo punto bisogna pronosticare a) per quanto il preponente godrà di tali affari da
clienti nuovi o sviluppati, considerando la situazione del mercato e del settore al
momento della risoluzione del rapporto di agenzia e a quale tasso di migrazione, cioè il
fenomeno per cui una certa parte di clientela si allontana fisiologicamente o viene
perduta. Tale tasso è calcolato in percentuale della provvigione annua e in base alla
statistica dell’agente (ricordiamoci che l’onere della prova è a suo carico). Così se questi
può verificare che nel corso del rapporto (o anche di rapporti precedenti) egli perde –
poniamo - il 20% del fatturato per tale migrazione e i benefici per il preponente durano 3
anni ad un tasso di migrazione del 20%, avremo
€ 70.000 – 14.000 (20%) = 56.000
€ 56.000 - 11.200 (20%) = 44.800
€ 44.800 - 8.960 (20%) = 35.840
TOTALE
= 136.640
Che sono quindi le prevedibili provvigioni perse dall’agente su tali clienti.
L’importo deve essere attualizzato ai tassi di interesse correnti e quindi – poniamo –
ridotto del 10%.
Quindi abbiamo l’importo di € 122.976 (136.640 – 13.664).
FASE 2
In questa fase viene fatto un aggiustamento equitativo. Così si tiene conto del fatto che
l’agente abbia altri incarichi, se c’è una qualche sua colpa, se il preponente è in crisi, se
c’è una clausola di non concorrenza. Tale passaggio ha un riflesso contenuto e nel caso di
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esempio può portare ad una riduzione di circa (è una mera ipotesi) il 15%/20% ad
esempio perché l’agente è plurimandatario o non ha rispettato la clausola di esclusiva o il
preponente è in uno stato di crisi documentabile.
FASE 3
Si raffronta l’importo così ottenuto, 100.000, con quello massimo pari alle provvigioni
medie annue. Nel caso immaginato sopra, l’importo è inferiore e quindi sarà quello
riconosciuto all’agente. Se dovesse essere superiore, all’agente andrà una somma pari
alla media annua di € 140.000 sopra indicata, così come previsto nell’art. 1751 c.c.
2.1
Metodo di calcolo applicato dalla giurisprudenza di merito
Trib. Bari sent. del 16.1.2014: condivide il metodo ma nel concreto non ha proceduto al
calcolo per carenze di allegazione della parte onerata ossia dell’agente.
Trib. Reggio Emilia sent. del 11.2.2014: ha proceduto con una CTU da cui però non
sono stati resi chiari i particolari del calcolo.
Trib. di Napoli, sent. n. 16248 del 9-12-2014: il giudice - contestando le risultanze della
CTU nella quale si calcolava l'indennità di fine rapporto sulla base degli AEC, liquida
l'indennità di fine rapporto sulla base dell'art. 1751 (senza specificare se sulla base di un
giudizio ex ante o ex post).
Per la liquidazione dell'indennità fa riferimento alla media dell'importo delle provvigioni
maturate nell'ultimo quinquennio (media € 24.000) ma, tenendo conto delle circostanze
del caso concreto, tra cui il comportamento processuale dell'agente e il lasso di tempo nel
quale si è protratto il rapporto, riduce la somma a € 15.000.
Trib. Milano, sent. n. 8661 del 20.05.2014: il giudice effettua il confronto tra disciplina
codicistica e gli AEC ex post e riconosce il diritto all'indennità ex art. 1751 c.c.,
correggendo le risultanze della CTU che aveva calcolato solo le provvigioni percepite e
non anche quelle percipiende.
Il conteggio viene effettuato su tre anni e all'agente viene riconosciuto l'importo massimo
in considerazione del forte incremento di clienti dallo stesso portati e del fatto che,
trascorsi cinque anni dalla cessazione del rapporto, i clienti sono rimasti alla preponente
Trib. Milano, sent. n. 10031 del 7.08.2014: ribadisce il principio secondo il quale il
confronto tra il calcolo dell'indennità ex art. 1751 e AEC debba essere effettuato ex post,
ma nel caso di specie rigetta la domanda dell'agente di attribuzione delle indennità ai
sensi dell'art. 1751 per carenze assertive e probatorie, non avendo lo stesso fornito la
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prova dei clienti procurati e di quelli esistenti dei quali avesse sviluppato il fatturato e,
pertanto, l'indennità di fine rapporto viene calcolata sulla base degli AEC.
Trib. Milano, sent. n. 6561 del 28.06.2014: anche in questo caso il giudice ha ribadito il
principio secondo il quale sia tenuto a verificare ex post se l'agente possa ricevere un
miglior trattamento di fine rapporto dalla norma codicistica o pattizia, applicando la
disciplina allo stesso più favorevole. E’ stata effettuata una CTU che ha quantificato
l'indennità nella misura del 57% dell'indennità massima, in considerazione del fatto che il
volume degli affari procurato dall'agente è stato confermato anche nell'anno successivo
alla cessazione del rapporto.
Trib. Bologna, sent. n. 1080 del 9.04.2013: non è chiaro se il confronto sia stato
effettuato sulla base di una valutazione ex ante o ex post, ma dal confronto emerge che
l'agente otterrebbe un trattamento migliore con l'applicazione dei criteri di cui all'art.
1751. Ai fini dell'individuazione dell'indennità considerata "equa", il tribunale applica, a
grandi linee, il criterio indicato nella Relazione della Commissione Europea.
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