Polonia Sei centesimi per un chilo di cipolle sbucciate. La puzza. Gli
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Polonia Sei centesimi per un chilo di cipolle sbucciate. La puzza. Gli
Polonia Un lavoro sporco Ewa Kaleta, Duży Format, Polonia. Foto di Mark Power Sei centesimi per un chilo di cipolle sbucciate. La puzza. Gli occhi che bruciano. Il freddo. Nei villaggi della Polonia profonda le vecchie aziende agricole hanno chiuso e c’è chi sopravvive lavorando in nero per un salario da fame “A l posto tuo pregherei Dio che quest’azienda resti aperta il più a lungo possibile. Se il bulbo è tagliato la cipolla è da buttar via, se la pellicola non è stata tolta, pure. Se sono sbucciate male te le scalo dalla paga. Per un chilo di cipolle ti do 25 groszy (circa 6 centesimi di euro). Sedie libere non ce ne sono, se ne vuoi una compratela, al massimo ti posso dare uno sgabellino”. A parlare è Tadek, il responsabile dell’azienda. Deve avere superato i sessant’anni. Puzza di alcol mal digerito. Mi porta in un edificio basso di calcestruzzo. È un ex porcile, dovevano starci decine di maiali. Oggi ci lavorano trenta persone che sbucciano cipolle per una paga da fame. “Iniziamo alle 5, iniamo alle 15 o più tardi, se c’è bisogno”, aggiunge Elka, la moglie di Tadek. “Alle 12 si fa una pausa per mangiare un panino. Il gabinetto è sul retro”. Al centro c’è una cassa con due tonnellate e mezza di cipolle. Nell’aria si sente l’odore acre della cipolla, del compost fermentato e del tabacco. Sto seduta accanto a una giovane donna, l’unica sui trent’anni. Indossa una pesante giacca invernale sopra un gilè di pile e un maglione. Porta anche dei guanti di lattice e, sopra, guanti di lana con le dita tagliate. “Così vestita congelerai”, mi dice. Si chiama Mirka. Sbuccia la cipolla in fretta, come in trance. Una dopo l’altra. Durante 52 Internazionale 1161 | 8 luglio 2016 la pausa mangia un panino con la salsiccia. Non parla con nessuno. Quando le chiedono qualcosa non risponde. Io la seguo passo passo. Quando iniamo di lavorare, mi invita a casa sua a prendere un tè. “Sei bravissima a sbucciare”, le dico mentre attraversiamo il villaggio. “Dai, smettila”, risponde Mirka. “Per me le cipolle sono tutte uguali, che siano rosse d’inverno o appena raccolte d’estate. Alcuni si lamentano di quelle estive, perché sono più succose e sbucciandole si piange e prudono le mani. Ma anche quelle rosse non sono una passeggiata, la scorza si toglie con dificoltà ed è facile romperle. Comunque io le cipolle le odio tutte allo stesso modo”. Davanti alla casa una donna anziana vestita con una tuta di pile e un pellicciotto rattoppato dà da mangiare ai cani: da una grossa pentola versa in una ciotola una zuppa grigia con pasta e ossa. È la madre di Mirka e si chiama Bożena. Oggi anche lei ha lavorato all’azienda di Tadek. “Volevi far vedere in giro la tua nuova amica, eh Mirka?”, le dice Bożena. “Ti ho portato il giornale”, le risponde Mirka, porgendole il volantino con le oferte del negozio di alimentari. “Ma l’abbiamo già preso ieri!”. Ci sediamo in salotto. Sul sofà bianco Da sapere Occupazione e reddito Pil pro capite polacco a confronto con la media dell’Unione europea, dati 2014 Unione europea=100 Tasso di disoccupazione in percentuale, dati 2015 Unione europea=9,4% <75 75-90 100-110 4,8-7,1 7,2-11,8 u La storia di queste pagine è ambientata in un villaggio rurale della regione della Grande Polonia. Nel 2014 la regione ha avuto un pil pro capite di 11.500 euro, contro i 27.500 della media dei paesi dell’Unione europea. Fonte: Eurostat MAgnuM/ConTrASTo Klucze, Polonia, marzo 2008 con i gigli rosa c’è una coperta scura. “Così non si sporca”, dice Mirka. Poi accende la tv e abbassa la voce. Bożena ci porta una torta ed esorta la iglia: “Dai, Mirka, parla e io poi spiego tutto alla signora”. Dai, Mirka, racconta! E Mirka inizia a parlare: “Papà si è impiccato nella stalla, era sempre ubriaco. L’ha trovato la nonna, non ha fatto entrare nessuno nella stalla. Se n’è stata chiusa là dentro a lamentarsi per ore. Ma poi ha smesso di piangere. Prima di morire, in ospedale, diceva che il giorno dopo sarebbe andata a sbucciare le cipolle, perché le donne di Tadek a lei un giorno libero non glielo davano. Invece a lavorare non ci è andata più. Ci è andata la mamma e poi ci sono andata io. Lo so che puzzo. Annusa i capelli, puzzano di cipolla. E le mani, annusa. Le lavo di continuo, nemmeno la sento più la puzza, ma le lavo e le stroino così tanto che il dottore mi ha detto che inirò con il consumarmi la pelle. Annusa le dita, puzzano ancora di più. oggi, quando sei entrata nel porcile, ti ho subito guardato le mani. Belle pulite, mani di una che non lavora la terra. Ho pensato che non avresti fatto neppure cinque chili. Con quel coltellino che hai ti puoi solo far male. Qui nessuno t’insegna come fare per non rompere la cipolla, come togliere la pellicola in un colpo solo. Anzi, se sei nuova si girano dall’altra parte per non farti vedere come si fa. Ma tu non resterai molto in questo schifo. neppure io ci volevo stare. Il giorno del mio diciottesimo compleanno sono andata a sbucciare per la prima volta. Mi vergognavo perché mi sarebbe rimasto l’odore addosso. E chi mi avrebbe più voluta così? Andiamo alla inestra, devo fumare. Ho preso il vizio lavorando. Avrei voluto diventare qualcuno, magari fare la rappresentante per la Avon, farmi il trucco tutte le mattine. E non stare chiusa in una stalla. una volta sono andata al lavoro truccata, mi ero passata la matita sugli occhi, avevo anche messo l’ombretto azzurro. Mi prendevano in giro, dicevano che mi stavo cercando il ragazzo. ‘Andate dietro alla stalla’, dicevano a me e a Jakub, lui tutto rosso e con gli occhi issi sul pavimento. Il trucco mi si è sciolto subito per via dei succhi della cipolla. E loro continuavano, dicevano che piangevo per qualche ragazzo. uno mi ha pure dato uno spintone: ‘Sta cercando il ragazzo, la troietta’. Sono uscita e con le mani ho cercato di togliermi il rimmel e l’ombretto. Mia mamma issava le cipolle e non diceva nulla. Solo quando siamo tornate a casa mi ha detto di non farmi ridere dietro. ‘Pensa alle cipolle, non al mascara’, mi ha detto. Ma io sono capace di pulire cento chili in un giorno, se ho voglia di lavorare. A volte non ce l’ho e allora mi metto a pensare. M’immagino il futuro, una casa, una famiglia, la macchina, e io che non devo andare a lavorare perché ci pensa mio marito. E in casa abbiamo anche un gatto, magari persiano. Immagino perino di avere un canale su YouTube dedicato al make-up. Mia Internazionale 1161 | 8 luglio 2016 53 Polonia madre, quando le racconto che metterò su internet dei ilmati sul trucco, non mi vuole nemmeno stare a sentire. Non ci crede che li guarderanno migliaia di persone. Mia madre pensa solo alla casa, che bisogna ritinteggiarla, o alla staccionata, che va cambiata. Ci siamo comprate un bollitore elettrico, a rate. Rate piccole, da 20 zloty (4,5 euro). Anche la lavatrice nuova l’abbiamo comprata a rate. La tv nuova l’avevamo presa qualche tempo fa. L’aveva comprata la nonna. Quella che aveva nella sua stanza, ora la tengo nella mia. Ma non abbiamo ancora inito di pagarla. L’altra tv sta in sala. E poi la carta da parati: mamma spende tutti i soldi in tappezzeria. Io invece li spendo in cosmetici, da una mia amica che fa la rappresentante per la Avon”. La storia di Bożena “Sei stata sfortunata a capitare con la cipolla rossa, si sbuccia male”, dice Bożena. “Il coltellino dev’essere a uncino, compratene uno di quelli per sbucciare la verdura e limalo. Imparare impari, gli occhi devono solo abituarsi ai succhi. All’inizio piangi tutto il giorno poi, dopo due settimane, solo un paio d’ore. Abituarsi del tutto è impossibile: fa male la testa, prudono le mani, vengono gli eritemi. Quando poi la gente si mette a fumare hai pure gli attacchi di vomito. Il proprietario non ha nemmeno montato l’impianto di ventilazione. D’inverno porta dentro una capra. Tutti vogliono starle vicino. Le dita si intirizziscono, le gambe ti si congelano per via del pavimento di cemento. Dicono che sono quella che sbuccia più veloce, anche trecento chili al giorno se la cipolla è grossa. Se ci sono cipolle rosse faccio centocinquanta chili. Mirka è la mia unica iglia. È sempre stata diversa, in da bambina. Ha anche avuto la meningite. A scuola ce la metteva tutta, ma i risultati non arrivavano. Adesso siamo rimaste solo io e lei. Mio marito beveva e si è impiccato, mia suocera ha avuto un attacco di cuore. Sbuccio cipolle da quando è morto mio marito. Una volta lavoravamo la terra, come tanti altri qui. Poi i terreni sono stati comprati da gente di fuori. Anche io ho venduto il nostro, perché se un campo in due lo mandi avanti a fatica da sola è impossibile. Con quello che ho guadagnato ho dato una rinfrescata alla casa, ho fatto fare il recinto e ho preso il computer per Mirka. Quelli a cui abbiamo venduto il terreno sono spariti. Non volevo andare a sbucciare cipolle, prima di iniziare ho pianto tutta la notte. È il lavoro peggiore che ci sia. Quando i cugini fanno un salto da noi ci chiedono subito: 54 Internazionale 1161 | 8 luglio 2016 Certo, avrei voluto una vita migliore, una casa grande , una fattoria. Ma quando mi vengono questi pensieri li scaccio via subito ‘Sempre 25 groszy al chilo o qualcosa di più?’. Ce lo chiedono da quindici anni, e io gli rispondo: sempre 25 groszy. La paga è la stessa da quindici anni. Questi nostri cugini insegnano a scuola. Una volta volevo mandargli Mirka per delle ripetizioni, ma mi hanno detto che non ne valeva la pena. È troppo ottusa. Avrei voluto prenderli a schiai, mi prudevano le mani, davvero. Ma non ho detto nulla. La casa è sporca, la cucina non abbiamo ancora inito di rimetterla a posto. Va cambiato il ripiano, è vecchio, tutto malandato. Anche il linoleum va cambiato. Intanto, inché c’è quello vecchio, si può entrare con le scarpe. Io la puzza delle cipolle non la sento finché non esco dal paese, per esempio quando vado in chiesa al villaggio vicino. Mi siedo sulla panca e mi accorgo di puzzare. Una volta mi vergognavo. Mi volevo nascondere dove non c’era nessuno. Anche quando vado dal medico, e lui mi fa togliere la maglia per auscultarmi, sento quell’odore. E mi chiedo chissà cosa penserà il dottore, forse che non mi lavo. Da noi, in campagna, non mi accorgo di puzzare. Certo, avrei voluto una vita migliore, una casa grande, una fattoria. Ma quando mi vengono questi pensieri li scaccio via subito, perché sennò mi metto a piangere. Mio marito l’ho sposato perché lo amavo, ho messo al mondo due igli. Il marito l’ho perso, un iglio pure. Aveva sette anni, un ubriacone come suo padre l’ha messo sotto con la macchina. La cipolla è perfetta per consumare il lutto: hai le mani impegnate, la testa pure. Poi la sera ti piazzi davanti alla tv, guardi un teleilm o leggi il volantino con le oferte del supermercato. Basta non ricordare. Oh, oggi il burro è scontato, facciamo un po’ di scorta e lo congeliamo, eh Mirka? La sera guardiamo le telenovele. Oppu- re ce le raccontiamo. Chi ha fatto una stupidaggine, chi si droga, chi tradisce chi, chi piace a chi. Il rimedio migliore per la tristezza è mettere una telenovela e guardare le disgrazie degli altri”. I guanti e la cuia Alle cinque di mattina sono tutti seduti ai loro posti. Oggi è venerdì, è arrivata una nuova fornitura. La cipolla deve essere sbucciata bene: andrà all’estero e inirà in degli spiedini. “Posso avere dei guanti di gomma?”, chiedo a uno degli altri, un uomo di mezza età. Scoppia a ridere. “Sì, se te li porti da casa”, mi risponde. “E una cuia per la testa?”. “Ma chi sei, una contessa? Cosa cazzo te ne fai di una cuia?”. “Lasciatela in pace”, interviene Elka. “Ma chi ti ha insegnato a sbucciare cipolle?”, dice Grażyna. “Ehi, bella, se vai avanti di questo passo inisci per la messa di Natale”, aggiunge Wojtek. Finiamo di lavorare alle 16. In una giornata sbucciamo cinque tonnellate. Il camion con la fornitura arriva una volta ogni tre giorni. Grażyna sbuccia anche la sera e ogni venerdì si porta le cipolle a casa per lavorare nel ine settimana. Di solito gliele porta Tadek, ma oggi non ha la macchina. Grażyna non vuole perdere tempo e decide di portarsi le cipolle a casa da sola. Le chiedo se vuole una mano. “Be’, se puoi, grazie”, risponde. Maiali, latte, grano Le pareti sono tappezzate di pannelli di plastica. Nella piccola cucina c’è un frigorifero nuovo. Accanto c’è il forno a microonde con sopra un centrino. Il bollitore elettrico, le inestre di plastica nuove attraverso cui si vede il porcile. “Piano piano tutto quello che è fatto di legno lo stiamo usando per il riscaldamento”, dice Grażyna. “Abbiamo bruciato la cuccia del cane e il pollaio. Włodek non ha ancora fatto in tempo a sfasciare le gabbie dei conigli. In casa lavoro solo io. Mio marito sta a casa e mio iglio pure. Włodek era impiegato in un cantiere, ma non c’è più lavoro. Mio iglio è imbianchino, anche lui disoccupato. Io devo sbucciare, sennò come facciamo a tirare avanti? Gli altri arrivano alle cinque, io sono qui già alle quattro e trenta e sbuccio con i capi, impacchetto oppure controllo lo sbucciato e tolgo gli scarti. Se c’è del lavoro da fare mi sembra quasi di perdere tempo a dormire. E poi ricevo sempre uno o due zloty in più per que- MAgNUM/CoNTrASTo Polonia, settembre 2008 sti straordinari. Quel poco che guadagno va tutto a inire in casa. La tv è nuova, ce l’hanno tutti ormai. Al lavoro un paio di anni fa non si parlava d’altro, solo della tv. L’abbiamo comprata quando Włodek lavorava ancora. La casa è vecchia, non vale la pena di sistemare il pavimento, bisognerebbe rifare tutto dalle fondamenta. D’inverno facciamo legna nel bosco. E abbiamo una stufetta, così ci possiamo scaldare. Quando eravamo giovani io e Włodek allevavamo maiali. Ma poi il prezzo della carne è sceso talmente che a malapena riuscivamo a coprire le spese. Abbiamo fatto fuori quasi tutto. Ci siamo tenuti giusto cinque maiali, per noi. E io sono andata a sbucciare cipolle. È peggio, bruciano gli occhi, si guadagna poco. E i maiali almeno li mangiavi: vendevi la salsiccia e la carne in casa non mancava mai. Dopo che abbiamo venduto i maiali Włodek è cambiato. Aveva investito tutta l’eredità dei genitori nell’allevamento. Non è andata bene, ma non è stata colpa sua. Non c’è modo di farglielo capire. E nostro iglio… È giovane, a lavorare nella stalla non ci vuole andare. Quando mi fanno arrabbiare dico a mio marito: ‘Mandalo a lavorare quel ragazzo, subito!’. Ti pare giusto che sia io l’unica a sgobbare? Una volta ho detto a Tadek che mi portavo a casa un po’ di lavoro. Poi ho detto a mio iglio e a mio marito: ‘Sedetevi e sbucciate con me’. Ma lavoravano così male che alla fine ho dovuto ripassare tutto io. A Włodek piace bere. Così io preferisco che se ne stia a casa. Perché quando beve perde la testa, litiga con la gente, alza le mani. Più di una volta sono scappata scalza nei campi, con il bambino in braccio, perché minacciava di ammazzarci tutti e due. Anche a mio iglio piace bere, ha preso dal padre. Meglio se rimangono a casa, perché se escono poi tornano ubriachi. Ci manca solo che qualcuno li picchi o li derubi. Una volta ho fatto in modo che Włodek facesse un po’ di lavoro da Tadek: che so, traspor- tare le cipolle, portar via le bucce, spostare le casse. Ma tutti gli davano dell’ubriacone. E io mi innervosivo, avevo paura che andasse a ubriacarsi per davvero a sentire quelle cose. A sbucciare le cipolle c’è spesso gente cattiva, vigliacca. ‘Lasciatelo stare’, gli ho detto. E quelli giù peggio di prima. Se non gli va a genio qualcuno non gli danno tregua. È facile fare a pezzi uno come mio marito, bastardi. Quando sono qui a lavorare non riesco a togliermi dalla testa che sta da qualche parte a bere. A mio iglio dico: ‘Va’ a lavorare’. Quello sbufa: ‘E dove?’. Da qualsiasi parte, gli dico, i soldi son soldi. Io mi sto massacrando con queste cipolle, mi fa male la schiena, lavoro dieci ore di ila. E devo anche preoccuparmi che quei due non si ubriachino. Quando sbucciamo ci piace parlare degli sconti. Da noi ci sono tante oferte e tutti andiamo a lavorare con il volantino del supermercato. Si parla soprattutto di questo, cosa comprare e dove. Quando uno si fa prendere dal discorso il tempo passa veInternazionale 1161 | 8 luglio 2016 55 Polonia loce. E se non parlo con qualcuno, allora sorveglio nei pensieri mio marito e mio iglio, tutti e due li sorveglio”. Sanità e pensioni Ogni giornata di lavoro inisce con la pesa delle cipolle sbucciate. Il primo giorno ne sbuccio cinque chili, e mi pagano 1,25 zloty (28 centesimi di euro). Il secondo giorno sette chili. Il terzo arrivo a dieci, ma continuo a rompere la buccia. Mi danno 1,80 zloty. Peggio di me fanno solo un signore con l’artrosi alle mani e una donna sui cinquant’anni che se ne sta sulle sue. Dicono che abbia avuto “una vita dura” e che prenda tranquillanti da anni. Gli altri sbucciano dai 50 ai 150 chili al giorno. Ognuno ha un taccuino per annotare i chili lavorati. I lavoratori issi ricevono la paga alla ine della settimana. Io, invece, sono pagata a fine giornata. Elka, la moglie di Tadek, mi ha scelta per aiutarla a pesare le cipolle. Aferriamo insieme casse da 25 chili, una dopo l’altra. “Quando arriva il proprietario?”, chiedo. “Perché?”, dice Elka. “Vorrei parlargli”. “E di cosa?”. “Arriva una volta alla settimana, per cinque minuti”, spiega Bożena. “Ci sono i capi, i responsabili, ti bastano quelli”, aggiunge Elka. “Da quanto tempo siete i capi?”. “Da quindici anni, dall’inizio”. “E siete assunti regolarmente?”. “Tadek, vieni un po’ qui. Vieni a spiegare alla ragazza, è un po’ troppo zelante”. “Ma qui è possibile essere assunti regolarmente?”, chiedo a Tadek. “E che signiica regolarmente?”. “Con l’assicurazione, i contributi…”. “Perché, così non ti sta bene?”. “Preferirei lavorare legalmente”. “E allora non lavorerai afatto. Se non ti piace, sei libera di andartene. Ma da dove sei saltata fuori, tu? Hai un lavoro, lavora, no? E lascia perdere il proprietario, fa’ conto che il proprietario sono io”. “Prima delle feste il proprietario arriva e porta a ognuno un pacco di cafè”, mi dice Mirka, mostrandomi la marca di cafè più economica sul volantino del supermercato. “Per Pasqua lo scorso anno ci ha portato questo qua. Costa 55 groszy di più. Ma mi sa che era in promozione anche quello”. “Alcuni hanno la pensione, altri hanno conservato quel tanto di terra che basta per poter restare iscritti al sindacato degli agricoltori e avere diritto alla previdenza sociale. Oppure sono registrati come disoccupati”, dice Bożena. “Il proprietario non è del 56 Internazionale 1161 | 8 luglio 2016 Ogni giornata di lavoro inisce con la pesa delle cipolle sbucciate. Il primo giorno ne sbuccio cinque chili, e mi pagano 1,25 zloty posto, abita un po’ più in là. Ha una casa grande e una macchina da almeno trentamila zloty. I igli li porta a scuola in città, saranno circa 30 chilometri ad andare e 30 a tornare. Tutti hanno paura di farselo nemico e restare senza lavoro. Qui la scuola l’hanno chiusa, il comune è lontano, l’ambulatorio medico sta nel paese accanto. Da noi c’è solo il porcile dove si sbucciano le cipolle”. Il cancello dorato La casa del proprietario la riconosco dal pacchiano cancello d’ottone. La casa, il giardino e la recinzione della proprietà del re della cipolla sono decisamente le cose di maggior valore nella zona. “Buongiorno, lavoro nella sua azienda. Vorrei chiedere se la sua società è registrata e se lei può assumermi legalmente”, dico al citofono. Silenzio. Suono un’altra volta. Nessuno risponde. Passo quaranta minuti davanti a questo monumento all’opulenza. E continuo a citofonare. Dalla casa esce un uomo vestito con un camiciotto di pile, pantaloni della tuta e scarpe da ginnastica. Sembra una delle persone che lavorano per lui. “Via di qua!”, grida. “Vuoi togliere il pane alla gente? Devo chiamare la polizia?”. “La polizia? La chiamo io”, rispondo. “E chiamala!”, ride e rientra in casa. La polizia “Nel paese accanto c’è un’azienda illegale in cui si lavorano cipolle, la polizia ne è consapevole?”, chiedo al commissariato. “Che vuole fare, uno scoop?”. “La gente lavora in nero per una paga da fame”. “Ma lei lo sa com’è diicile trovare un lavoro qui?”. “Lavorano dieci ore al giorno, al freddo, senza impianto di ventilazione. Nella strut- tura non sono rispettati i minimi standard di sicurezza e d’igiene”. “Senta, conosco l’azienda e il suo proprietario. Non fanno male a nessuno. Chi ci lavora è contento di avere un impiego”. “Ma non arrivano al salario minimo...”. “Sylwek!”. “Sì, commissario”. “Quando sei stato l’ultima volta all’azienda di cipolle?”. “Quale, commissario?”. “Perché, ce ne sono altre?”, chiedo io. “Ci andiamo di continuo perché una tipa ha un iglio ubriacone. Una volta brucia qualcosa, un’altra lo pescano a rubare”, risponde Sylwek. “Senta, lei non vuole che la gente perda il lavoro, vero? Allora stia zitta e lasci perdere”, aggiunge il commissario. “E stia attenta a chi si mette contro”, commenta Sylwek. Il sindaco del villaggio “Mi scusi, lei lo sa che in paese c’è un’azienda illegale di cipolle?”, chiedo all’uomo attraverso lo steccato del suo giardino. “Che domande sono, certo che lo so”. “E non dice nulla?”. “Sì, ringrazio dio che l’azienda esista”. “Ma non rispetta nessuna norma di sicurezza e d’igiene”. “Ma lei si rende conto di quanta gente si è ritrovata senza lavoro ed è diventata alcolizzata dopo il fallimento delle aziende agricole? Lo sa lei che per loro quell’azienda è l’unica salvezza?”. “Ma tutti hanno in casa la tv al plasma, le inestre nuove, il forno a microonde, la lavastoviglie”. “Hanno venduto i terreni. Oggi possono solo ritinteggiare la casa o cambiare il frigorifero. Lei li difende? Tutti quelli che lavorano nell’azienda di cipolle avevano grano o maiali. È andato tutto in malora quindici anni fa. Quelli che hanno comprato le terre qui non ci mettono piede, e la terra resta incolta. Meglio pregare che quell’azienda funzioni il più a lungo possibile. E anche se lei, in nome di questa presunta giustizia, andrà a lamentarsi con il fisco, qui non ci verrà nessuno, stia pur tranquilla. Né qui né in nessuno dei paesi vicini dove si sbucciano cipolle. Se vuole fare qualcosa di utile, vada a Varsavia a raccontare degli agricoltori che hanno dovuto vendere la terra perché nessuno comprava più il loro grano, delle mucche svendute perché era impossibile vendere il latte. Voi in città vi siete voltati dall’altra parte, nessuno è venuto qui a sentire cosa aveva da dire la gente”. u dp