Polonia Sei centesimi per un chilo di cipolle sbucciate. La puzza. Gli

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Polonia Sei centesimi per un chilo di cipolle sbucciate. La puzza. Gli
Polonia
Un lavoro
sporco
Ewa Kaleta, Duży Format, Polonia. Foto di Mark Power
Sei centesimi per un chilo di cipolle sbucciate. La puzza. Gli occhi che bruciano.
Il freddo. Nei villaggi della Polonia profonda le vecchie aziende agricole hanno
chiuso e c’è chi sopravvive lavorando in nero per un salario da fame
“A
l posto tuo pregherei
Dio che quest’azienda resti aperta il più a
lungo possibile. Se il
bulbo è tagliato la cipolla è da buttar via,
se la pellicola non è stata tolta, pure. Se sono sbucciate male te le scalo dalla paga.
Per un chilo di cipolle ti do 25 groszy (circa
6 centesimi di euro). Sedie libere non ce ne
sono, se ne vuoi una compratela, al massimo ti posso dare uno sgabellino”. A parlare
è Tadek, il responsabile dell’azienda. Deve
avere superato i sessant’anni. Puzza di alcol mal digerito. Mi porta in un edificio
basso di calcestruzzo. È un ex porcile, dovevano starci decine di maiali. Oggi ci lavorano trenta persone che sbucciano cipolle per una paga da fame.
“Iniziamo alle 5, iniamo alle 15 o più
tardi, se c’è bisogno”, aggiunge Elka, la
moglie di Tadek. “Alle 12 si fa una pausa
per mangiare un panino. Il gabinetto è sul
retro”.
Al centro c’è una cassa con due tonnellate e mezza di cipolle. Nell’aria si sente
l’odore acre della cipolla, del compost fermentato e del tabacco. Sto seduta accanto
a una giovane donna, l’unica sui trent’anni.
Indossa una pesante giacca invernale sopra un gilè di pile e un maglione. Porta anche dei guanti di lattice e, sopra, guanti di
lana con le dita tagliate.
“Così vestita congelerai”, mi dice. Si
chiama Mirka. Sbuccia la cipolla in fretta,
come in trance. Una dopo l’altra. Durante
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la pausa mangia un panino con la salsiccia.
Non parla con nessuno. Quando le chiedono qualcosa non risponde. Io la seguo passo passo. Quando iniamo di lavorare, mi
invita a casa sua a prendere un tè.
“Sei bravissima a sbucciare”, le dico
mentre attraversiamo il villaggio. “Dai,
smettila”, risponde Mirka. “Per me le cipolle sono tutte uguali, che siano rosse d’inverno o appena raccolte d’estate. Alcuni si
lamentano di quelle estive, perché sono più
succose e sbucciandole si piange e prudono
le mani. Ma anche quelle rosse non sono
una passeggiata, la scorza si toglie con dificoltà ed è facile romperle. Comunque io
le cipolle le odio tutte allo stesso modo”.
Davanti alla casa una donna anziana
vestita con una tuta di pile e un pellicciotto
rattoppato dà da mangiare ai cani: da una
grossa pentola versa in una ciotola una
zuppa grigia con pasta e ossa. È la madre di
Mirka e si chiama Bożena. Oggi anche lei
ha lavorato all’azienda di Tadek.
“Volevi far vedere in giro la tua nuova
amica, eh Mirka?”, le dice Bożena.
“Ti ho portato il giornale”, le risponde
Mirka, porgendole il volantino con le oferte del negozio di alimentari.
“Ma l’abbiamo già preso ieri!”.
Ci sediamo in salotto. Sul sofà bianco
Da sapere Occupazione e reddito
Pil pro capite polacco a confronto con la media
dell’Unione europea, dati 2014
Unione europea=100
Tasso di disoccupazione in percentuale,
dati 2015
Unione europea=9,4%
<75
75-90
100-110
4,8-7,1
7,2-11,8
u La storia di queste pagine è ambientata in un villaggio rurale della regione della Grande Polonia.
Nel 2014 la regione ha avuto un pil pro capite di 11.500 euro, contro i 27.500 della media dei paesi
dell’Unione europea. Fonte: Eurostat
MAgnuM/ConTrASTo
Klucze, Polonia, marzo 2008
con i gigli rosa c’è una coperta scura. “Così
non si sporca”, dice Mirka. Poi accende la
tv e abbassa la voce. Bożena ci porta una
torta ed esorta la iglia: “Dai, Mirka, parla
e io poi spiego tutto alla signora”.
Dai, Mirka, racconta!
E Mirka inizia a parlare: “Papà si è impiccato nella stalla, era sempre ubriaco. L’ha
trovato la nonna, non ha fatto entrare nessuno nella stalla. Se n’è stata chiusa là dentro a lamentarsi per ore. Ma poi ha smesso
di piangere. Prima di morire, in ospedale,
diceva che il giorno dopo sarebbe andata a
sbucciare le cipolle, perché le donne di Tadek a lei un giorno libero non glielo davano. Invece a lavorare non ci è andata più. Ci
è andata la mamma e poi ci sono andata io.
Lo so che puzzo. Annusa i capelli, puzzano
di cipolla. E le mani, annusa. Le lavo di
continuo, nemmeno la sento più la puzza,
ma le lavo e le stroino così tanto che il dottore mi ha detto che inirò con il consumarmi la pelle. Annusa le dita, puzzano ancora
di più. oggi, quando sei entrata nel porcile,
ti ho subito guardato le mani. Belle pulite,
mani di una che non lavora la terra. Ho
pensato che non avresti fatto neppure cinque chili. Con quel coltellino che hai ti puoi
solo far male. Qui nessuno t’insegna come
fare per non rompere la cipolla, come togliere la pellicola in un colpo solo. Anzi, se
sei nuova si girano dall’altra parte per non
farti vedere come si fa. Ma tu non resterai
molto in questo schifo. neppure io ci volevo stare. Il giorno del mio diciottesimo
compleanno sono andata a sbucciare per la
prima volta. Mi vergognavo perché mi sarebbe rimasto l’odore addosso. E chi mi
avrebbe più voluta così? Andiamo alla inestra, devo fumare. Ho preso il vizio lavorando.
Avrei voluto diventare qualcuno, magari fare la rappresentante per la Avon, farmi
il trucco tutte le mattine. E non stare chiusa in una stalla. una volta sono andata al
lavoro truccata, mi ero passata la matita
sugli occhi, avevo anche messo l’ombretto
azzurro. Mi prendevano in giro, dicevano
che mi stavo cercando il ragazzo. ‘Andate
dietro alla stalla’, dicevano a me e a Jakub,
lui tutto rosso e con gli occhi issi sul pavimento. Il trucco mi si è sciolto subito per
via dei succhi della cipolla. E loro continuavano, dicevano che piangevo per qualche ragazzo. uno mi ha pure dato uno spintone: ‘Sta cercando il ragazzo, la troietta’.
Sono uscita e con le mani ho cercato di togliermi il rimmel e l’ombretto. Mia mamma issava le cipolle e non diceva nulla.
Solo quando siamo tornate a casa mi ha
detto di non farmi ridere dietro. ‘Pensa alle
cipolle, non al mascara’, mi ha detto.
Ma io sono capace di pulire cento chili
in un giorno, se ho voglia di lavorare. A volte non ce l’ho e allora mi metto a pensare.
M’immagino il futuro, una casa, una famiglia, la macchina, e io che non devo andare
a lavorare perché ci pensa mio marito. E in
casa abbiamo anche un gatto, magari persiano. Immagino perino di avere un canale su YouTube dedicato al make-up. Mia
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madre, quando le racconto che metterò su
internet dei ilmati sul trucco, non mi vuole nemmeno stare a sentire. Non ci crede
che li guarderanno migliaia di persone.
Mia madre pensa solo alla casa, che bisogna ritinteggiarla, o alla staccionata, che
va cambiata. Ci siamo comprate un bollitore elettrico, a rate. Rate piccole, da 20
zloty (4,5 euro). Anche la lavatrice nuova
l’abbiamo comprata a rate. La tv nuova
l’avevamo presa qualche tempo fa. L’aveva
comprata la nonna. Quella che aveva nella
sua stanza, ora la tengo nella mia. Ma non
abbiamo ancora inito di pagarla. L’altra tv
sta in sala. E poi la carta da parati: mamma
spende tutti i soldi in tappezzeria. Io invece
li spendo in cosmetici, da una mia amica
che fa la rappresentante per la Avon”.
La storia di Bożena
“Sei stata sfortunata a capitare con la cipolla rossa, si sbuccia male”, dice Bożena.
“Il coltellino dev’essere a uncino, compratene uno di quelli per sbucciare la verdura
e limalo. Imparare impari, gli occhi devono
solo abituarsi ai succhi. All’inizio piangi
tutto il giorno poi, dopo due settimane, solo un paio d’ore. Abituarsi del tutto è impossibile: fa male la testa, prudono le mani,
vengono gli eritemi. Quando poi la gente si
mette a fumare hai pure gli attacchi di vomito. Il proprietario non ha nemmeno
montato l’impianto di ventilazione. D’inverno porta dentro una capra. Tutti vogliono starle vicino. Le dita si intirizziscono, le
gambe ti si congelano per via del pavimento di cemento. Dicono che sono quella che
sbuccia più veloce, anche trecento chili al
giorno se la cipolla è grossa. Se ci sono cipolle rosse faccio centocinquanta chili.
Mirka è la mia unica iglia. È sempre
stata diversa, in da bambina. Ha anche
avuto la meningite. A scuola ce la metteva
tutta, ma i risultati non arrivavano. Adesso
siamo rimaste solo io e lei. Mio marito beveva e si è impiccato, mia suocera ha avuto
un attacco di cuore. Sbuccio cipolle da
quando è morto mio marito. Una volta lavoravamo la terra, come tanti altri qui. Poi
i terreni sono stati comprati da gente di
fuori. Anche io ho venduto il nostro, perché se un campo in due lo mandi avanti a
fatica da sola è impossibile. Con quello che
ho guadagnato ho dato una rinfrescata alla
casa, ho fatto fare il recinto e ho preso il
computer per Mirka. Quelli a cui abbiamo
venduto il terreno sono spariti.
Non volevo andare a sbucciare cipolle,
prima di iniziare ho pianto tutta la notte. È
il lavoro peggiore che ci sia. Quando i cugini fanno un salto da noi ci chiedono subito:
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Certo, avrei voluto
una vita migliore, una
casa grande , una
fattoria. Ma quando
mi vengono questi
pensieri li scaccio via
subito
‘Sempre 25 groszy al chilo o qualcosa di
più?’. Ce lo chiedono da quindici anni, e io
gli rispondo: sempre 25 groszy. La paga è la
stessa da quindici anni. Questi nostri cugini insegnano a scuola. Una volta volevo
mandargli Mirka per delle ripetizioni, ma
mi hanno detto che non ne valeva la pena.
È troppo ottusa. Avrei voluto prenderli a
schiai, mi prudevano le mani, davvero.
Ma non ho detto nulla.
La casa è sporca, la cucina non abbiamo
ancora inito di rimetterla a posto. Va cambiato il ripiano, è vecchio, tutto malandato.
Anche il linoleum va cambiato. Intanto, inché c’è quello vecchio, si può entrare con le
scarpe. Io la puzza delle cipolle non la sento
finché non esco dal paese, per esempio
quando vado in chiesa al villaggio vicino.
Mi siedo sulla panca e mi accorgo di puzzare. Una volta mi vergognavo. Mi volevo nascondere dove non c’era nessuno. Anche
quando vado dal medico, e lui mi fa togliere
la maglia per auscultarmi, sento quell’odore. E mi chiedo chissà cosa penserà il dottore, forse che non mi lavo. Da noi, in campagna, non mi accorgo di puzzare.
Certo, avrei voluto una vita migliore,
una casa grande, una fattoria. Ma quando
mi vengono questi pensieri li scaccio via
subito, perché sennò mi metto a piangere.
Mio marito l’ho sposato perché lo amavo,
ho messo al mondo due igli. Il marito l’ho
perso, un iglio pure. Aveva sette anni, un
ubriacone come suo padre l’ha messo sotto
con la macchina. La cipolla è perfetta per
consumare il lutto: hai le mani impegnate,
la testa pure. Poi la sera ti piazzi davanti
alla tv, guardi un teleilm o leggi il volantino con le oferte del supermercato. Basta
non ricordare. Oh, oggi il burro è scontato,
facciamo un po’ di scorta e lo congeliamo,
eh Mirka?
La sera guardiamo le telenovele. Oppu-
re ce le raccontiamo. Chi ha fatto una stupidaggine, chi si droga, chi tradisce chi, chi
piace a chi. Il rimedio migliore per la tristezza è mettere una telenovela e guardare
le disgrazie degli altri”.
I guanti e la cuia
Alle cinque di mattina sono tutti seduti ai
loro posti. Oggi è venerdì, è arrivata una
nuova fornitura. La cipolla deve essere
sbucciata bene: andrà all’estero e inirà in
degli spiedini.
“Posso avere dei guanti di gomma?”,
chiedo a uno degli altri, un uomo di mezza
età. Scoppia a ridere. “Sì, se te li porti da
casa”, mi risponde.
“E una cuia per la testa?”.
“Ma chi sei, una contessa? Cosa cazzo
te ne fai di una cuia?”.
“Lasciatela in pace”, interviene Elka.
“Ma chi ti ha insegnato a sbucciare cipolle?”, dice Grażyna.
“Ehi, bella, se vai avanti di questo passo
inisci per la messa di Natale”, aggiunge
Wojtek.
Finiamo di lavorare alle 16. In una giornata sbucciamo cinque tonnellate. Il camion con la fornitura arriva una volta ogni
tre giorni. Grażyna sbuccia anche la sera e
ogni venerdì si porta le cipolle a casa per
lavorare nel ine settimana. Di solito gliele
porta Tadek, ma oggi non ha la macchina.
Grażyna non vuole perdere tempo e decide
di portarsi le cipolle a casa da sola. Le chiedo se vuole una mano. “Be’, se puoi, grazie”, risponde.
Maiali, latte, grano
Le pareti sono tappezzate di pannelli di
plastica. Nella piccola cucina c’è un frigorifero nuovo. Accanto c’è il forno a microonde con sopra un centrino. Il bollitore
elettrico, le inestre di plastica nuove attraverso cui si vede il porcile.
“Piano piano tutto quello che è fatto di
legno lo stiamo usando per il riscaldamento”, dice Grażyna. “Abbiamo bruciato la
cuccia del cane e il pollaio. Włodek non ha
ancora fatto in tempo a sfasciare le gabbie
dei conigli. In casa lavoro solo io. Mio marito sta a casa e mio iglio pure. Włodek era
impiegato in un cantiere, ma non c’è più
lavoro. Mio iglio è imbianchino, anche lui
disoccupato. Io devo sbucciare, sennò come facciamo a tirare avanti? Gli altri arrivano alle cinque, io sono qui già alle quattro e trenta e sbuccio con i capi, impacchetto oppure controllo lo sbucciato e tolgo gli
scarti. Se c’è del lavoro da fare mi sembra
quasi di perdere tempo a dormire. E poi ricevo sempre uno o due zloty in più per que-
MAgNUM/CoNTrASTo
Polonia, settembre 2008
sti straordinari. Quel poco che guadagno
va tutto a inire in casa. La tv è nuova, ce
l’hanno tutti ormai. Al lavoro un paio di anni fa non si parlava d’altro, solo della tv.
L’abbiamo comprata quando Włodek lavorava ancora. La casa è vecchia, non vale la
pena di sistemare il pavimento, bisognerebbe rifare tutto dalle fondamenta. D’inverno facciamo legna nel bosco. E abbiamo una stufetta, così ci possiamo
scaldare.
Quando eravamo giovani io e Włodek
allevavamo maiali. Ma poi il prezzo della
carne è sceso talmente che a malapena riuscivamo a coprire le spese. Abbiamo fatto
fuori quasi tutto. Ci siamo tenuti giusto
cinque maiali, per noi. E io sono andata a
sbucciare cipolle. È peggio, bruciano gli
occhi, si guadagna poco. E i maiali almeno
li mangiavi: vendevi la salsiccia e la carne
in casa non mancava mai. Dopo che abbiamo venduto i maiali Włodek è cambiato.
Aveva investito tutta l’eredità dei genitori
nell’allevamento. Non è andata bene, ma
non è stata colpa sua. Non c’è modo di farglielo capire. E nostro iglio… È giovane, a
lavorare nella stalla non ci vuole andare.
Quando mi fanno arrabbiare dico a mio
marito: ‘Mandalo a lavorare quel ragazzo,
subito!’. Ti pare giusto che sia io l’unica a
sgobbare?
Una volta ho detto a Tadek che mi portavo a casa un po’ di lavoro. Poi ho detto a
mio iglio e a mio marito: ‘Sedetevi e sbucciate con me’. Ma lavoravano così male che
alla fine ho dovuto ripassare tutto io. A
Włodek piace bere. Così io preferisco che
se ne stia a casa. Perché quando beve perde
la testa, litiga con la gente, alza le mani. Più
di una volta sono scappata scalza nei campi, con il bambino in braccio, perché minacciava di ammazzarci tutti e due. Anche
a mio iglio piace bere, ha preso dal padre.
Meglio se rimangono a casa, perché se
escono poi tornano ubriachi. Ci manca solo che qualcuno li picchi o li derubi. Una
volta ho fatto in modo che Włodek facesse
un po’ di lavoro da Tadek: che so, traspor-
tare le cipolle, portar via le bucce, spostare
le casse. Ma tutti gli davano dell’ubriacone. E io mi innervosivo, avevo paura che
andasse a ubriacarsi per davvero a sentire
quelle cose. A sbucciare le cipolle c’è spesso gente cattiva, vigliacca. ‘Lasciatelo stare’, gli ho detto. E quelli giù peggio di prima. Se non gli va a genio qualcuno non gli
danno tregua. È facile fare a pezzi uno come mio marito, bastardi. Quando sono qui
a lavorare non riesco a togliermi dalla testa
che sta da qualche parte a bere. A mio iglio
dico: ‘Va’ a lavorare’. Quello sbufa: ‘E dove?’. Da qualsiasi parte, gli dico, i soldi son
soldi. Io mi sto massacrando con queste
cipolle, mi fa male la schiena, lavoro dieci
ore di ila. E devo anche preoccuparmi che
quei due non si ubriachino.
Quando sbucciamo ci piace parlare degli sconti. Da noi ci sono tante oferte e tutti andiamo a lavorare con il volantino del
supermercato. Si parla soprattutto di questo, cosa comprare e dove. Quando uno si
fa prendere dal discorso il tempo passa veInternazionale 1161 | 8 luglio 2016
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loce. E se non parlo con qualcuno, allora
sorveglio nei pensieri mio marito e mio iglio, tutti e due li sorveglio”.
Sanità e pensioni
Ogni giornata di lavoro inisce con la pesa
delle cipolle sbucciate. Il primo giorno ne
sbuccio cinque chili, e mi pagano 1,25 zloty
(28 centesimi di euro). Il secondo giorno
sette chili. Il terzo arrivo a dieci, ma continuo a rompere la buccia. Mi danno 1,80
zloty. Peggio di me fanno solo un signore
con l’artrosi alle mani e una donna sui cinquant’anni che se ne sta sulle sue. Dicono
che abbia avuto “una vita dura” e che prenda tranquillanti da anni. Gli altri sbucciano
dai 50 ai 150 chili al giorno. Ognuno ha un
taccuino per annotare i chili lavorati. I lavoratori issi ricevono la paga alla ine della
settimana. Io, invece, sono pagata a fine
giornata.
Elka, la moglie di Tadek, mi ha scelta
per aiutarla a pesare le cipolle. Aferriamo
insieme casse da 25 chili, una dopo l’altra.
“Quando arriva il proprietario?”, chiedo.
“Perché?”, dice Elka.
“Vorrei parlargli”.
“E di cosa?”.
“Arriva una volta alla settimana, per cinque minuti”, spiega Bożena.
“Ci sono i capi, i responsabili, ti bastano
quelli”, aggiunge Elka.
“Da quanto tempo siete i capi?”.
“Da quindici anni, dall’inizio”.
“E siete assunti regolarmente?”.
“Tadek, vieni un po’ qui. Vieni a spiegare alla ragazza, è un po’ troppo zelante”.
“Ma qui è possibile essere assunti regolarmente?”, chiedo a Tadek.
“E che signiica regolarmente?”.
“Con l’assicurazione, i contributi…”.
“Perché, così non ti sta bene?”.
“Preferirei lavorare legalmente”.
“E allora non lavorerai afatto. Se non ti
piace, sei libera di andartene. Ma da dove
sei saltata fuori, tu? Hai un lavoro, lavora,
no? E lascia perdere il proprietario, fa’ conto
che il proprietario sono io”.
“Prima delle feste il proprietario arriva e
porta a ognuno un pacco di cafè”, mi dice
Mirka, mostrandomi la marca di cafè più
economica sul volantino del supermercato.
“Per Pasqua lo scorso anno ci ha portato
questo qua. Costa 55 groszy di più. Ma mi sa
che era in promozione anche quello”.
“Alcuni hanno la pensione, altri hanno
conservato quel tanto di terra che basta per
poter restare iscritti al sindacato degli agricoltori e avere diritto alla previdenza sociale. Oppure sono registrati come disoccupati”, dice Bożena. “Il proprietario non è del
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Ogni giornata di
lavoro inisce con la
pesa delle cipolle
sbucciate. Il primo
giorno ne sbuccio
cinque chili, e mi
pagano 1,25 zloty
posto, abita un po’ più in là. Ha una casa
grande e una macchina da almeno trentamila zloty. I igli li porta a scuola in città,
saranno circa 30 chilometri ad andare e 30
a tornare. Tutti hanno paura di farselo nemico e restare senza lavoro. Qui la scuola
l’hanno chiusa, il comune è lontano, l’ambulatorio medico sta nel paese accanto. Da
noi c’è solo il porcile dove si sbucciano le
cipolle”.
Il cancello dorato
La casa del proprietario la riconosco dal
pacchiano cancello d’ottone. La casa, il
giardino e la recinzione della proprietà del
re della cipolla sono decisamente le cose di
maggior valore nella zona.
“Buongiorno, lavoro nella sua azienda.
Vorrei chiedere se la sua società è registrata
e se lei può assumermi legalmente”, dico al
citofono. Silenzio. Suono un’altra volta.
Nessuno risponde. Passo quaranta minuti
davanti a questo monumento all’opulenza.
E continuo a citofonare. Dalla casa esce un
uomo vestito con un camiciotto di pile, pantaloni della tuta e scarpe da ginnastica.
Sembra una delle persone che lavorano per
lui. “Via di qua!”, grida. “Vuoi togliere il pane alla gente? Devo chiamare la polizia?”.
“La polizia? La chiamo io”, rispondo.
“E chiamala!”, ride e rientra in casa.
La polizia
“Nel paese accanto c’è un’azienda illegale
in cui si lavorano cipolle, la polizia ne è consapevole?”, chiedo al commissariato.
“Che vuole fare, uno scoop?”.
“La gente lavora in nero per una paga da
fame”.
“Ma lei lo sa com’è diicile trovare un
lavoro qui?”.
“Lavorano dieci ore al giorno, al freddo,
senza impianto di ventilazione. Nella strut-
tura non sono rispettati i minimi standard
di sicurezza e d’igiene”.
“Senta, conosco l’azienda e il suo proprietario. Non fanno male a nessuno. Chi ci
lavora è contento di avere un impiego”.
“Ma non arrivano al salario minimo...”.
“Sylwek!”.
“Sì, commissario”.
“Quando sei stato l’ultima volta
all’azienda di cipolle?”.
“Quale, commissario?”.
“Perché, ce ne sono altre?”, chiedo io.
“Ci andiamo di continuo perché una tipa ha un iglio ubriacone. Una volta brucia
qualcosa, un’altra lo pescano a rubare”, risponde Sylwek.
“Senta, lei non vuole che la gente perda
il lavoro, vero? Allora stia zitta e lasci perdere”, aggiunge il commissario.
“E stia attenta a chi si mette contro”,
commenta Sylwek.
Il sindaco del villaggio
“Mi scusi, lei lo sa che in paese c’è un’azienda illegale di cipolle?”, chiedo all’uomo attraverso lo steccato del suo giardino.
“Che domande sono, certo che lo so”.
“E non dice nulla?”.
“Sì, ringrazio dio che l’azienda esista”.
“Ma non rispetta nessuna norma di sicurezza e d’igiene”.
“Ma lei si rende conto di quanta gente si
è ritrovata senza lavoro ed è diventata alcolizzata dopo il fallimento delle aziende agricole? Lo sa lei che per loro quell’azienda è
l’unica salvezza?”.
“Ma tutti hanno in casa la tv al plasma,
le inestre nuove, il forno a microonde, la
lavastoviglie”.
“Hanno venduto i terreni. Oggi possono solo ritinteggiare la casa o cambiare il
frigorifero. Lei li difende? Tutti quelli che
lavorano nell’azienda di cipolle avevano
grano o maiali. È andato tutto in malora
quindici anni fa. Quelli che hanno comprato le terre qui non ci mettono piede, e la
terra resta incolta. Meglio pregare che
quell’azienda funzioni il più a lungo possibile. E anche se lei, in nome di questa presunta giustizia, andrà a lamentarsi con il
fisco, qui non ci verrà nessuno, stia pur
tranquilla. Né qui né in nessuno dei paesi
vicini dove si sbucciano cipolle. Se vuole
fare qualcosa di utile, vada a Varsavia a raccontare degli agricoltori che hanno dovuto
vendere la terra perché nessuno comprava
più il loro grano, delle mucche svendute
perché era impossibile vendere il latte. Voi
in città vi siete voltati dall’altra parte, nessuno è venuto qui a sentire cosa aveva da
dire la gente”. u dp