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Il Manovale e il Ragioniere Due antieroi a confronto di Matteo Vicini La letteratura e l’immaginario italiano, specialmente quelli contemporanei, sono spesso attraversati da personaggi buffi e al contempo malinconici, alla Charlot per intenderci, veri e propri non protagonisti, ai quali ne capitano di tutti i colori. Questo solco ideale tracciato dal romanzo ma anche dalla novella all' italiana è seguito, a pochissimi anni di distanza l' uno dall' altro, da due autori, curiosamente entrambi liguri, Italo Calvino e Paolo Villaggio, attraverso la trasposizione su carta delle disavventure dei rispettivi clown moderni: Marcovaldo, il manovale, e Fantozzi, il ragioniere. Analizziamo i molti tratti comuni e le piccole divergenze che caratterizzano i due noti “sciagurati”. Le origini Italo Calvino scrive le storie di Marcovaldo nell' arco di oltre dieci anni (le prime sono del 1952, le ultime del 1963). Divulgate inizialmente sulle colonne di un giornale non per bambini quale l' “Unità”, proseguono saltuariamente a metà degli anni Cinquanta su alcune riviste sempre dedicate a un pubblico adulto, per approdare infine, dopo il 1958, sulle pagine di un periodico di genere come “Il corriere dei piccoli”. Edite in forma di raccolta di novelle dal titolo Marcovaldo, ovvero Le stagioni in città, sono finalmente pubblicate per la prima volta nel 1963, a Torino, dalla gloriosa casa editrice Einaudi, nella collana scolastica dei «Libri per ragazzi», con una ventina di illustrazioni a colori del grande Sergio Tofano, l' impareggiabile “Sto” del Signor Bonaventura. Nel 1966 il libro passa alla collana «Letture per la scuola media», sempre per i tipi dell' editrice piemontese, autocommentato dall' autore sotto lo pseudonimo di Antonio Cavilla, quindi nel 1969 Marcovaldo entra nella collana maggiore dei «Coralli» e, nel 1973, nei «Nuovi Coralli». Il ragionier Ugo Fantozzi è un personaggio letterario e cinematografico, vagamente ispirato a monsù Travet (signor Travet) protagonista de Le miserie di Monsù Travet del 1863, del giornalista e scrittore piemontese Vittorio Bersezio. Il personaggio nasce nel 1968 nella trasmissione, che segna l' esordio televisivo di Paolo Villaggio, Quelli della Domenica, con il nome Fantocci, in seguito cambiato in Fantozzi. Nello stesso anno Villaggio pubblica per l' “Europeo” alcuni racconti in cui 1 Fantozzi è protagonista. Questi racconti sono raccolti dalla casa editrice Rizzoli nel libro Fantozzi (1971) che, insieme al seguito Il secondo tragico libro di Fantozzi (1974), ha un enorme successo, anche nell' Europa orientale e nell' ex Unione Sovietica, dove Villaggio vince il premio Gogol come “miglior scrittore in cirillico”. Nel 1975 esce il primo film per il grande schermo, dal semplice titolo Fantozzi, tratto dai due libri e diretto da Luciano Salce: inizia una delle saghe più longeve del cinema comico italiano. Seguiranno, infatti, altri nove episodi: il secondo diretto ancora da Salce, il terzo co-diretto da Villaggio e Neri Parenti, dal quarto al nono diretti da Neri Parenti e il decimo, ultimo della serie, diretto da Domenico Saverni. Caratteristiche e contenuti Marcovaldo riflette gli sviluppi della realtà sociale italiana del periodo, anche se gli agganci con l' attualità non sono mai diretti, ma riguardano problemi o aspetti di carattere generale, come l' esplosione del consumismo, il richiamo della pubblicità, la massiccia diffusione sul mercato di prodotti alimentari adulterati. Il protagonista è un animo semplice, padre di una famiglia numerosa, lavoratore di fatica presso una ditta non meglio precisata, la Sbav. La miglior presentazione del personaggio appare nella prima novella (Funghi in città): «Aveva questo Marcovaldo un occhio poco adatto alla vita di città: cartelli, semafori, vetrine, insegne luminose, manifesti, per studiati che fossero a colpire l' attenzione, mai fermavano il suo sguardo che pareva scorrere sulle sabbie del deserto. Invece, una foglia che ingiallisse su un ramo, una piuma che si impigliasse a una tegola, non gli sfuggivano mai: non c' era tafano sul dorso d' un cavallo, pertugio di tarlo in una tavola, buccia di fico spiaccicata sul marciapiede che Marcovaldo non notasse, e non facesse oggetto di ragionamento, scoprendo i mutamenti della stagione, i desideri del suo animo, e le miserie della sua esistenza». La situazione comune a tutte le venti novelle che compongono il libro (dedicate ognuna a una stagione, il cui ciclo completo si ripete per cinque volte) può essere così sintetizzata: a cavallo tra gli anni Cinquanta e i primi Sessanta, nel mezzo di una grande metropoli industriale italiana (forse Torino, dove Calvino si è laureato, ha lavorato e vissuto a lungo), Marcovaldo scruta il riaffiorare delle stagioni nelle vicende atmosferiche e nei minimi segni di vita animale e vegetale, sognando un rousseauiano e improbabile ritorno allo stato di natura, andando però incontro a un' immancabile delusione. Un fondo di malinconia colora il libro dal principio alla fine. Nonostante tutti gli 2 insuccessi, il protagonista non è mai pessimista, sempre disposto a riconoscere nella realtà che gli è ostile lo spiraglio di un microcosmo, di un lembo di mondo fatto apposta per lui, e non si arrende mai, sempre pronto a ricominciare. Marcovaldo è una raccolta di novelle che inizia quando ormai la grande ondata del neorealismo ha perso molto del suo impeto: la materia che film e romanzi del dopoguerra avevano ampiamente illustrato, quali la vita di povera gente che non sa cosa mettere in pentola per pranzo e cena, è sostituita da un' immagine dell' Italia che, da povera e sottosviluppata, inizia a vivere gli anni del miracolo economico, il boom della società opulenta. Anche in letteratura i temi di attualità diventano la denuncia di un mondo in cui tutti i valori rischiano di diventare merci da vendere e comprare, in cui si perde il senso della differenza tra gli oggetti e gli esseri umani e tutto è valutato in termini di produzione e consumo. La raccolta calviniana si può dunque situare in quella letteratura definita di denuncia sociale, la cui immagine pregnante è la corsa del protagonista e della famiglia (la moglie Domitilla e i figli), regolarmente senza un soldo, attraverso il grande magazzino gremito di acquirenti e prodotti (Marcovaldo al supermarket). Un elemento sempre presente nella vita moderna, come la pubblicità, da una novella all' altra cambia il suo rapporto con la famiglia Marcovaldo: nei gelidi inverni trascorsi in un umido seminterrato i cartelloni ai margini dell' autostrada sono scambiati per alberi di un bosco (Il bosco sull'autostrada); la concorrenza tra ditte la cui sola qualità è rappresentata dalla dimensione, luminosità e visibilità delle proprie insegne si confonde per gli abitanti dell' abbaino con le più romantiche e sognanti vicende del cielo stellato di una calda notte d' estate (Luna e Gnac); ed ecco, infine, come le campagne di lancio dei detersivi, a base di campioni omaggio, invadono l' intera metropoli di schiuma iridescente, che finisce per amalgamarsi alle nuvole fumose delle ciminiere di periferia (Fumo, vento e bolle di sapone). Calvino ha definito questa sua fatica una raccolta di favole moderne e, come per sottolinearne il carattere fantastico, i personaggi di queste scenette di vita contemporanea (spazzini, guardie notturne, disoccupati, magazzinieri) hanno nomi da eroi di poema cavalleresco: lo stesso protagonista è chiamato come il gigante ucciso da Orlando nel Morgante del Pulci. La città non è mai nominata e questa indeterminatezza è voluta dall' autore per significare che non è UNA città, ma LA città, ossia una qualsiasi metropoli industriale. Ancora più indefinita è la ditta dove Marcovaldo lavora: non riusciamo mai a sapere 3 cosa vi si fabbrichi, cosa si venda, né cosa contengono le casse che il protagonista carica e scarica otto ore al giorno. È LA ditta, l’azienda simbolo di tutte le ditte, le aziende, e le marche che regnano sulle persone e sulle cose del nostro tempo. Calvino non invita certo all' ottimismo: l' uomo contemporaneo ha perso l' armonia tra sé e l' ambiente in cui vive, il superamento di questa discordanza è un compito difficile, le speranze troppo facili si rivelano sempre illusorie, ma l' atteggiamento di Marcovaldo suggerisce l' ostinazione, la non-rassegnazione. La critica alla disumanità della civiltà industriale si accompagna al deciso biasimo per ogni sogno di ritorno a un paradiso perduto di miltoniana memoria. L' idillio industriale è preso di mira, ma la natura stessa, in città, sembra essere contraffatta, alterata, compromessa con la vita artificiale. Non esiste più la natura che egli ha, forse, conosciuto da ragazzo e che vorrebbe far scoprire e amare anche ai suoi bambini. Nonostante questa graffiante critica sociale, che coincide evidentemente con la visione calviniana, non si può sostenere che l' autore si identifichi fino in fondo con Marcovaldo. Di ben altro spessore è, per esempio, l' affinità con Pin e la gente della Liguria in guerra ne Il sentiero dei nidi di ragno, derivata dall' esperienza diretta e concreta di combattente fra i gruppi partigiani alla macchia sulle prealpi liguri, così come è totale la condivisione di idee, speranze, dubbi, angosce e inquietudini di uno scrittore in piena crisi creativa quale Silas Flannery nel metaromanzo Se una notte di inverno un viaggiatore. Insignificante rotellina nello smisurato ingranaggio di una grande, non meglio precisata, azienda (la Megaditta), l' impiegato Fantozzi comincia le sue giornate lottando contro il tempo per timbrare il cartellino e azzuffandosi per un posto sull’autobus affollato e le prosegue soverchiato da smisurate pile di pratiche che gli sfaticati colleghi si premurano di affibbiargli, approfittando della sua arrendevolezza. La sua famiglia, unico rifugio dalle angherie di una società che non lo riconosce come membro effettivo se non per sfruttarlo, è composta da una moglie, Pina, insignificante e bruttina che non lo ama veramente, ma lo compatisce o al massimo dice di stimarlo, e da una figlia, Mariangela, ottusa e dall' aspetto orripilante. Spesso, malgrado i tentativi di sottrarvisi, è costretto a subire le iniziative del collega Filini, infaticabile organizzatore di squallide gite aziendali, lugubri partite di calcio tra scapoli e ammogliati, tetri campeggi e deprimenti feste di fine anno. Mentre tenta inutilmente di sedurre con inviti a pranzo, regolarmente destinati a finire in malora, la collega Silvani, gli si offre l' occasione di salire di almeno un gradino nella scala gerarchica aziendale: basta che, in una partita a biliardo si faccia battere dal vanitoso 4 Capo dell' Ufficio Personale. In un estremo atto di ribellione, invece, Fantozzi vince e viene quindi confinato in un buio stanzino della ditta in compagnia di un collega dalle idee strampalate e sovversive, nascosto agli occhi degli altri dipendenti. In seguito a ulteriori equivoci e problemi sul luogo di lavoro è infine condotto dal Mega Direttore, quasi un' icona divina, solitamente celata agli umili travet come lui: costui finirà di annientarlo, destinandolo a interpretare l' umiliante ruolo di triglia nel proprio acquario umano. Anche Fantozzi, come Marcovaldo, attraverso le mille peripezie che ne contraddistinguono le avventure, rappresenta l' italiano medio del suo tempo, gli anni Settanta. Di origine piccolo borghese, con uno stile di vita semplice (niente laurea, umile e ripetitivo lavoro impiegatizio, casa in equo canone) che riversa prima sulla carta, quindi sulla macchina da presa, ansie, sogni, delusioni e perversioni di un' intera classe di lavoratori: in tutti gli uffici è esistita una seduttrice, un po'opportunista come la signorina Silvani, un capo esigente o un collega arrivista, molti hanno guidato una vecchia utilitaria come la mitica Bianchina, tutti hanno pensato di essere perseguitati cronici dalla sfortuna, genialmente materializzata nella ormai proverbiale nuvoletta. Entrambi i nostri “eroi” divengono così prototipi di un’umanità insoddisfatta, destinata ad interpretare il ruolo di vittima delle ingiustizie e delle prepotenze altrui. Una serie infinita di guai perseguita il povero ragioniere, che dimostra non solo un’esagerata sventura, ma anche una predisposizione caratteriale alla sottomissione che sfiora l' autolesionismo. Il personaggio è stato concepito durante il lavoro impiegatizio svolto da Paolo Villaggio all' Italsider di Genova, dove, attraverso l' attenta osservazione dei colleghi, era stato testimone di vari episodi di servilismo, poi accuratamente ingigantiti e storpiati dalla sua vena tragicomica. Nato come raffigurazione dell' uomo privo di abilità contro il quale si accaniscono malasorte e prepotenze, Fantozzi è entrato nell' immaginario collettivo per la sua grottesca attitudine alla sudditanza psicologica nei confronti del potere costituito e come esempio di uomo medio, o meglio mediocre, vessato dalla società e alla continua ricerca di un riscatto. «Il prototipo del tapino, ovvero la quintessenza della nullità», come ebbe a dire lo stesso Villaggio. Il ragionier Fantozzi è un' iperbole vivente, un eccesso, l' umanità del personaggio è sopraffatta dalle immani disgrazie che lo investono e a cui non reagisce minimamente. Il comune denominatore di tutte le vicende è la totale inerzia innanzi al destino, l' impossibilità di reagire alla sorte avversa. Celebre la frase dello psicanalista della mutua a cui il ragioniere si rivolge e che, dopo ore di colloqui, conclude beffardamente: 5 «Ragionier Fantocci [storpiando il nome], ma lei non ha nessun complesso di inferiorità! Lei è inferiore!». Conclusioni Nel breve intervallo di tempo di dieci anni, Italo Calvino e Paolo Villaggio, hanno disegnato sostanzialmente la medesima figura di uomo medio: un povero diavolo alla Charlie Chaplin, un Don Chisciotte moderno sempre alle prese con improbabili sfide lanciate ai mulini a vento d’acciaio e cemento della seconda metà del XX secolo. Tanto il manovale Marcovaldo degli anni Cinquanta, quanto il ragionier Fantozzi dei Settanta, sono uomini alienati, rifiutati dalla società, piccoli e superflui ingranaggi di quel congegno complicato e tritatutto che è il mondo in cui essi, i loro autori e anche noi lettori viviamo. Le loro tragicommedie sono quelle di tutti noi: l’oppressione dell’asfissiante cementificazione metropolitana, l’assenza di una valvola di sfogo rappresentata dal mancato ritorno alla comunione con la natura, i dissidi familiari, le umiliazioni sul lavoro, la mancanza di sinceri rapporti affettivi. Eppure Marcovaldo e Fantozzi, anche di fronte all’insinuata visione pessimistica dei loro autori, in un estremo atto di ribellione patricida, sembrano suggerire l’idea di non perdere mai la speranza, di non abbandonare mai la fiducia in un riscatto futuro, in un domani migliore. Sembra quasi di immaginarseli, questi due Rossella O’Hara contemporanei, scrutare il tramonto all’orizzonte sentenziando che: « dopotutto, domani è un altro giorno». Bibliografia AA. VV., Scritture, Parma, MUP Editore, 2005. G. Bellini, G. Mazzoni, Letteratura italiana. Storia, forme, testi. 4. Il novecento, RomaBari, Editori Laterza, 1995. I. Calvino, Marcovaldo, ovvero Le stagioni in città, Milano, Garzanti Editore, 1991. F. Serra, Calvino, Roma, Salerno Editrice, 2006. P. Villaggio, Vita, morte e miracoli di un pezzo di merda, Milano, Mondadori Editore, 2002. 6