elementi di diritto penale: un reato d`omicidio nel testo

Transcript

elementi di diritto penale: un reato d`omicidio nel testo
ELEMENTI DI DIRITTO PENALE :
UN REATO D’OMICIDIO NEL TESTO DI OMERO
Dans un état comme l’état homérique …
le droit peut être partout
(L. Gernet, Droit et société, Paris 1955, p. 18)
Discutendo di “diritto greco antico”, bisogna, innanzitutto, sottolineare che questo è,
semplicemente, uno dei “diritti” dell'Oriente mediterraneo, il cui studio, però, è stato per secoli quasi
esclusivo dominio dei filologi o, anche, con la scoperta di nuove fonti epigrafiche, di epigrafisti1. Con
l’espressione “diritto greco antico” si dovrebbe intendere il complesso di ordinamenti giuridici del
mondo greco a partire almeno da quello che viene considerato il momento di formazione storica del
popolo greco (1200-1100 circa a.C.), con l'invasione dei Dori e la loro fusione con le popolazioni
preesistenti, fino all'età ellenistica, che segna il momento della formazione dei vari stati territoriali
sorti dalla frantumazione dell’impero realizzato da Alessandro Magno.
È utile, intanto, premettere che lo studio del mondo giuridico greco presenta più di una
aporia. Innanzitutto ciò che conosciamo del “diritto greco” è il diritto delle varie città (poleis) del V e
IV secolo a.C.: si dovrebbe, quindi, parlare di “diritti greci”2. In secondo luogo, per ragioni storiche,
il “diritto attico” prende il sopravvento: Atene, infatti, inizia con imporre le proprie leggi, le proprie
istituzioni giuridiche (con il relativo lessico giudiziario) nel momento della sua espansione
imperialistica con la formazione della cosiddetta Lega delio-attica (478/477 a.C.)3, e continua, nell’età
successiva, con l'espansione della koinè diálektos (la cosiddetta “lingua comune” a base ionico-attica4),
presso varie realtà “politiche”, sorte dalla frantumazione dell'impero di Alessandro Magno, a
mantenere la sua supremazia culturale anche dopo aver perso quella politica. Inoltre, la migliore
conoscenza del “diritto attico” è determinata da ragioni di carattere puramente contingente: infatti la
maggior parte delle fonti in nostro possesso riguarda il “diritto attico” di età classica.
Essendo, poi, il “diritto greco” caratterizzato dall'assenza di ogni elaborazione tecnicogiuridica del dato “normativo pragmatico”, cioè dall’assenza della “creazione di un sistema logico nel
quale, partendo da valori certi, si potesse in maniera scientifica argomentare soluzioni pratiche e,
eventualmente teoriche”5, oltre a considerarlo inscindibile dal problema morale e politico6, dobbiamo
anche tener presente che bisogna , per forza, far tesoro di ogni fonte sia essa diretta o indiretta,
intendendo con le prime, in genere, fonti epigrafiche e testi di leggi inserite in orazioni e testi storici7,
e per le seconde tutto ciò che documenti una norma o una istituzione anche solo implicitamente.
Per le indicazioni bibliografiche date in forma abbreviata si rinvia alla bibliografia posta alla fine del contributo; per una
storia degli studi si veda A. Biscardi, pp. 3-7.
2 Si veda A. Biscardi, 8 e nt. 9 (con rassegna bibliografica).
3 Per completezza ricordo alcuni dati storici significativi: la Lega fu formata da Atene con numerose isole e città costiere
della Grecia e dell’Asia Minore per continuare la lotta contro la Persia; nell’isola di Delo, centro sacrale e politico della
Lega, era raccolto il tributo pagato dai vari confederati e qui si riuniva il “sinedrio” federale, nel quale ciascuna polis era
rappresentata; successivamente e gradatamente, a partire dal 470 a.C. (vittoria di Cimone presso l’Eurimedonte), la Lega
si trasformò in impero ateniese: il tesoro da Delo fu trasferito ad Atene insieme con il “sinedrio” (454/453 a.C.) e il
tesoro fu utilizzato, per volere di Pericle, nella realizzazione di lavori pubblici destinati ad abbellire Atene (448/447); la
ribellione di alcune città fu stroncata nel sangue e solo la fine della guerra del Peloponneso (431-404) segnò il tramonto
di questo organismo politico.
4 Per completezza ricordo alcuni dati interessanti: la koinè ellenistica è rappresentata dal dialetto attico, temperato da
elementi del dialetto ionico e, in misura marginale, da elementi di altri dialetti; questa fase linguistica viene a coincidere
con l’area di massima espansione della lingua greca e segna il tramonto dei dialetti locali: in particolare è utile sottolineare
che il greco medioevale, bizantino e moderno derivano direttamente dalla koinè ellenistica.
5 M. Bretone-M. Talamanca, p. 21.
6 Per la connessione con la religione e i poemi “omerici”, considerati “documenti” per l’organizzazione sociale, politica e
giuridica, cfr. le osservazioni di S. Nespor, 86 e nt. 6.
7 Su questo problema è stato detto molto; per una bibliografia essenziale si veda A. Biscardi.
1
1
Prima delle grande stagione del “diritto attico”, in definitiva, abbiamo una sola grande
testimonianza diretta: quella costituita dalle cosiddette “Leggi di Gortina” (grandiosa iscrizione
contenente testi giuridici appartenenti al periodo tra la fine del VII e l'inizio del IV a.C.)8, la quale fa
parte di quelle prime legislazioni scritte su edifici pubblici o su stele in luoghi il più possibile pubblici,
che Detienne definiva come destinate più ad essere viste che ad essere lette9. A questo fatto bisogna
aggiungere che nella struttura giudiziaria ateniese non è possibile definire una categoria di
professionisti o giureconsulti come nel diritto romano: infatti , per regola, nei processi attici, sia
pubblici che privati, non era ammesso un avvocato (anche se ciò non impedì il formarsi, nell’Atene
del V-IV secolo a.C., di quella categoria di professionisti, i “logografi” (come Lisia, Iseo, ecc.), i quali
scrivevano per il cittadino il discorso (logos), che, a volte, era anche presentato dal synégoros (vero e
proprio “attore” che parla al posto del cittadino).
Studiare “diritto greco”, peraltro, non vuole dire studiarlo in maniera normativistica, bensì
tentare di recuperare, all'interno di esso, altri “diritti greci” preesistenti: infatti, accanto al “diritto”
proprio della polis, esistono un “diritto” sacrale e un “diritto” familiare, chiaramente riconoscibili ed
enucleabili anche in età classica.
Il “diritto attico” presenta, infatti. una stratificazione di ordinamenti diversi e autonomi uno
dall'altro, nati da una considerazione critica dei “diritti” precedenti che accoglie e, eventualmente,
modifica. Basterebbe, ad esemplificare questo passaggio, un semplice sguardo all'evoluzione del
processo attico: in esso, infatti, è chiaramente distinguibile un “evoluzione dal predominio dei
magistrati”, che si procurano gli elementi per il giudizio con forme inquisitorie, fino all'affermazione
della sovranità popolare ( tribunale dell'Eliea)10, databile al momento della riforma di Efialte del 462
a.C., in cui l'amministrazione della giustizia passa alla giurisdizione dei giudici popolari. I dieci
tribunali dell'Eliea, istituiti da Solone, erano costituiti, a turno, da tutti i cittadini “di pieno diritto”,
che avessero compiuti i 30 anni e che erano iscritti in liste apposite: da queste venivano poi estratti a
sorte per essere inseriti nelle dieci sezioni, alle quali, dopo la riforma di Efialte, fu assegnata la
giurisdizione su quasi tutti i reati, che fino ad allora erano stati giudicati dagli “arconti” e
dall'Areopago.
Sulla strada della “democrazia” ateniese, dalla seconda metà del V secolo a.C., i giudici
iniziano ad essere retribuiti e ai “magistrati” rimaneva il compito di istruire i processi (anákrisis), di
iscrivere a ruolo le cause (eisághein) e di presiedere i tribunali. Inoltre le azioni giudiziarie si dividevano
in azioni pubbliche (grafaí) e private (díkai), e gli “arconti” si limitavano a presiedere i tribunali:
l'arconte-“re” presiedeva i processi di carattere religioso, l'arconte-”eponimo” quelli relativi alla
violazione dell’ordinamento familiare, l’arconte-”polemarco” quelli che coinvolgevano stranieri
residenti ad Atene; mentre i “tesmoteti” si occupavano dei reati contro la polis.
Intanto è necessario fare un passo indietro, per cercare di individuare il momento in cui il
“diritto greco” nasce. Numerosi sono gli studiosi che si sono dedicati a questo problema 11, ma i testi
a disposizione per l’età arcaica sono veramente pochi, sebbene alcuni siano tali da permetterci di
enucleare alcuni elementi abbastanza precisi.
Alcuni studiosi hanno pensato che nelle società “pre-letterate” non possano esistere regole
giuridiche ( volte, cioè, a dettare norme di comportamento), in quanto queste non sono formalmente
riconoscibili attraverso la scrittura e non è sufficiente, per poter individuare la nascita del diritto,
cercarla attraverso le caratteristiche di una punizione12.
Quando, in precedenza, si è accennato all'inscindibilità del problema giuridico da quello
morale e politico, si voleva anche sottolineare che la mancanza di una classe di giuristi, adatta a fare
da diaframma, ha reso i Greci più sensibili al fenomeno giuridico come coscienza sociale ed ha
prodotto un affioramento di problematiche giuridiche nell'opera dei poeti, dei filosofi e degli storici,
Si veda M. Guarducci, Epigrafia…, p. 68; M. Guarducci, Inscriptiones…, n. 72; U.E. Paoli, s.v. Gortina; R.F. Willets; M.
Gagarin, The Gortyn…, 41-52.
9 Cfr. M. Detienne, p. 69.
10 Cfr. A. Biscardi, p. 251,
11 Qui occorre citare almeno i contributi di L. Gernet e di M. Gagarin, Early.
12 Cfr. M. Gagarin, Early…; H. Yunis, p. 60.
8
2
oltre che, ovviamente, degli oratori e dei logografi. Per tali motivi lo studio del “diritto greco” non è
distinguibile da quello dei diversi generi letterari.
Prendiamo ora un esempio che nel “diritto attico” ateniese presenta apparenti stranezze, la
cui spiegazione risiede proprio in quel momento tra “pre-diritto” e “diritto”, a cui abbiamo
accennato: ad Atene, in età classica l'omicida è perseguito con un'azione privata (díke fónou) non con
una pubblica (grafé), all’interno di un sistema giudiziario che prevede l'azione pubblica di chiunque
contro i debitori dello stato!
La stratificazione dei “diritti”, a cui abbiamo accennato, ci viene in aiuto: la díke fónou è
null'altro che un adattamento dell'antico “diritto di rappresaglia” dei membri della famiglia
dell'ucciso; la polis si limita a stabilire che, se non vi sono membri della famiglia in grado di intentare
l'azione, questa venga esperita dei membri della “fratria” e che, inoltre, chiunque possa intentare una
“causa di empietà” (grafé asebéias) contro il parente che non intenti causa all'omicida, violando, così,
un “diritto” sacrale e familiare.
In effetti i Greci sembrano non aver avuto leggi per regolare la vita sociale, che
comminassero pene a chi contravveniva a determinate regole, e questo fatto è ipotizzabile almeno
fino al periodo delle prime testimonianze epigrafiche che coincidono con quanto detto dagli storici13:
prima della metà del VII secolo le poleis non sembrano conoscere corpora legislativi e il “diritto” era
formato da regole non scritte, ovviamente interpretabili in maniera “arbitraria” (cfr., a questo
proposito, l’interessante passo di Iliade, XXIII, 553-4, in cui Menelao si preoccupa che gli sia data
ragione in una controversia, perché possiede più areté (“virtù”) e bia (“forza”) dell’avversario, a tal
punto da chiedere che l’avversario giuri di non averlo ostacolato dolosamente; quando questi,
Antiloco, si rifiuterà di giurare, la ragione sarà, automaticamente, di Menelao).
Il primo esempio di un passaggio dalla vendetta alla pena è, per noi, conservato in un passo
dell'Iliade (XVIII, 497-508), relativo alla descrizione della fabbricazione e della decorazione dello
scudo di Achille, dove è descritto un giudizio su un reato di omicidio14:
sulla piazza vi è un gruppo di gente; là la contesa
è sorta: due uomini litigano per il riscatto
di un uomo ucciso; uno afferma di avere pagato tutto,
giurandolo al popolo, l’altro nega di aver preso qualcosa;
ambedue vanno dal “giudice” per il giudizio.
Il popolo applaude ambedue, appoggiando l’uno e l’altro;
gli araldi trattengono allora la folla; gli anziani
siedono su pietre lisciate, nel circolo sacro15
tenendo tra le mani gli scettri degli araldi dalla voce sonora;
poi, con questi (in mano) si alzano, e a turno pronunciano il giudizio.
Giacciono in mezzo due talenti d’oro,
da dare a colui che tra di loro abbia pronunciato la sentenza più giusta.
Questa scena è stata molto discussa sia da filologi che da giuristi, soprattutto in relazione
all’esegesi dei vv. 498-50016: due sembrano essere le interpretazioni possibili, che corrispondono, in
definitiva, a due diversi “tentativi” di traduzione del passo: 1. “ uno affermava di aver pagato tutto,
l’altro negava di aver ricevuto qualcosa” (si veda, ad esempio, l’interpretazione di Thönissen,
Shoemann, Bonner, Smith, Lipsius, Treston, Calhoun, Gernet, Hommel, Wolff, Mazon, Calzecchi
Onesti, Edwards, Cerri-Gostoli, Ciani); 2. “ uno si offriva di pagare tutto, l’altro rifiutava di
Cfr. H. Yunis, pp. 64 ss.
Cfr. H. Yunis, p. 60.
15 Secondo una credenza arcaica ed universalmente diffusa il cerchio tiene lontana ogni impunità degli uomini, che sono
a contatto con il “sacro”: cfr. J. van Leewen, p. 674 (ad Il. XVIII 504).
16 Per i riferimenti bibliografici si veda E. Cantarella, Lo scudo…, pp. 247 ss.
13
14
3
accettare” (si veda, ad esempio, l’interpretazione di Hofmeister, Leist, Dareste, Leaf, Benveniste,
Perpillou)17.
In linea teorica, entrambe le tradizioni sono possibili, perché il verbo euchomai può significare
sia “affermare” che “offrire” ed il verbo anainomai potrebbe essere tradotto sia con “negare” che con
“rifiutare”, mentre l’infinito aoristo apodounai può indicare sia un fatto passato , che presente, che
futuro, perché ciò che conta è, come sappiamo, “l’aspetto dell’azione” dell’aoristo, che è “puntuale”
(ed “a-temporale”).
I vari passaggi del procedimento giudiziario sono qui rappresentati simultaneamente
attraverso quell’espediente artistico che viene definito come “prospettiva diacronica”18:una
discussione al mercato seguita dal passaggio fino al tribunale e poi dalla seduta giudiziaria.
Risulta subito chiaro che si tratta di un “pagamento” per una uccisione: questo fatto indica
che siamo in un momento storico, in cui la vendetta privata non era più l’unico modo per aver
soddisfazione di un omicidio (mentre ancora in Iliade, XXIII, 84-90, l’esilio di Patroclo a Ftia era la
pena per un omicidio involontario), ma siamo, tuttavia, ancora in una fase “intermedia” del diritto, in
cui, anche se è ammesso un accordo, la parte lesa non è obbligata ad accettarlo, e ciò significa che
“l’organo giudicante” non ha il potere di imporre l’accettazione del pagamento. La lite è perciò nata
dal fatto che i parenti dell’ucciso, negando di aver ricevuto un risarcimento, pretendono di fare
vendetta, mentre l’uccisore pretende che vendetta e risarcimento siano alternativi19.
Ma, prescindendo da altre considerazioni, ciò che qualifica questo fatto come vero e proprio
momento giudiziario20 è il gesto di emettere sentenza, tenendo tra le mani lo scettro.
Il “simbolismo dello scettro” è un simbolismo riconosciuto in molte civiltà, ma per rimanere
in ambito classico basta ricordare Odissea, II, 37ss.: quando Telemaco va a parlare nell’assemblea
d’Itaca, impugna anche lui lo scettro che gli porge l’araldo; ancor più è da notare che all’inizio
dell’Iliade (I, 234ss.) Achille giurando tiene in mano lo scettro e precisa che è quello che “portano i
giudici e coloro che vegliano sulle leggi in nome di Zeus“. E anche Minosse tiene in mano lo scettro
in Odissea, XI, 568-571; anzi la figura di Minosse si collega con la grande tradizione leggendaria
cretese, che collega l’isola e le sue colonie con la nascita del “diritto”; ciò significa, con ogni
probabilità, che , proprio i contatti antichissimi con il vicino Oriente avevano permesso il formarsi di
una legislazione orale, pronta poi ad essere trascritta precocemente21.
Lo scettro viene ad essere così il segno di un’autorità concessa formalmente22, e allora questo
passo documenterebbe l’intervento di un vero e proprio organo pubblico, il quale regola quella che,
inizialmente, era stata la semplice autodifesa: tanto è vero che l’azione giudiziaria è promossa non da
coloro che sostengono di non aver avuto il “risarcimento”, bensì da colui che afferma di averlo già
pagato23.
Il concetto di autodifesa, pur essendo ancora il normale esito di un torto, non è più, tuttavia,
un fatto da risolvere privatamente; intervengono, quindi, norme regolate dalla consuetudine, per le
quali chi avesse accettato un risarcimento (poiné) non poteva poi più vendicarsi, e pertanto la
collettività poteva inserirsi, nel momento in cui nasceva una controversia, per accertare chi avesse
ragione tra i contendenti.
Nel dettaglio dell’analisi del passo “iliadico”, preso in esame, i gherontes (“gli anziani”), in base
alle “indagini” dell’istor (“giudice”)24, si pronunciavano sulla legittimità o illegittimità di portare a
Per la diversa interpretazione del passo è sufficiente rinviare alle note di commento di W. Leaf, 611-612; G. Cerri-A.
Gostoli, pp. 986-987; M.G. Ciani-E. Avezzù, p. 849.
18 Cfr. E. Vanderlinde, p. 108.
19 Per questo tema è possibile confrontare il passo di Iliade, IX, 632-6, in cui Aiace, rimproverando Achille per la sua ira,
afferma che “…qualcuno accettò dall’uccisore il prezzo (poiné) del fratello o di suo figlio morto”: si veda anche avanti in
Appendice.
20 Ma M. Gagarin, Early…, p. 9, ritiene che “legal procedures” omeriche sarebbero semplicemente di tipo arbitrale.
21 Cfr. G. Camassa, p. 142.
22 Cfr. L. Gernet, p. 240.
23 Cfr. H.J. Wolff, pp. 31 ss.
24 Da Iliade, XXIII, 485-7, si evince, secondo me chiaramente, che l’istor è colui che ha il compito di accertare i fatti sui
quali, di conseguenza, deve anche indagare e che deve essere super partes; una specie di “giudice istruttore”?; cfr. anche E.
Cantarella, Meccanismi…, p. 76.
17
4
termine la vendetta, ed è ovvio che, se la vendetta non fosse stata riconosciuta come legittima, una
sua eventuale esecuzione avrebbe dato il “potere” alla collettività di sanzionarla e di permettere
pertanto, nuovamente, una reazione vendicativa25.
Comunque non dobbiamo lasciarci fuorviare dai molti e differenti dati, che si possono
ricavare dai diversi passi “omerici”, segnalati a corollario del passo contenente la descrizione dello
scudo di Achille (Iliade, XVIII, 497-508), perché le diversità tra il nostro passo, in cui il giudizio è
emesso da un collegio di “anziani” supportati da un istor, e il passo di Iliade, XXIII, 485-487, in cui è
citato solo l’istor, e la risoluzione di una lite attuata attraverso la richiesta di un giuramento “sulla
parola” (Iliade, XXIII, 570-585), e quella risolta attraverso una sfida a duello (Iliade, III, 245- 285), e le
liti risolte in maniera autocratica con il ricorso al sovrano (Odissea, XI, 184-187; 568-571; Iliade, I,
233-239), sono assolutamente normali nell’ambito dei poemi “omerici”, perché tutto ciò che vi
compare non è che una “stratificazione diacronica e sincronica”, risultato ultimo di un sovrapporsi di
elementi linguistici e culturali trasmessi per lunghi secoli al punto da potersi riconoscere in essi
elementi diversi. Questi vanno storicamente dalla “fase micenea” alle soglie dell’VIII secolo, cioè
all’età della polis.26, senza tuttavia avere la possibilità di enuclearli e separarli: nello stesso modo,, del
resto, non è possibile fare anche per le forme linguistiche, che non valgono a datare il verso che le
contiene27, proprio per la genesi dei poemi che prevede una lunga tradizione orale prima di una
fissazione scritta che la maggior parte della critica fa, oggi, risalire agli inizi del secolo VIII.
Per tali motivi, perciò, siamo in grado di riconoscere con certezza che nelle testimonianze dei
poemi “omerici” appare sia il momento in cui il meccanismo di autodifesa è attuato da persone che
sembrano non riconoscere un’autorità superiore (giuramento decisorio, duello “giudiziario”) sia il
momento in cui sono già presenti personaggi designati a legittimare le azioni di autodifesa28.
Come abbiamo visto, i poemi “omerici”, con la loro pluralità e stratificazione di dati, non ci
permettono di separare nettamente i vari momenti storici, ma ci danno garanzia che già esisteva (e ce
lo mostra la bella descrizione dello scudo di Achille) un processo in un’agorà (“piazza”) di fronte a
dei ghérontes, forse il primo esempio di quel processo “attico” di età classica, che tanto diffusamente
conosciamo dalle testimonianze coeve29.
Amalia Margherita Cirio
Docente di Lingua e Letteratura Greca
Università di Roma “La Sapienza”
APPENDICE: STRUMENTI DI RICERCA (TESTI )30
Omero, Iliade, I, 233-239
Ma io ora dico e pronuncio un gran giuramento:
sì, per questo scettro, che mai più foglie e rami
metterà, dopoché dapprima lasciò il taglio sui monti
né fiorirà; infatti il bronzo gli tolse
foglie e corteccia; ora dunque i figli degli Achei
lo portano in mano, quelli che fanno giustizia, e guardano le
leggi in nome di Zeus: questo sarà per te un giuramento grande.
Omero, Iliade, III, 245-285
Gli araldi andando per la città portavano leali giuramenti degli dei,
Cfr. E. Cantarella, L’omicidio…, pp. 13-15.
Cfr. G.F. Maddoli, passim.
27 Cfr. P. Chantraine, p. 2.
28 Per un eventuale collegamento storico con istituzioni micenee si veda, in particolare, C. Gallavotti, passim; G. Pugliese
Carratelli, p. 184; G.F. Maddoli, p. 12.
29 Cfr. H.J. Wollf, 62 (in particolare). Per il testo “omerico” come opera particolare di trasmissione del patrimonio
culturale nell’ambito della “cultura orale” si veda E.A. Havelock, pp. 15-37, pp. 123-138.
30 La traduzione dei testi è mia.
25
26
5
due agnelli e vino che dà gioia, frutto della terra coltivata,
in un otre di pelle di capra; un cratere splendente
portava l’araldo Ideo e coppe d’oro;
stando vicino al vecchio (Priamo) lo esortava con (queste) parole:
”alzati, figlio di Laomedonte, ti chiamano i migliori
dei Troiani domatori di cavalli e gli Achei dalle corazze di bronzo
a scendere nella pianura, per sancire giuramenti leali,
Omero, Iliade, IX, 632-636
… eppure qualcuno accettò dall’uccisore il prezzo
di un fratello o di suo figlio morto.
Omero, Iliade, XVIII, 497-508
sulla piazza vi è un gruppo di gente; là la contesa
è sorta: due uomini litigano per il riscatto
di un uomo ucciso; uno afferma di avere pagato tutto,
giurandolo al popolo, l’altro nega di aver preso qualcosa;
ambedue vanno dal “giudice” per il giudizio.
Il popolo applaude ambedue, appoggiando l’uno e l’altro;
gli araldi trattengono allora la folla; gli anziani
siedono su pietre lisciate, nel circolo sacro,
tenendo tra le mani gli scettri degli araldi dalla voce sonora;
poi, con questi (in mano) si alzano, e a turno pronunciano il giudizio.
Giacciono in mezzo due talenti d’oro,
da dare a colui che tra di loro abbia pronunciato la sentenza più giusta.
Omero, Iliade, XXIII, 84-90
Non deporre le mie ossa lontane dalle tue, Achille,
ma assieme, come assieme crescemmo nelle tue case,
quando me ragazzo condusse Menezio da Oponto
presso di voi, a causa di un omicidio doloroso,
il giorno in cui, ragazzo, uccisi Anfidamante
scioccamente, senza volere, adirato per un gioco di astragali;
allora il cavaliere Peleo, accogliendomi nelle sue case,
mi allevò con cura e mi nominò tuo scudiero.
Omero, Iliade, XXIII, 486
E come “istor” ambedue prendiamo Agamennone figlio di Atreo
Omero, Iliade, XXIII, 566-568
E tra essi anche si alzò Menelao, afflitto nell’animo,
molto adirato con Antiloco; e allora l’araldo
nelle mani gli pose lo scettro, e ordinò di fare silenzio.
Omero, Odissea, II, 37-39
Stette in piedi in mezzo all’assemblea; e a lui diede in mano lo scettro
l’araldo Pisenore, che pensa saggi pensieri;
e subito, per prima cosa, rivolgendosi al vecchio parlò.
6
Omero, Odissea, XI, 184-187
Nessuno il tuo bel privilegio possiede, ma tranquillo
Telemaco coltiva i possedimenti e ai conviti comuni
banchetta, quali convenga che un amministratore di giustizia
offra.
Omero, Odissea, XI, 568-571
Lì, dunque, vidi Minosse, splendido figlio di Zeus,
con in mano uno scettro d’oro,che giudicava i morti,
seduto; e quelli attorno a lui signore chiedevano sentenze
seduti o in piedi, nella casa di Ade dalle ampie porte.
BIBLIOGRAFIA
A. Biscardi, Diritto greco antico, Napoli 1982.
M. Bretone-M. Talamanca, Il Diritto in Grecia e a Roma, Roma-Bari 1981.
G. Camassa, Aux origines de la codification écrite des lois en Grèce, in M. Detienne, Les
savoirs de l’écriture en Gréce ancienne, (Cahiers de Philologie 14), Lille 1988, pp. 130-155.
E. Cantarella, Lo scudo di Achille: considerazioni sul processo nei poemi omerici, in Riv. Ital.
Scienze Giur., ser. III, XVI, 1972, pp. 247 ss.
E. Cantarella, Meccanismi decisionali e processo nei poemi omerici , in Symposion, 1974: Vorträge zur
griechischen und hellenistischen Rechtsgeschichte, Köln-Wien 1979, pp. 69-96.
E. Cantarella, L’omicidio nei poemi omerici, in Studi sull’omicidio nel diritto greco e
romano, Milano 1976, pp. 13-15.
P. Chantraine,Grammaire homerique, I, Paris 1958.
G. Cerri-A. Gostoli, Omero. Iliade, Milano 1996.
M.G. Ciani-E. Avezzù, Iliade di Omero, Torino 1998.
M. Detienne, L’invention de la Mythologie, Paris 1981.
M.W. Edwards, Homer, Poet of the Iliad, (The Johns Hopkins University Press), BaltimoreLondon 1987.
C. Gallavotti, Tradizione micenea e poesia greca arcaica, in Atti e Memorie del I Congresso
internazionale di Micenologia. Roma 27 settembre-3 ottobre 1967, Roma 1968, pp. 831-861.
M. Gagarin, Early Greek Law, (University of California Press), Berkeley-Los Angeles-London
1986.
M. Gagarin The Gortyn Code and Greek Legal Procedure, in Symposion, 1997: Vorträge zur
griechischen und hellenistischen Rechtsgeschichte, Köln-Wien 2001, pp. 41-52.
L. Gernet, Anthropologie de la Grèce antique, Paris 1976 (=Antropologia della Grecia antica,
Milano 1983).
M. Guarducci, Epigrafia Greca, II, Roma 1969.
M. Guarducci, Inscriptiones Creticae, IV, Roma 1950.
E.A. Havelock, The Greek Concept of Justice, Cambridge-London 1978.
W. Leaf, The Iliad, II, Books XIII-XXIV, London 1900-1902 (rist. Amsterdam 1960).
J. (van) Leeuwen, Ilias, II, Libri XIII-XXIV, Lugduni Batavorum 1913.
G.F. Maddoli Damos e Basilees, Contributo allo studio delle origini della polis, in SMEA, XII,
1970, pp. 7-57.
S. Nespor, Spunti sui rapporti fra diritto e religione in Omero, in Symposion, 1974: Vorträge zur
griechischen und hellenistischen Rechtsgeschichte, Köln-Wien 1979, pp. 85-96.
U.E. Paoli, La scienza del diritto attico e le sue possibilità, in Studi sul processo attico,
Padova 1933.
U.E. Paoli, in Novissimo Digesto Italiano, s.v. Gortina (Diritto di).
7
G.Pugliese Carratelli, Dal regno miceneo alla polis, in Atti del convegno internazionale “Dalla tribù allo
Stato”, Accademia dei Li ncei, Roma 1962 (= Quaderno n. 54), pp. 175-191.
H. Yunis,Written Texts and the Rise of Literate Culture in Ancient Greece, (Cambridge
University Press), Cambridge 2003.
E. Vanderlinde, Le bouclier d’Achille, in Étud. Class. XLVIII, 1980, pp. 98-126.
R.F. Willets, The Law Code of Gortyn, Berlin 1967.
H.J.Wolff, The Origin of Judicial Litigation among the Greeks, in Traditio 4 (1946), pp. 31
ss. (ora in Beiträge zur rechtsgeschichte Altgriechischenlands und des Hellenistisch-römischen
Ägypten (Forsch. zum röm. Recht,13), Weimar 1961, pp. 1 ss).
8