elementi di diritto penale: un reato d`omicidio nel testo
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ELEMENTI DI DIRITTO PENALE : UN REATO D’OMICIDIO NEL TESTO DI OMERO Dans un état comme l’état homérique … le droit peut être partout (L. Gernet, Droit et société, Paris 1955, p. 18) Discutendo di “diritto greco antico”, bisogna, innanzitutto, sottolineare che questo è, semplicemente, uno dei “diritti” dell'Oriente mediterraneo, il cui studio, però, è stato per secoli quasi esclusivo dominio dei filologi o, anche, con la scoperta di nuove fonti epigrafiche, di epigrafisti1. Con l’espressione “diritto greco antico” si dovrebbe intendere il complesso di ordinamenti giuridici del mondo greco a partire almeno da quello che viene considerato il momento di formazione storica del popolo greco (1200-1100 circa a.C.), con l'invasione dei Dori e la loro fusione con le popolazioni preesistenti, fino all'età ellenistica, che segna il momento della formazione dei vari stati territoriali sorti dalla frantumazione dell’impero realizzato da Alessandro Magno. È utile, intanto, premettere che lo studio del mondo giuridico greco presenta più di una aporia. Innanzitutto ciò che conosciamo del “diritto greco” è il diritto delle varie città (poleis) del V e IV secolo a.C.: si dovrebbe, quindi, parlare di “diritti greci”2. In secondo luogo, per ragioni storiche, il “diritto attico” prende il sopravvento: Atene, infatti, inizia con imporre le proprie leggi, le proprie istituzioni giuridiche (con il relativo lessico giudiziario) nel momento della sua espansione imperialistica con la formazione della cosiddetta Lega delio-attica (478/477 a.C.)3, e continua, nell’età successiva, con l'espansione della koinè diálektos (la cosiddetta “lingua comune” a base ionico-attica4), presso varie realtà “politiche”, sorte dalla frantumazione dell'impero di Alessandro Magno, a mantenere la sua supremazia culturale anche dopo aver perso quella politica. Inoltre, la migliore conoscenza del “diritto attico” è determinata da ragioni di carattere puramente contingente: infatti la maggior parte delle fonti in nostro possesso riguarda il “diritto attico” di età classica. Essendo, poi, il “diritto greco” caratterizzato dall'assenza di ogni elaborazione tecnicogiuridica del dato “normativo pragmatico”, cioè dall’assenza della “creazione di un sistema logico nel quale, partendo da valori certi, si potesse in maniera scientifica argomentare soluzioni pratiche e, eventualmente teoriche”5, oltre a considerarlo inscindibile dal problema morale e politico6, dobbiamo anche tener presente che bisogna , per forza, far tesoro di ogni fonte sia essa diretta o indiretta, intendendo con le prime, in genere, fonti epigrafiche e testi di leggi inserite in orazioni e testi storici7, e per le seconde tutto ciò che documenti una norma o una istituzione anche solo implicitamente. Per le indicazioni bibliografiche date in forma abbreviata si rinvia alla bibliografia posta alla fine del contributo; per una storia degli studi si veda A. Biscardi, pp. 3-7. 2 Si veda A. Biscardi, 8 e nt. 9 (con rassegna bibliografica). 3 Per completezza ricordo alcuni dati storici significativi: la Lega fu formata da Atene con numerose isole e città costiere della Grecia e dell’Asia Minore per continuare la lotta contro la Persia; nell’isola di Delo, centro sacrale e politico della Lega, era raccolto il tributo pagato dai vari confederati e qui si riuniva il “sinedrio” federale, nel quale ciascuna polis era rappresentata; successivamente e gradatamente, a partire dal 470 a.C. (vittoria di Cimone presso l’Eurimedonte), la Lega si trasformò in impero ateniese: il tesoro da Delo fu trasferito ad Atene insieme con il “sinedrio” (454/453 a.C.) e il tesoro fu utilizzato, per volere di Pericle, nella realizzazione di lavori pubblici destinati ad abbellire Atene (448/447); la ribellione di alcune città fu stroncata nel sangue e solo la fine della guerra del Peloponneso (431-404) segnò il tramonto di questo organismo politico. 4 Per completezza ricordo alcuni dati interessanti: la koinè ellenistica è rappresentata dal dialetto attico, temperato da elementi del dialetto ionico e, in misura marginale, da elementi di altri dialetti; questa fase linguistica viene a coincidere con l’area di massima espansione della lingua greca e segna il tramonto dei dialetti locali: in particolare è utile sottolineare che il greco medioevale, bizantino e moderno derivano direttamente dalla koinè ellenistica. 5 M. Bretone-M. Talamanca, p. 21. 6 Per la connessione con la religione e i poemi “omerici”, considerati “documenti” per l’organizzazione sociale, politica e giuridica, cfr. le osservazioni di S. Nespor, 86 e nt. 6. 7 Su questo problema è stato detto molto; per una bibliografia essenziale si veda A. Biscardi. 1 1 Prima delle grande stagione del “diritto attico”, in definitiva, abbiamo una sola grande testimonianza diretta: quella costituita dalle cosiddette “Leggi di Gortina” (grandiosa iscrizione contenente testi giuridici appartenenti al periodo tra la fine del VII e l'inizio del IV a.C.)8, la quale fa parte di quelle prime legislazioni scritte su edifici pubblici o su stele in luoghi il più possibile pubblici, che Detienne definiva come destinate più ad essere viste che ad essere lette9. A questo fatto bisogna aggiungere che nella struttura giudiziaria ateniese non è possibile definire una categoria di professionisti o giureconsulti come nel diritto romano: infatti , per regola, nei processi attici, sia pubblici che privati, non era ammesso un avvocato (anche se ciò non impedì il formarsi, nell’Atene del V-IV secolo a.C., di quella categoria di professionisti, i “logografi” (come Lisia, Iseo, ecc.), i quali scrivevano per il cittadino il discorso (logos), che, a volte, era anche presentato dal synégoros (vero e proprio “attore” che parla al posto del cittadino). Studiare “diritto greco”, peraltro, non vuole dire studiarlo in maniera normativistica, bensì tentare di recuperare, all'interno di esso, altri “diritti greci” preesistenti: infatti, accanto al “diritto” proprio della polis, esistono un “diritto” sacrale e un “diritto” familiare, chiaramente riconoscibili ed enucleabili anche in età classica. Il “diritto attico” presenta, infatti. una stratificazione di ordinamenti diversi e autonomi uno dall'altro, nati da una considerazione critica dei “diritti” precedenti che accoglie e, eventualmente, modifica. Basterebbe, ad esemplificare questo passaggio, un semplice sguardo all'evoluzione del processo attico: in esso, infatti, è chiaramente distinguibile un “evoluzione dal predominio dei magistrati”, che si procurano gli elementi per il giudizio con forme inquisitorie, fino all'affermazione della sovranità popolare ( tribunale dell'Eliea)10, databile al momento della riforma di Efialte del 462 a.C., in cui l'amministrazione della giustizia passa alla giurisdizione dei giudici popolari. I dieci tribunali dell'Eliea, istituiti da Solone, erano costituiti, a turno, da tutti i cittadini “di pieno diritto”, che avessero compiuti i 30 anni e che erano iscritti in liste apposite: da queste venivano poi estratti a sorte per essere inseriti nelle dieci sezioni, alle quali, dopo la riforma di Efialte, fu assegnata la giurisdizione su quasi tutti i reati, che fino ad allora erano stati giudicati dagli “arconti” e dall'Areopago. Sulla strada della “democrazia” ateniese, dalla seconda metà del V secolo a.C., i giudici iniziano ad essere retribuiti e ai “magistrati” rimaneva il compito di istruire i processi (anákrisis), di iscrivere a ruolo le cause (eisághein) e di presiedere i tribunali. Inoltre le azioni giudiziarie si dividevano in azioni pubbliche (grafaí) e private (díkai), e gli “arconti” si limitavano a presiedere i tribunali: l'arconte-“re” presiedeva i processi di carattere religioso, l'arconte-”eponimo” quelli relativi alla violazione dell’ordinamento familiare, l’arconte-”polemarco” quelli che coinvolgevano stranieri residenti ad Atene; mentre i “tesmoteti” si occupavano dei reati contro la polis. Intanto è necessario fare un passo indietro, per cercare di individuare il momento in cui il “diritto greco” nasce. Numerosi sono gli studiosi che si sono dedicati a questo problema 11, ma i testi a disposizione per l’età arcaica sono veramente pochi, sebbene alcuni siano tali da permetterci di enucleare alcuni elementi abbastanza precisi. Alcuni studiosi hanno pensato che nelle società “pre-letterate” non possano esistere regole giuridiche ( volte, cioè, a dettare norme di comportamento), in quanto queste non sono formalmente riconoscibili attraverso la scrittura e non è sufficiente, per poter individuare la nascita del diritto, cercarla attraverso le caratteristiche di una punizione12. Quando, in precedenza, si è accennato all'inscindibilità del problema giuridico da quello morale e politico, si voleva anche sottolineare che la mancanza di una classe di giuristi, adatta a fare da diaframma, ha reso i Greci più sensibili al fenomeno giuridico come coscienza sociale ed ha prodotto un affioramento di problematiche giuridiche nell'opera dei poeti, dei filosofi e degli storici, Si veda M. Guarducci, Epigrafia…, p. 68; M. Guarducci, Inscriptiones…, n. 72; U.E. Paoli, s.v. Gortina; R.F. Willets; M. Gagarin, The Gortyn…, 41-52. 9 Cfr. M. Detienne, p. 69. 10 Cfr. A. Biscardi, p. 251, 11 Qui occorre citare almeno i contributi di L. Gernet e di M. Gagarin, Early. 12 Cfr. M. Gagarin, Early…; H. Yunis, p. 60. 8 2 oltre che, ovviamente, degli oratori e dei logografi. Per tali motivi lo studio del “diritto greco” non è distinguibile da quello dei diversi generi letterari. Prendiamo ora un esempio che nel “diritto attico” ateniese presenta apparenti stranezze, la cui spiegazione risiede proprio in quel momento tra “pre-diritto” e “diritto”, a cui abbiamo accennato: ad Atene, in età classica l'omicida è perseguito con un'azione privata (díke fónou) non con una pubblica (grafé), all’interno di un sistema giudiziario che prevede l'azione pubblica di chiunque contro i debitori dello stato! La stratificazione dei “diritti”, a cui abbiamo accennato, ci viene in aiuto: la díke fónou è null'altro che un adattamento dell'antico “diritto di rappresaglia” dei membri della famiglia dell'ucciso; la polis si limita a stabilire che, se non vi sono membri della famiglia in grado di intentare l'azione, questa venga esperita dei membri della “fratria” e che, inoltre, chiunque possa intentare una “causa di empietà” (grafé asebéias) contro il parente che non intenti causa all'omicida, violando, così, un “diritto” sacrale e familiare. In effetti i Greci sembrano non aver avuto leggi per regolare la vita sociale, che comminassero pene a chi contravveniva a determinate regole, e questo fatto è ipotizzabile almeno fino al periodo delle prime testimonianze epigrafiche che coincidono con quanto detto dagli storici13: prima della metà del VII secolo le poleis non sembrano conoscere corpora legislativi e il “diritto” era formato da regole non scritte, ovviamente interpretabili in maniera “arbitraria” (cfr., a questo proposito, l’interessante passo di Iliade, XXIII, 553-4, in cui Menelao si preoccupa che gli sia data ragione in una controversia, perché possiede più areté (“virtù”) e bia (“forza”) dell’avversario, a tal punto da chiedere che l’avversario giuri di non averlo ostacolato dolosamente; quando questi, Antiloco, si rifiuterà di giurare, la ragione sarà, automaticamente, di Menelao). Il primo esempio di un passaggio dalla vendetta alla pena è, per noi, conservato in un passo dell'Iliade (XVIII, 497-508), relativo alla descrizione della fabbricazione e della decorazione dello scudo di Achille, dove è descritto un giudizio su un reato di omicidio14: sulla piazza vi è un gruppo di gente; là la contesa è sorta: due uomini litigano per il riscatto di un uomo ucciso; uno afferma di avere pagato tutto, giurandolo al popolo, l’altro nega di aver preso qualcosa; ambedue vanno dal “giudice” per il giudizio. Il popolo applaude ambedue, appoggiando l’uno e l’altro; gli araldi trattengono allora la folla; gli anziani siedono su pietre lisciate, nel circolo sacro15 tenendo tra le mani gli scettri degli araldi dalla voce sonora; poi, con questi (in mano) si alzano, e a turno pronunciano il giudizio. Giacciono in mezzo due talenti d’oro, da dare a colui che tra di loro abbia pronunciato la sentenza più giusta. Questa scena è stata molto discussa sia da filologi che da giuristi, soprattutto in relazione all’esegesi dei vv. 498-50016: due sembrano essere le interpretazioni possibili, che corrispondono, in definitiva, a due diversi “tentativi” di traduzione del passo: 1. “ uno affermava di aver pagato tutto, l’altro negava di aver ricevuto qualcosa” (si veda, ad esempio, l’interpretazione di Thönissen, Shoemann, Bonner, Smith, Lipsius, Treston, Calhoun, Gernet, Hommel, Wolff, Mazon, Calzecchi Onesti, Edwards, Cerri-Gostoli, Ciani); 2. “ uno si offriva di pagare tutto, l’altro rifiutava di Cfr. H. Yunis, pp. 64 ss. Cfr. H. Yunis, p. 60. 15 Secondo una credenza arcaica ed universalmente diffusa il cerchio tiene lontana ogni impunità degli uomini, che sono a contatto con il “sacro”: cfr. J. van Leewen, p. 674 (ad Il. XVIII 504). 16 Per i riferimenti bibliografici si veda E. Cantarella, Lo scudo…, pp. 247 ss. 13 14 3 accettare” (si veda, ad esempio, l’interpretazione di Hofmeister, Leist, Dareste, Leaf, Benveniste, Perpillou)17. In linea teorica, entrambe le tradizioni sono possibili, perché il verbo euchomai può significare sia “affermare” che “offrire” ed il verbo anainomai potrebbe essere tradotto sia con “negare” che con “rifiutare”, mentre l’infinito aoristo apodounai può indicare sia un fatto passato , che presente, che futuro, perché ciò che conta è, come sappiamo, “l’aspetto dell’azione” dell’aoristo, che è “puntuale” (ed “a-temporale”). I vari passaggi del procedimento giudiziario sono qui rappresentati simultaneamente attraverso quell’espediente artistico che viene definito come “prospettiva diacronica”18:una discussione al mercato seguita dal passaggio fino al tribunale e poi dalla seduta giudiziaria. Risulta subito chiaro che si tratta di un “pagamento” per una uccisione: questo fatto indica che siamo in un momento storico, in cui la vendetta privata non era più l’unico modo per aver soddisfazione di un omicidio (mentre ancora in Iliade, XXIII, 84-90, l’esilio di Patroclo a Ftia era la pena per un omicidio involontario), ma siamo, tuttavia, ancora in una fase “intermedia” del diritto, in cui, anche se è ammesso un accordo, la parte lesa non è obbligata ad accettarlo, e ciò significa che “l’organo giudicante” non ha il potere di imporre l’accettazione del pagamento. La lite è perciò nata dal fatto che i parenti dell’ucciso, negando di aver ricevuto un risarcimento, pretendono di fare vendetta, mentre l’uccisore pretende che vendetta e risarcimento siano alternativi19. Ma, prescindendo da altre considerazioni, ciò che qualifica questo fatto come vero e proprio momento giudiziario20 è il gesto di emettere sentenza, tenendo tra le mani lo scettro. Il “simbolismo dello scettro” è un simbolismo riconosciuto in molte civiltà, ma per rimanere in ambito classico basta ricordare Odissea, II, 37ss.: quando Telemaco va a parlare nell’assemblea d’Itaca, impugna anche lui lo scettro che gli porge l’araldo; ancor più è da notare che all’inizio dell’Iliade (I, 234ss.) Achille giurando tiene in mano lo scettro e precisa che è quello che “portano i giudici e coloro che vegliano sulle leggi in nome di Zeus“. E anche Minosse tiene in mano lo scettro in Odissea, XI, 568-571; anzi la figura di Minosse si collega con la grande tradizione leggendaria cretese, che collega l’isola e le sue colonie con la nascita del “diritto”; ciò significa, con ogni probabilità, che , proprio i contatti antichissimi con il vicino Oriente avevano permesso il formarsi di una legislazione orale, pronta poi ad essere trascritta precocemente21. Lo scettro viene ad essere così il segno di un’autorità concessa formalmente22, e allora questo passo documenterebbe l’intervento di un vero e proprio organo pubblico, il quale regola quella che, inizialmente, era stata la semplice autodifesa: tanto è vero che l’azione giudiziaria è promossa non da coloro che sostengono di non aver avuto il “risarcimento”, bensì da colui che afferma di averlo già pagato23. Il concetto di autodifesa, pur essendo ancora il normale esito di un torto, non è più, tuttavia, un fatto da risolvere privatamente; intervengono, quindi, norme regolate dalla consuetudine, per le quali chi avesse accettato un risarcimento (poiné) non poteva poi più vendicarsi, e pertanto la collettività poteva inserirsi, nel momento in cui nasceva una controversia, per accertare chi avesse ragione tra i contendenti. Nel dettaglio dell’analisi del passo “iliadico”, preso in esame, i gherontes (“gli anziani”), in base alle “indagini” dell’istor (“giudice”)24, si pronunciavano sulla legittimità o illegittimità di portare a Per la diversa interpretazione del passo è sufficiente rinviare alle note di commento di W. Leaf, 611-612; G. Cerri-A. Gostoli, pp. 986-987; M.G. Ciani-E. Avezzù, p. 849. 18 Cfr. E. Vanderlinde, p. 108. 19 Per questo tema è possibile confrontare il passo di Iliade, IX, 632-6, in cui Aiace, rimproverando Achille per la sua ira, afferma che “…qualcuno accettò dall’uccisore il prezzo (poiné) del fratello o di suo figlio morto”: si veda anche avanti in Appendice. 20 Ma M. Gagarin, Early…, p. 9, ritiene che “legal procedures” omeriche sarebbero semplicemente di tipo arbitrale. 21 Cfr. G. Camassa, p. 142. 22 Cfr. L. Gernet, p. 240. 23 Cfr. H.J. Wolff, pp. 31 ss. 24 Da Iliade, XXIII, 485-7, si evince, secondo me chiaramente, che l’istor è colui che ha il compito di accertare i fatti sui quali, di conseguenza, deve anche indagare e che deve essere super partes; una specie di “giudice istruttore”?; cfr. anche E. Cantarella, Meccanismi…, p. 76. 17 4 termine la vendetta, ed è ovvio che, se la vendetta non fosse stata riconosciuta come legittima, una sua eventuale esecuzione avrebbe dato il “potere” alla collettività di sanzionarla e di permettere pertanto, nuovamente, una reazione vendicativa25. Comunque non dobbiamo lasciarci fuorviare dai molti e differenti dati, che si possono ricavare dai diversi passi “omerici”, segnalati a corollario del passo contenente la descrizione dello scudo di Achille (Iliade, XVIII, 497-508), perché le diversità tra il nostro passo, in cui il giudizio è emesso da un collegio di “anziani” supportati da un istor, e il passo di Iliade, XXIII, 485-487, in cui è citato solo l’istor, e la risoluzione di una lite attuata attraverso la richiesta di un giuramento “sulla parola” (Iliade, XXIII, 570-585), e quella risolta attraverso una sfida a duello (Iliade, III, 245- 285), e le liti risolte in maniera autocratica con il ricorso al sovrano (Odissea, XI, 184-187; 568-571; Iliade, I, 233-239), sono assolutamente normali nell’ambito dei poemi “omerici”, perché tutto ciò che vi compare non è che una “stratificazione diacronica e sincronica”, risultato ultimo di un sovrapporsi di elementi linguistici e culturali trasmessi per lunghi secoli al punto da potersi riconoscere in essi elementi diversi. Questi vanno storicamente dalla “fase micenea” alle soglie dell’VIII secolo, cioè all’età della polis.26, senza tuttavia avere la possibilità di enuclearli e separarli: nello stesso modo,, del resto, non è possibile fare anche per le forme linguistiche, che non valgono a datare il verso che le contiene27, proprio per la genesi dei poemi che prevede una lunga tradizione orale prima di una fissazione scritta che la maggior parte della critica fa, oggi, risalire agli inizi del secolo VIII. Per tali motivi, perciò, siamo in grado di riconoscere con certezza che nelle testimonianze dei poemi “omerici” appare sia il momento in cui il meccanismo di autodifesa è attuato da persone che sembrano non riconoscere un’autorità superiore (giuramento decisorio, duello “giudiziario”) sia il momento in cui sono già presenti personaggi designati a legittimare le azioni di autodifesa28. Come abbiamo visto, i poemi “omerici”, con la loro pluralità e stratificazione di dati, non ci permettono di separare nettamente i vari momenti storici, ma ci danno garanzia che già esisteva (e ce lo mostra la bella descrizione dello scudo di Achille) un processo in un’agorà (“piazza”) di fronte a dei ghérontes, forse il primo esempio di quel processo “attico” di età classica, che tanto diffusamente conosciamo dalle testimonianze coeve29. Amalia Margherita Cirio Docente di Lingua e Letteratura Greca Università di Roma “La Sapienza” APPENDICE: STRUMENTI DI RICERCA (TESTI )30 Omero, Iliade, I, 233-239 Ma io ora dico e pronuncio un gran giuramento: sì, per questo scettro, che mai più foglie e rami metterà, dopoché dapprima lasciò il taglio sui monti né fiorirà; infatti il bronzo gli tolse foglie e corteccia; ora dunque i figli degli Achei lo portano in mano, quelli che fanno giustizia, e guardano le leggi in nome di Zeus: questo sarà per te un giuramento grande. Omero, Iliade, III, 245-285 Gli araldi andando per la città portavano leali giuramenti degli dei, Cfr. E. Cantarella, L’omicidio…, pp. 13-15. Cfr. G.F. Maddoli, passim. 27 Cfr. P. Chantraine, p. 2. 28 Per un eventuale collegamento storico con istituzioni micenee si veda, in particolare, C. Gallavotti, passim; G. Pugliese Carratelli, p. 184; G.F. Maddoli, p. 12. 29 Cfr. H.J. Wollf, 62 (in particolare). Per il testo “omerico” come opera particolare di trasmissione del patrimonio culturale nell’ambito della “cultura orale” si veda E.A. Havelock, pp. 15-37, pp. 123-138. 30 La traduzione dei testi è mia. 25 26 5 due agnelli e vino che dà gioia, frutto della terra coltivata, in un otre di pelle di capra; un cratere splendente portava l’araldo Ideo e coppe d’oro; stando vicino al vecchio (Priamo) lo esortava con (queste) parole: ”alzati, figlio di Laomedonte, ti chiamano i migliori dei Troiani domatori di cavalli e gli Achei dalle corazze di bronzo a scendere nella pianura, per sancire giuramenti leali, Omero, Iliade, IX, 632-636 … eppure qualcuno accettò dall’uccisore il prezzo di un fratello o di suo figlio morto. Omero, Iliade, XVIII, 497-508 sulla piazza vi è un gruppo di gente; là la contesa è sorta: due uomini litigano per il riscatto di un uomo ucciso; uno afferma di avere pagato tutto, giurandolo al popolo, l’altro nega di aver preso qualcosa; ambedue vanno dal “giudice” per il giudizio. Il popolo applaude ambedue, appoggiando l’uno e l’altro; gli araldi trattengono allora la folla; gli anziani siedono su pietre lisciate, nel circolo sacro, tenendo tra le mani gli scettri degli araldi dalla voce sonora; poi, con questi (in mano) si alzano, e a turno pronunciano il giudizio. Giacciono in mezzo due talenti d’oro, da dare a colui che tra di loro abbia pronunciato la sentenza più giusta. Omero, Iliade, XXIII, 84-90 Non deporre le mie ossa lontane dalle tue, Achille, ma assieme, come assieme crescemmo nelle tue case, quando me ragazzo condusse Menezio da Oponto presso di voi, a causa di un omicidio doloroso, il giorno in cui, ragazzo, uccisi Anfidamante scioccamente, senza volere, adirato per un gioco di astragali; allora il cavaliere Peleo, accogliendomi nelle sue case, mi allevò con cura e mi nominò tuo scudiero. Omero, Iliade, XXIII, 486 E come “istor” ambedue prendiamo Agamennone figlio di Atreo Omero, Iliade, XXIII, 566-568 E tra essi anche si alzò Menelao, afflitto nell’animo, molto adirato con Antiloco; e allora l’araldo nelle mani gli pose lo scettro, e ordinò di fare silenzio. Omero, Odissea, II, 37-39 Stette in piedi in mezzo all’assemblea; e a lui diede in mano lo scettro l’araldo Pisenore, che pensa saggi pensieri; e subito, per prima cosa, rivolgendosi al vecchio parlò. 6 Omero, Odissea, XI, 184-187 Nessuno il tuo bel privilegio possiede, ma tranquillo Telemaco coltiva i possedimenti e ai conviti comuni banchetta, quali convenga che un amministratore di giustizia offra. Omero, Odissea, XI, 568-571 Lì, dunque, vidi Minosse, splendido figlio di Zeus, con in mano uno scettro d’oro,che giudicava i morti, seduto; e quelli attorno a lui signore chiedevano sentenze seduti o in piedi, nella casa di Ade dalle ampie porte. BIBLIOGRAFIA A. Biscardi, Diritto greco antico, Napoli 1982. M. 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