le mie parole - elisabetta chicco vitzizzai

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le mie parole - elisabetta chicco vitzizzai
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LE MIE PAROLE
Lo scrittore è un cacciatore di parole. Ne scopre dappertutto: nei dizionari, nei
libri e sulle labbra del prossimo. La scoperta di una parola in grado di realizzare il
suo immaginario, la parola che non solo esprime un certo significato, ma che
riesce anche a esprimere l'emozione, lo manda in estasi. “Les hommes ont devoré
un dictionnaire, et ce qu'ils nomment existe” scriveva Eluard. Ma le parole
invecchiano e talvolta muoiono o sopravvivono solo nei dizionari, non sempre per
logorio e invecchiamento del concetto, ma perchè cadono in disuso per colpa dei
parlanti e in parte anche degli scriventi. A me piace riesumarle, sbirciando negli
angoli dimenticati con spirito un po' da collezionista, che vaga per cantine e
soffitte in cerca di tesori nascosti. Naturalmente nell'usare parole inconsuete o
desuete cerco di fare in modo che il loro significato possa apparire evidente dal
contesto. Non è obbligatorio costringere il lettore a consultare il dizionario mentre
si abbandona al piacere della lettura.
Ma scrivere diventa ancora più eccitante quando si è in grado di utilizzare in
modo insolito le parole di uso più comune, connotandole in modo particolare.
L'obiettivo è sempre quello di liberare la lingua dalle convenzioni che
l'appiattiscono e la banalizzano. Come ogni scrittore aspiro a un mio personale
linguaggio e nei miei scritti la miscela di termini gergali, dialettali, neologismi,
calchi di retorica “aulica” sulla lingua italiana di fondo, consegue al mio modo di
interpretare oltre che di rappresentare una certa umanità.
Parole lette e ascoltate, uno scavare nella memoria che è uno scavare in certa
società torinese, in certo costume torinese; colori, ambienti, atmosfere esumati dal
suono di alcune parole; una fantasia che si alimenta della documentazione scritta e
quindi anche letteraria del passato. E un lavoro puntiglioso e divertito sulle parole,
su tutti i materiali limguistici utilizzabili espressivamente, nei modi dell'ironia,
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della satira, della parodia, allo scopo di definire, attraverso una sorta di
straniumento, una condizione umana e culturale. Voglio dire che mi rapporto alla
città e all'ambiente torinese con la curiosità di uno straniero più che con
l'affezione di un autoctono. La mia conoscenza del piemontese, del resto, è molto
limitata, così incerta della pronuncia e del lessico che mai oserei farne uso con
parlanti piemontesi. Ma proprio perchè poco conosciuto, il dialetto della città mi
incuriosisce e mi stimola, allo stesso modo delle sue vie e della sua gente, tra cui
mi aggiro con l'animo del flâneur, di un alieno flâneur. Allora il glorioso
dizionario piemontese-italiano del Sant'Albino (1859) può diventare un libro da
leggersi tutto di seguito, come non lo sarà mai invece un vocabolario della lingua
italiana, che ci si limiterà a consultare. Al contrario di quel che si proponeva il
Sant'Albino (far conoscere ai piemontesi la lingua nazionale) io compio il
cammino inverso dall'italiano al piemontese. Leggendo il Sant'Albino ci si trova a
volte in un paradiso polilinguistico. Per esempio: “Abimé. Rovinare, guastare,
sconquassare. Se di panni o simili spiegazzare, mantrugiare, sciupare.” “A boca
duverta. A bocca aperta, a canna badata”. Notevoli le serie sinonimiche:
“Aciacos :malsaniccio, malaticcio, malazzato, malcubato, morbisciato, bacato,
crocchio, cagionevole, valetudinario”.
Come vocabolario italiano uso lo Zingarelli. Di un vocabolario italiano mi
interessa l'aspetto storico-descrittivo, non certo quello puristico-normativo. E lo
Zingarelli mi sembra un buon dizionario dell'uso, che attesta e registra lo stato
della lingua, anche per quanto riguarda i forestierismi e i neologismi. Poiché la
diversa appartenenza sociale dei personaggi in un racconto è denunciata anche dal
loro comportamento verbale e, specialmente, dalle differenze lessicali,
grammaticali, sintattiche, è per me molto utile che un vocabolario indichi il livello
linguistico (volgare, familiare, gergale, tecnico, scientifico, letterario, ecc.). Così
come è altrettanto utile, per motivi diciamo stilistici, che il dizionario rilevi gli
scarti dalla lingua standard (desueto, arcaico, poetico, aulico, raro, ecc.). Mi riesce
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molto utile anche, nello Zingarelli , la registrazione delle varianti di forma , ossia
parole che presentano , rispetto a un'altra di uso più comune, differenze fonetiche
e grafiche, pur avendo la stessa base etimologica e lo stesso significato (per es.
gas e la variante di uso antiquato gaz ).
Lo Zingarelli mi piace anche perché accoglie diverse voci dialettali o gergali,
in varia misura entrate a far parte dell'italiano comune. Purtroppo, anche per
ragioni di praticità e maneggevolezza ad ogni nuova edizione un certo numero di
voci viene depennato. In compenso ne entrano molte di nuove. Personalmente ho
arricchito il mio Zingarelli (edizione dell'83) di precisazioni e integrazioni.
Essendo molte le voci su cui mi è accaduto di operare con noticine a margine, mi
è divenuto impossibile utilizzare un vocabolario diverso. Tanto per fare qualche
esempio: alla voce Anamorfòsi nell'accezione 2 :”Artifizio pittorico per inserire in
una composizione scene o immagini non percepibili se non osservate di scorcio o
da un determinato punto di vista” ho aggiunto “specialmente nei dipinti
anamorfici del '700 la deformazione è operata dal vetro concavo o convesso con
effetti, a seconda, di allungamento, stiramento, contorsione, sproporzione,
rigonfiamento”. Alla voce Alambicco ho aggiunto un rimando a Tamburlano , che
è un arnese simile. Alla voce Imbalsamare ho aggiunto un esempio esplicativo:
“Imbalsamare una gamba : Praticare una piccola incisione all'inguine per
raggiungere l'arteria femorale, dove si inietta il liquido per l'imbalsamazione”.
Alla voce Carrozza l'integrazione ha riguardato anche l'illustrazione di
accompagnamento con il disegno del carrozzino cosidetto cul de singe. Chissà
mai possa venirmi utile. Sotto la voce Cerimonia, nell'esempio abito da
cerimonia, spiegato un po' tautologicamente come “abito che si indossa durante la
cerimonia” ho aggiunto le varietà fondamentali di quest'abito come Redingote,
Finanziera, Marsina, Frac (da sera gli ultimi due, come il più moderno Smocking)
e Dorsay, Velada, Tight (da cerimonia anch'essi, ma diurni).
Altre sono integrazioni di tipo enciclopedico. Così alla parola Cachi “che ha
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un colore giallo sabbia, caratteristico degli abiti coloniuali” ho apposto: “ Nella
lingua Urdu dell'India Meridionale significa sporco ed era il colore delle uniformi
della Indian Army, fatte con un cotone giallastro”.
In qualche caso mi è parso opportuno semplificare, come alla voce Retta che lo
Zingarelli spiega (per modo di dire) come “ente primitivo della geometria
sintetica, il cui significato è circoscritto dai postulati posti alla base di ogni tipo di
geometria” e anche come “In un piano (o in uno spazio, a n dimensioni)
numerico, il luogo dei punti le cui coordinate soddisfano una data equazione
lineare (o un sistema lineare di n - 1 equazioni)” e che io ho più agilmente reso,
anche se in modo meno rigoroso, come “La linea più breve che congiunge due
punti, secondo la geometria euclidea”.
Come vocabolari etimologici utilizzo l'italiano Migliorini-Duro e il francese
Dauzat, entrambi molto pratici per mole e per struttura. La revisione linguistica mi
impegna, oltre che a opera completa, pagina per pagina (la pagina deve cantare,
per suono e per ritmo, perché possa passare alla successiva). L'analisi fonica delle
parole è parte fondamentale della riflessione sulle loro particolari qualità, quelle
proprietà sensibili che l'espressione letteraria sfrutta sempre, più o meno
consapevolmente, come diceva Valery; insomma quel che di fisico, di sensuale, è
in esse e seduce l'immagimazione. Per uno scrittore la lingua degli altri, comune o
letteraria, è un tesoro di suggestioni fonico-timbriche e semantiche.
Prestiti, calchi, traduzioni più o meno fedeli mi vengono dal Dictionnaire des
argots di Gaston Enault che porta lemmi dal '500 al '900. Rossignol, per dire, che
ha il significato di passepartout attestato dal 1406 e più recentemente (1942) di
“grimaldello che canta bene nella serratura”, è, per estensione mia, anche il
membro maschile. Picantin nell'accezione 2 Coq (gergo degli operai della canapa,
1867, 1900) è diventato per me piccantino da usarsi nel significato metaforico di
galletto. Sull'anglicismo Bisness, “guadagno” nel gergo delle prostitute (attestato
dal 1895), ho costruito “quattro ore di bisness per guadagnarsi la bistecca” e “Sans
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domicile because bombardements” (gergo popolare , 1947 ) l'ho tradotto
“sinistrato because bombardamenti alleati” per rendere più esplicito il perché
dell'anglicismo.
Il Dictionnaire des argots è una miniera per lo scrittore, tanto che è diventato
un mio livre de chevet. Come anche I gerghi della malavita di Ernesto Ferrero.
Cito la ricchezza inventiva e metaforica di un
gli occhiali di Cavour per
significare “le manette”, di belle sponde per indicare le agognate natiche
femminili da parte dei carcerati, del pasquin peloso per “agnello pasquale”..
Parole e frasi della più varia provenienza confluiscono in un mio
personalissimo Glossario. Così si intitola il quaderno in cui vado da tempo
raccogliendo vocaboli e locuzioni di diversa origine linguistica e che trascrivo non
tanto o non soltanto per documentare certe abitudini linguistiche, ma per il valore
espressivo che hanno in sé, per certe loro caratteristiche di vivacità, colore,
icasticità, comicità. Scelte perché mi piacciono, mi incantano e penso che prima o
poi vorrei usarle. Vi compaiono elenchi di parole desunte da varie letture e dal
parlato, eccentricità linguistiche, strafalcioni, dialettismi immaginosi, la
discorsività quotidiana costruita spesso su frasi fatte (guida preziosa il
Dictionnaire des idées reçues di Flaubert), latinismi e derivazioni più o meno
improbabili, come l'espressione “scagliare la prima pietra” che ho colto dalla viva
voce di un intervenuto nel corso di un'infuocata assemblea sindacale nell'inedita
variante di “scaglierò una prima pietra a tuo favore”.
Questo Glossario ha un ruolo fondamentale nella creazione del mio personale
vocabolario e di quell'impasto linguistico, dal segno fortemente umoristico e
caricaturale ,che io vivo come una vera avventura nell foresta della lingua.
Elisabetta Chicco Vitzizzai
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