21/04/1994 - 18° - trascrizione
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21/04/1994 - 18° - trascrizione
Nome file 940421SP_VV1.pdf data 21/04/1994 Contesto ANTE Relatore AA VV Liv. revisione Trascrizione Lemmi Cura Giudizio Astensione del curante Autocorrezione Educazione Scuola Legge paterna Adozione Universo-eredità SEMINARIO DI SCUOLA PRATICA DI PSICOLOGIA E PSICOPATOLOGIA 1993-1994 NORMALITÀ E IMPUTABILITÀ NELLE QUATTRO PSICOPATOLOGIE 21 aprile 1994 18° LEZIONE CONVERSAZIONE AMBROGIO BALLABIO Quest’ultima questione del dibattito, del giudizio e della possibilità di correggersi, mi ha fatto pensare a una cosa che mi sembra valga la pena di tenere presente. Perché mi sembra che già qui si sia parlato di qualcosa dell’ordine dell’astensione del giudizio che è necessaria nella cura, ma non si sapeva bene come precisare. Allora, io dico: chi è in grado di correggersi come è stato descritto, a mio modo di vedere non ha bisogno di curarsi. E allora questo pone un problema. Quel tipo di giudizio che comporta correzione o misconoscimento, per cui non protezione, secondo me è proprio il tipo di giudizio da cui chi cura deve astenersi finché cura, perché quel giudizio può solo essere finale, per una cura. E uno o si correggerà o comunque se ne andrà. Non lo vedo come può avvenire nel corso di una cura. Può essere solo conclusivo, in una cura che vada bene averla da fare. In questo senso mi sembra un tipo di giudizio che propriamente farebbe parte di quegli atti di astinenza o di castità necessari per attenderlo. GIACOMO B. CONTRI Solo una parola sulla correzione e sulla cura. È un dato io credo regolare, nel senso di puramente quantitativo, della stragrande maggioranza dei casi, del mettersi in cura presso qualcun altro, l’inizio del mettersi in cura presso qualcun altro può essere descritto, e a volte ricorrono queste parole, descritto come la scoperta e la facoltà in sé del seguente giudizio: mi accorgo che mi conduco in modo tale da rovinarmi la vita, da rovinare i miei rapporti, etc. Ormai, l’ho capita. Ci ho messo tanto, ma l’ho capita. Non è perché il mondo è cattivo com’é, non è per questo, né per quello, ma perché io ci metto del mio. Ma pur avendo finalmente riconosciuto questa verità — che peraltro è già una correzione ed è un giudizio — che sono io a metterci del mio a costruire la mia patologia, malgrado questo, con tutti gli sforzi che faccio ricomincio da capo, ossia non mi so correggere, ossia l’atto di correzione non è un atto autonomo, allora vado da qualcun altro a farmi sussidiare. È addirittura un A – B – C. AMBROGIO BALLABIO Proprio questo dimostra che nella cura, chi cura non può intervenire con un giudizio che mira alla 1 correzione. Lo deve esigere in partenza, ma poi deve astenersi. GIACOMO B. CONTRI Va bene. Dicevo prima che di regola è proprio da un fine dichiarato di acquisizione della facoltà di correzione che inizia una cura e dalla constatazione dell’essere incapace, ossia che non esiste auto-cura. È vero: non esiste auto-cura. AMBROGIO BALLABIO In fondo se uno fosse capace, non avrebbe bisogno di cura. MARIELLA CONTRI Scusa, Ambrogio, ma forse un’altra volta tu potresti spiegare quello che hai detto con degli esempi. Ma in realtà cosa vuol dire che non giudichi? Io adesso sto ripensando al mio analista: era assolutamente feroce. GIACOMO B. CONTRI Voglio dire che noi dobbiamo ritrovare tutto questo con i soggetti, anche handicappati, con cui avete a che fare, così testardamente incorreggibili come militantemente si propongono. Ricordo ad esempio una battuta di Mara, che aveva detto una volta nell’aula Pio X che lei diceva alla sua brava handicappata «Non fare l’handicappata»: è un appello alla correzione, a mio giudizio efficace. Io non so come finiva… In quel caso era un appello al soggetto a collocarsi in quel punto in cui si fa propria la questione della propria correggibilità. In genere tutti coloro che trattano psicotici, handicappati, non parliamo dei perversi, non ho ancora visto qualcuno che faccia appello alla correzione. (… ) Anche perché l’errore è quello di invitare all’autocorrezione. L’autocorrezione è un fenomeno che in natura non esiste. Allora può essere soltanto un nuovo eccitamento. AMBROGIO BALLABIO Bisogna astenersi nella cura dal giudizio che pone l’alternativa al soggetto perché sarebbe l’appello all’autocorrezione, che se fosse possibile non sarebbe necessaria la cura. Tanto è vero che… GIACOMO B. CONTRI No. Ci sono vari modi di fare appello alla correzione. Per esempio, è quello di dare a qualcuno dello stronzo. Usciamo dalla brava espressione che ho usato. Ci sono molti modi per dare dello stronzo a uno, per esempio dirgli: «Se veramente meraviglioso! Mai vista una cosa così». È un modo per dare dello stronzo a qualcuno. Lessico a parte, modalità individuale a parte, questo è un giudizio. Tu mi parli e io non ti rispondo è un giudizio. Il drogataccio per la strada che incontreremo uscendo e io non rispondo neanche, è un giudizio. Le vie del giudizio sono infinite. DOMANDA Questo ci colpiva come insegnanti ma penso che possa essere esteso a chiunque, in qualche modo, sia implicato in una relazione educativa. La questione che ci colpiva è l’affermazione che non è possibile 2 educazione, apertura e sviluppo della facoltà di giudizio nell’altro, se l’educatore non è implicato in una preferenza ad altro, cioè se non è in relazione con un altro. Una preferenza, dicevamo prima con Lana Cioni, che non è una preferenza teorica, astratta, è una preferenza affettiva. O c’è la preferenza affettiva di un altro, oppure inevitabilmente abbiamo l’immagine educativa e di un possesso. Volevamo che lei approfondisse questa questione. GIACOMO B. CONTRI Nessuna risposta da parte mia in questo momento, perché l’incontro di oggi è già dedicato e ben dedicato. Con tutto ciò io sarei d’accordo, di raccogliere due cose. Primo: che mettiamo qualcosa per raccogliere questa sollecitazione a fermarci anche noi su questo turpitudine secolare che almeno da Rousseau, ma forse da prima, va sotto il nome di educazione, per pensarla più convenientemente. Secondo: questa è una scuola. Allora si tratta di andare a vedere se i termini che abbiamo introdotto hanno già, (di volta in volta rispetto a temi, quesiti, che di volta in volta ci risultino, eccone uno non indifferente) la capacità di configurare, — configurare vuole anche dire rispondere — di affrontare i temi, le domande, che mano mano si propongono. Ora, ed è un appunto che mi ero già segnato prima della domanda che abbiamo sentito, nel nostro caso, nel caso di ciò che insegna la nostra scuola, io trovo che sì, che è già stato abbastanza bene introdotto il termine sotto il quale riassumere, ricapitolare tutto ciò che si vorrebbe designare come educazione. Noi infatti parliamo di una legge paterna. In una pagina recente ho scritto che non ha alcun senso la parola educazione, se non ha il medesimo significato di adozione. Giusto giusto, il contesto era quello dei figli, dei figli di famiglia: papà, mamma che hanno i bambini. Se non sbaglio era uno degli ultimi giovedì o il sabato mattina. Ricordo che si parlava del bastardo. Mio figlio non è mio figlio per il fatto di essere stato concepito da me e da una signora. Mio figlio è massimamente mio figlio nella misura in cui io divento suo padre adottivo. Cosa significa adottare? Adottare non significa introdurre un qualcuno ad avermi come suo babbo; anche. I bambini costano carissimi, eh? Adottare significa introdurre qualcuno a una legge per cui Allattandomi mia madre… mi ha introdotto a una legge di fare man bassa di tutto l’universo per il mio bene. Adottare è introdurre al beneficio attraverso l’intero universo. È questo il concetto di adozione. Padre significa questo. Ecco allora che è legittimo e anche deduttivamente ben formato, il dire che c’è educazione se c’è adozione. Posso anche fare il maestro di scuola elementare vedendo di trovare al meglio, facendo, aiutando costoro ad essere adottivi, ossia ad avere un principio di piacere, di cui non facciamo altro che sottolineare che o è universale o non è. Universale significa che non ci sono preclusioni alle fonti possibili di beneficio. O che tutte le casseforti sono buone, purché siano casseforti. © Studium Cartello – 2007 Vietata la riproduzione anche parziale del presente testo con qualsiasi mezzo e per qualsiasi fine senza previa autorizzazione del proprietario del Copyright 3