Visitare il vero Tibet- fuori dal Tibetx
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Visitare il vero Tibet- fuori dal Tibetx
Viaggiare in Cina - Viaggi (abbastanza) avventurosi per (sole) donne Visitare il vero Tibet… fuori dal Tibet. di Eleonora Pallavicino (blog: Illywords.com) Questo titolo suona naturalmente paradossale, ma parlando con una giovane guida tibetana ho ricevuto questo buon consiglio per apprezzare nella loro autenticità i costumi e la cultura tibetana. Non è un segreto che Lhasa e il Tibet cinese, secondo quelli che sono i confini politici attuali, vivono oggi un processo accelerato di modernizzazione e contaminazione culturale e sono oggetto di una trasformazione complessa dovuta a vari noti fattori. Lhasa in particolare è diventata una caotica città moderna ad alta componente etnica cinese, un po’ diversa da quello che il viaggiatore si aspetta; ma ci sono delle vaste aree del Tibet storico che sono rimaste in qualche modo “integre” e sono state incorporate in altre regioni cinesi, i cui nomi possono di primo acchito sviare. Facendo una piccola ricerca, scoprirete che il Gansu, il Qingai, e il Sichuan comprendono vaste aree di cultura tibetana ed un’ampia porzione dell’altopiano tibetano, e possono dunque garantirvi tutto quello che la parola Tibet evoca nell’immaginazione collettiva: buddismo e monaci salmodianti, stupa e percorsi di preghiera, monasteri nascosti in piccole valli, tradizionali villaggi tibetani, cultura nomadica, yurte, yak al pascolo e piane montane con splendide fioriture estive. Valutando, da un punto di vista prettamente femminile, la possibilità di esplorare la Cina e, considerando situazioni familiari complesse, nella maggior parte dei casi con lavoro, marito e bambini da gestire, ho concluso che il modo migliore è partire con piccoli gruppi di amiche per viaggetti lampo da cui, però, ottenere il massimo in termini di esperienza. Il segreto è organizzare marito e/o figli (con l’aiuto dell’ayi!) per pochi giorni e via, con alcune avventurose fedelissime, a ritmo serrato. In questo modo potrete farvi un’idea degli angoli più remoti del paese senza far affrontare ai bambini percorsi o climi che sarebbero troppo impegnativi per loro. Se poi non trascurerete, prima di partire, di leggere tutto quello che potete sulla vostra meta, l’immersione nella culturale locale, anche se breve, sarà comunque produttiva. Tornando alla cultura tibetana, vi suggerisco pertanto una visita di 3/4 giorni alla regione tibetana di Amdo, parte del Gansu meridionale, con una meta ben precisa, la citta di Xiahe, che ospita il meraviglioso quanto vasto complesso monastico di Labrang. Quest’area presenta anche il vantaggio di un’ascesa graduale ed un’altitudine non eccessiva, - siamo sui 3000 m - altra ostativa per coloro che invece si recano a Lhasa in areo e spesso soffrono pesantemente per il mal di montagna. Il modo migliore per raggiungere il Gansu da Shanghai è prenotare un volo diretto per Lanzhou, la capitale della regione, e da lì spostarsi in pullman verso Xiahe. Il tragitto è lunghetto ed un po’ accidentato, richiederà circa 4/6 ore, e questa è la parte più dura del viaggio, ma il sacrificio vale la meta. In Cina bisogna essere disponibili ad andare molto, molto lontano per visitare le località più affascinanti e remote. Numerose agenzie di viaggi possono organizzare con facilità pullman di medie o piccole dimensioni per gruppi di visitatori. Non aspettatevi dei bus extralusso però! E gli ammortizzatori possono essere inesistenti. Lo stesso discorso vale per gli alberghi di Xiahe. Non siamo in una località preparata ad accogliere viaggiatori pretenziosi: la città, anche se il turismo è in aumento, è soprattutto meta di pellegrini e le pensioni sono modestissime, ma potete trovarne di discretamente pulite e con il bagno in camera. Partite con l’idea di fare vita spartana. Le colazioni “internazionali” sono accettabili, con te, caffè, uova al piatto, riso, pan (carré) tostato , marmellata e succo d’arancia. Non aspettatevi di più. Gli alberghi migliori si trovano a pochi passi dal monastero. Io mi sono trovata bene all’Overseas Tibetan Hotel, il cui proprietario, Mr. Losang, mi ha anche organizzato il viaggio e procurato una giovane ed efficiente guida locale. Dalle vostre finestre potrete vedere già di buon mattino uno scenario al di là ogni dire: un flusso ininterrotto di tibetani indaffarati nelle più varie attività, tutti vestiti rigorosamente con gli abiti tradizionali e mescolati con i monaci in porpora. Il monastero di Labrang, della setta buddista dei Berretti Gialli (scuola Gelupa), è praticamente una cittadina; oltre agli edifici del culto e le sale di preghiera, racchiude tra le sue mura gli alloggi dei monaci e degli allievi, la scuola ed alcuni istituti universitari di medicina tibetana e studi religiosi. Uno dei monaci addetti alle visite, (parlano inglese), avrà l’incarico di scortarvi nel vostro percorso interno al monastero. Potete dedicare quasi un’intera giornata alle visite, incluso il poetico percorso del “Kora”, il circuito della preghiera esterno alle mura, caratterizzato da una sequenza di ruote da preghiera in legno, intagliate e coloratissime, che i tibetani fanno ruotare sgranando il rosario. Lungo questo cammino, lungo 3 km, ammirerete splendidi scorci del monastero, monaci al passeggio, capre sacre, e ogni tipo di pellegrini, occupati per lo più nelle faticosissime prostrazioni. Vi consiglio di percorrere il “Kora” magari una paio di volte, alla sera e poi all’alba, facendo il sacrificio di svegliarvi presto per cogliere il poetico momento del primo mattino; se ve la sentite di alzarvi sappiate che è consentito ai visitatori anche di entrare nella grande sala di preghiera – bellissima – dove si riuniscono i monaci salmodianti (chiedete al monaco guida modalità ed orario). Inutile dilungarsi qui sulla storia del monastero che potrete trovare in qualunque guida. Preferisco fornirvi qualche indicazione in più di quanto ho sperimentato personalmente. Per provare la cucina tibetana e altri piatti della zona (anche cinesi) vi consiglio il Nomad restaurant. Chiudendo un occhio sul contesto, siamo al terzo piano di un edificio che possiamo definire cadente o altresì “pittoresco” – dipende dai punti di vista, - è senz’altro la locanda più accogliente della zona e quella dove ho mangiato i piatti migliori. Insieme a qualche classica frittura cinese di verdure e carni con un tocco tibetano, untissima ma deliziosa, potrete provare la famosissima tsampa (pappa di farina d’orzo impastata con te la burro di yak), il chomdi (un dolce semplice fatto con riso erbe burro di yak e zucchero), i momo (un tipo di ravioli ripieni preparati con la carne di yak, unta e saporita ), il paale (una sorta di pane fritto ripieno di erbe o carne). Naturalmente è anche da il te al burro di yak; dal momento che però questa bevanda così nota è più tipica dell’area di Lhasa, mi fu sconsigliato di ordinarla nei ristoranti locali, che non la preparano in maniera autentica, ed ho potuto gustarla invece grazie all’invito di una delle guide che l’ha preparata in casa. La mia curiosità è stata soddisfatta ma lo stomaco no, purtroppo l’ho trovata imbevibile per un palato italiano e pesantissima da digerire. Analoga impressione hanno avuto le mie compagne di viaggio; sono stata comunque contenta di provare questo mitico tè al burro di cui ho letto in ogni libro di viaggi in Tibet che si rispetti. Ultima dritta: lo shopping. L’economia di Xiahe ruota attorno al monastero. Ovvio dunque trovare nel piccolo “bazaar” circostante ogni tipo di oggetto legato al culto: paramenti sacri, rosari buddisti, incensi, immagini in carta e stampe per la devozione, una miriade di piccoli souvenir a tema e gioielli tradizionali. Ho trovato bellissime le pezze di cotone o di feltro per gli abiti dei monaci, generalmente intessuti ai vecchi telai e tinti a mano con colori brillanti, porpora, fucsia ed ocra; i prezzi però sono inaspettatamente salati. Penso comunque che questi panni potrebbero essere proficuamente usati negli arredi, trasformati in cuscini e copriletti; o figurare come rustiche ma splendide stole nell’abbigliamento. I negozianti hanno trovato un po’ eccentrica la mia idea, così hanno detto alla guida, ma alla fine gli affari sono affari ed hanno convenuto con me che questa è una buona idea da suggerire ai prossimi turisti! Un negozio veramente da non perdere si trova dirimpetto all’ingresso del monastero. E’ Nhorla. Potete trovare qui i più morbidi e suntuosi scialli di lana di yak, nonché coperte, berretti, ed altri accessori. Qualità, colori, morbidezza e disegno sono insuperabili. C’è lo zampino di una imprenditrice occidentale, ma ogni capo è prodotto localmente in pieno rispetto per l’ambiente e la comunità nomade. Leggete qui la storia di quest’azienda, è veramente intrigante: http://norlha.fr/. Sia il Nomad Restaurant sia Nhorla si trovano facilmente, poiché sono dirimpetto all’area di entrata del monastero. Mi sono molto dilungata, vi do pertanto appuntamento per la seconda parte di questo viaggio alla prossima newsletter. Nel frattempo potete trovare altre foto o informazioni su questo mio blog: http://www.illywords.com/2013/07/inspired-by-a-tibetan-trip-creativity-ethnoelegance-and-sustainability/ Ed ecco alcuni suggerimenti bibliografici per scoprire la cultura tibetana: Due grandi classici dell’orientalistica italiana: Giuseppe Tucci, Dei demoni e oracoli (Neri Pozza) Fosco Maraini, Segreto Tibet (Il corbaccio) L’opera di un’altra grande orientalista francese, rieditata di recente in italiano: Alexandra David Neel, Viaggio di una parigina a Lhasa, (Voland) Idem, Nel paese dei briganti gentiluomini, (Voland) Idem, Mistici e maghi del Tibet (Voland) Infine una panoramica sugli esploratori occidentali in Tibet, con molte note di cultura tibetana, Peter Hopkirk, Alla conquista di Lhasa, Adelphi