23 rini, ancora oggi ricco di fascino e mistero. Sito
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23 rini, ancora oggi ricco di fascino e mistero. Sito
Sicilia rini, ancora oggi ricco di fascino e mistero. Sito nella provincia palermitana, a questo posto e alle vicende tragiche che lo hanno reso celebre, sono state dedicate pagine e pagine di sceneggiature letterarie e persino cinematografiche. Casa signorile dei principi e dei baroni La Grua, fu teatro di un drammatico evento divenuto leggendario. Figura romantica della leggenda fu la castellana Laura Lanza, baronessa di Carini. Bella ma dissoluta, la nobildonna venne confinata in questa fortezza feudale. Le alte mura della dimora, però, non furono sufficienti per tenere lonta- Il Castello di Caltabellotta no il suo amato, il cugino Don Ludovico Vernagallo, che ogni notte la raggiungeva “sopra un poderoso destriero” per consumare una passione profonda ma pericolosa. Una passione che il 4 dicembre 1563 costò la vita alla dolce baronessa. Tradita da un frate di un vicino convento, infatti, la dama venne scoperta e uccisa dal padre, lo spietato Cesare Lanza. Di quella drammatica notte restano le impronte insanguinate della mano della baronessa tristemente uccisa. “Ma ceè lu sangu che grida vinnitta. Russu a lu muru, e vinnitta nn’aspetta”. “C’è il sangue che grida vendetta Rosso al muro, vendetta ci aspetta”, riporta un verso popolare di quel tempo. Un tempo ormai lontano che con i suoi aneddoti d’amore dona ancora calore alle nostre menti e ai nostri corpi. Abbandonato e non curato, appare ai nostri occhi la sagoma superstite del castello trapanese di Venere. Verità, mito e leggenda si fondono in questo complesso dedicato alla dea della bellezza e della fecondità. “Dell’ombroso pelasgo Erice in vetta Eterna ride ivi Afrodite e impera, E freme tutta amor la benedetta Da lei costiera”. Persino, Carducci dedicò dei versi al castello del comune di Erice, sito sull’omonimo monte. Un ponte lo unisce al Balio, il cosiddetto “ponte del diavolo”. Attribuito anticamente a Dedalo, venne cosi chiamato perché una strana credenza popolare narrava che fosse stato edificato per magia. I sicani vi adoravano Zeus, il dio della folgore, con il quale si trovavano in costante comunione attraverso la nebbia che spesso avvolgeva la cima del monte vicino. Pian pianino il culto si trasformò, e prevalse quello in onore della dolce e materna Venere, chiamata Astarte dai Fenici, Afrodite dai Greci. La leggenda vuole che, divenuta regina dell’isola, Licasta - chiamata Venere per la sua bellezza - sposasse Buto dal quale ebbe un figlio chiamato Erice. Quest’ultimo edificò su questa terra una città a cui diede il suo nome, e un magnifico tempio che dedicò alla madre. Secondo Virgilio, invece, sarebbe stato Enea a costruire l’edificio sacro intitolato alla dea della bellezza, dove le sacerdotesse del culto ogni giorno si recavano per sacrificare, in segno di offerta, una coppia di candide colombe e una bianca capra. Abbandonati i sacrifici in onore della dea dell’amore, ci spostiamo in un’altra provincia, Agrigento, in un altro castello, quello di Caltabellotta, anch’esso avvolto da particolari e intricate vicende storiche. Chiamato in arabo “Qal at al ballut”, ovvero “la rocca delle querce”, venne riedificato dai normanni nel 1090 e fu al centro di una lunga e singolare storia. Divenuto prima luogo di rifugio per la regina normanna Sibilla e per i suoi figli, durante Nuove direzioni • n. 4 luglio-agosto 2011 23