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Atlante bresciano 108 autunno 2011 La copertina di AB è plastificata dalla Tecnocartoplast di Flero Paesaggi e culture gli edifici religiosi La Santissima Trinità di Esine e quella di Ponte di Legno; Santo Stefano a Cividate; San Clemente a Edolo. Quattro luoghi di culto nei quali è possibile leggere in modi diversi il rapporto tra leggenda e realtà storica. Le roccheforti della fede di Francesco Macario e Virtus Zallot La chiesa della Santissima Trinità a Esine, posta su un promontorio montuoso alla confluenza tra Valgrigna e Valcamonica. 38 secondo la leggenda Carlo Magno, per celebrare la conversione degli avversari sconfitti e la conquista dei loro castelli, avrebbe fondato molte chiese. Eccone l’elenco: San Giovanni in Monte Cala a Lovere, Santo Stefano a Cividate, Santissima Trinità a Esine, San Lorenzo a Berzo Inferiore, San Pietro in Such a Bienno, San Giovanni probabilmente a Pescarzo di Breno (nelle versioni seicentesche a Breno), San Siro a Cemmo, San Salvatore a Capo di Ponte, San Clemente a Edolo, San Brizio a Monno, Santi Michele e Giorgio a Davena (Vezza d’Oglio), Sant’Alessandro a Vione, Santissima Trinità a Ponte di Legno. ab 108 AUTUNNO 2011 L’elenco comprende edifici ancora esistenti, dei quali tuttavia non è possibile dimostrare una fondazione tanto antica: altomedievale cioè, certo non di mano di Carlo Magno. Eccetto che Santo Stefano a Cividate, infatti, essi risultano realizzati dopo il Mille, come testimoniato dall’analisi dei resti materiali e/o da antichi documenti. Qualsiasi sia stato il criterio utilizzato per compilare l’elenco (legato a motivazioni politiche, religiose, economiche) risulta evidente l’intento di ambientare la leggenda entro un contesto credibile, citando castelli e chiese già antichi, dei quali risultasse plausibile la presenza o fondazione al tempo del mitico re. Proponiamo di seguito quattro esempi, per ciascuno dei quali il rapporto tra leggenda e realtà si declina in modo diverso, tanto per le testimonianze relative al passato che per la visibilità, attuale, di quanto il racconto descrive. la chiesa nel castello. La chiesa della Trinità è posta su un promontorio montuoso alla confluenza della Val Grigna con la Valle Camonica, e domina il piano sottostante e il paese di Esine. Le caratteristiche del sito, elevato e panoramico, sembrano presupporre l’antica presenza del castello sconfitto da Carlo Magno, la cui esistenza è comprovata da varie testimonianze toponomastiche, documentarie e materiali. Del castello si conservano tratti di muratura, pur nascosti dalla vegetazione; non è possibile tuttavia dimostrarne una fondazione altomedievale, anche se i Beccagutti, che lo occupavano nel XIII secolo, vantavano discendenza franca. Quando si redasse la leggenda il castello era probabilmente già antico, e forse in decadenza. Entro il castello era sorta la chiesa della Santissima Trinità, la cui intitolazione antiariana sembrerebbe supportare l’ipotesi di una fondazione anti-longobarda, come prospettato nella leggenda. Le testimonianze disponibili tuttavia, tanto scritte che materiali, non consentono di risalire oltre l’XI secolo; il documento che ne avrebbe attestato l’esistenza nel 771 è da tempo scomparso. La chiesa ha subito, nel corso dei secoli, significative modifiche ed ampliamenti, impressi nelle murature esterne. Vi si riconoscono infatti variazioni di tessitura, correzioni di gronda, cantonali e archetti ciechi inglobati, antiche aperture tamponate o nuove successivamente inserite, in un affascinante palinsesto che anche un occhio non specialistico, ma curioso e attento, può ricostruire. L’edificio presenta oggi quattro campate, di cui la prima su due livelli con loggia-matroneo affacciata sull’aula. L’abside, che nel XV secolo ha sostituito la precedente romanica, ha base poligonale e copertura ad ombrello. All’aula sono addossati, sulla sinistra, due ambienti: un vano coperto da quattro piccole volte a crociera, forse realizzato nel XII secolo, sulla cui originaria destinazione permangono diverse ipotesi interpretative (forse cripta in piano, o cappella battesimale); e la cappella di San Rocco, realizzata quale ex-voto nel 1476. La chiesa contiene interessanti affreschi, tra cui, sull’arco della loggia-matroneo, una Madonna con Trinità, santi e donatore in armatura e una Annunciazione con la rara iconografia del piccolo Gesù inviato dal Padre insieme allo Spirito Santo. La cappella di San Rocco, affrescata sul finire del XV secolo da Giovan Pietro da Cemmo conserva, nella lunetta, una grande Crocifissione e, sulla parete attigua, una insolita scena di naufragio. Sulla volta, infine, che nei peducci accoglie in oculi illusivamente sfondati i simboli degli Evangelisti e dei quattro elementi, si succedono i santi Rocco e Sebastiano (in una inconsueta versione seduta), la Trinità e la scena della Decollazione del Battista (affatto drammatica per la grazia del carnefice e per l’impassibilità della elegantissima Salomè). Affreschi nella chiesa della Trinità di Esine. a sinistra, la grande Crocifissione del Da Cemmo; sotto, Madonna con Trinità, santi e donatore in armatura, e la ricca decorazione pittorica della volta. ab 108 AUTUNNO 2011 39 indizi di medioevo. L’esistenza del castello di Cividate (Blasia) è documentata da più fonti, la più antica delle quali risale al 979. Non si trattava però del tipico castello arroccato e inespugnabile, ma di un piccolo villaggio fortificato: un recinto rettangolare, in piano e difeso da un fossato, che proteggeva la pieve (con battistero e cimitero) e gli edifici annessi (residenze e strutture di servizio connesse alla gestione del patrimonio fondiario ecclesiastico). Il castello di Cividate è testimoniato oggi da esigue ma interessanti tracce: la persistenza del toponimo Porta di castello; la presenza dell’abside romanico della pieve (con il campanile unica testimonianza medievale della chiesa, per il resto totalmente ricostruita); e infine un esile segno conservato proprio lungo via Porta di castello. Inglobato entro un vecchio muro si riconosce un arco che, per caratteristiche e collocazione, potrebbe essere stato proprio la porta del castello. La sua individuazione è facilitata dalla presenza di un concio di porfido che ne costituiva la base: tale pietra infatti, cromaticamente evidente e incisa con semplici segni geometrici, balza immediatamente all’occhio. Il castello di Cividate appariva, al tempo dell’invenzione della leggenda, ancora funzionante e sicuramente antico. Non entro il castello, ma su una collinetta non molto distante, sorge la chie- sa di Santo Stefano, l’unica citata nella leggenda i cui resti materiali risultino pienamente compatibili con una fondazione altomedievale. Oggi l’edificio presenta forme prevalentemente settecentesche, pur conservando un’abside romanica. Tanto gli scavi che l’osservazione delle murature hanno tuttavia dimostrato come l’area fosse occupata da una chiesa più antica, risalente al VII-VIII secolo. Le sue pareti laterali si sono conservate, inglobate nei successivi ampliamenti romanici e settecenteschi. Esse si distinguono perché costruite con pietre piccole e irregolari legate con molta malta, mentre le murature romaniche sono composte di pietre più grandi e squadrate, accuratamente accostate. Entro le murature si distinguono inoltre le finestre originarie, riconoscibili per l’arco composto da mattoni. Una osservazione attenta della parete a nord consente di confrontare tre diverse tipologie di finestre, tra loro distanti mille anni. Accanto alla grande finestra settecentesca centrale, infatti, si riconosce la finestra altomedievale (con l’arco di mattoni) entro cui era stata ricavata una monofora romanica più piccola, anch’essa poi murata. L’interno della chiesa conserva, nell’abside romanico, una figura affrescata di San Lorenzo, attribuita alla scuola di Giovan Pietro da Cemmo. La pietra di porfido inserita entro una muratura in via di Castello, base della antica porta di ingresso al castello di Cividate. a destra, Santo Stefano a Cividate. in alto, San Clemente a Edolo. 40 ab 108 AUTUNNO 2011 l’ospizio nel bosco. La chiesa di San Clemente sorge su un cocuzzolo sul declivio del monte che domina Edolo, in un punto panoramico e un tempo strategico rispetto alla viabilità che conduceva tanto all’Alta Valle che alla Valtellina. Originariamente ospizio per i viaggiatori, è considerata senza riscontri documentari di antichissima fondazione, ma la sua esistenza è comprovata da testimonianze non anteriori al XIII secolo. Una leggenda la vuole costruita sul luogo di un tempio pagano dedicato a Saturno, idolo dal quale deriverebbe il nome di Edolo. La statua di Saturno sarebbe stata distrutta, nel 660, da un manipolo inviato appositamente dal re longobardo Ariberto. Secondo altre fantasiose e antiche ricostruzioni i pagani vi adoravano un vitello d’oro, conservato negli ambienti diroccati sotto la chiesa; si tramanda inoltre la memoria di strutture sotterranee e di passaggi segreti. La chiesa, semplicissima nella forma revisionata nel XVI-XVII secolo, poggia effettivamente su imponenti resti murari che si osservano, in particolare, nella parte sottostante l’abside, dove un angolo conserva un cantonale con bisello. È circondata inoltre dai resti di due recinti, l’uno dentro l’altro, che cingono la sommità del monte. L’attuale chiesa sorge pertanto entro e sopra i resti di una a sinistra, alla base della chiesa di San Clemente si notano le strutture di un’antica fortificazione su cui poggia l’abside dell’edificio. sotto, la Santissima Trinità a Ponte di Legno, e il portale d’ingresso della chiesa. Il monumentale altare maggiore ha soasa attribuita a Giovan Battista Ramus, datata 1640. Tribuna con tabernacolo e paliotto, opera di Gian Domenico Ramus o Giovan Battista Zotti, sono notevoli per qualità, struttura e profusione di rilievi, piccole statue, elementi architettonici e decorativi. La Chiesa conserva inoltre un polittico ligneo cinquecentesco, di Matteo Olivieri, e un altare del Purgatorio, datato 1689. struttura fortificata, la cui costruzione, per i caratteri delle murature, sembra risalire al XIV secolo. Forse dunque gli estensori della leggenda che ne cita la fondazione (assente, tra l’altro, in alcune versioni) non fanno riferimento a un castello, come avviene per esempio nei citati casi di Esine e Cividate, perché non ancora realizzato o troppo recente per essere credibilmente considerato fondato dal mitico re. stendo il toponimo Castellaccio che, già nel basso medioevo, indicava le rovine di un castello dismesso. La chiesa nulla ha conservato della struttura primitiva e, anche se la fondazione è probabilmente più antica, è documentata soltanto a partire dal XIV secolo. Essa venne ricostruita nel XVII secolo, e Padre Gregorio Brunelli la descrive, nel 1698, come nuova struttura alla moderna. Presenta una navata unica con volta a botte, cappelle laterali e presbiterio rialzato. È dotata di importanti arredi liturgici, che costituiscono tra i più significativi esempi del patrimonio di scultura lignea di Valle Camonica. tesori lignei. La chiesa della Santissima Trinità, che Carlo Magno avrebbe edificato in capo alla Valle, è quella di Ponte di Legno. L’itinerario camuno del re è pertanto inaugurato e concluso da chiese con intitolazione antiariana ed antieretica (la prima a Esine). Essa è collocata entro il paese, senza apparente relazione con un eventuale castello, che infatti la leggenda non cita. Tuttavia il luogo fu, in passato, fortificato, persiab 108 AUTUNNO 2011 41 Paesaggi e culture sebastiano, glisente e gli altri Giovani, aggraziati, eleganti: sono i santi cavalieri i cui ritratti si possono ammirare in molte chiese del percorso. Le loro spade sono armi allegoriche, simboli della lotta intrapresa contro il peccato e l’eresia. La cavalcata dei martiri in guanti bianchi testo e fotografie di Virtus Zallot tardo medievali di Valle Camonica ricorre la figura del santo cavaliere: giovane e aggraziato, ben pettinato e elegante, esibisce preziose armi e moderne armature, e indossa i guanti bianchi. La sua bellezza idealizzata, morale più che estetica, lo priva di qualsiasi carattere virile o aggressivo. Non è infatti un rude guerriero, ma un nobile cavaliere che subordina l’uso delle armi a un sistema etico-cristiano di valori; spada e guanti, importantissimi nella ritualità e nell’immaginario cavalleresco, sono i suoi attributi. Le sue armi non sono concrete ma, secondo una secolare tradizione allegorica, le armi dello spirito. La lotta che esorta nei fedeli, e che già vittoriosamente condusse in vita, non è pertanto materiale: è lotta del bene contro il male, della vera fede contro l’idolatria. I santi cavalieri affrontarono negli affreschi incredibili torture e il martirio proprio in seguito al rifiuto di adorare gli idoli e, non di rado, li distrussero. Il loro sacrificio coraggioso e lieto indusse numerose e clamorose conversioni. Anche la leggendaria impresa di Carlo Magno perse- gue la conversione dei nemici, imponendola, se necessario, con le armi: nell’affresco di Carisolo il battesimo è garantito dal gruppo di uomini armati, al cui centro si impone, monumentale, il re. Sia i santi martiri che Carlo Magno costituivano Giovan Pietro da Cemmo, Storie di San Sebastiano, cappella Federici nella chiesa di San Lorenzo a Berzo Inferiore, 1504. in alto, G.P. da Cemmo, Paradiso, volta del presbiterio nella chiesa di Santa Maria Assunta, Esine, fine del XV secolo. 42 ab 108 AUTUNNO 2011 pertanto un esempio/monito, offerto come stimolo nel presente, per mantenere o ri-condurre il fedele nell’ortodossia. con i guanti? Sebastiano, soprattutto: tra i più venerati e raffigurati, anche in Valle Camonica, a testimoniare la paura e l’incidenza della peste, contro cui era invocato. La sua iconografia come cavaliere prevale decisamente, negli affreschi quattrocenteschi, rispetto a quella del corpo nudo trafitto. Sempre elegante, giovane ed aggraziato, porge una o più piccole frecce, strumento del martirio; esibisce una grande spada e porta, naturalmente, i guanti bianchi. Ricorrono anche, negli affreschi quattrocenteschi di Valle, alcuni dei martiri della legione tebea: tra questi, oltre al più famoso Maurizio, il veneratissimo Defendente, la cui efficacia protettiva è implicita nel nome. Compare tanto in elegantissime sopravvesti che in preziose armature; lo caratterizzano la chi sono i santi sopra, da sinistra: Giovan Pietro da Cemmo, San Rocco e san Sebastiano, chiesa di Santa Maria Assunta, Esine; G.P. da Cemmo, San Sebastiano, san Fabiano e san Rocco, cappella Federici nella mazza, che solitamente sostituisce la spada, e i consueti guanti bianchi. Se per i santi citati (Sebastiano, Maurizio, Defendente, ma anche Faustino e Giovita, Giorgio, Vittore, Floriano, ecc.), che militarono nell’esercito romano, l’attributo delle armi o delle armature pare coerente, per altri risulta apparentemente incongruo, poiché nessun elemento della loro leggendaria biografia lo giustifica, a conferma del significato metaforico e non storico che armi e armature assumono. Sono infatti raffigurati nella tipologia iconografica del cavaliere santi per nulla militari, come Protasio e Gervasio, Nazario e Celso, e persino Valentino. Ai santi antichi, martiri della fase eroica del cristianesimo delle origini, si aggiunsero nel medioevo alcuni san- chiesa di San Lorenzo a Berzo Inferiore, 1504; San Defendente, chiesa di San Lorenzo a Berzo. sotto, Sant’Obizio (o San Giorgio), chiesa di San Giorgio, Niardo. ti laici: sono in genere nobili che abbandonarono l’esercizio delle armi per arruolarsi nella milizia di Cristo, scegliendo una vita di penitenza e preghiera; cavalieri per citazione biografica, dunque, oltre che per attribuzione iconografica. Tra questi vi è un santo locale, Obizio da Niardo, che concluse la sua vita presso il monastero bresciano di Santa Giulia, dove è conservata la sua cappella sepolcrale, affrescata da Gerolamo Romanino. Vi compare nelle consuete vesti del cavaliere, per quanto aggiornate rispetto alla moda cinquecentesca. Nella chiesa di San Giorgio a Niardo, suo paese natale, è presentato invece come condottiero a cavallo, vestito di una lussuosa armatura. di Carlo Magno, e valorosamente contribuì alla conquista di Valle, prima di ritirarsi in eremitaggio sui monti. La sua storia è sintetizzata in un affresco della metà del XV secolo, collocato sulla parete presbiteriale di San Lorenzo a Berzo Inferiore, chiesa che la leggenda vuole fondata dal re. Glisente vi appare, sulla sinistra, nelle vesti del cavaliere: già dotato di aureola, giovane ed elegantissimo, con la spada e, naturalmente, i guanti bianchi. Al centro invece, con l’umile abito dell’eremita, munge una altro santo cavaliere camuno è Glisente. Fu, secondo tradizione, paladino ab 108 AUTUNNO 2011 43 Ritratti di santi cavalieri nella chiesa di San Lorenzo a Berzo Inferiore. a sinistra, Storie di san Glisente. sotto, San Lorenzo e san Glisente, e un particolare della Crocifissione. pecora e accoglie un’orsa che gli reca frutti; entrambi gli sono inviati, secondo un ricorrente topos, dalla divina provvidenza. Sulla destra, infine, è inginocchiato davanti a una chiesetta su cui vola la colomba che avrebbe richiamato l’attenzione dei pastori 44 avvisandoli della sua morte e invitandoli a erigere una chiesa in suo onore. Tale sarebbe l’origine, sollecitata da un segno divino, dell’oratorio di San Glisente, collocato quasi a 2.000 metri di altitudine, sui monti sopra Berzo Inferiore, sulla cripta-caverna dove il santo abitò e spirò. L’affresco, come del resto i più antichi racconti, non fa riferimento alla militanza di Glisente nell’esercito franco: probabilmente l’intreccio tra le due leggende, quella di Glisente e quella di Carlo Magno, risale alla metà ab 108 AUTUNNO 2011 del XVII secolo. Il racconto agiografico si modificò progressivamente, acquisendo nuovi valori e significati e perdendone probabilmente altri, non più funzionali alle variate condizioni economico-sociali della Valle. L’affresco, per esempio, comprende un episodio di non facile interpretazione, probabilmente perduto nelle revisioni del racconto: vi appare un personaggio vestito da pastorepellegrino, che poggia sulla spalla un enorme olifante mentre sembra accudire un piccolo gregge. nella stessa chiesa di San Lorenzo, Glisente compare in altre figurazioni. In tutte, comunque, nonostante il suo percorso di santità si sia compiuto e perfezionato dopo la rinuncia alla privilegiata condizione mondana, è presentato nelle vesti del cavaliere, mai dell’eremita. Glisente e Obizio, con i santi cavalieri antichi e con Carlo Magno, formano dunque un simbolico esercito armato contro il male. Ma il male può incarnarsi in nemici che è legittimo uccidere: l’elaborazione del concetto di guerra giusta e di crociata consentì di sacralizzare coloro che portavano una spada tutt’altro che metaforica, pronta a colpire, di volta in volta, il pagano, l’eretico, l’infedele o l’ebreo. Carlo Magno li uccide nella leggenda; evocando purtroppo, nella Valle Camonica del tardo medioevo, ciò che succedeva nella realtà.