IL MOVIMENTO COMUNISTA DEL `900 E LA “LUNGA
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IL MOVIMENTO COMUNISTA DEL `900 E LA “LUNGA
attualità IL MOVIMENTO COMUNISTA DEL ‘900 E LA “LUNGA MARCIA“ DI BERTINOTTI di Fabio Zannoni “Dal proletariato ai no global: la Bad Godsberg di Bertinotti“. Così era titolato un ampio servizio sulla “lunga marcia“ - così la definisce il giornalista – di Bertinotti nella storia del movimento comunista del ‘900. L’articolo, a firma di De Marchis, che ripercorre le tappe di Bertinotti in questa rilettura, è stato pubblicato da “la Repubblica” del 27 dicembre ed è stato offerto da Liberazione all’attenzione dei suoi lettori, senza alcun commento, il giorno dopo. Non è da ieri che Bertinotti e larga parte del gruppo dirigente portano avanti un processo di lento distacco dal patrimonio storico ed ideale del movimento comunista del ‘900. La novità è che in questi ultimi mesi questa campagna mediatica fatta di interviste, convegni come quello di Venezia sulle foibe e di articoli di dirigenti del Prc, ha subito una brusca accelerazione. Si avvicinano i tempi delle elezioni amministrative ed europee e non sono poi così lontani i tempi delle elezioni politiche. Appare evidente che le ampie e pubbliche sconfessioni della storia e dell’ideologia del movimento comunista servono a rendere più facili gli accordi e soprattutto – in caso di successo del centro-sinistra allargato a Rifondazione nelle elezioni politiche del 2006 – a rendere possibile la presenza del Prc al governo. Il nome di comunisti non si cambia continua a dire Bertinotti. È la sostanza del comunismo che va svuotata, è il legame con il Novecento che va sciolto. L’articolo di Repubblica elenca le tappe di questo percorso di rivisitazione intrapreso da Bertinotti: dalla cancellazione dallo statuto, all’ultimo congresso, del richiamo a Gramsci alla rilettura della Resistenza “per lavorare sui nostri errori“, ai giudizi sulle foibe (le foibe – dice Bertinotti – sono state per troppo tempo minimizzate) ai gulag e a Kronstadt definito un massacro, fino ad arrivare al dibattito sulla violenza-non violenza con l’affermazione che “la non violenza, dunque, come pratica alta del conflitto - come opposto della passività e della rassegnazione- è oggi l’arma più forte di cui noi disponiamo“. (A. Curzi e R. Gagliardi –Liberazione, 18 gennaio). Non una riflessione, non un dubbio su quanto e su come abbiano pesato su certi episodi, per esempio Kronstadt, la dura necessità di difendere la neonata repubblica sovietica da una rivolta scoppiata in un momento terribile come la guerra civile e all’insegna della parola d’ordine “i soviet senza comunisti”. nuova unità Pagina precedente Oppure, per parlare delle foibe, solo ”le anime belle” possono pensare che dopo un ventennio di dittatura fascista fatta di persecuzioni e di soprusi e della negazione più dura per le popolazioni di confine (Trieste e Gorizia) della loro identità nazionale, il trapasso dei poteri potesse avvenire in maniera incruenta. La Gagliardi, condirettore di Liberazione, in un suo articolo pubblicato su Liberazione il 16 gennaio, nel chiedersi perché il servizio di De Marchis avesse suscitato una reazione così intensa tra i compagni ed i lettori, si risponde dicendo: “Perché si teme – per farla breve – che Repubblica abbia detto il vero”. Ed è così dal momento che l’aver pubblicato l’articolo di De Marchis senza alcun commento è la conferma della condivisione degli organismi dirigenti di Rifondazione di quella analisi. E cioè che Bertinotti e larga parte del gruppo dirigente per i quali il comunismo non è altro che “un processo aperto e indefinito“ (siamo ormai nel regno dell’utopia n.d.r.), in questa loro ricerca continua della rifondazione, si sono ormai separati dal patrimonio ideale, storico e politico del movimento comunista del ‘900. Siamo alla liquidazione, alla ripulsa di quel grande processo storico } Avanza il processo di distacco dal patrimonio storico ed ideale del movimento comunista del ‘900 che si è aperto con la rivoluzione d’ottobre e che ha fatto vedere all’intera umanità che era possibile abolire la proprietà privata dei mezzi di produzione e con essa lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo e costruire una società diversa, una società socialista. E non si dica che la conclusione negativa di quella esperienza ha segnato la fine di ogni possibile trasformazione rivoluzionaria delle società capitalistiche. Altre rivoluzioni che hanno compiuto uno sviluppo sociale determinato, hanno subito sconfitte. Dopo la rivoluzione francese del 1789 vi fu il periodo della Restaurazione imposta dalle monarchie assolute. Ma non per questo si fermò il passaggio dal feudalesimo al capitalismo. C’è poi un problema di metodo che difficilmente è separabile dal merito. Tutto questo dibattito che ha implicazioni politiche profonde (si pensi, per restare al tema della violenza-non violenza, cosa significa afferma- ~ re che la non violenza è l’arma più forte di cui dispongono i comunisti) sta avvenendo travalicando le tesi dell’ultimo congresso del Prc e totalmente al di fuori delle sedi opportune ridotte, a questo punto, a luoghi di semplice registrazione di un dibattito già avvenuto. Sul tema della violenza-non violenza Bertinotti esprime la rottura più profonda e totale con la concezione dei comunisti. Nell’intervista a Repubblica sul dibattito aperto da Sergio Segio a proposito delle possibili infiltrazioni Br nel movimento, Bertinotti usa le forbici della memoria: ”Non mi appartiene più il Brecht che diceva: ”Vogliamo un mondo gentile ma per averlo non possiamo essere gentili“. Oggi la scelta non può essere altro che respingere ogni atto di violenza“. Per Bertinotti, pertanto, la resistenza del popolo iracheno, come quella di qualsiasi popolo oppresso dall’imperialismo, non è accettabile. Va condan- nata. Così si snoda il pensiero del segretario di Rifondazione che rivisita anche alcuni passaggi sulla Resistenza. C’è stata una angelizzazione della Resistenza. Sarà pure un problema se Pavese scrive del suo orrore per il sangue e Pintor ci racconta il ribrezzo delle armi ha detto a Venezia, al convegno sulle foibe, il segretario di Rifondazione. E questa illusione della non violenza come “l’unica modalità per esprimere tutta la radicalità dei bisogni che si oppongono alla nuova società capitalistica” (Bertinotti, Repubblica 24 gennaio) il leader di Rifondazione la sparge a tutte mani sul suo partito e sul movimento dei no global contribuendo così al disarmo ideologico del proletariato e delle masse popolari facendo credere che il passaggio dal capitalismo al socialismo (quello che Bertinotti definisce l’altro mondo possibile) avverrà per un processo storico lento ma inarrestabile e che la borghesia metterà fine al proprio dominio di classe in maniera tranquilla e indolore. È ben strano questo capovolgimento dei ruoli, come è altrettanto strano che i comunisti ed il proletariato debbano liberarsi da un “peccato originale“, quello del ricorso alla violenza quando è invece la storia della borghesia Né Pepsi né Cola la scelta di Lenin di Paolo Massucci L’articolo di Slavoj Zizek, pubblicato dal Manifesto in occasione degli 80 anni dalla morte di Lenin, ha il merito di porre il ragionamento sul significato e sulla differenza tra libertà formale e sostanziale. Contro il “grande silenzio” e l’ostilità nei confronti di Lenin, comunemente giudicato il nemico numero uno della libertà, viene smascherato il mito della libertà nelle nostre democrazie “liberali”. L’Autore ci offre infatti dei brillanti esempi che evidenziano le profonde distorsioni sul concetto di libertà inculcate da parte dell’ideologia borghese sulle classi lavoratrici e funzionali agli interessi della classe dominante. Gli estesi drammi umani conseguenti sia allo smantellamento dello stato sociale negli ultimi venti anni nei paesi occidentali sia alla fine del socialismo di stato nei paesi ex URSS, dei quali sono responsabili la riduzione dei salari, la precarizzazione del lavoro e le privatizzazioni dunque riduzione a merce - dei servizi pubblici, sono da una parte sminuiti e dall’altra attribuiti alla ancor non completa attuazione del neoliberismo economico. Allo stesso tempo questa perdita di sicurezza viene sfacciatamente spacciata come una nuova opportunità, come una maggiore libertà. La critica di Lenin contro la libertà formale muove invece da una concezione non astratta della libertà, che parte da interrogativi quali conoscere a chi giova la libertà specifica di cui stiamo trattando e che ruolo ha questa nella lotta di classe. La questione è del tutto attuale quando si pensi che a fronte dell’imbarazzo della scelta quando dobbiamo bere Coca o Pepsi, ben poca libertà ci è concessa sulle decisioni chiavi riguardanti i problemi sociali globali. Il processo politico, economico e sociale nel capitalismo globale è percepito come dominato da un fato anonimo, che trascende il controllo sociale. La libertà politica diviene dunque esclusivamente formale, laddove la reale alternativa – nella democrazia parlamentare - è possibile solo tra due o più candidati i cui programmi politici non possono uscire da coordinate prestabilite dal volere delle istituzioni sovranazionali del capitalismo. Coordinate che non soltanto non possono essere messe in discussione -pena i ricatti economico-finanziari sui ceti subordinati (disoccupazione, dissesto finanze pubbliche) o se opportuno guerre, embarghi economici, colpi di Stato reazionari, perpetrati tutti in nome del ritorno della democrazia - ma che si restringono sempre più. Per il nostro Autore la “terza via” di Bill Clinton - nonostante fosse nettamente neoliberistaavrebbe perfino sconfinato a sinistra queste rigide coordinate di agibilità politica, per cui, in un certo senso, l’ex presidente USA “avrebbe fatto l’impossibile” in favore del sociale. Pertanto, stante la progressiva negazione della libertà sostanziale nelle democrazie parlamentari attuali, e quindi l’impossibilità di attuare politiche che non siano al puro servizio dell’accumulazione capitalistica, persino politiche sociali riformiste - a meno che per riformistiche, come oggi avviene, si intenda antisociali - non sono più percorribili. Esse sono state possibili solo in determinati contesti storici oggi superati - alternativa politica dell’URSS (con tutti i suoi limiti e difetti) e una certa coscienza di classe e capacità di organizzare la lotta nei lavoratori. Oggi diviene quindi fondamentale riscoprire il pensiero di Lenin. che è piena di sfruttamento e di oppressione, di violenza e di sangue. Per restare in Italia basta pensare che il fascismo non è stato certo un incidente della storia, un bubbone in un corpo sano, come pretende Croce, ma è stato, e lo potrebbe ancora essere, un’alternativa che le classi dominanti praticano quando il loro potere viene messo in discussione. L’imperialismo, a cominciare da quello USA, ha dimostrato ampiamente di essere disposto a tutto e a passare su qualsiasi cadavere pur di conservare il potere economico e politico. E questo non è storia passata. Il secondo dopoguerra è costellato da interventi devastanti e da aggressione alla libertà e all’indipendenza dei popoli: dall’Indonesia alla Grecia, dal Cile di Allende all’Argentina, dalla guerra del Vietnam a Cuba. Un susseguirsi di violenze e di massacri. E questi pochi esempi non esauriscono la storia feroce dell’imperialismo. Quando – sempre a cominciare da Marx – i comunisti hanno parlato di violenza, lo hanno fatto sempre precisando che si trattava” di giusta violenza rivoluzionaria di massa “difensiva e cioè di una necessità imposta dalla violenza del capitalismo e dell’imperialismo per rimuovere ostacoli diversamente non rimovibili. Insomma i comunisti ed il proletariato, a differenza delle classi dominanti e di tutti i suoi apparati repressivi, non hanno la violenza e la guerra iscritti nel proprio codice genetico. Ma Bertinotti e gran parte del gruppo dirigente del Prc, nella loro ansia di rifondazione arrivano ad escludere tutto il patrimonio storico e ideale del movimento comunista del ‘900 finendo così con l’abbracciare una concezione borghese del socialismo. Non a caso, infatti, non si pongono in alcun modo il problema del potere politico e con questo l’abolizione della proprietà privata dei mezzi di produzione, ma semplicemente quello di una più equa distribuzione della ricchezza. Se i comunisti di Rifondazione e i compagni dell’area dell’Ernesto vogliono bloccare questo processo, è ora che diano battaglia. Ce lo auguriamo fortemente perché solo dando battaglia potranno rendersi conto di quanto le loro aspirazioni sono lontane e opposte alle scelte di Bertinotti e del gruppo dirigente e maturare così la convinzione di rompere con l’opportunismo e lavorare per l’unità dei comunisti e per la ricostruzione del partito della classe operaia. 1/2004 5 Pagina successiva