QSI - Parco nazionale del Vesuvio
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QSI - Parco nazionale del Vesuvio
Il Parco nazionale del Vesuvio è uno scrigno di rara bellezza: la natura dei luoghi, la storia del vulcano, i paesaggi mozzafiato, le coltivazioni secolari, il patrimonio rurale delle tradizioni, rendono l’area vesuviana uno dei luoghi più suggestivi d scoprire per i visitatori e da imparare a conoscere per i suoi abitanti. For Sommario Prefazione 7 Ugo Leone Introduzione 11 Paola Conti e Bruno del Vita Il ruolo del Corpo forestale dello stato nella tutela della biodiversita’ in italia tra passato e futuro 19 Antonio Zumbolo Risultati di piantagioni sperimentali sotto copertura e variazioni della struttura dei popolamenti arborei nel periodo 2005-2011 27 Francesco Cona, Stefano Mazzoleni, Antonio Saracino Analisi dell’impatto di Genista aetnensis (Biv.) DC. (Fabaceae) sul Vesuvio (Sud Italia) 41 Adriano Stinca, Giovanni Battista Chirico & Giuliano Bonanomi Linee guida di gestione forestale per il contenimento delle specie esotiche Francesco Cona, Stefano Mazzoleni, Antonio Saracino 65 Citazioni bibliografiche consigliate: Adriano Stinca, Giovanni Battista Chirico & Giuliano Bonanomi , 2013 - Analisi dell’impatto di Genista aetnensis (Biv.) DC. (Fabaceae) sul Vesuvio (Sud Italia), pp. 41-62, in: Verifica di protocolli sperimentali e orientamenti di gestione forestale per il contenimento delle specie esotiche in Riserva Forestale di Protezione Tirone - Alto Vesuvio. Ottaviano, Ente parco Nazionale del Vesuvio ed. Foto: archivio fotografico dell’Ente Parco nazionale del Vesuvio archivio fotografico Ufficio territoriale per la Biodiversità di Caserta archivio fotografico Dipartimento di Agraria, Università di Napoli “Federico II” Progetto grafico e stampa alfa grafica s.r.l. - San Sebastiano al Vesuvio (Na) For Ente Parco Nazionale del Vesuvio Sede: Palazzo Mediceo | Via Palazzo del Principe c/o Castello Mediceo | 80044 Ottaviano (Napoli) Tel. +39 0818653911 | Fax +39 0818653908 www.forclimadapt.eu | www.epnv.it | e.mail: [email protected] L’introduzione di piante esotiche nel territorio vesuviano è stata spesso giustificata dalla necessità, incontrata nel tempo e soprattutto a seguito di fenomeni eruttivi, di favorire la ricolonizzazione di suoli nudi e di stabilizzare versanti: questa circostanza, se da una parte giustifica la presenza di tali piante, non ne annulla gli effetti relativi agli impatti sulle associazioni vegetali autoctone e sulle comunità faunistiche, soprattutto perchè alcune delle essenze introdotte hanno manifestato capacità competitive tali da alterare gli equilibri ecologici dell’ambiente in cui sono state inserite. Prefazione Ugo Leone Presidente del Parco Nazionale del Vesuvio L e foreste, come è stato ripetutamente ribadito nel 2010 durante l’anno internazionale delle foreste, sono un bene prezioso. Ce ne sono sulla Terra circa 6 miliardi di ettari ma erano almeno otto 12.000 anni fa. C’è stato, dunque, un progressivo e sempre più celere processo di deforestazione, dal quale non è stato esente il bacino del Mediterraneo i cui Paesi erano ricchi di boschi e foreste. L’assottigliamento della superficie boscata è cominciato soprattutto quando i Romani, sconfitti dai Cartaginesi nella prima guerra punica, compresero che avrebbero potuto vincere il nemico solo stabilendo il dominio sul mare. E lo fecero costruendo in pochi anni un’enorme flotta (continuamente rinnovata e ingrandita) al prezzo di diecine e diecine di miglia di alberi dell’Appennino centro-meridionale. Migliaia di alberi d’alto fusto furono abbattuti per la costruzione degli scafi, dei ponti, delle alberature e dei remi, oltre che per i corvi, i rostri, le catapulte, ecc.; e un grandissimo numero di pini e di abeti subirono la stessa sorte per fornire la resina con la quale calafatare gli scafi, in modo da renderli impermeabili. E poiché centinaia di queste navi furono distrutte in ricorrenti naufragi oltre che in battaglia, ancora maggiore fu il ricorso alle foreste. Né solo per costruire navi venivano tagliati i boschi dell’Italia e delle altre regioni mediterranee, ma anche per l’edilizia, per fornire energia alle attività manifatturiere e per il riscaldamento e così via. Il danno ecologico che ne subì la penisola fu enorme. Con la distruzione dei boschi ebbe inizio il lento, ma inesorabile degrado ecologico della penisola e, in parte, delle altre regioni dell’Europa meridionale. Infatti, private del loro mantello forestale, le pendici delle montagne divennero franose ed instabili; il clima divenne più caldo e più asciutto; il regime dei fiumi appenninici si trasformò in torrentizio, con lunghe secche estive e improvvise, rovinose piene autunnali; le frequenti esondazioni dei fiumi causarono un allagamento semi- permanente di vasti tratti di campagna; il diffondersi delle zone paludose, a sua volta, e il generale riscaldamento climatico, favorirono la diffusione della zanzara anofele e, quindi, della sua inseparabile compagna: la malaria, contro la quale nulla poteva la medicina antica prima dell’uso massiccio del DDT di epoca contemporanea. Questa incursione nella storia la quale, come si dice dovrebbe essere magistra vitae ma che, di fatto non insegna nulla perché tutto si tende a dimenticare; questa incursione, dicevo, non solo per ricordare le radici della deforestazione mediterranea, ma anche per sottolineare quali, allora come oggi, sono i riflessi sul mutamento climatico e sull’amplificarsi dei rischi legati a fenomeni naturali estremi. Tanto grave fu, dunque, quel diboscamento che il grande storico Fernand Braudel annoverava la deforestazione del Mediterraneo tra le cause della decadenza romana sino alla definitiva caduta dell’Impero romano d’occidente nel 476 d.C. Ma, 7 Prefazione ricorda sempre Braudel, la deforestazione ancora più spinta fu verosimilmente la causa della decadenza del Mediterraneo nel XVI e ancora di più nel XVII secolo. Oggi, dove più, dove meno l’esempio romano si è diffuso in tutto il bacino e in tutto il Mediterraneo la superficie forestale ha subito gravi e talora irreversibili modifiche e distruzioni. Ne è un esempio evidente, in Italia, la Lucania che non a caso si chiamava così – terra di boschi- e che oggi, Basilicata, è una delle regioni più spoglie del Paese. La superficie forestale totale nella regione mediterranea è di circa 73 milioni di ettari, vale a dire l’8,5% della superficie totale terrestre. Ma si calcola che il bacino del Mediterraneo perde ogni anno tra 0,7 e un milione di ettari di foreste soprattutto a causa degli incendi. Spesso è questo lo strumento utilizzato per guadagnare spazio all’agricoltura, al turismo, all’urbanizzazione incalzante. Soprattutto esposti i Paesi della sponda sud e di quella orientale (Marocco, Algeria, Tunisia, Siria, Libano e Turchia). In più oggi c’è un altro pericolo, un’altra aggressione al residuo patrimonio forestale, provenente dai mutamenti climatici abbastanza evidentemente in atto. Anche per questi motivi, il progetto la cui realizazione ci vede da tempo riuniti è di grande importanza. Perchè si propone, come è noto, “di contribuire alla conoscenza e di sperimentare azioni di mitigazione degli effetti che i cambiamenti del clima a livello globale hanno sugli ecosistemi forestali mediterranei .” Ormai, malgrado una attiva presenza di negazionisti i quali appena la temperatura scende sotto lo zero ironizzano su chi ha avanzato e avanza il timore dell’aumento delle temperature medie, l’esistenza dei rischi legati ai cambiamenti climatici globali è riconosciuta dalla quasi totalità della Comunità scientifica. E ne è un esempio significativo proprio il bacino del Mediterraneo, dove sono già in atto aumento delle temperature medie ed un aumento della frequenza e dell’intensità di eventi metereologici estremi (siccità prolungate, precipitazioni violente, inondazioni). Intervenire per rallentare sino a frenare del tutto questa tendenza significa anche dare contenuti concreti agli assi del nostro programma. In particolare per quanto riguarda la”Protezione dell’ambiente e promozione di uno sviluppo territoriale durevole” con l’obiettivo anche di “Prevenire e lottare contro i rischi naturali”. Infatti un ambiente deforestato è anche un ambiente sguarnito nei confronti del verificarsi di fenomeni naturali calamitosi, primo fra tutti quelli legati al dissesto idrogeologico. Naturalmente non sta nelle nostre forze, competenze, e, tanto meno, compiti la soluzione di questi problemi, ma è comunque un importante e delicato obiettivo quello che ci siamo proposti. L’approfondimento delle conoscenze e la possibilità e capacità di diffonderle tramite un’informazione precisa e capillare è uno strumento di fondamentale importanza il quale, pure, è stato uno dei nostri obiettivi. Se, come è vero, con il progetto al quale abbiamo lavorato il partenariato si prefigge di selezionare e sperimentare lavori di climatologi, ecologi ed esperti dell’argomento, adattandoli alle esigenze dei soggetti che a vario titolo gestiscono aree boscate (enti territoriali, proprietari privati, silvicoltori, soggetti gestori di aree protette) ed in particolare vuole offrire a questi ultimi strumenti ed orientamenti per una gestione duratura. È per questo che i risultati raggiunti nelle varie tappe del progetto non sono un patrimonio esclusivo dei tecnici impegnati nel progetto e del partenariato coinvolto direttamente, ma costituiscono un risultato capace di favorire un’ampia diffusione delle conoscenze in tutto il bacino del Mediterraneo. 8 Il progetto “For Climadapt” ha rappresentato ed ancora rappresenta una occasione importante per l’Ente Parco Nazionale del Vesuvio, in quanto ha consentito di approfondire e sperimentare, in collaborazione con Enti ed Istituti scientifici, azioni specifiche nell’ambito della gestione forestale sostenibile in ambiente mediterraneo. Introduzione Paola Conti e Bruno del Vita Ente Parco Nazionale del Vesuvio Genesi del Progetto “For Climadapt” li ecosistemi forestali sono senza dubbio spazi multifunzionali caratterizzati da grande ricchezza di biodiversità, vanno gestiti e tutelati con attenzione e su tale materia sono stati elaborati sistemi complessi di normative e di indirizzi finalizzati al raggiungimento di una Gestione Forestale Sostenibile (GFS) fondata su tre principi cardine: la sostenibilità ecologica, la sostenibilità economica, la sostenibilità sociale. D’altra parte le foreste mediterranee presentano caratteristiche distintive per clima, paesaggi e millenaria presenza dell’uomo; la multifunzionalità e la ricchezza delle foreste mediterranee dipendono dal differente utilizzo delle popolazioni e dalla profonda influenza delle civiltà che da sempre le hanno abitate; pertanto le tecniche e le buone pratiche di gestione forestale che si attuano nel mondo ed in Europa non sempre sono adatte agli ambienti mediterranei; per questo motivo abbiamo voluto avviare un percorso di approfondimento metodologico sulla gestione forestale in ambito mediterraneo. Nel contesto della Programmazione 2000-2006, ed in particolare dell’iniziativa Interreg IIIB, si colloca il Programma Medocc orientato ad azioni di cooperazione transnazionale nel bacino Mediterraneo occidentale. Il Parco nazionale del Vesuvio su questo programma è stato Capofila del progetto RECOFORME, Rete di cooperazione sul tema della foresta mediterranea, coordinando le azioni di 7 partner internazionali. A conclusione del progetto Recoforme, nel mese di luglio 2006, il Partenariato ha espresso la volontà di proseguire nelle azioni di cooperazione sul tema della foresta mediterranea e di conferire un carattere di “perennità” al partenariato stesso, che ha dato prova di coesione nel corso delle attività di progetto; per tale scopo è stata avviata un’iniziativa (FEP – Foretes et espaces protegèes) orientata ad approfondire ulteriori tematiche nell’ambito della foresta mediterranea in aree protette. Si è perciò avviato un lavoro di concertazione interpartenariale orientato a diverse finalità fra cui: • Il consolidamento e l’allargamento della rete interparte- G nariale fondata sul partenariato originario del progetto Recoforme, ed aperta all’inclusione di nuovi partner che potessero offrire ulteriori contributi ed interessi; • il monitoraggio delle evoluzioni in corso nella programmazione europea per il periodo 2007-2013, al fine di indirizzare verso gli opportuni programmi le iniziative maturate in seno al Partenariato; • l’individuazione di tematiche prioritarie e condivise dai partner e che focalizzassero l’attenzione verso le esigenze di proprio interesse costituendo partenariati specifici su progetti specifici; • l’individuazione di metodologie progettuali più aderenti alle finalità dei nuovi programmi che si andavano definendo in seno alla programmazione europea. Questo percorso si è sviluppato attraverso seminari o tavoli di lavoro del partenariato ed attraverso il lavoro individuale dei singoli Partner, chiamati a formulare ipotesi di lavoro di propria specifica pertinenza; il Partner AIFM (Association Internazionale des Foretes Méditerraneennes) ha avuto il compito di organizzare le azioni preliminari in vista di una candidatura di progetti a valere sui fondi della Programmazione europea 2007-2013. Nel corso di tali lavori sono stati individuati diversi progetti fra cui il progetto For Climadapt, incentrato sulla problematica dell’adattamento degli ambienti forestali mediterranei al cambiamento climatico. Il Parco Nazionale del Vesuvio è stato scelto come Capofila dal Partenariato. Questo non è un evento occasionale, ma va inquadrato in una politica internazionale che L’Ente Parco ha da tempo avviato, al fine di favorire da un lato lo scambio di esperienze e buone pratiche tra aree protette in ambito mediterraneo, e dall’altro la definizione e l’implementazione di un parternariato che favorisca la circolazione e l’integrazione di competenze ed iniziative. Questa politica deriva dalla consapevolezza che l’ecoregione mediterranea necessita di azioni coordinate e condivise per poter raggiungere forme di collaborazione indispensabili ad affrontare e gestire correttamente il complesso rapporto tra tutela della biodiversità e sviluppo so- 11 Introduzione 12 stenibile delle popolazioni. In questa ottica Il ruolo che oggi viene affidato alle aree protette, la cui istituzione ha la finalità di salvaguardare quel patrimonio locale di biodiversità naturale e culturale che rende speciale un territorio, tiene ben presente che il concetto di salvaguardia della specificità acquisisce valenza maggiore proprio dal confronto con altre specificità. Dallo scambio e dal confronto reciproco le aree protette possono trarre vantaggi in termini di valorizzazione delle proprie risorse, di condivisione di problematiche e di scambio di buone pratiche, ed a supporto di tali finalità vi sono oggi Associazioni ed Enti volti a favorire la creazione di network permanenti. mento climatico in atto produce su tali ecosistemi. Approvato nel 2010, è stato proposto nel quadro del Programma europeo di cooperazione territoriale MED. Il Programma MED è un programma europeo di cooperazione transnazionale, cofinanziato dal fondo FEDER. Rientra nel quadro della politica regionale dell’Unione europea per il periodo di programmazione 2007-2013 (terza componente “cooperazione territoriale”) e si pone in continuità con la collaborazione transnazionale del programma Interreg III B, sviluppato nel periodo di programmazione precedente. Attraverso partenariati transnazionali costituiti nella Il Progetto FOR CLIMADAPT (adattamento delle foreste mediterranee ai cambiamenti climatici) nasce dalla volontà di un partenariato già precedentemente costituito; è un progetto di cooperazione internazionale incentrato sul tema della foresta mediterranea e sugli effetti che il cambia- regione del Mediterraneo, il programma mira a favorire il raggiungimento di obiettivi strategici dell’Unione Euroepa: • Il miglioramento della competitività del settore per assicurare crescita e occupazione per le generazioni future (Strategia di Lisbona). • La promozione della coesione territoriale e la prote- Introduzione Il programma è articolato in quattro assi principali: - Asse 1: Rafforzamento delle capacità di innovazione. - Asse 2: Protezione dell’ambiente e promozione di uno sviluppo territoriale sostenibile. - Asse 3: Miglioramento della mobilità e accessibilità territoriale. - Asse 4: Promozione di uno sviluppo policentrico e integrato della regione mediterranea (spazio MED). gestione degli spazi forestali, utilizzando quattro approcci complementari previsti nel piano di lavoro: • Lo sviluppo di attività di osservazione e monitoraggio dei cambiamenti negli ecosistemi; • Lo sviluppo di una nuova selvicoltura per promuovere la conservazione della biodiversità mantenendone il valore economico; • Lo sviluppo di metodi per il restauro ecologico di suoli degradati; • Informazione, sensibilizzazione della società e miglioramento della governance. Il progetto For Climadapt è stato approvato sull’Asse 2 - Obiettivo 4: “Prevenzione e lotta contro i rischi naturali”, ed è finalizzato ad individuare strategie per mitigare gli effetti dei cambiamenti climatici sulle foreste mediterranee. In particolare il progetto mira a fornire soluzioni per i soggetti gestori del territorio per migliorare le loro pratiche di Le azioni del progetto sono concentrate prevalentemente sui rischi legati alla erosione, sulla prevenzione degli incendi boschivi e sulla mitigazione e contenimento dei fattori di degrado, e sono state condotte adottando una strategia comune a livello transnazionale basata sulla condivisione di esperienze, sulla sperimentazione di tecniche e zione dell’ambiente in una logica di sviluppo sostenibile (strategia di Göteborg). 13 Introduzione pratiche in territori gestiti dai diversi Partner, sul trasferimento e condivisione di tali esperienze e sulla costruzione di orientamenti comuni. I partner del progetto sono: - Parco Nazionale del Vesuvio (Italia) Riserva Man and Biosphère - Associazione Internazionale Foresta Mediterranea (Francia) - Regione Umbria (Italie) comunità montana “Valnerina” (Terni). - Centro di ricerca forestale di Catalogna (Spagna) Pirenei Catalani - Direzione territoriale Mediterranea dell’ONF Regioni Languedoc-Roussillon et Provenza-Alpi-costa Azzurra (départements de l’Aude et des Alpes-maritimes, Francia). - Region Nord-Egeo (Grecia) Isola di Lesbo. - ADPM, Regione Alentejo (Portogallo) Parco naturale della Valle del Guadiana et Centre pedagogico del Monte do Vento. - Forêt Méditerranéenne (Francia) Per favorire la fase di capitalizzazione si è adottata una metodologia comune di confronto che coinvolge, oltre i tecnici dei diversi partner, degli esperti internazionali chiamati a discutere delle soluzioni e tecniche adottate dal partenariato ed indirizzare tali esperienze verso orientamenti comuni per la gestione. 14 In particolare il progetto prevede: • Un Partner “animatore” della fase di capitalizzazione (AIFM) che organizza ed anima il dibattito e favorisce l’andamento e l’incisività del confronto; • Un gruppo di esperti (peer group) che effettua una valutazione della soluzione ed individua le ricadute transnazionali, a seguito delle visite; • Esperti extra comunitari, individuati dai partner, per contribuire alla capitalizzazione con pareri ulteriori e punti di osservazione diversi; • Un tecnico – valutatore esterno, individuato dal Capofila, che dà un ulteriore parere a metà percorso ed alla fine, per contribuire alla validità dei risultati condivisi; I risultati raggiunti non saranno un patrimonio esclusivo dei tecnici impegnati nel progetto ma saranno ampiamente diffusi in modo da favorire un’ampia diffusione delle conoscenze, per questo motivo: • Ciascun Partner effettua azioni di diffusione a livello locale, orientata verso il proprio territorio di riferimento e verso il coinvolgimento dei gestori; • Il Capofila e l’AIFM effettuano un’azione di diffusione a livello mediterraneo organizzando seminari di valenza sovranazionale; Di seguito si riporta uno schema molto sintetico della suddivisione in componenti del progetto: Nr.Componente Descrizione Componente Fasi 0 Preparazione 1 Gestione del Progetto Amministrativa e Finanziaria Coordinamento 2 Attività Pilota Esame dello Stato iniziale Gestione adattativa della Selvicoltura Restauro e Rimboschimento Governance e adattamento sociale 3 Comunicazione Livello Locale Livello Mediterraneo 4 Capitalizzazione Seminari – siti pilota Gruppo Peer to Peer Valutazione qualitativa Introduzione Le attività del Parco Nazionale del Vesuvio nel progetto For Climadapt L’Ente Parco Nazionale del Vesuvio, capofila del progetto, è stato istituito nel 1995 per salvaguardare il valore ecologico e il patrimonio del territorio, consentendo una perfetta integrazione tra l’uomo e l’ambiente, promuovendo attività di educazione ambientale e la ricerca scientifica. Il Parco si estende su 8.482 ettari nella provincia di Napoli attorno al Vesuvio, esempio tipico di vulcano costituito da un tronco di cono, ancora attivo. Il territorio è ricco di elementi unici di punto storico e naturalistico, vanta una produzione agricola di qualità carat- terizzata dalla diversità e l’originalità dei sui sapori locali. Il cambiamento climatico può indurre un aumento costante delle temperature medie e un’alterazione delle manifestazioni metereologiche che si traducono in una diminuzione delle precipitazioni deboli, un aumento di piogge forti e periodi di siccità accentuati (tropicalizzazione del clima). Queste mutazioni sono associate ad una variazione della capacità del suolo di assorbire l’acqua piovana, e ad un aumento di processi alluvionali e/o fenomeni di aridità diffusa e desertificazione. Questi cambiamenti, nel territorio del parco, possono anche comportare variazioni della biodiversità, soprattutto Scheda identificativa del sito pilota Status e strumenti di gestione disponibile Parco Nazionale, Riserva Forestale Statale, sito Natura 2000 Superficie 8. 482 ha (PNV) Popolazione 352.180 abitanti (42 / km²) Principali città e comuni Boscoreale, Boscotrecase, Ercolano, Massa di Somma, Ottaviano, Pollena Trocchia, San Giuseppe Vesuviano, San Sebastiano al Vesuvio, Sant’Anastasia, Somma Vesuviana, Terzigno, Torre del Greco, Trecase Superficie forestale sul sito pilota 1. 027 ha Amministrazione locale incaricata della gestione forestale e della pianificazone Ente Parco Nazionale del Vesuvio, Corpo forestale dello Stato – Ufficio Territoriale per la Biodiversità di Caserta Essenze forestali dominanti Specie dominante (Pinus sp., Genista aetnensis, Robinia pseudacacia, Castanea sativa) Popolamenti puri e misti (Quercus ilex, Q. pubescens). Foreste naturali in prossimità della sommità (Betula pendula, Alnus cordata, Populus tremula) utilizzo principale attribuito alla foresta Conservzione e usi ricreativi Assenza di utilizzo pastorale - Altri tipi di occupazione dei suoli sul sito (spazi non forestali) - Precipitazioni annuali 950 mm Media delle temperature minime del mese più freddo 8.2°C Media delle temperature massime del mese più caldo 26.5°C Principali rischi naturali cui è sottoposto il sito Incendio boschivo, frane 15 Introduzione perché il territorio del Vesuvio presenta ecosistemi giovani. Inoltre, nei secoli precedenti, molti interventi umani eseguiti per combattere l’erosione associata alle eruzioni vulcaniche, hanno portato all’introduzione di diverse specie aliene potenzialmente invasive. Gli interventi di contrasto alle calamità idrogeologiche, attraverso tecniche eco-compatibili, e una gestione territoriale orientata alla conservazione della biodiversità, possono migliorare la protezione del suolo, rispettando l’evoluzione degli ecosistemi. Nel Parco Nazionale del Vesuvio la lotta ai fenomeni erosivi è stata effettuata spesso ricorrendo ad opere di Ingegneria naturalistica (una metodologia innovativa ed evoluta di intervento sul dissesto ambientale compatibile con la natura), ma con i mutamenti climatici in corso è necessario disporre di informazioni metodologicamente appropriate per favorire le scelte migliori e per valutare la loro efficienza rispetto ai fenomeni citati. Il PNV ha già avviato azioni sperimentali in due progetti Interreg IIIB Medocc su tali tematiche: - Nel progetto Recoforme sono state sperimentate tecniche di contrasto alle piante invasive. 16 - Nel progetto Desertnet sono state sperimentate tecniche di Ingegneria naturalistica in ambienti aridi o desertici; Con il progetto For Climadapt si sono sintetizzate l’insieme delle sperimentazioni e, anche mediante il contributo di esperienze diverse da parte del partenariato, sono state delineate linee guida per indirizzare in maniera consapevole le scelte degli enti gestori e dei politici. il progetto interessa soprattutto gli obiettivi: • Ripristino delle funzionalità ecosistemiche e tutela del patrimonio naturale del Parco e delle aree contigue. • Miglioramento della qualità dell’ambiente ed incremento del livello della sicurezza nel territorio del Parco. • Consolidamento della funzione dialogica dell’Ente per favorire la diffusione e condivisione di competenze e conoscenze su cui fondare lo sviluppo dell’area Parco. L’Ente Parco, nel sito sperimentale collocato nella Riserva Forestale di Protezione Tirone Alto Vesuvio, ha sperimentato tecniche di ingegneria naturalistica e protocolli di gestione forestale orientati al contenimento delle specie esotiche. In questa sede si sintetizzano i risultati ottenuti sui protocolli di gestione forestale orientati al contenimento delle specie esotiche. Il Parco nazionale del Vesuvio è uno scrigno di biodiversità: il mare, la montagna, il vulcano, la varietà dei luoghi, gli splendidi scorci naturalistici, le tante specie di piante, animali, minerali, i tanti paesi ognuno con la propria storia e tradizione, rendono l’area vesuviana uno dei luoghi più affascinanti da visitare. Il ruolo del Corpo forestale dello Stato nella tutela della biodiversità in italia tra passato e futuro Antonio Zumbolo Ufficio Territoriale per la Biodiversità di Caserta L’ Ufficio per la Biodiversità del Corpo Forestale dello Stato è preposto alla tutela e salvaguardia delle riserve naturali statali riconosciute d’importanza nazionale e internazionale. Il termine biodiversità descrive la varietà di esseri viventi (animali, piante e microrganismi), così come li conosciamo oggi, e i cicli naturali che regolano la vita sul nostro Pianeta. La diversità biologica o biodiversità, è frutto dell’evoluzione naturale di 3 miliardi e mezzo di anni e, in modo più determinante, dell’azione dell’uomo. Istituito nel 2005, l’U.T.B. è l’erede dell’Azienda di Stato per le Foreste Demaniali che, nel 1910 avviò la sua storica azione di gestione dei beni demaniali per la conservazione di un patrimonio naturalistico fondamentale per la biodiversità nazionale. E’ ben nota a tutti e non solo agli addetti ai lavori, l’operatività dell’Azienda di Stato per le Foreste Demaniali, ufficialmente soppressa nel 1977 con il D.P.R. n.616. Gli attuali Uffici Territoriali per la Biodiversità, sono gli eredi morali dell’A.S.F.D., con il precipuo compito di tenere il passo con l’evolvere dei tempi e con le nuove richieste di una società post-industriale e globalizzata, dove la valenza ecologica è particolarmente sentita. Con la riforma del C.F.S. i nuovi Uffici per la Biodiversità fondano dunque la loro operatività essenzialmente su quattro pilastri di primaria importanza: - tutela e salvaguardia delle riserve naturali dello Stato e delle altre aree di interesse naturalistico; - conservazione e salvaguardia della biodiversità animale e vegetale; - promozione dell’attività di ricerca scientifica e di programmi finalizzati allo studio ed alla conservazione della biodiversità; 19 Il ruolo del corpo forestale dello stato nella tutela della biodiversità in italia tra passato e futuro 20 - promozione di attività di educazione ambientale e comunicazione. Ripercorrendo la storia, l’A.S.F.D. trae origine nel 1910 con la Legge Luzzatti, ma è il Serpieri, agronomo e politico illustre, a definirne compiutamente compiti e funzioni, prima con la Legge forestale del 1923 che istituisce l’Azienda del Demanio Forestale e poi con la più specifica Legge n.30 del 1933, che la trasforma in Azienda di Stato per le Foreste Demaniali. In quegli anni intensa è l’economia montana e le foreste sono fortemente utilizzate, pascolate, antropizzate; c’è fame di terra e il disboscamento è intenso, quindi un vero pericolo per la stabilità e l’integrità del territorio. Le foreste dello Stato sono considerate da allora beni demaniali inalienabili ed indisponibili, dovendo essere esempio di una buona gestione e fornire l’incremento alle attività selvicolturali e al commercio dei prodotti forestali. Con il R.D.Lg.vo n.3267 del 1923 e più ancora con quello del 1933, il demanio forestale si amplia progressivamente; all’Azienda di Stato si chiede anche di fornire una riserva strategica di legname per i bisogni del Paese. E’ altresì facoltà del Ministero espropriare terreni per ampliare le foreste demaniali. La Legge del 1923 dà la facoltà al Ministero di fare concessioni temporanee di aree nei terreni amministrati dall’A.S.F.D. per edificarvi alberghi, stabilimenti idroterapici o climatici, per l’esercizio di industrie forestali ed altre finalità prettamente economiche. L’Azienda nel 1927 assume personalità giuridica propria, con gestione autonoma, alla stessa stregua di un “Ente parastatale”, equiparata alle altre Amministrazioni dello Stato per quanto attiene il regime fiscale. In questi stessi anni all’A.S.F.D. è affidata la gestione tecnica ed amministrativa dei Parchi Nazionali d’Abruzzo, dello Stelvio, del Gran Paradiso e del Circeo, a cui, poi, si aggiungerà il Parco della Calabria. Nel dopoguerra la Legge della montagna del 1952, detta anche Legge Fanfani, apporta notevoli impulsi all’A.S.F.D. per darle la possibilità di nuovi acquisti immobiliari ed incrementando l’attività di rimboschimento e di sistemazioni idrauliche attraverso i famosi “cantieri scuola”. Così l’Azienda può accedere ai mutui presso la Cassa depositi e prestiti e presso altri Istituti di credito per acquistare terreni nudi, cespugliati, parzialmente boscati da rimboschire o per farne prati-pascolo e per costruirvi zone di ripopolamento e di cattura per la selvaggina nobile stanziale. Con il 2° Piano Verde (Legge 910/1966 – art.29) l’A.S.F.D. può ulteriormente ampliare i propri obiettivi, costituendo anche vere e proprie aziende zootecniche, accentuando così la vocazione ad essere modello di proposta per lo sviluppo dell’economia montana in Italia. Crescente e progressiva è l’acquisizione all’A.S.F.D. di nuovi terreni, passando dai 95.719 ettari del 1914 agli oltre 224.000 ettari del 1924, per arr ivare alla massima estensione nel 1974, quando la proprietà demaniale, gestita dall’A.S.F.D., si sviluppa per oltre 418.000 ettari, senza contare che già erano stati trasferiti alle Regioni a Statuto Speciale oltre 99.500 ettari (al Trentino 64.814 Ha; alla Sardegna 26.152 Ha; alla Sicilia 4.865 Ha; al Friuli Venezia Giulia 3.702 Ha). Sulla base della Legge delega del 16 maggio 1970 n.281 viene emanato il D.P.R. n.11/1972 col quale si dichiara il trasferimento dei beni forestali dello Stato alle Regioni; sono esclusi quei terreni che non avevano caratteristiche colturali produttive forestali ovvero che costituiscono fasce litoranee frangivento, riserve natu- Il ruolo del corpo forestale dello stato nella tutela della biodiversità in italia tra passato e futuro rali, boschi da seme, aventi finalità di protezione idrogeologica naturalistica e comunitaria. Ed in tal senso ha operato intensamente in quel periodo l’A.S.F.D., attraverso l’istituzione e l’identificazione di gran parte delle foreste demaniali in Riserve Naturali Statali. Il 1977 segna l’anno della svolta, con la soppressione dell’A.S.F.D. e con il passagio, ope legis (D.P.R.616/1977, art.68), alle Regioni di gran parte del demanio, per circa 345.000 ettari; continua a restare una gestione residuale su una proprietà non superiore all’1% di quella complessiva, da destinare a scopi scientifici, sperimentali e didattici di interesse nazionale. Non rientrano nel trasferimento alle Regioni a Statuto Ordinario le Riserve Naturali dello Stato ed altri ambiti protetti, le aree sperimentali di interesse nazionale, i terreni d’interesse militare, le caserme forestali, per una consistenza complessiva di oltre 76.500 ettari. La Corte dei Conti, con decisione n.855 del 1978, ha riconosciuto alla soppressa Azienda la figura di Organo dello Stato, stabilendo che continuasse con la denominazione di Gestione ex A.S.F.D.. Così dal 1° gennaio 1978 inizia la difficile gestione “ex A.S.F.D.”, su quasi 76.500 ettari tra boschi ed alcune aziende agro-zootecniche e faunistiche; terminerà solo nel 2004, con l’emanazione della recente Legge di riordino del C.F.S.. Si è trattato di un lungo periodo transitorio durante il quale la ex A.S.F.D. ha effettuato, comunque la si voglia vedere, una gestione conservativa del patrimonio, impiegando in media circa 1.500 operai, con contratto di diritto privato, come esplicita la Legge 124 del 1985, per la gestione: di aree protette; di Riserve Naturali ed Integrali; di aree di rilevante interesse naturalistico anche per conto del Ministero dell’Interno o di altri soggetti pubblici; di aziende pilota per la conservazione della biodiversità animale e per l’allevamento di cavalli da impiegare per scopi istituzionali; di centri per la produzione di sementi forestali selezionate. Negli ultimi anni, con il manifestarsi di crescenti bisogni volti alla tutela della biodiversità, e all’imporsi della “selvicoltura naturalistica”, anche l’attività gestionale dell’ex A.S.F.D. ha accelerato in tali direzioni, virando nettamente le “aziende pilota” da prototipi aventi anche risvolti commerciali, in Centri Nazionali per lo studio, la conservazione e la salvaguardia del patrimonio genetico di razze in via d’estinzione o per favorire la diffusione di fauna selvatica autoctona. Ancora oggi il principale filone di attività consiste nella gestione di 130 Riserve Naturali Statali, in virtù della Legge Quadro sulle aree protette (L.394/1991) e delle Riserve biogenetiche; queste aree sono tra le meglio conservate, come rimarcano i riconoscimenti ricevuti a livello internazionale. Si ha infatti che: -68 aree sono ricomprese nella rete europea delle riserve biogenetiche, istituita dal Consiglio d’Europa; - 105 aree sono ricomprese nella rete Natura 2000, istituita ai sensi della Direttiva 92/43/CEE, relativa alla conservazione degli habitat naturali e seminaturali e della flora e della fauna selvatica e della Direttiva 79/409 CEE relativa alla conservazione degli uccelli selvatici; - 3 aree (Circeo, Monte di Mezzo e Collemeluccio) godono del riconoscimento di riserva della biosfera dell’UNESCO; - 9 aree sono riconosciute zone umide d’importanza internazionale ai sensi della Convenzione di Ramsar; - 2 aree (Montecristo e Sassofratino) sono Riserve Integrali, che hanno acquisito il Diploma Europeo istituito dal Consiglio d’Europa. I predetti ambiti, che rappresentano circa il 5% 21 Il ruolo del corpo forestale dello stato nella tutela della biodiversità in italia tra passato e futuro della superficie protetta, ospitano quasi il 20% delle specie vegetali considerate a rischio di conservazione in Italia ed il 70% delle 88 specie di avifauna sempre oggetto di tale rischio. Le Riserve Statali inserite in Parchi Nazionali sono 58, per un totale di oltre 58.000 ettari; tra esse vi è la Riserva Forestale di Protezione “Tirone-Alto Vesuvio”, inclusa nel Parco Nazionale del Vesuvio. Recentemente, con Decreto del Capo del Corpo, gli Uffici dell’A.S.F.D. hanno ceduto il passo ai nuovi Uffici centrali e periferici per la Biodiversità, che sono armonizzati al perseguimento delle funzioni proprie della Legge di riordino del C.F.S.. Va rimarcato come quasi tutti gli attuali beni demaniali, gestiti dalle nuove strutture del C.F.S., siano strettamente funzionali e strumentali all’assolvimento dei compiti istituzionali dello stesso Corpo, per perseguire compiutamente le finalità della Legge 36/04, ovvero l’educazione ambientale, l’attività addestrativa e formativa, l’attività di studio, la conservazione della biodiversità animale e vegetale; basi queste fondanti i nuovi e riorganizzati Uffici per la Biodiversità. Sul trasferimento delle Riserve Naturali interne in tut- 22 to o in parte ai Parchi Nazionali, pari ad oltre 58.000 ettari, l’Amministrazione ha già avviato un’opportuna interlocuzione col Ministero dell’Ambiente e con gli Enti Parco per verificare la possibilità di una fattiva collaborazione tra i vari soggetti interessati, aventi tutti il comune obiettivo: la tutela ambientale. In Campania, l’Ufficio Territoriale per la Biodiversità ha sede a Caserta e gestisce i seguenti beni: - Riserva Forestale di Protezione “Tirone-Alto Vesuvio”, in Provincia di Napoli, con una superficie di circa 1000 Ha; - Riserva Naturale Orientata “Valle delle Ferriere”, in Comune di Scala (SA), nella costiera amalfitana, con una superficie di circa 500 Ha; - Riserva Naturale di “Castel Volturno” (CE), di circa 250 Ha. - L’U.T.B., inoltre, gestisce altri siti di interesse naturalistico: - Cipresseta di “Fontegreca” (CE), di circa 60 Ha; - Bosco Flegreo “S. Michele Arcangelo” di Napoli; - Arboreto da seme “S. Michele” di Alife (CE). Il ruolo del corpo forestale dello stato nella tutela della biodiversità in italia tra passato e futuro La Riserva Forestale di Protezione “Tirone-Alto Vesuvio” I terreni della Riserva furono consegnati al Corpo Forestale, dal Demanio dello Stato, nel 1912. I lavori svolti dal C.F.S. interessarono circa 3500 Ha di aree demaniali e non, ed avevano i seguenti obiettivi: - trattenere i materiali eruttivi sulle pendici; - sistemare il corso dei torrenti esistenti; - sistemare le frane; - rimboschire (ripetutamente, a causa delle eruzioni laviche) le zone spoglie di vegetazione, con pino domestico, pino marittimo e ginestre; - vendere i materiali prodotti: strobili, legna, fascine di ginestra. La difesa idrogeologica ha rappresentato lo scopo principale per la tutela dei numerosi centri abitati situati intorno al complesso vulcanico. I lavori di sistemazione e manutenzione, praticamente, non sono stati quasi mai interrotti, fatto salvo che nei due periodi bellici. Nel dopoguerra sono stati eseguiti rimboschimenti nelle zone prive di alberi anche in conseguenza dell’ultima eruzione vulcanica del 1944. La Riserva Forestale di Protezione “Tirone-Alto Vesuvio” è stata istituita con Decreto del Ministero dell’Agricoltura e delle Foreste del 29.03.1972, con i seguenti obiettivi: - tutelare il patrimonio naturalistico e paesaggistico presente nella riserva; - consentire la ricerca scientifica; - favorire la divulgazione ambientale e le visite naturalistiche guidate. Essa si estende su di una superficie complessiva di Ha 1.019 e rientra totalmente nel Parco Nazionale del Vesuvio, a seguito della Legge quadro sulle aree protette n.394 del 06.12.1991. L’altitudine sul livello del mare è compresa tra un minimo di m 250 ed un massimo di m 1.281. R i c a d e interamente in Provincia di Napoli e più precisamente nei territori dei Comuni di Ercolano, Torre del Greco, Trecase, Boscotrecase, Terzigno ed Ottaviano. La Riserva, per la sua posizione al centro del golfo di Napoli, gode di un clima abbastanza mite con differenze di temperature e di piovosità poco 23 Il ruolo del corpo forestale dello stato nella tutela della biodiversità in italia tra passato e futuro 24 marcate alle diverse quote e sui differenti versanti. L’estremo grado di permeabilità degli orizzonti più superficiali del suolo fa si che le acque pluviali vengano immediatamente avviate verso gli strati profondi, determinando l’assenza di una rete idrica superficiale. Fenomeni di ruscellamenti sono evidenti soltanto durante la stagione autunnale, assumendo spesso carattere torrentizio. La vegetazione è costituita soprattutto, fino a quota 750 mt s.l.m. circa, da pini del piano basale e leccio; quest’ultimo si sta diffondendo ove le condizioni edafiche lo consentono e negli spazi vuoti fra le conifere. Entro la Riserva è consentito l’accesso esclusivamente per ragioni di studio, per fini educativi, per escursioni naturalistiche, per compiti amministrativi e di vigilanza, nonché ricostitutivi di equilibri naturali, restando vietata qualsiasi altra attività antropica. Le attività produttive consentite consistono nella raccolta e relativa vendita di strobili di pino domestico, nonché vendita della legna proveniente dai lavori di manutenzione effettuati nell’ambito della Riserva. La Riserva, con sempre maggiore frequenza, è meta di visite guidate da parte di scolaresche ed associazioni varie che manifestano vivo interesse per tutto ciò che concerne la problematica ambientale. Attualmente, l’U.T.B., attraverso l’impiego del proprio personale operaio, svolge i seguenti interventi all’interno della Riserva: - lotta fitosanitaria contro la processionaria del pino (consistenti nella cattura dei maschi con trappole a feromoni e nell’asportazione e distruzione dei nidi) e contro altri parassiti (consistenti nel taglio delle piante attaccate e nella distruzione del materiale infetto); - taglio delle piante morte o deperienti; - lavori di diradamento nel caso di eccessiva densità delle piante; - lavori di prevenzione incendi, consistenti nella apertura e manutenzione di fasce tagliafuoco nonchè nella potatura dei rami bassi nelle aree a maggior rischio, sorveglianza, avvistamento; in caso di incendi, interventi di spegnimento con l’impiego di operai forestali ed automezzi; - lavori di manutenzione degli stradelli di servizio e delle recinzioni; - lavori di sistemazione idraulico forestale con pulizia delle briglie in pietra esistenti e palificate. Per il futuro, oltre alla continuazione degli interventi sopra descritti, si prevede un eventuale progressivo diradamento nelle pinete a maggiore densità, anche al fine di favorire la naturale diffusione del leccio e di altre specie indigene. Attualmente, l’U.T.B. è altresì impegnato nel For Climadapt, un progetto di cooperazione internazionale incentrato sul tema della foresta mediterranea e sugli effetti che il cambiamento climatico in atto produce su tale ecosistema. Ne fanno parte soggetti di nazionalità italiana, francese, spagnola, portoghese e greca; il partner capofila del progetto è il Parco nazionale del Vesuvio. L’obiettivo del progetto è quello di anticipare ed attenuare le conseguenze dei rischi sulle foreste dell’area mediterranea, associati ai cambiamenti climatici, oramai riconosciuti dalla quasi totalità della comunità scientifica. Infatti sul bacino del mediterraneo è quasi certo che nel prossimo futuro si produrranno un aumento delle temperature ed un aumento della frequenza e dell’intensità dei fenomeni esterni, quali siccità prolungate, precipitazioni violente ed inondazioni. In conseguenza di ciò la biodiversità vegetale, e conseguentemente animale, sarà seriamente minacciata e, nonostante la resistenza degli ecosistemi mediterranei a questi cambiamenti, è da temere nei prossimi anni, la scomparsa di un gran numero di specie, tanto più che il mediterraneo è una regione di forte endemismo. Il progetto quindi si pone come intermediario tra i lavori degli scienziati facenti parte del progetto e le esigenze degli amministratori di spazi boscosi e naturali fortemente minacciati e vuole offrire a questi ultimi validi strumenti ed orientamenti per una gestione efficace e duratura del fenomeno. Esso ha lo scopo di registrare in questa rete di partner europei, tutti interessati alla gestione di aree boscate in ambito mediterraneo, come questi rischi sono percepiti, quali soluzioni sono previste e quali sperimentazioni sono in atto su queste particolari esigenze. Dalla condivisione delle diverse esperienze e competenze dei partecipanti al progetto si avvierà una comune riflessione sul tema, per giungere a formulare raccomandazioni e/o soluzioni gestionali al problema. La colonizzazione dei suoli lavici,ha avuto inizio poco dopo il raffreddamento ed è dovuta al lichene Stereocaulon vesuvianum, che ha forma di corallo ed è stato il primo essere vivente a insediarsi sulla lava raffreddata, preparando il suolo per l’attecchimento delle piante. Ricopre interamente le lave vesuviane e le colora di grigio, facendo assumere alla lava riflessi argentati nelle notti di luna piena. Risultati di piantagioni sperimentali sotto copertura e variazioni della struttura dei popolamenti arborei nel periodo 2005-2011 Francesco Cona, Stefano Mazzoleni, Antonio Saracino Dipartimento di Agraria Università di Napoli “Federico II” Via Università 100 Portici (NA) Nel presente rapporto si espongono i principali risultati ottenuti in parcelle sperimentali permanenti realizzate nel 2005 in soprassuoli caratterizzati da elevata artificialità, costituiti da specie esotiche con fenomeni di successione secondaria in atto. In questo anno in 30 parcelle di 650 m2 sono state effettuate sottopiantagioni di semenzali S1 di specie autoctone secondo una disposizione spaziale definita da un protocollo predefinito. Contestualmente è stata rilevata la struttura dei popolamenti arborei dove ciascuna pianta è stata georeferenziata. Nel 2011 si è proceduto alla ricognizione delle piantine messe a dimora e alla misurazione dei parametri dimensionali del popolamento arboreo all’interno delle parcelle. In seguito sono stati effettuati interventi dimostrativi di diradamento la cui finalità è quella di modificare il clima luminoso di bosco e quindi assecondare i fenomeni di rinaturalizzazione in atto lo sviluppo delle specie autoctone. 1. Clima dell’area di studio Il Reale Osservatorio Vesuviano fu fondato nel 1841 per volere del Re Ferdinando II di Borbone e inaugurato, pur non completo, il 28 settembre 1845. Costruito a 608 m sul livello del mare, a una latitudine di 40°49’60” e longitudine di 14°23’87”, l’Osservatorio Vesuviano sorge su di un’altura isolata, la collina del Salvatore, che rappresenta il dente più occidentale del recinto craterico del Monte Somma. Attualmente l’Osservatorio Vesuviano è gestito dalla Sezione di Napoli dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV). Per la sua localizzazione la stazione di rilievo meteorologico dell’Osservatorio può essere considerata rappresentativa per l’area studio oggetto di analisi della struttura forestale del progetto ForClimadapt. 1950-1980 25.0 250 20.0 200 P (mm) 150 15.0 100 10.0 50 dicembre novembre ottobre settembre agosto luglio giugno maggio aprile -50 marzo 0 0.0 febbraio 5.0 gennaio T (°C) Temperature Precipitazioni Figura 1 Diagramma termopluviometrico. Periodo 1950-1980. 27 Risultati di piantagioni sperimentali sotto copertura e variazioni della struttura dei popolamenti arborei nel periodo 2005-2011 Figura 2 Diagramma termo pluviometrico. Periodo 1981-2001. 1981-2001 Temperature Precipitazioni 25.0 250 150 P (mm) T (°C) 20.0 15.0 10.0 50 Per la caratterizzazione climatica dell’area in esame sono stati presi in considerazione gli andamenti di temperatura e precipitazione nel periodo dal 1950 al 2001 (anno di chiusura della stazione meteorologica). Tali serie di dati sono stati suddivisi in due sub-periodi: dal 1950 al 1980 e dal 1981 al 2001. Dalle elaborazioni emerge che la temperatura media annuale è aumentata passando da 13,8°C (periodo 1950-1980) a 14,3°C (periodo 1981-2001), così come le temperature medie dei mesi più freddi (da 5,7°C a 6,0°C) che più caldi (da 22,4°C a 23,7°C) mentre, la piovosità annua è diminuita da 968 mm a 842 mm. L’innalzamento delle temperature medie e la diminuzione delle precipitazioni confermano un trend all’incremento della temperatura. Le precipitazioni inol- 28 dicembre novembre ottobre settembre agosto luglio giugno maggio aprile marzo febbraio 0.0 gennaio 5.0 -50 tre tendono a concentrarsi in periodi ristretti dell’anno: si assiste ad una tendenza a lunghi periodi piovosi che scaricano sul territorio decine di centimetri di acqua in pochi giorni, che potrebbero scatenare dei processi franosi lungo i versanti meno stabili. I diagrammi termo pluviometrici evidenziano il rapporto tra le temperature e le precipitazioni medie mensili e, con l’estensione del poligono di intersezione tra i due diagrammi, dà un’idea immediata di quanto sia intensa ed estesa nel tempo la condizione di aridità. Il diagramma descrive un clima di tipo temperato di transizione caratterizzato da un periodo arido durante il trimestre estivo (P < 100 mm) e da una piovosità concentrata nei mesi autunno-invernali. Lungo le pendici del complesso vulcanico il clima va- Risultati di piantagioni sperimentali sotto copertura e variazioni della struttura dei popolamenti arborei nel periodo 2005-2011 Figura 3 Localizzazione delle 30 parcelle sperimentali (Recoforme Project). Nel 2005 erano state individuate 30 aree sperimentali costituite da 27 parcelle permanenti circolari di 650 m² (raggio = 14,38 m) e 3 rettangolari (7 m x 10 m) localizzate nella Riserva Tirone Alto-Vesuvio (parcelle da n.1 a n.12), nel Vallone Molaro (parcelle da n.13 a n.15) e sul Monte Somma (parcelle da n. 18 a n. 30). ria secondo un cline, dal piano basale dove esso è simile a quello della pianura circostante, alle aree montane dove il clima è caratterizzato da una maggiore piovosità e minore aridità estiva. Le località situate sul versante meridionale del Vesuvio risultano più aride in estate e meno piovose in autunno–inverno. In conclusione possiamo dire che il complesso Somma–Vesuvio, localizzato sul versante tirrenico, è interessato da frequenti perturbazioni di origine occidentale che investono direttamente i rilievi vulcanici determinando una maggiore umidità ambientale. La superficie boschiva risulta distribuita fra le quote altimetriche tra i 150 e 1000 m s.l.m. In questo range altitudinale la vegetazione forestale si distribuisce nella fascia Mediterranea cui corrisponde il fitoclima del Lauretum sottozona media e fredda, nella fascia submontana (o basale) cui corrisponde il fitoclima del Castanetum. 2. Parcelle permanenti di monitoraggio Nell’ambito del progetto FORCLIMADAPT sono stati effettuati rilievi dendrometrici e vegetazionali all’interno di parcelle sperimentali realizzate nel 2005 nell’ambito del progetto Interreg IIIB Medocc – RECOFORME (2002-2006). La finalità è quella di documentare le dinamiche vegetazionali dei popolamenti forestali e l’espansione delle specie aliene invasive. Una volta eseguite le analisi dendrometriche e vegetazionali, in alcune parcelle di pineta sono stati effettuati interventi di riduzione della copertura arborea median- 29 Risultati di piantagioni sperimentali sotto copertura e variazioni della struttura dei popolamenti arborei nel periodo 2005-2011 Figura 4 Esempio di mappa di campo utilizzata per l’individuazione delle piante misurate nel 2005. 30 te diradamenti, al fine di favorire lo sviluppo delle specie autoctone (Quercus ilex) ivi presenti sia nello strato arboreo che in quello di rinnovazione e per contrastare le specie invasive (Robinia pseudoacacia). Nelle rimanenti parcelle (boschi di misti di latifoglie con forte invasione di Robinia pseudoacacia) sono previste delle piantagioni sottocopertura di specie autoctone. Nel rilievo del 2005 la posizione di ciascuna pianta con portamento arboreo presente all’interno delle parcelle è stata fissata mediante coordinate polari e numerata in modo permanente. Le mappe georeferenziate (Figura 4) unitamente alle schede di rilievo compilate nel 2005 sono state aggiornate nel 2011. In ciascuna parcella sono state eseguite le seguenti misurazioni dendrometriche: • Diametro a petto d’uomo (a 1,30 m dal suolo) in cm delle piante con diametro ≥ 2.5 cm. • Altezza totale in metri (h) di tutti gli alberi. • Altezza di inserzione della chioma verde in metri di tutti gli alberi. • Diametri della chioma in metri, misurati nelle direzioni Risultati di piantagioni sperimentali sotto copertura e variazioni della struttura dei popolamenti arborei nel periodo 2005-2011 Figura 5 Esempio di analisi dell’evoluzione della copertura arborea. Figura 6 Distribuzione della copertura arborea delle specie rinvenute in alcune parcelle sperimentali 31 Risultati di piantagioni sperimentali sotto copertura e variazioni della struttura dei popolamenti arborei nel periodo 2005-2011 dei quattro punti cardinali (Nord-Sud e Est-Ovest). Le parcelle sperimentali (e i dati rilevati) sono state inserite in un GIS, utilizzando il software ARCGIS 9.3 per Windows. Successivamente sono state elaborate delle mappe relative all’evoluzione della copertura delle chiome tra il 2005 e il 2011 (Figura 5). Figura 7 Plot sperimentali d’impianto. Le linee rosse indicano le distanze dei plot dall’albero che occupa la posizione centrale nelle parcella di 650m2, (X=Quercus pubescens, Y=Fraxinus ornus, Z=Quercus ilex). 32 3. Impianti sperimentali di specie autoctone Nel 2005 all’interno di 18 particelle sono state messe a dimora sotto varie tipologie di copertura arborea, giovani piantine di Quercus pubescens, Fraxinus Ornus e Quercus ilex. Lo schema sperimentale adottato è riportato in Figura 7 e consisteva nella realizzazione di tre plot di 3x3 m all’interno dei quali sono state inserite 3 piante per ogni specie adottando il layout del quadrato latino (QL). I tre plot sperimentali d’impianto prevedevano tre tipi di trattamento: A. Nessun intervento sulla vegetazione; B. Taglio degli esemplari arborei ed arbustivi con diametro inferiore ai 5 cm; C.Taglio totale della vegetazione presente. Nel 2011 sono state eseguite le seguenti misurazioni: • Misura del diametro (cm) al colletto delle piantine rinvenute. • Misura dell’altezza (m) delle piante rinvenute. In figura 8 è illustrato uno dei plot oggetto di rilievo. Dall’analisi dei dati è risultato (Tabella 1) che nelle 14 aree rilevate per una totalità di 126 piantine messe a dimora (9 piantine per specie per ogni area suddivise nei 3 plot), il 34,1% di queste è sopravvissuto, di cui il 54,8% di orniello, il 26,7% di roverella e il 20,6% di leccio (il dato riferito al leccio potrebbe essere falsato dalla folta presenza di rinnovazione naturale di questa specie che ha impedito il riconoscimento uni- Risultati di piantagioni sperimentali sotto copertura e variazioni della struttura dei popolamenti arborei nel periodo 2005-2011 Trattamento A Trattamento B Trattamento C Figura 8 Plot sperimentali. Le frecce gialle indicano le piante rilevate. 33 Risultati di piantagioni sperimentali sotto copertura e variazioni della struttura dei popolamenti arborei nel periodo 2005-2011 Tabella 1 - Risultati dell’impianto di specie autoctone all’interno delle parcelle sperimentali (n=18). voco delle piante messe a dimora nei plot, per quanto riguarda la roverella spesso gli individui monitorati risultavano essere ricacci delle piante originarie). Dall’elaborazione statistica dei risultati non risulta esserci correlazione significativa tra specie e tipo di trattamento né nei riguardi della crescita diametrica né in quella in altezza. Differenze significative si sono riscontrate, invece, tra le specie. I maggiori tassi di crescita in altezza e in diametro e di sopravvivenza, indifferentemente dal tipo di trattamento e di copertura arborea, sono da attribuirsi a Fraxinus ornus. 34 4. Variazione della copertura arborea e dei parametri dendrometrici nel periodo 2005-2011 In seguito alle analisi dei dati strutturali rilevati nelle diverse tipologie forestali e parcelle sperimentali la sintesi dei risultati evidenzia che: 1) Il pino domestico mostra una progressiva riduzione del suo contributo alla densità del soprassuolo nell’intervallo temporale considerato (2005-2011) 2)Il pino domestico mostra scarsissima propensione a rinnovarsi per seme. 3) Il pino marittimo mostra una tendenza all’incremento del suo contributo alla densità del soprassuolo nel periodo di tempo considerato. 4) Il pino marittimo mostra una maggiore propensione, rispetto al pino domestico, a rinnovarsi per seme, soprattutto nelle aree di margine di boschi, nonché nelle radure e nelle chiarìe. 5)Il leccio, nel periodo considerato, mostra un lieve ma progressivo aumento del suo contributo in termini di area basimetrica, anche quando è relegato nel piano inferiore. Quando compete con i pini e la robinia nel piano superiore, il leccio esercita con la sua chioma una forte competizione con le chiome delle suddette altre specie. 6)Nello strato di rinnovazione il leccio ha mostrato un incremento demografico in tutte le tipologie di soprassuolo oggetto di rilievo, anche quando la fonte del seme era distante. 7)La robinia, nel consorzio delle pinete, non manifesta forti capacità competitive essendo relegata prevalentemente nel piano inferiore. Nel periodo di censimento considerato la specie ha fatto registrare una mortalità variabile dal 4,6% al 42,9% nelle parcelle 2, 4, 7, 10 e 11. Lo stesso si è verificato nella parcella 8 situata in una lecceta. Questi dati di mortalità sono stati registrati in assenza di disturbi di qualsiasi natura. Laddove, invece, sono stati eseguiti tagli su ceppaia come nelle parcelle 1, 2, 5, 6 e 10 l’incremento demografico della popolazione clonale di robinia è avvenuto mediante ricacci radicali. 8)La robinia nei boschi puri e soprattutto nei consorzi misti ad altre latifoglie del Monte Somma (parcelle 20, 21, 22, 23, 24, 25 26, 27 e 28) ha registrato una mortalità naturale variabile dal 14,3% al 37,2% (Tabella 2). Risultati di piantagioni sperimentali sotto copertura e variazioni della struttura dei popolamenti arborei nel periodo 2005-2011 Tabella 2 Mortalità degli esemplari di robinia censiti nel 2011 nelle parcelle sperimentali Nelle figure seguenti sono esposti a titolo esemplificativo i risultati dei rilievi svolti in alcune parcelle sperimentali rappresentative dei diversi popolamenti forestali studiati. Figura 9 Ads 1. Pineta di pino domestico. Periodo 2005-2011 – Confronto dei parametri dendroauxometrici. 35 Risultati di piantagioni sperimentali sotto copertura e variazioni della struttura dei popolamenti arborei nel periodo 2005-2011 Figura 10 Ads 1. Pineta di pino domestico. Periodo 2005-2011 –Confronto dei parametri dendroauxometrici. 36 Figura 11 Ads 8. Lecceta. Periodo 2005-2011 - Confronto dei parametri dendroauxometrici. Risultati di piantagioni sperimentali sotto copertura e variazioni della struttura dei popolamenti arborei nel periodo 2005-2011 Figura 12 Ads 8. Lecceta. Periodo 2005-2011 - Confronto dei parametri dendroauxometrici Figura 13 Ads 18. Boschi misti radi su lave. Periodo 2005-2011 - Confronto dei parametri dendroauxometrici. 37 Risultati di piantagioni sperimentali sotto copertura e variazioni della struttura dei popolamenti arborei nel periodo 2005-2011 Figura 14 Ads18”. Boschi misti radi su lave. Periodo 2005-2011 Confronto dei parametri dendroauxometrici. Figura 15 Ads 21. Robinieti. Periodo 2005-2011 Confronto dei parametri dendroauxometrici. 38 Figura 16 Ads 21. Robinieti. Periodo 2005-2011 Confronto dei parametri dendroauxometrici L’elenco floristico comprende ben 906 specie. Tra queste sono da evidenziare presenze di grande interesse, quali ad esempio, l’Acero napoletano, l’Ontano napoletano, ed Helicrhysum litoreum, una pianta pioniera particolarmente frequente sul Vesuvio. Da segnalare anche l’alto numero di specie di orchidee, ben 23, e la ginestra, presente con diverse specie, tra queste anche la Ginestra dell’Etna,importata dall’Etna nel 1906 e oggi ampiamente distribuita su tutto il territorio vesuviano. Analisi dell’impatto di Genista aetnensis (Biv.) DC. (Fabaceae) sul Vesuvio (Sud Italia) Adriano Stinca, Giovanni Battista Chirico & Giuliano Bonanomi Dipartimento di Agraria, Università di Napoli Federico II, Via Università 100 Portici (NA) 1. Premessa bbiettivo di questo lavoro è stato valutare l’impatto sul Vesuvio dell’invasione di G. aetnensis (Biv.) DC.. In particolare la ricerca è stata finalizzata all’analisi delle conseguenze dovute alla diffusione di questa specie sulla qualità dei suoli, sulle proprietà idrologiche del suolo e sul microclima generato dalla chioma, oltre che sulla distribuzione delle specie coesistenti. Negli ultimi decenni sul Vesuvio si è assistito ad una rapida espansione di questa specie legnosa azotofissatrice, con evidente alterazione del naturale dinamismo della vegetazione e compromissione del paesaggio (Fig. 1). Questa entità, endemica dell’Etna e della Sardegna orientale (Pignatti, 1992), fu importata dalla Sicilia sul Vesuvio dopo il 1906 per imboschimenti (Agostini, 1959) e, pertanto, in Campania è da considerare aliena. O Le figure di seguito riportate (Fig. 1-4) mostrano le dinamiche in oggetto e la struttura dei popolamenti oggetto di studio. 2. MATERIALI E METODI Il disegno sperimentale ha previsto l’individuazione di 4 differenti stadi del ciclio ontogenetico di G. aetnensis (Biv.) DC. (Fig. 5) I Giovane 1 (G1), altezza inferiore a 50 cm ed età di 3,8 ± 0,8 anni; II Giovane 2 (G2), altezza 50-200 cm ed età di 8,6 ± 1,5 anni; III Adulto (A), altezza maggiore di 200 cm ed età di 38,4 ± 2,9 anni; IV Morto in piedi (M), altezza maggiore di 200 cm ed età di 37,0 ± 1,6 anni. L’età delle piante è stata valutata mediante analisi Fig. 1 - Il Gran Cono Vesuviano come si presentava intorno al 1850 confrontato con la situazione attuale. Nel 2012 si nota un’ampia zona verde-giallastra corrispondente alle cenosi a G. aetnensis (Biv.) DC., assenti invece in precedenza. 41 Analisi dell’impatto di Genista aetnensis (Biv.) DC. (Fabaceae) sul Vesuvio Fig. 2 - Aspetto di G. aetnensis (Biv.) DC.. A: Pianta Adulta. B: Particolare dell’infiorescenza. C: Particolare dei frutti. D: Particolare dei rami. 42 Analisi dell’impatto di Genista aetnensis (Biv.) DC. (Fabaceae) sul Vesuvio Fig. 3 - Popolamenti a G. aetnensis (Biv.) DC. sulle pendici orientali del Vesuvio in primavera (sopra) ed inverno (sotto). 43 Analisi dell’impatto di Genista aetnensis (Biv.) DC. (Fabaceae) sul Vesuvio 44 Fig. 4 - Invasione G. aetnensis (Biv.) DC. sul Gran Cono Vesuviano. A: Popolamento sul versante settentrionale. B: Popolamento sul versante sudoccidentale che ormai ha raggiunto la vetta del cratere. C: Individui isolati sul versante sudorientale. Analisi dell’impatto di Genista aetnensis (Biv.) DC. (Fabaceae) sul Vesuvio dendrocronologica di 10 individui scelti a caso per ogni stadio (n. 40). Per ciascuno di questi stadi è stata quindi individuata una zona di influenza (definita IN) ed una di non influenza (definita OUT) della chioma e delle radici in corrispondenza delle quali sono stati effettuati i successivi campionamenti (Fig. 6). La lettiera stabilmente presente sulla superficie del Fig. 5 - Stadi ontogenetici di G. aetnensis (Biv.) DC. studiati. suolo è stata misurata per due anni consecutivi (2010 e 2011) ed in due momenti dell’anno (maggio e agosto) mediante aree di saggio quadrate (20 x 20 cm). Allo scopo di valutare l’effetto dei suoli IN prelevati agli stadi A e M ed OUT sulla crescita vegetale, sono state svolte prove di crescita in ambiente controllato. In particolare, oltre a G. aetnensis (Biv.) DC., sono state testate le specie seguenti: 45 Analisi dell’impatto di Genista aetnensis (Biv.) DC. (Fabaceae) sul Vesuvio Fig. 6 - Area influenzata (IN) e non influenzata (OUT) da chioma e radici di G. aetnensis (Biv.) DC.. 46 - Briza maxima L., erbacea annuale indigena; - Spartium junceum L., arbusto azotofissatore indigeno; - Fraxinus ornus L. subsp. ornus, albero caducifoglie medio-successionale indigeno; - Quercus ilex L. subsp. ilex, albero sempreverde tardo-successionale indigeno; - Robinia pseudoacacia L., albero azotofissatore originario del Nord America in espansione sul Vesuvio. L’esperimento è stato svolto presso una delle serre del Dipartimento di Agraria (Portici, provincia di Napoli) dell’Università di Napoli Federico II (temperatura del giorno 20 °C, notte 15 °C, luce naturale) ed i vasi sono stati irrigati con acqua distillata ogni 2 giorni fino alla capacità di ritenzione idrica. La prova è stata interrotta dopo 90 giorni (solo per Q. ilex L. subsp. ilex dopo 220 giorni). Le conseguenze sul microclima e sulle condizioni idrologiche del substrato dovute alla presenza di G. aetnensis (Biv.) DC. sono state valutate mediante il rilevamento della temperatura dell’aria e del suolo, umidità relativa dell’aria e contenuto idrico del substrato. A tal fine sono state installate 2 stazioni di monitoraggio permanenti in posizione IN e OUT per un individuo dello stadio A. La strumentazione è stata collocata lungo il versante nordorientale del Gran Cono Vesuviano ad una quota di circa 1055 m s.l.m. (Fig. 7). Per ogni stazione i sensori di temperatura ed umi- Analisi dell’impatto di Genista aetnensis (Biv.) DC. (Fabaceae) sul Vesuvio dità relativa sono stati posizionati a 5 cm al di sopra della superficie del terreno, mentre le sonde nel suolo sono state poste orizzontalmente a 5 e 20 cm di profondità. Tutti i dati sono stati raccolti per un periodo di un anno (gennaio 2012-gennaio 2013), con una risoluzione temporale di dieci minuti. La maggior parte degli studi precedenti relativi ad altre specie hanno monitorato il microclima generato dalla chioma solo per pochi giorni o alcune settimane (Callaway, 2007). Nel caso del presente studio, poiché le rilevazioni ri- Fig. 7 - Localizzazione INA e OUT delle stazioni di monitoraggio. guardano un intero anno, è possibile valutare gli effetti sul microclima nelle diverse stagioni. Per ottenere ulteriori dati sulla temperatura superficiale del suolo IN e OUT, nell’estate 2012, è stata eseguita un’analisi IR utilizzando una fotocamera termografica (Fluke Yi25). La radiazione fotosinteticamente attiva (PAR, lunghezza d’onda tra 400 e 700 nm) è stata misurata con rilevatore LICOR LI-250A ad un’altezza di 0, 50, 100, e 200 cm dal suolo di 5 individui scelti in modo 47 Analisi dell’impatto di Genista aetnensis (Biv.) DC. (Fabaceae) sul Vesuvio casuale per gli stadi ING1, ING1, INA e OUT. Le misure sono state effettuate in ottime condizioni di illuminazione, intorno a mezzogiorno, nel luglio 2012. 3. Risultati 3.1. Isola di fertilità I risultati delle analisi cui sono stati sottoposti i suoli sono riportati in Tab. 1. Tutti i substrati hanno una tessitura sabbiosa e tale proprietà non è influenzata significativamente dalla presenza di G. aetnensis (Biv.) DC.. I suoli INA e INM, rispetto a quelli campionati in corrispondenza degli stadi giovanili (ING1 e ING2) e nell’area di non influenza (OUT), presentano maggiori valori di N totale, C organico, P2O5, EC, CEC e attività microbica quantificata tramite la respirazione del suolo e la sua attività enzimatica FDA. L’incremento dei valori di tali parametri è direttamente correlato con le fasi di sviluppo della pianta. In particolare si rileva un forte aumento del C organico il quale, da 709 g m-2 nella zona OUT passa a ben 6213 g m-2 in corrispondenza dello stadio Adulto (INA). Analogo incremento si verifica per l’N totale (74 g m-2 nei suoli OUT e 793 g m-2 nei suoli INA). Di contro si registra una leggera acidificazione del substrato passando dagli stadi giovanili a quello Adulto e Morto. I suoli OUT e ING1 non sono risultati idrofobici (tempo di penetrazione della goccia inferiore ad 1 secondo). Al contrario è stata riscontrata una crescente idrofobicità negli altri stadi (nei suoli INA la goccia imAree di campionamento Parametri OUT ING1 ING2 INA INM 730±170a 648±182a 683±231a 754±158a 750±176a Sabbia (mg g-1) 946±52a 967±11a 957±10a 961±19a 979±14a Limo (mg g-1) 42±32a 11±9a 9±8a 17±12a 14±13a Argilla (mg g-1) C organico (mg g-1) 12±5a 4,43±2,15 22±11a 2,89±1,12 34±16a 7,51±3,36 22±16a 38,83±12,1 7±6a 42,53±5,46 N totale (mg g-1) 0,46±0,19 0,64±0,17 0,74±0,23 4,44±1,50 4,95±1,72 pH 6,47±0,20a 6,39±0,13a 6,06±0,18b 5,42±0,28c 5,40±0,20c 0,049±0,001a 0,041±0,001a 0,123±0,005b 0,701±0,188d 0,404±0,11c 8,08±4,08a 5,93±2,32a 14,75±3,98b 53,43±19,21c 56,28±17,4c 2,19±0,36 2,02±0,21 2,69±0,58 13,62±2,3 16,33±3,56 11,21±2,04a 9,81±1,48a 11,34±2,53a 10,13±0,57a 10,29±1,54a assente assente assente assente assente 0,21±0,02a 0,18±0,03a 0,30±0,04b 0,51±0,13c 0,49±0,12c Mg (meq+ 100 g ) 0,19±0,05a 0,22±0,03a 0,27±0,04b 1,68±0,52c 1,14±0,35c -1 Ca (meq+ 100 g ) 1,49±0,19a 1,41±0,14a 1,74±0,26a 10,61±3,15b 12,53±1,92b Na (meq+ 100 g ) 0,12±0,02a 0,10±0,03a 0,11±0,02a 0,12±0,03a 0,11±0,03a 130±61a 197±43ab 250±35b 286±44bc 306±96c 1,39±0,24a 1,25±0,41a 1,80±0,63a 3,89±0,48b 2,78±0,58b <1±0a <1±0a 1248±340b 12033±730d 7760±250c Tessitura Frazione > 2mm (mg g-1) Frazione < 2mm (mg g-1) EC (dS m ) -1 P2O5 (mg kg ) -1 CEC (meq+ 100 g ) -1 C/N Calcare totale (g Kg ) -1 K (meq+ 100 g ) + -1 2+ -1 2+ + -1 FDA (µg g h ) -1 -1 Respirazione (µg CO2-C g soil h ) -1 Idrofobicità (s) 48 -1 Tab. 1 - Caratteristiche fisiche, chimiche e microbiologiche dello strato superficiale di suolo (primi 20 cm) campionato nell’area di influenza (ING1, ING2, INA e INM) e di non influenza (OUT) di G. aetnensis (Biv.) DC.. I dati indicano valori medi ± 1 deviazione standard per tutti i parametri della terra fine (frazione inferiore a 2 mm di diametro), lettere diverse indicano differenze statisticamente significative tra aree (ANOVA Duncan test, P <0,05). Analisi dell’impatto di Genista aetnensis (Biv.) DC. (Fabaceae) sul Vesuvio piega circa 3 h 20’ per essere assorbita). Per quanto concerne il colore, tutti i suoli sono risultati grigio-brunastri per l’elevata presenza di ossidi di Fe. Il valore di HUE è di 7,5YR., mentre i valori di VALUE/ CHROMA variano da 4/1 a 6/2. A fronte di sostanziali analogie tra i suoli IN e OUT degli stadi giovanili (G e G), si sono riscontrate significative differenze tra i substrati localizzati sotto la chioma e quelli delle aree aperte degli stadi A ed M dovute, essenzialmente, al diverso contenuto di C organico (Fig. 8). 3.2. Produzione e decomposizione della lettiera G. aetnensis (Biv.) DC., com’era logico attendersi, evidenzia una produzione di lettiera direttamente correlata alle dimensioni della chioma (Tab. 2). Si rileva, infatti, una presenza quasi nulla di deposizione di lettiera nella zona OUT (in quest’area la ridottissima presenta di lettiera è probabilmente dovuta al trasporto ad opera del vento) ed una ridotta incidenza negli stadi ING1 (chioma di piccole dimensioni) e INM. Il dato riscontrato in quest’ultima area non sorprende in considerazione del fatto che gli individui morti sono collocati all’interno dei popolamenti a G. aetnensis (Biv.) DC. e, pertanto, subiscono parzialmente l’influenza della lettiera prodotta da questi ultimi (trasporto probabilmente operato dal vento). La deposizione di lettiera aumenta progressivamente negli stadi ING2 e soprattutto INA dove, in particolare, è stata rilevata una produzione di circa 1000 g m-2 anno-1. Si precisa che la lettiera deposta da questa neofita è costituita in massima parta da rametti (diametro 0,5-2 mm) e solo in percentuale ridottissima da foglie. La quantità di lettiera prodotta dalle altre specie, in tutte le aree di campionamento, è molto più bassa Fig. 8 - Confronto tra il colore del suolo IN (a sinistra) e OUT (a destra) nei diversi stadi ontogenetici di G. aetnensis (Biv.) DC. studiati. Si nota il colore più scuro dei suoli INA e INM rispetto a tutti gli altri per il maggior contenuto di C organico. 49 Analisi dell’impatto di Genista aetnensis (Biv.) DC. (Fabaceae) sul Vesuvio rispetto a quella di G. aetnensis (Biv.) DC.. Il valore più elevato per questo parametro è stato rilevato nello stadio INM (Tab. 2). 3.3. Testo biologici I risultati delle prove di crescita (Fig. 10 e 11) evidenziano, per tutte le specie, una maggior produzione di biomassa nei suoli IN (A e M) rispetto a quelli OUT. Questo risultato è molto accentuato in Briza maxima L., mentre risulta meno evidente in G. aetnensis (Biv.) DC.. Tra le ipotesi che possono essere formulate per spiegare il ridotto accrescimento di G. aetnensis (Biv.) DC. figurano la produzione di tossine da parte della stessa specie e l’accumulo di patogeni nel suolo IN che, nel complesso, possono indurre condizioni di negative feedback. È interessante notare che i suoli IN favoriscono entità arboree sia native come Fraxinus ornus L. subsp. ornus, sia alloctone come Robinia pseudoacacia L., specie tra le invasive più dannose d’Europa. 3.4. Effetti sul microclima e sull’idrologia del suolo In Fig. 12 sono riportate i dati medi giornalieri registrati dalle stazioni di monitoraggio nel periodo gennaio 2012-gennaio 2013. L’andamento della temperatura dell’aria non ha evidenziato sostanziali differenze tra le posizioni IN e OUT. Per quanto concerne i dati sul contenuto idrico del suolo è stato rilevato che, mediamente, il suolo IN è più umido di quello OUT durante il periodo invernale e Aree di campionamento Parametri OUT ING1 ING2 INA INM Lettiera G. aetnensis (Biv.) DC. (g m-2 anno-1) 29±15a 213±66b 554±124c 997±158d 270±112b Lettiera di altre specie (g m-2 anno-1) 23±11a 31±8a 39±12a 79±33b 162±57c Lettiera permanente (g m-2) 15±12a 19±17a 330±77b 1029±83d 595±76c Tab. 2 - Lettiera di G. aetnensis (Biv.) DC. e lettiera permanente rilevati nell’area di influenza (ING1, ING2, INA e INM) e di non influenza (OUT) di G. aetnensis (Biv.) DC.. I dati indicano valori medi ± 1 deviazione standard per la lettiera e la media di due anni di rilievi (2010 e 2011) per la lettiera permanente, lettere diverse indicano differenze statisticamente significative tra aree (ANOVA Duncan test, P <0,05). 50 primaverile. Tale fenomeno è apprezzabile ad entrambe le profondità di rilievo. Queste differenze possono essere attribuite prevalentemente al maggior contenuto di sostanza organica nel suolo IN che, soprattutto in suoli a matrice grossolana, tende ad aumentare la capacità di ritenzione idrica del suolo a potenziali prossimi alla capacità idrica di campo. Questo si traduce anche in una maggiore disponibilità idrica per l’attingimento radicale da parte delle piante nei periodi di ripresa vegetativa. Al contrario, è interessante notare che a 5 cm di profondità nel periodo compreso tra giugno e novembre, in corrispondenza di forti piogge verificatesi tra settembre ed ottobre 2012, il suolo OUT è più umido rispetto a suolo quello IN (Fig. 13). Questa scarsa propensione ad inumidirsi da parte del substrato INA, come evidenziato dai risultati riportati nel paragrafo 3.1., è probabilmente determinato dalla spiccata idrofobicità dei suoli INA e, solo in minima parte, all’intercettazione della chioma di G. aetnensis (Biv.) DC. e della lettiera. Comunque, una volta che il suolo INA si è inumidito il fenomeno dell’idrofobicità scompare e il suolo si idrata rapidamente ad ogni evento piovoso. In merito alla temperatura del suolo, è possibile affermare che la presenza della chioma di G. aetnensis (Biv.) DC., ad entrambe le profondità studiate, consente il verificarsi di temperature mediamente più basse rispetto alle zone scoperte (OUT). Molto importante è la dinamica delle temperature nel corso dell’anno. Alla fine dell’inverno ad esempio, dopo lo scioglimento della neve, a -5 cm il suolo OUT si riscalda molto più velocemente rispetto al suolo IN (Fig. 14). In estate, Analisi dell’impatto di Genista aetnensis (Biv.) DC. (Fabaceae) sul Vesuvio Fig. 10 - Confronto tra la biomassa prodotta dalle specie testate sui suoli IN (A e M) e quella prodotta sui suoli OUT (valori medi; ANOVA Duncan test; P < 0,05). Fig. 11 - Esempi di piante cresciute su suolo IN (a sinistra) e OUT (a destra). A: B. maxima L.. B: G. aetnensis (Biv.) DC.. C: Spartium junceum L.. D: Fraxinus ornus L. subsp. ornus. E: Robinia pseudoacacia L.. F: Quercus ilex L. subsp. ilex. 51 Analisi dell’impatto di Genista aetnensis (Biv.) DC. (Fabaceae) sul Vesuvio tuttavia (Fig. 15), alla stessa profondità le differenze di temperature tra IN e OUT sono mediamente di 10 °C (circa 25 °C nel suolo IN e 35 °C nel suolo OUT). Nello stesso periodo, inoltre, le escursioni termiche tra giorno e notte sono molto più accentuate nella zona OUT, mentre nella zona IN si registra una relativamente maggiore stabilità termica. L’analisi IR (Fig. 16) ha mostrato che in estate la temperatura superficiale del suolo OUT spesso supera i 60 °C, mentre quella del suolo IN è molto più bassa (da 25 a 35 °C). Particolarmente significative sono le osservazioni fatte il 13 agosto 2012 quando, per il suolo OUT è stata rilevata una temperatura massima che ha raggiunto gli 81 °C. Direttamente correlato allo stadio ontogenetico di G. aetnensis (Biv.) DC. è l’attenuazione della PAR (Fig. 17). In particolare si nota che il valore di tale parametro si riduce al diminuire dell’altezza dal suolo. Quest’ultimo aspetto è da mettere in relazione con la particolare architettura della pianta in quanto policaule e con ramificazioni abbondanti già verso la base (aspetto globoso), struttura evidente soprattutto negli individui adulti. 52 3.5. Effetti sulle specie coesistenti G. aetnensis (Biv.) DC. indubbiamente genera condizioni favorevoli alla crescita delle altre specie sia in termini di biomassa sia di biodiversità (Fig. 18). La biomassa vegetale totale (g m-2) rilevata, infatti, negli stadi Adulto (INA) e Morto (INM) è stata rispettivamente circa 6,4 e 8,7 volte superiore rispetto alle altre aree (OUT, ING1 e ING2). Analogo andamento è stato registrato per la diversità specifica. Complessivamente, nell’area di studio sono state rilevate 71 entità: 69 specie vascolari, 1 lichene (Stereocaulon vesuvianum Pers.), mentre le briofite sono state trattate in modo aggregato (Tab. 3) Tra le specie vascolari le piante erbacee, annuali e perenni, sono quelle rilevate con maggiore frequenza. La presenza di G. aetnensis (Biv.) DC. ed i relativi differenti stadi di sviluppo esercitano una pressione selettiva nei confronti delle altre specie. Tipici degli spazi aperti (OUT e talvolta INM) sono Stereocaulon vesuvianum Pers., Glaucium flavum Crantz e Scrophularia canina L. subsp. bicolor (Sm.) Greuter. A differenza delle fasi giovanili (ING1 e ING2), dove non sono state rilevate specie preferenzialmente legate a questi, gli stadi Fig. 12 - Dati medi giornalieri di precipitazioni, contenuto idrico del suolo (-5 cm e -20 cm), temperatura dell’aria, temperatura del suolo (-5 cm e -20 cm) registrati in posizione IN (linea blu) ed OUT (linea rossa) tra gennaio 2012 e gennaio 2013. Analisi dell’impatto di Genista aetnensis (Biv.) DC. (Fabaceae) sul Vesuvio Fig. 13 - Contenuto idrico del suolo a 5 e 20 cm di profondità tra gennaio 2012 e dicembre 2012. A 5 cm di profondità nel periodo giugno-novembre il suolo, malgrado precipitazioni di una certa intensità, INA ha un contenuto idrico inferiore rispetto al suolo OUT. ontogenetici successivi (INA e INM) hanno evidenziato la presenza di 26 specie ad essi più strettamente associati. Tra queste, oltre le Briofite, figurano Terofite (Briza maxima L., Bromus sterilis L. e Geranium purpureum Vill.), Emicriptofite (Arrhenatherum elatius (L.) P. Beauv. ex J. et C. Presl subsp. elatius, Centranthus ruber (L.) DC. subsp. ruber) e Fanerofite (Clematis vitalba L.). 4. Discussione e conclusioni L’invasione, tutt’ora in atto, di G. aetnensis (Biv.) DC. avvenuta sul Vesuvio negli ultimi decenni ha profondamente alterato le caratteristiche paesaggistiche del vulcano partenopeo e le relative fitocenosi naturali. I dati rilevati (Tab. 1) hanno dimostrato che in poco meno di 40 anni (età media rilevata negli individui Adulti 38,4 ± 2,9 anni) questa specie aliena è in grado di modificare profondamente la qualità dei suoli vesuviani interferendo sui processi pedogenetici. I valori di C organico e N totale rilevati nei suoli del Vesuvio prelevati sotto la sua chioma (INA) sono, rispettivamente, 9,2 e 10,3 volte superiori rispetto a quelli registrati nel suoli dove tale specie non è presente (OUT). Il rapido accumulo di tali elementi è da mettere in relazione con l’abbondante produzione di lettiera (circa 1000 g m-2 anno-1 in piante Adulte) (Tab. 2) e alla relativa lenta degradazione della stessa (in 1 anno perde circa il 45% del suo peso iniziale). La lettiera indecomposta di questa pianta presenta una 53 Analisi dell’impatto di Genista aetnensis (Biv.) DC. (Fabaceae) sul Vesuvio Fig. 14 - Andamento della temperatura del suolo a 5 cm di profondità registrati in posizione IN (linea rossa) ed OUT (linea nera) tra febbraio e marzo 2012. Fig. 15 - Andamento della temperatura del suolo a 5 cm di profondità registrati in posizione IN (linea rossa) ed OUT (linea nera) a luglio 2012. 54 Analisi dell’impatto di Genista aetnensis (Biv.) DC. (Fabaceae) sul Vesuvio concentrazione relativamente elevata di N (1,9%) ed un alto contenuto di lignina (15,4%). In accordo a Berg & Matzner (1997) è stata osservata una rapida decomposizione nei primi mesi (es. dopo 30 giorni ha perso il 15% del peso iniziale), mentre successivamente tale processo è avvenuto a ritmi più lenti. All’inizio, infatti, l’elevato contenuto di N favorisce l’attività microbica degradativa con conseguente perdita di peso. Nelle fasi successive, invece, l’abbondante presenza di N rallenta la degradazione e quindi il calo di peso in quanto favorisce la formazione di complessi a base di lignina maggiormente stabili. Secondo Berg et al. (1996) il valore limite di decomposizione (cioè il peso oltre il quale il materiale organico non si decompone) è maggiore per le lettiere ricche di N e lignina. L’iniziale rapida perdita di peso e la successiva lenta decomposizione riscontrata nella lettiera di G. aetnensis (Biv.) DC. suggeriscono un elevato valore limite di decomposizione che, unitamente all’abbondante produzione di lettiera, determinano l’accumulo nel suolo di C organico e N totale. Gli esatti meccanismi microbiologici e biochimici che sono alla base della decomposizione, tuttavia, non sono del tutto noti (es. Hatakka, 2001). Per quanto concerne il P totale, nel corso di questa ricerca è stato dimostrato che, nella fase iniziale della successione, si ha un incremento del P disponibile, probabilmente apportato con la lettiera. Gli effetti positivi sull’accumulo del P disponibile indotti da arbusti azotofissatori sono noti per le prime fasi delle successioni primarie su dune sabbiose (Bonanomi et al., 2008) e nelle condizioni semi-aride della savana (Facelli & Brock, 2000). All’evidente accumulo nei suoli INA e INM di C organico possono essere rapportati, in questi stessi substrati, l’incremento della capacità di scambio cationico e dell’attività microbica (FDA e respirazione). Il pH del suolo, normalmente, tende ad acidificarsi con il procedere della successione primaria a seguito dell’accumulo di acidi organici prodotti Fig. 16 - Immagine IR rappresentante la temperatura superficiale del suolo nella zona di influenza della chioma di un individuo Adulto di G. aetnensis (Biv.) DC. (IN) e nell’ara non influenzata (OUT). È evidente l’effetto di ombreggiamento della chioma che determina una riduzione di circa il 50% della temperatura rilevate nelle zone scoperte (IN circa 35 °C, OUT circa 68 °C). Il rilievo è stato eseguito il 13 agosto 2012 con temperatura dell’aria di circa 28 °C. 55 Analisi dell’impatto di Genista aetnensis (Biv.) DC. (Fabaceae) sul Vesuvio Fig. 17 - Attenuazione della PAR lungo il profilo verticale al di fuori (OUT) e all’interno di dei 4 stadi ontogenetici di G. aetnensis (Biv.) DC. (ING1, ING2, INA e INM). I dati indicano valori medi ± 1 deviazione standard. 56 Fig. 18 - Biomassa vegetale e diversità specifica rilevate al di fuori (OUT) e all’interno dei 4 stadi ontogenetici di G. aetnensis (Biv.) DC. (ING1, ING2, INA e INM). I dati indicano valori medi + 1 deviazione standard, lettere diverse indicano differenze statisticamente significative tra aree (ANOVA Duncan test, P <0,05). Analisi dell’impatto di Genista aetnensis (Biv.) DC. (Fabaceae) sul Vesuvio aree di campionamento Entità OUT ING1 ING2 INA INM OUT ING1 ING2 2010 INA INM 2011 Licheni e briofite Stereocaulon vesuvianum Briofite (aggregato) 1,01c 0,05a 0,01a 0,43b 18,09c 0,17b 109,25d 1,11c 0,49a 0,05a 2,00b 26,03c 0,54b 63,30d Erbacee annuali Aira caryophyllea 0,68c - 0,02b - - - - 0,07b - - Avena barbata Briza maxima Bromus sterilis Bromus tectorum Carduus pycnocephalus 0,31a 3,78b 2,50a 0,10a 0,10a 1,03a 0,13a 0,11a 15,08c 1,33a 0,83a 9,81b 90,79d 11,40b 1,58a 5,19b 31,46c 95,70d 26,54c 0,87a 0,63a 0,32a 2,44b 0,40a - 0,13a 0,23a - 1,40a 8,84c 1,05a - 8,78b 101,71d 14,23 0,45a 0,40b 25,21c 41,91d 7,34 0,13a 0,25b Cynosurus echinatus Galium aparine 0,15b - 0,26b 11,65c 7,06c 4,07b 4,40c - - - 8,74c - 0,43b - Geranium purpureum Lactuca serriola Myosotis arvensis Sonchus asper Trifolium arvense 0,13a 0,26b 5,20c 0,04a 0,16b 0,11a 5,59c 7,48b 0,12b 4,22c 9,87b 4,54b 3,05c 0,13b - 2,38c 0,31b 1,96c 0,81b 4,81b 0,35b 4,63c 40,13c 1,04b - Vulpia myuros 0,74a 0,23a 2,48b 10,92c 1,04b 1,65a 0,98a 1,26a 4,97b 0,22a Erbacee perenni Arabis collina Arabis turrita Arrhenatherum elatius Artemisia campestris Centaurea deusta Centranthus ruber Dactylis glomerata Daucus carota Glaucium flavum Hieracium piloselloides Hypochaeris radicata 1,66a 0,08b 0,34a 0,14a 0,91b 0,78a - 0,91a 0,19a 0,15a 0,21a - 2,12a 0,10a 1,69b 3,51b - 28,11c 0,29b 15,03b 0,38b 0,22a 2,72b 0,88a - 10,85b 18,41c 45,21c 3,39b 0,11b 6,74c 1,02b 5,01b - 1,74a 0,79a 2,08b 0,29b 5,65b 2,04b 3,10b 5,46b 7,38c 1,12a 0,53a - 9,21b 0,59a 2,13b 4,84b - 15,77c 0,15a 39,08b 0,28b 5,19b 11,42c 2,80b 1,10b 0,13a 14,30b 151,48c 61,92c 42,63d 2,71b 5,11c Lactuca muralis Linaria purpurea Petrorhagia dubia Picris hieracioides 0,43a - 0,35a - 0,95ab 0,53b 1,26b 1,71b 7,44c 1,19b 2,19b 4,45bc 0,57b 6,10c 0,34b 0,48a 3,31c 0,11b 7,78c 0,84b 0,40b 2,65b 0,15b 0,32b 11,69d Rumex acetosella Rumex scutatus 1,53b 3,24b 0,87b - 3,27c 3,36b 1,13b 46,25d 13,26c 1,26b 14,02b 1,06b 0,01a 7,71b 4,94c 61,95d 29,24c Scrophularia canina Silene vulgaris Solidago virgaurea 1,19b - - 0,31b 7,54 4,65c - - 3,88b 0,61b - - 1,14b - 6,77c - - Liane, arbusti ed alberi Clematis vitalba Cytisus scoparius Pinus nigra Robinia pseudoacacia 0,03b - - - 2,48b - 10,66c - 4,15c 0,42b - - 6,11b 1,13b - 18,56c 9,02d 2,10c Tab. 3 - Distribuzione delle specie rilevate al di fuori (OUT) e all’interno delle 4 fasi ontogenetiche di G. aetnensis (Biv.) DC. (ING1, ING2, INA e INM). I dati si riferiscono alla media dei valori di biomassa (g m-2) per i 40 soggetti più comuni di 71 trovati. Lettere diverse indicano differenze significative tra i gruppi all’interno di ogni anno (ANOVA test di Duncan, P <0,05). Zero valori e quelle corrispondenti alla lettera (a) sono stati omessi per migliorare la leggibilità. 57 Analisi dell’impatto di Genista aetnensis (Biv.) DC. (Fabaceae) sul Vesuvio 58 soprattutto durante la decomposizione della materia organica e solo in piccola parte emessi dalle radici. Tale tendenza è molto pronunciata in morene glaciali, dune sabbiose e pianure alluvionali, mentre è poco evidente nei substrati vulcanici in quanto spesso eruttati già acidi (Walker & del Moral, 2003). Effettivamente, anche i suoli vesuviani non colonizzati da G. aetnensis (Biv.) DC. (OUT) sono subacidi, ma la presenza di tale pianta li acidifica ulteriormente di circa 1 punto (INA e INM). É stata riscontrata un’elevata idrofobicità (Doerr et al., 2000) soprattutto nei suoli degli stadi Adulto e Morto (nei substrati INA la goccia impiega circa 3 h 20’ per essere assorbita). In accordo a precedenti studi (Doerr et al., 2000; Mataix-Solera et al., 2007) questo fenomeno è favorito dalla tessitura sabbiosa, dal pH acido e dall’elevato contenuto di C organico nel suolo. In linea generale l’idrofobicità può essere imputabile anche all’attività di funghi noti come anelli delle fate (York & Canaway, 2000; Bonanomi et al., 2012) e alle caratteristiche biochimiche della sostanza organica del suolo (McGhie & Posner, 1981). All’idrofobicità dei suoli INA è probabilmente legato il lungo periodo (circa 2 mesi) necessario al suolo per reidratarsi dopo la siccità estiva, e solo a seguito di precipitazioni intense verificatesi nel periodo di settembre ed ottobre 2012 (Fig. 13). In tale contesto è da ritenere poco influente, infatti, l’intercettazione della chioma di G. aetnensis (Biv.) DC. e della lettiera presente al suolo. Ad ogni modo l’idrofobicità rilevata nel suolo sotto chioma è un dato da tenere nella massima considerazione qualora per cause naturali o antropiche (es. incendi o ipotesi di eradicazione) venisse a mancare la copertura vegetale. L’assenza di protezione, infatti, renderebbe il suolo direttamente esposto alle precipitazioni e, benché sabbioso, maggiormente esposto al pericolo di ruscellamento superficiale in caso eventi meteorici particolarmente intensi. L’incremento di conducibilità elettrica rilevato nelle aree INA e INM rispetto alle altre zone (OUT, ING1 e ING2) potrebbe dipeso dal rilascio di ioni durante la mineralizzazione della sostanza organica. Si sottolinea, tuttavia, che i valori di EC riscontrati sono molto inferiori a quelli osservati in suoli salini (Bona- nomi et al., 2011). Per quanto riguarda gli effetti di G. aetnensis (Biv.) DC. sulle altre specie è possibile affermare che tale aliena ha un impatto rilevante sulla struttura e sulla biodiversità dell’ecosistema vesuviano. L’intensità delle alterazioni indotte da questa pianta è però diversa a seconda dello stadio ontogenetico considerato (Fig. 18). Gli stadi giovanili (G1 e G2), infatti, non hanno nessuna influenza significativa, mentre si apprezzano forti interazioni facilitative negli stadi Adulto (INA) e Morto (INM). Gli individui giovani non si comportano da piante nurse (Bonanomi et al., 2011) perché di dimensioni ridotte (G1 altezza meno di 0,5 m; G2 altezza 0,5-2 m) ed insediate da toppo poco tempo (G1 età 3,8 ± 0,8 anni; G2 età 8,6 ± 1,5 anni) per influenzare in modo apprezzabile il microclima e la qualità del suolo. Al contrario gli individui Adulti migliorano profondamente la fertilità del suolo ed incidono positivamente sul microclima e, nel complesso, facilitano la colonizzazione di altre entità. Allo stadio Adulto può essere dunque attribuita la costituzione dell’isola di fertilità. Gli Adulti alla fine della loro vita, inoltre, lasciano il substrato ricco di nutrienti per essere colonizzato da altre specie e questo spiega, seppur parzialmente, gli elevati valori di biomassa e di biodiversità rilevati in questo stadio. Generalmente, la facilitazione esercitata degli arbusti azotofissatori nei riguardi delle altre specie è stata messa in relazione ad un maggior contenuto idrico e di nutrienti del suolo presente sotto la loro chioma (Maron & Connors, 1996; Moro et al., 1997; Barnes & Archer, 1999; Bonanomi et al., 2008). Il ruolo facilitante delle piante nurse, infatti, gli è attribuito per la capacità di alterare l’ambiente circostante, migliorando così assunzione dei nutrienti, lo sviluppo e la riproduzione dei potenziali beneficiari (Callaway, 2007). Come dimostrano i dati rilevati, gli stadi INA e INM di G. aetnensis (Biv.) DC., per il miglioramento delle caratteristiche chimico-fisico-microbiologiche del suolo e per la positiva influenza sul microclima, favoriscono la presenza di altre specie in termini di biomassa e di diversità biologica rispetto agli altri stadi ontogenetici (Fig. 18). La distribuzione di tali specie tra questi 2 stadi (Tab. 3), pur indicando per Analisi dell’impatto di Genista aetnensis (Biv.) DC. (Fabaceae) sul Vesuvio alcune una preferenza per le aree INM (es. Arrhenatherum elatius (L.) P. Beauv. ex J. et C. Presl subsp. elatius, Centranthus ruber (L.) DC. subsp. ruber, Lactuca muralis (L.) Gaertn. e L. serriola L.), suggerisce l’esistenza di diversi fattori che regolano la facilitazione. Il fattore principale che regola la distribuzione delle specie tra questi 2 stadi sembra essere la disponibilità di luce. Ad una sostanziale similitudine nelle caratteristiche dei suoli, si contrappone infatti una forte attenuazione della PAR nello stadio INA (al suolo giunge solo il 13% della luce rilevata in ambiente aperto) (Fig. 17) che limita la crescita di alcune specie. Si sottolinea, tuttavia, la positiva azione mitigatrice della chioma dello stadio INA nei confronti delle elevate temperature rilevate soprattutto nel periodo estivo nello strato superficiale del suolo (Fig. 15) che comporta un maggior contenuto idrico del substrato. Tutti questi risultati indicano che il miglioramento della qualità del suolo e delle proprietà idrologiche e microclimatiche hanno, congiuntamente, effetti sulla facilitazione G. aetnensis (Biv.) DC. rispetto alle altre specie. A tal proposito l’esperimento di crescita svolto in ambiente controllato ha fornito utili indicazioni nel valutare il solo fattore suolo. Ad eccezione di G. aetnensis (Biv.) DC., tutte le altre specie testate hanno mostrato una maggior produzione di biomassa nei suoli IN (A e M) rispetto ai suoli OUT, in risposta ad un maggior contenuto di nutrienti (Fig. 10 e 11). Questo consente di affermare che il miglioramento della qualità del suolo indotto da G. aetnensis (Biv.) DC. è certamente un fattore di facilitazione. Tuttavia l’effetto sulla crescita delle specie è specie-specifico. Briza maxima L., la pianta vascolare maggiormente presente nella zona INA, ha mostrato un incremento pari al 533% rispetto a quello della zona OUT. Anche specie native medio-successionali (Fraxinus ornus L. subsp. ornus, +120%) e tardo-successionali (Quercus ilex L. subsp. ilex, +80%) hanno mostrato risposte positive sui suoli INA. È da sottolineare, tuttavia, che analogo effetto di facilitazione è stato rilevato anche nei confronti di Robinia pseudoacacia L. (+79%), pianta aliena tutt’ora in espansione sul Vesuvio. Questi risultati suggeriscono che il miglioramento della qualità del suolo indotto da G. aetnensis (Biv.) DC. potrebbe consentire la crescita di diverse specie arboree in caso di eradicazione di tale specie invasiva. In merito alla produzione e dispersione dei semi, malgrado sia stata rilevata una nettissima differenza del loro numero tra la zona OUT (12 semi m-2 anno-1) e la zona INA (513 semi m-2 anno-1), le plantule di G. aetnensis (Biv.) DC. si ritrovano esclusivamente nelle aree non ancora colonizzate da questa aliena. La rinnovazione di tale pianta si osserva, in particolare, lungo i margini dei popolamenti in corrispondenza della vetta del Gran Cono Vesuviano nei popolamenti pionieri a prevalenza di Rumex scutatus L. subsp. scutatus e Centranthus ruber (L.) DC. subsp. ruber. Non sono state osservate plantule, invece, sotto la chioma degli individui di G. aetnensis (Biv.) DC. vivi e morti. Questo aspetto da un lato indica chiaramente l’espansione dell’areale di questa specie verso la vetta del vulcano, dall’altro suggerisce una inibizione alla germinazione dei semi a causa dell’instaurarsi di condizioni di negative feedback nel suolo (Bever et al., 1997; Mazzoleni et al., 2007; Kulmatisky et al., 2008). Quest’ultima ipotesi è supportata dai risultati del test biologico i quali hanno mostrato per G. aetnensis (Biv.) DC. valori di biomassa poco diversi tra i suoli OUT, INA e INM (Fig. 10). Questo è sorprendente in considerazione della maggiore disponibilità di nutrienti del suolo localizzato sotto la chioma della specie studiata. È possibile dunque affermare che nelle aree già invase, a causa dell’assenza di rinnovazione, G. aetnensis (Biv.) DC. sarà progressivamente sostituita da altre specie (van der Putten et al., 1993; Bonanomi et al., 2005). Genera preoccupazioni tuttavia la colonizzazione, tutt’ora in atto, dei versanti sommitali del Vesuvio il quale, in assenza di azioni di contenimento sarà destinato a mutare il suo aspetto paesaggistico con danni, non solo ecologici, difficilmente prevedibili e quantificabili. Per la straordinaria portata delle trasformazioni ambientali, G. aetnensis (Biv.) DC. è dunque da ritenere specie aliena invasiva trasformatrice (Richardson et al., 2000; Pyšek et al., 2004). 59 Analisi dell’impatto di Genista aetnensis (Biv.) DC. (Fabaceae) sul Vesuvio 60 Referenze citate Agostini R., 1959 - Alcuni reperti interessanti della flora della Campania. Delpinoa, n.s., l: 42-68. Alef K., 1995 - Soil respiration. In Alef K. & Nannipieri P. (Eds.), Methods in Applied Soil Microbiology and Biochemistry. Academic Press, London. Barnes P. W. & Archer S., 1999 - Tree-shrub interactions in a subtropical savanna parkland: competition or facilitation? Journal of Vegetation Science 10: 525-536. 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Linee guida di gestione forestale per il contenimento delle specie esotiche Francesco Cona, Stefano Mazzoleni, Antonio Saracino Dipartimento di Agraria Università di Napoli “Federico II” Via Università 100 Portici (NA) 1. Introduzione Nel territorio del Parco Nazionale del Vesuvio sono presenti diverse tipologie forestali derivate da rimboschimenti eseguiti nel secolo scorso con l’utilizzo di specie non autoctone. Tenuto conto degli obiettivi di gestione naturalistica del Parco, che prevedono la necessità di contenimento e progressiva riduzione delle specie esotiche, sono state studiate le dinamiche evolutive in corso nelle tipologie forestali più diffuse. 2. Tipologie forestali Pinete di pino domestico. Soprassuoli a densità colma e oltremodo colma, edifi- cati spesso da piante a chioma rada a causa delle crisi di aridità ricorrenti e dei danni di varia natura (incendi, inquinamento, patogeni, mancanza di cure colturali). Queste manifestazioni sono particolarmente evidenti nelle pinete impiantate su depositi di lapilli, su colate ed affioramenti lavici dai 150 ai 1000 m s.l.m. Il piano inferiore, sempre con indici di copertura molto bassi, è costituito da cenosi arbustive sparse o solo localmente addensate (generalmente lungo i crinali ed i fossi), di leccio, roverella, ginestra comune, ginestra dei carbonai, ginestra dell’Etna e corbezzolo nelle esposizioni più calde; orniello, castagno, ontano napoletano e coronilla sono presenti nelle esposizioni più fresche. Lo strato erbaceo è in genere assente. Il leccio, l’ontano napoletano, il corbezzolo e la ginestra dell’Etna sono stati introdotti insieme al pino domestico. Figura 1. Pineta di Pinus pinea 65 Linee guida di gestione forestale per il contenimento delle specie esotiche Pinete di pino marittimo. La densità e la struttura sono variabili. Le pinete sono state impiantate su depositi di lapilli e su colate ed affioramenti lavici dai 250 ai 900 m s.l.m. Il pino marittimo si consocia con il pino domestico ed in misura minore con il pino nero. La composizione specifica del sottobosco è variabile e, a seconda della specie maggiormente diffusa nel piano inferiore, possiamo suddividere queste pinete nei sottotipi a leccio (Quercus ilex), a robinia (Robinia pseudoacacia) e a ginestra dell’Etna (Genista aetnensis) e ginestra dei carbonai (Cytisus scoparius). Oltre a queste specie sono presenti, con un minore indice di copertura, le seguenti specie arbustive ed arboree: ginestra comune (Spartium junceum), coronilla (Coronilla emerus), corbezzolo (Arbutus unedo), orniello (Fraxinus ornus), roverella (Q. pubescens), ontano napoletano (Alnus cordata), acero napoletano (Acer obtusatun ssp. neapolitanum), cisti (Cistus spp.) e felci (Pteridim aquilinum e Asplenium spp). Lo strato erbaceo è per lo più assente. La struttura e la fisionomia di queste pinete varia con 66 la fertilità e l’età. L’incendio in queste tipologie rappresenta il fattore che più condiziona la struttura e la dinamica vegetazionale. Dopo ogni evento si verificano ondate di rinnovazione di pino marittimo estremamente dense (Località Scappa Grande e Piano delle Ginestre). Il pino marittimo si accompagna spesso a specie come le ginestre, la robinia e il leccio, che hanno grande capacità di rinnovarsi per seme (ginestre, robinia) e per ricaccio (robinia e leccio) dopo il passaggio del fuoco. Quando l’incendio determina la scomparsa della pineta, si affermano i ginestreti, spesso consociati con robinia. Altri fattori che condizionano la stabilità di questi popolamenti percorsi dal fuoco sono il vento e il precario ancoraggio nel suolo dovuto al ridotto spessore dei suoli. Nella riserva Tirone-Alto Vesuvio, per esempio, le piante parzialmente ustionate dagli incendi, deperiscono e muoiono, con loro conseguente sradicamento. Questi, oltre ad incrementare l’accumulo di combustibile morto sul pavimento della foresta, possono costituire un pericolo per l’incolumità dei fruitori del Parco. Figura 2. Pineta di Pinus pinaster Linee guida di gestione forestale per il contenimento delle specie esotiche Pinete miste di pini mediterranei. Queste pinete rappresentano, dopo quelle di pino domestico, quelle a maggiore estensione ed anche quelle più interessanti dal punto di vista turistico ricreativo. A questo riguardo è da segnalare soprattutto la pineta mista della Riserva Tirone-Alto Vesuvio, impiantata a partire dal biennio 1912-1913. Si tratta di soprassuoli a composizione e struttura diversa al variare dell’anno d’impianto e delle caratteristiche stazionali. Costituiti dall’alternanza spaziale di gruppi di piante di pino marittimo e domestico o alternati in file lungo le linee di massima pendenza o lungo le curve di livello. Ai due pini spesso si associano il leccio che può gruppi ricoprire anche superfici rilevanti, ottenute mediante impianto ma anche per diffusione naturale. In questi soprassuoli densi dove i livelli di irradianza sotto copertura sono più contenuti, le ginestre e la robinia tendono a localizzarsi ai margini della pineta. Dove c’è più luce nel piano inferiore, lo strato arbustivo è costituito da Spartium junceum, Cytisus scoparius, Coronilla emerus e da specie arboree relegate nel piano inferiore come leccio, robinia, corbezzolo, orniello e roverella. Lo strato erbaceo è per lo più scarso, ed è caratterizzato da Centranthus ruber Boschi misti di conifere e latifoglie radi su colate laviche Si tratta di boschi a densità scarsa, costituiti da pino nero, pino marittimo e pino domestico con partecipazione di leccio, robinia e roverella. Sono situate su colate ed affioramenti lavici da 600 a 900 m di altitudine. Lo strato arbustivo è per lo più formato da ginestre (Spartium junceum e Cytisus scoparius). Lo strato erbaceo è per lo più scarso. I pini sono stati impiantati direttamente sulla lava del 1944. Figura 3. Boschi misti di conifere e latifoglie radi su lave 67 Linee guida di gestione forestale per il contenimento delle specie esotiche Leccete Il leccio nella sua area principale di indigenato (Mediterraneo occidentale) si distribuisce in più fasce di vegetazione, dal livello del mare fino ad oltre 1000 m.s.l.m; si tratta quindi di una specie ad elevata ampiezza ecologica. Nell’area del Parco i versanti acclivi e le rupi della caldera del Somma costituiscono probabilmente le uniche aree di sicuro indignato del leccio, largamente impiegato nei rimboschimenti fino a quota 750 m. Occorre sottolineare la notevole dinamicità del leccio che riesce ad insediarsi in molte pinete. Il leccio forma spesso boschi misti con il pino domestico e marittimo (sulle lave del 1944 il leccio si addensa in gruppi ai margini delle pinete), in misura minore con la roverella ed il castagno, il carpino nero, l’acero napoletano e l’ontano napoletano. La lecceta può spesso presentarsi 68 anche come piano inferiore nelle pinete di pino domestico, pino marittimo o nelle pinete miste. Lo strato erbaceo è per lo più assente. Nei versanti interni del M. Somma si riscontrano interessanti formazioni rupicole di leccio. Una cenosi più localizzata (Cognoli di S. Anastasia) vegetante su pendenze lievemente inferiori, vede il leccio consociato con acero napoletano, carpino nero, robinia e castagno. Nei versanti del M. Somma esposti ad Est si rinvengono dense formazioni di leccio governate a ceduo o in fase di giovane fustaia. Al leccio si consociano in vario grado il castagno, la robinia e la roverella, ed in modo sporadico l’ontano napoletano, l’ailanto, l’acero napoletano, il carpino nero e le ginestre (Spartium junceum, Cytisus scoparius e Coronilla emerus) che divengono con la robinia più frequenti nelle chiarie della lecceta. Figura 4. Ads 8- Lecceta Linee guida di gestione forestale per il contenimento delle specie esotiche Robinieti Si tratta di boschi e boscaglie a prevalenza di robinia o boschi in cui la robinia concorre alla dominanza con altre specie arboree (in particolare il castagno). Nell’area del Parco il suo utilizzo è stato finalizzato al consolidamento, peraltro riuscito, di molti pendii franosi. L’emissione di polloni, soprattutto radicali, viene favorita in seguito al disturbo alla porzione epigea della pianta (ceduazione, incendio). Nel territorio in esame il disturbo più ricorrente è senza dubbio il passaggio del fuoco il cui regime, nel territorio del Parco, è stato profondamente modificato dall’uomo. Pertanto la specie è da considerare naturalizzata e in espansione grazie alla capacità di colonizzazione di diversi ambienti. La presenza della robinia si riscontra lungo tutto il versante meridionale, spingendosi, alle quote superiori, anche lungo quello che resta del tracciato della funicolare. In genere resta confinata ai margini delle formazioni di pino o partecipa all’edificazione dello strato arbustivo. Solo sul versante interno del vecchio cratere del Somma, fortemente acclive, la robinia trova ostacoli insormontabili alla colonizzazione. Allo stesso modo lungo i versanti Nord ed Est, la specie è sempre presente, consociata o meno con le altre specie (castagno, roverella, ontano napoletano, leccio, etc.), soprattutto in corrispondenza di pendici molto ripide e lungo i canaloni. Il bosco di robinia ha la capacità di migliorare il terreno con la lettiera, di arricchire di azoto il suolo, di mantenersi denso grazie al concorso dei polloni radicali che vengono emessi dopo ogni taglio e, infine, di essere poco vulnerabile agli incendi. Un popolamento puro di robinia è presente nella Valle del Gigante al limite superiore della colata di lava del 1944. Il bosco di robinia governato a ceduo, è un detrattore paesaggistico e determina impoverimento della biodiversità nei diversi strati del bosco. 3. Orientamenti di gestione forestale sostenibile L’obiettivo di lungo periodo da perseguire nella gestione della copertura forestale del territorio del Parco è quello di assecondare i fenomeni di successione vegetazionale in atto. Questi prevedono un progressivo insediamento delle Figura 5. Ads 25. Robinieto 69 Linee guida di gestione forestale per il contenimento delle specie esotiche latifoglie decidue e sempreverdi sotto la copertura degli estesi rimboschimenti di conifere eseguiti nel secolo scorso. Questo obiettivo gestionale è fondato sulle seguenti motivazioni. 1) A scala di paesaggio, occorre interrompere la monotonia (cromatica, di copertura monoplana legata alla coetaneità) impartita dalle formazioni artificiali che costituiscono poligoni molto ampi. La diversificazione del mosaico forestale è un obiettivo gestionale di lungo periodo. Si persegue assecondando ed accelerando i fenomeni successionali in atto nei rimboschimenti. Questa diversificazione risponde ai criteri propri della gestione naturalistica in area protetta, richiamati peraltro nel Piano del Parco in vigore. Essa si fonda sulla progressiva eradicazione delle specie aliene, sull’incremento della biodiversità paesaggistica e sulla ridefinizione dell’estensione e delle forme geometriche dei poligoni costituenti le diverse tipologie forestali. Le soluzioni gestionali sono differenti a seconda della tipologia di soprassuolo artificiale considerato e della dinamica successionale in atto, considerato che alcuni di questi popolamenti (robinieti, pinete di marittimo) sono in attiva fase di rinaturalizzazione. 2) A scala di soprassuolo, la progressiva sostituzione delle 70 conifere con latifoglie autoctone rende i soprassuoli più resistenti e resilienti alle avversità abiotiche e biotiche (siccità ricorrenti, incendi, attacchi parassitari). L’incremento della biodiversità specifica nello strato arboreo determina, grazie al diverso fototemperamento delle specie costituenti il consorzio, un progressivo passaggio da strutture monoplane a strutture articolate su più piani. 3) La diversificazione strutturale dell’habitat forestale, con conseguente arricchimento di nicchie trofiche e riproduttive, ha riflessi positivi sulle altre componenti dell’ecosistema con particolare riguardo alla fauna vertebrata e invertebrata. 4) La diversità dendrologica determina, nel comparto del suolo forestale, un significativo cambiamento della traiettoria dei processi di umificazione con un’inversione di tendenza da humus Mor a humus Mull e con un significativo cambiamento dei cicli biogeochimici e della pedoflora e pedofauna associata. In linea generale si osserva che i popolamenti artificiali di conifere sono dislocati sui versanti esposti a Sud e SudOvest del territorio protetto, mentre i robinieti puri sono diffusi prevalentemente nelle esposizioni Ovest e Nord del Monte Somma. Oltre che in popolamenti puri la robinia in consorzio con altre specie è diffusa un po’ ovunque a seguito dei di- Linee guida di gestione forestale per il contenimento delle specie esotiche sturbi indotti dall’uomo sia nelle attività gestionali (tagli) sia a seguito di incendi. La gestione forestale è differenziata a seconda che si sia in presenza di conifere in boschi puri e misti a latifoglie, oppure se si tratti di robinieti. Riassumendo si propongono i seguenti obiettivi gestionali articolati per le diverse tipologie forestali oggetto di indagine: a) obiettivo gestionale di medio periodo: diradamento e diversificazione strutturale delle pinete a dominanza di pino domestico; b) obiettivo gestionale di medio-lungo periodo: diradamento e diversificazione strutturale delle pinete a dominanza di pino marittimo (e miste); c) obiettivo gestionale di lungo periodo: eradicazione della robinia quando è in consorzio misto; d) robinieti puri: utilizzo delle biomasse per combustibile. 4. Specifiche tecniche per interventi dimostrativi in attuazione delle linee guida di gestione forestale In base ai risultati ottenuti ed al monitoraggio delle par- celle sperimentali, vengono proposti i seguenti interventi a carattere dimostrativo finalizzati a valutare le dinamiche di rinaturalizzazione nelle diverse tipologie forestali oggetto di indagine. Pinete Diradamento debole e dal basso a carico del pino domestico e del pino marittimo Taglio con roncola della rinnovazione di pino marittimo Nessun intervento a carico della robinia Leccete Nessun intervento selvicolturale Boschi misti di conifere e latifoglie radi su colate laviche Nessun intervento selvicolturale Robinieti puri, castagneti e boschi misti di latifoglie con invasione di robinia Impianti sperimentali da eseguirsi mediante ripulitura dello strato erbaceo e dei rovi, sottopiantagione di latifoglie autoctone (leccio, roverella, ontano napoletano, orniello e castagno), taglio dell’edera e della vitalba avvolta sui fusti delle specie diverse dalla robinia e nessun intervento di taglio a carico di quest’ultima specie. 71 Linee guida di gestione forestale per il contenimento delle specie esotiche Figura 6. Parcelle sperimentali oggetto degli interventi dimostrativi: diradamenti (riquadri rossi) e sottopiantagioni di latifoglie autoctone (riquadri verdi) Interventi di diradamento nelle pinete 72 1. Diradamento debole e dal basso a carico del pino domestico e del pino marittimo I diradamenti saranno eseguiti per aumentare l’efficienza funzionale del popolamento predisponendolo alla futura evoluzione. La riduzione graduale della densità determina condizioni favorevoli all’insediamento delle latifoglie autoctone1. Le operazioni colturali dovranno essere eseguite con cautela soprattutto nei riguardi delle specie invasive che non dovranno in alcun modo essere favorite mediante tagli su ceppaia o attraverso l’apertura dello spazio aereo al di sopra di esse. Il materiale legnoso andrà successivamente triturato o bruciato perché rappresenta un pericolo per i fruitori e per il rischio di diffusione di insetti e funghi patogeni al resto della pineta2. 1 L’eliminazione delle piante morte, deperienti, e comunque soprannumerarie consentono di rafforzare la stabilità meccanica del popolamento, di migliorare lo stato idrico del suolo, di favorire lo sviluppo armonico della chioma e la resistenza alle avversità di natura biotica. Le buone regole selvicolturali prevedono diradamenti precoci, selettivi, costanti, dal basso, in modo da lasciare che le chiome si sviluppino regolarmente senza intrecciarsi né sovrapporsi, ma in pratica, nei casi in esame, tenuto conto del ritardo e dell’omissione dei diradamenti, si sarà obbligati ad asportare anche individui vivi del piano dominante, soprannumerari e deperienti, oltre quelli morti. Considerando che il pino domestico oltre i 50 anni perde progressivamente la capacità di espandere la chioma dopo il diradamento e che i popolamenti in questione hanno in media un’età media di 35-40 anni i tagli intercalari dovranno essere eseguiti con gradualità sia per favorire le specie autoctone sia per evitare un eccessivo e improvviso isolamento degli individui adulti di pino che potrebbe esporre l‘impianto a schianti e a sradicamenti oltre che favorire un forte sviluppo del sottobosco (rovi, ginestre e specie invasive). Linee guida di gestione forestale per il contenimento delle specie esotiche Figura 7. Bosco di Pinus pinea con leccio - Copertura pre e post diradamento Figura 8. Bosco di Pinus pinea con leccio - Copertura pre e post diradamento Le piante che cadranno al taglio saranno individuate tra le piante di pino domestico e marittimo in funzione: a) Della posizione sociale (andranno in primo luogo eliminati gli individui sottoposti e soprannumerari). b) Della vigoria (andranno in primo luogo eliminati gli individui deperienti e morti in piedi). c) Del portamento (andranno eliminati in primo luogo gli individui con fusto difettoso, rastremato e chioma ristretta). d) Della presenza sotto copertura di rinnovazione affermata di latifoglie autoctone (leccio, roverella, ecc.). e) Della vicinanza di individui adulti di latifoglie autoctone (con diametro > di 2,5 cm) che possano in breve tempo saturare lo spazio aereo lasciato libero dalle conifere ed impedire alla robinia di inserirsi. f) Dalla presenza sotto copertura o e nelle immediate vicinanze di specie invasive (robinia, ginestre, ecc) vigorose. 2 Gli interventi selvicolturali risultano di fondamentale importanza inoltre per la riduzione del rischio d’incendio, per ridurre la necromassa, e creare soluzioni di continuità verticali e orizzontali nella biomassa, particolarmente dove esistono punti di contatto tra la pineta e la viabilità. 73 Linee guida di gestione forestale per il contenimento delle specie esotiche Figura 9. Parcella sperimentale prima e dopo il diradamento Figura 10. Parcella sperimentale prima del diradamento 74 Linee guida di gestione forestale per il contenimento delle specie esotiche Figura 11. Distribuzione dell’area basimetrica post-diradamento A livello di parcella il contributo di area basimetrica G dei pini si riduce dall’83% al 77% del totale mentre quello del leccio aumenta dal 16% al 22%. L’intervento andrà ad incidere sul 10-20% dell’area basimetrica delle conifere (Figura 10 e 11). La variazione di copertura nella volta forestale è rappresenta nelle figure 12 e 13. Le operazioni di diradamento consisteranno in: a)Abbattimento. b)Concentramento. c)Esbosco. d) Triturazione o combustione del materiale. Ai diradamenti si aggiungeranno, ove possibile, le spalcature dei rami secchi delle piante rilasciate (ed eventualmente anche di quelli verdi). 2. Taglio con roncola della rinnovazione di pino marittimo Questa operazione colturale nasce dalla forte propensione del pino marittimo a rinnovarsi per seme, spesso in nuclei molto densi, soprattutto nelle aree di margine di boschi, nonché nelle radure e nelle chiarìe che siano originate da incendi (soprattutto) o da operazioni selvicolturali. Inoltre la rapida crescita degli individui giovani di pino marittimo esercita una forte concorrenza sulle giovani piantine di latifoglie. Anche in questo caso il materiale legnoso asportato dovrà essere portato all’esterno delle aree di saggio e bruciato o triturato. 75 Linee guida di gestione forestale per il contenimento delle specie esotiche 76 Figura 12. Area di saggio 1. Anno 2011 Linee guida di gestione forestale per il contenimento delle specie esotiche Figura 13. Area di saggio 1. Anno 2013 post diradamento. 77 Linee guida di gestione forestale per il contenimento delle specie esotiche 3. Nessun intervento a carico della robinia A causa della forte capacità di emettere polloni dalla ceppaia e dalle radici. Realizzazione di nuovi impianti sperimentali 1. Ripulitura dello strato erbaceo e dei rovi All’interno delle parcelle sperimentali e in buffer di 5 metri esterno, andranno estirpati i rovi e tagliato lo strato erbaceo mediante l’utilizzo di un decespugliatore e ove possibile sarà effettuato lo sradicamento con zappa. Durante i lavori non dovrà essere danneggiata la rinnovazione delle specie autoctone eventualmente presenti (castagno, aceri, orniello, roverella, leccio, ecc). 2. Taglio dell’edera e della vitalba avvolta sui fusti delle specie diverse dalla robinia e nessun intervento di taglio a carico di quest’ultima specie 3. Sottopiantagione di latifoglie autoctone a) Il numero delle piantine sarà variabile da 30 a 60 in funzione dello spazio aereo disponibile b) Le specie da impiantare saranno scelte in base alle caratteristiche dendrologiche della parcella sperimentale, utilizzando la cartografia relativa seguendo ove possibile il seguente schema di riferimento: Parcella 20 (orniello, leccio e roverella) - Esposizione Sud-Ovest Parcella 21 (orniello, leccio e roverella) - Esposizione 78 Nord-Ovest Parcella 22 (castagno, orniello e ontano napoletano) - Esposizione Nord –Nord-Ovest Parcella 24 (castagno, orniello e ontano napoletano) - Esposizione Nord-Ovest Parcella 25 (castagno, orniello e ontano napoletano) - Esposizione Nord-Ovest Parcella 26 (castagno, leccio e ontano napoletano) - Esposizione Est Parcella 27 (castagno, leccio e ontano napoletano) - Esposizione Est a) Parcella 28 (castagno, leccio e ontano napoletano) Esposizione Nord-Est b) Le piantine dovranno essere di uno o due anni a radice nuda o in pane di terra (fitocella o vaso). c) Il postime sarà impiantato in seguito all’apertura di buche pari almeno a 30x30x30cm (substrato permettendo). d) Il posizionamento delle piantine deve essere scelto in funzione: Della copertura esercitata dalle diverse specie presenti (evitare il posizionamento al di sotto delle piante adulte di leccio e castagno). Dalla presenza di rinnovazione affermata (evitare il posizionamento all’interno di nuclei di leccio). Dalla presenza di rovi o altri arbusti. Materiale di propagazione Le piantine dovranno essere di uno o due anni a radice nuda o in pane di terra (fitocella o vaso) L’ingegneria naturalistica è una disciplina introdotta nel Parco Nazionale del Vesuvio a partire dal 1997, per intervenire nella gestione del territorio e dei dissesti con interventi efficaci dal punto di vista tecnico e funzionale e volti a favorire gli aspetti naturalistici e paesaggistici; infatti tali interventi, basati sull’utilizzo di piante vive autoctone, in abbinamento con paleria ed altro materiale inerte, consentono di creare ambienti favorevoli alla vita ed alla biodiversità. Finito di stampare maggio 2013