QSI - Parco nazionale del Vesuvio

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QSI - Parco nazionale del Vesuvio
Il Parco nazionale del
Vesuvio è uno scrigno
di rara bellezza: la
natura dei luoghi, la
storia del vulcano, i
paesaggi mozzafiato,
le coltivazioni secolari,
il patrimonio rurale
delle tradizioni, rendono
l’area vesuviana uno
dei luoghi più suggestivi d
scoprire per i visitatori e da
imparare a conoscere per i
suoi abitanti.
For
Sommario
Prefazione
7
Ugo Leone
Introduzione
11
Paola Conti e Bruno del Vita
Il ruolo del Corpo forestale dello stato nella tutela
della biodiversita’ in italia tra passato e futuro
19
Antonio Zumbolo
Risultati di piantagioni sperimentali sotto copertura e variazioni della
struttura dei popolamenti arborei nel periodo 2005-2011
27
Francesco Cona, Stefano Mazzoleni, Antonio Saracino
Analisi dell’impatto di Genista aetnensis (Biv.)
DC. (Fabaceae) sul Vesuvio (Sud Italia)
41
Adriano Stinca, Giovanni Battista Chirico & Giuliano Bonanomi
Linee guida di gestione forestale per il contenimento
delle specie esotiche
Francesco Cona, Stefano Mazzoleni, Antonio Saracino
65
Citazioni bibliografiche consigliate:
Adriano Stinca, Giovanni Battista Chirico & Giuliano Bonanomi , 2013 - Analisi dell’impatto di Genista aetnensis (Biv.)
DC. (Fabaceae) sul Vesuvio (Sud Italia), pp. 41-62, in: Verifica di protocolli sperimentali e orientamenti di gestione
forestale per il contenimento delle specie esotiche in Riserva Forestale di Protezione Tirone - Alto Vesuvio. Ottaviano,
Ente parco Nazionale del Vesuvio ed.
Foto:
archivio fotografico dell’Ente Parco nazionale del Vesuvio
archivio fotografico Ufficio territoriale per la Biodiversità di Caserta
archivio fotografico Dipartimento di Agraria, Università di Napoli “Federico II”
Progetto grafico e stampa
alfa grafica s.r.l. - San Sebastiano al Vesuvio (Na)
For
Ente Parco Nazionale del Vesuvio
Sede: Palazzo Mediceo | Via Palazzo del Principe c/o Castello Mediceo | 80044 Ottaviano (Napoli)
Tel. +39 0818653911 | Fax +39 0818653908
www.forclimadapt.eu | www.epnv.it | e.mail: [email protected]
L’introduzione di piante esotiche nel
territorio vesuviano è stata spesso
giustificata dalla necessità,
incontrata nel tempo e
soprattutto a seguito di
fenomeni eruttivi, di favorire
la ricolonizzazione di suoli
nudi e di stabilizzare
versanti: questa
circostanza, se da
una parte giustifica
la presenza di tali
piante, non ne
annulla gli effetti
relativi agli impatti
sulle associazioni
vegetali autoctone
e sulle comunità
faunistiche, soprattutto
perchè alcune delle
essenze introdotte hanno
manifestato capacità
competitive tali da alterare gli
equilibri ecologici dell’ambiente in
cui sono state inserite.
Prefazione
Ugo Leone
Presidente del Parco Nazionale del Vesuvio
L
e foreste, come è stato ripetutamente ribadito nel 2010 durante l’anno internazionale delle foreste, sono un bene prezioso. Ce
ne sono sulla Terra circa 6 miliardi di ettari ma erano almeno otto
12.000 anni fa.
C’è stato, dunque, un progressivo e sempre più celere processo di
deforestazione, dal quale non è stato esente il bacino del Mediterraneo
i cui Paesi erano ricchi di boschi e foreste.
L’assottigliamento della superficie boscata è cominciato soprattutto quando i Romani, sconfitti dai Cartaginesi nella prima guerra punica,
compresero che avrebbero potuto vincere il nemico solo stabilendo il
dominio sul mare. E lo fecero costruendo in pochi anni un’enorme flotta
(continuamente rinnovata e ingrandita) al prezzo di diecine e diecine di
miglia di alberi dell’Appennino centro-meridionale.
Migliaia di alberi d’alto fusto furono abbattuti per la costruzione degli
scafi, dei ponti, delle alberature e dei remi, oltre che per i corvi, i rostri,
le catapulte, ecc.; e un grandissimo numero di pini e di abeti subirono la stessa sorte
per fornire la resina con la quale calafatare gli scafi, in modo da renderli impermeabili.
E poiché centinaia di queste navi furono distrutte in ricorrenti naufragi oltre che in
battaglia, ancora maggiore fu il ricorso alle foreste. Né solo per costruire navi venivano tagliati i boschi dell’Italia e delle altre regioni mediterranee, ma anche per l’edilizia,
per fornire energia alle attività manifatturiere e per il riscaldamento e così via.
Il danno ecologico che ne subì la penisola fu enorme. Con la distruzione dei boschi ebbe inizio il lento, ma inesorabile degrado ecologico della penisola e, in parte,
delle altre regioni dell’Europa meridionale.
Infatti, private del loro mantello forestale, le pendici delle montagne divennero franose ed instabili; il clima divenne più caldo e più asciutto; il regime dei fiumi appenninici
si trasformò in torrentizio, con lunghe secche estive e improvvise, rovinose piene autunnali; le frequenti esondazioni dei fiumi causarono un allagamento semi- permanente di
vasti tratti di campagna; il diffondersi delle zone paludose, a sua volta, e il generale
riscaldamento climatico, favorirono la diffusione della zanzara anofele e, quindi, della
sua inseparabile compagna: la malaria, contro la quale nulla poteva la medicina
antica prima dell’uso massiccio del DDT di epoca contemporanea.
Questa incursione nella storia la quale, come si dice dovrebbe essere magistra
vitae ma che, di fatto non insegna nulla perché tutto si tende a dimenticare; questa
incursione, dicevo, non solo per ricordare le radici della deforestazione mediterranea,
ma anche per sottolineare quali, allora come oggi, sono i riflessi sul mutamento climatico e sull’amplificarsi dei rischi legati a fenomeni naturali estremi.
Tanto grave fu, dunque, quel diboscamento che il grande storico Fernand Braudel annoverava la deforestazione del Mediterraneo tra le cause della decadenza
romana sino alla definitiva caduta dell’Impero romano d’occidente nel 476 d.C. Ma,
7
Prefazione
ricorda sempre Braudel, la deforestazione ancora più spinta fu verosimilmente la causa
della decadenza del Mediterraneo nel XVI e ancora di più nel XVII secolo.
Oggi, dove più, dove meno l’esempio romano si è diffuso in tutto il bacino e in tutto
il Mediterraneo la superficie forestale ha subito gravi e talora irreversibili modifiche e
distruzioni. Ne è un esempio evidente, in Italia, la Lucania che non a caso si chiamava
così – terra di boschi- e che oggi, Basilicata, è una delle regioni più spoglie del Paese.
La superficie forestale totale nella regione mediterranea è di circa 73 milioni di ettari,
vale a dire l’8,5% della superficie totale terrestre. Ma si calcola che il bacino del Mediterraneo perde ogni anno tra 0,7 e un milione di ettari di foreste soprattutto a causa degli
incendi. Spesso è questo lo strumento utilizzato per guadagnare spazio all’agricoltura, al
turismo, all’urbanizzazione incalzante. Soprattutto esposti i Paesi della sponda sud e di
quella orientale (Marocco, Algeria, Tunisia, Siria, Libano e Turchia).
In più oggi c’è un altro pericolo, un’altra aggressione al residuo patrimonio forestale,
provenente dai mutamenti climatici abbastanza evidentemente in atto.
Anche per questi motivi, il progetto la cui realizazione ci vede da tempo riuniti è di
grande importanza. Perchè si propone, come è noto, “di contribuire alla conoscenza
e di sperimentare azioni di mitigazione degli effetti che i cambiamenti del clima a livello
globale hanno sugli ecosistemi forestali mediterranei .”
Ormai, malgrado una attiva presenza di negazionisti i quali appena la temperatura
scende sotto lo zero ironizzano su chi ha avanzato e avanza il timore dell’aumento delle
temperature medie, l’esistenza dei rischi legati ai cambiamenti climatici globali è riconosciuta dalla quasi totalità della Comunità scientifica. E ne è un esempio significativo
proprio il bacino del Mediterraneo, dove sono già in atto aumento delle temperature
medie ed un aumento della frequenza e dell’intensità di eventi metereologici estremi (siccità prolungate, precipitazioni violente, inondazioni).
Intervenire per rallentare sino a frenare del tutto questa tendenza significa anche
dare contenuti concreti agli assi del nostro programma. In particolare per quanto riguarda la”Protezione dell’ambiente e promozione di uno sviluppo territoriale durevole” con
l’obiettivo anche di “Prevenire e lottare contro i rischi naturali”. Infatti un ambiente deforestato è anche un ambiente sguarnito nei confronti del verificarsi di fenomeni naturali
calamitosi, primo fra tutti quelli legati al dissesto idrogeologico.
Naturalmente non sta nelle nostre forze, competenze, e, tanto meno, compiti la soluzione di questi problemi, ma è comunque un importante e delicato obiettivo quello che
ci siamo proposti.
L’approfondimento delle conoscenze e la possibilità e capacità di diffonderle tramite
un’informazione precisa e capillare è uno strumento di fondamentale importanza il quale,
pure, è stato uno dei nostri obiettivi. Se, come è vero, con il progetto al quale abbiamo
lavorato il partenariato si prefigge di selezionare e sperimentare lavori di climatologi,
ecologi ed esperti dell’argomento, adattandoli alle esigenze dei soggetti che a vario
titolo gestiscono aree boscate (enti territoriali, proprietari privati, silvicoltori, soggetti gestori di aree protette) ed in particolare vuole offrire a questi ultimi strumenti ed orientamenti
per una gestione duratura.
È per questo che i risultati raggiunti nelle varie tappe del progetto non sono un
patrimonio esclusivo dei tecnici impegnati nel progetto e del partenariato coinvolto
direttamente, ma costituiscono un risultato capace di favorire un’ampia diffusione delle
conoscenze in tutto il bacino del Mediterraneo.
8
Il progetto “For
Climadapt” ha
rappresentato ed
ancora rappresenta
una occasione
importante per l’Ente
Parco Nazionale
del Vesuvio, in
quanto ha consentito
di approfondire
e sperimentare, in
collaborazione con Enti
ed Istituti scientifici, azioni
specifiche nell’ambito della
gestione forestale sostenibile in
ambiente mediterraneo.
Introduzione
Paola Conti e Bruno del Vita
Ente Parco Nazionale del Vesuvio
Genesi del Progetto “For Climadapt”
li ecosistemi forestali sono senza dubbio spazi
multifunzionali caratterizzati da grande ricchezza di
biodiversità, vanno gestiti e tutelati con attenzione
e su tale materia sono stati elaborati sistemi complessi di
normative e di indirizzi finalizzati al raggiungimento di una
Gestione Forestale Sostenibile (GFS) fondata su tre principi
cardine: la sostenibilità ecologica, la sostenibilità economica, la sostenibilità sociale.
D’altra parte le foreste mediterranee presentano caratteristiche distintive per clima, paesaggi e millenaria presenza dell’uomo; la multifunzionalità e la ricchezza delle foreste mediterranee dipendono dal differente utilizzo delle
popolazioni e dalla profonda influenza delle civiltà che da
sempre le hanno abitate; pertanto le tecniche e le buone
pratiche di gestione forestale che si attuano nel mondo ed
in Europa non sempre sono adatte agli ambienti mediterranei; per questo motivo abbiamo voluto avviare un percorso
di approfondimento metodologico sulla gestione forestale
in ambito mediterraneo.
Nel contesto della Programmazione 2000-2006, ed in
particolare dell’iniziativa Interreg IIIB, si colloca il Programma
Medocc orientato ad azioni di cooperazione transnazionale nel bacino Mediterraneo occidentale.
Il Parco nazionale del Vesuvio su questo programma è
stato Capofila del progetto RECOFORME, Rete di cooperazione sul tema della foresta mediterranea, coordinando le
azioni di 7 partner internazionali.
A conclusione del progetto Recoforme, nel mese di luglio 2006, il Partenariato ha espresso la volontà di proseguire nelle azioni di cooperazione sul tema della foresta
mediterranea e di conferire un carattere di “perennità” al
partenariato stesso, che ha dato prova di coesione nel
corso delle attività di progetto; per tale scopo è stata
avviata un’iniziativa (FEP – Foretes et espaces protegèes)
orientata ad approfondire ulteriori tematiche nell’ambito
della foresta mediterranea in aree protette.
Si è perciò avviato un lavoro di concertazione interpartenariale orientato a diverse finalità fra cui:
• Il consolidamento e l’allargamento della rete interparte-
G
nariale fondata sul partenariato originario del progetto
Recoforme, ed aperta all’inclusione di nuovi partner che
potessero offrire ulteriori contributi ed interessi;
• il monitoraggio delle evoluzioni in corso nella programmazione europea per il periodo 2007-2013, al fine di
indirizzare verso gli opportuni programmi le iniziative maturate in seno al Partenariato;
• l’individuazione di tematiche prioritarie e condivise dai
partner e che focalizzassero l’attenzione verso le esigenze di proprio interesse costituendo partenariati specifici su progetti specifici;
• l’individuazione di metodologie progettuali più aderenti
alle finalità dei nuovi programmi che si andavano definendo in seno alla programmazione europea.
Questo percorso si è sviluppato attraverso seminari o
tavoli di lavoro del partenariato ed attraverso il lavoro individuale dei singoli Partner, chiamati a formulare ipotesi di
lavoro di propria specifica pertinenza; il Partner AIFM (Association Internazionale des Foretes Méditerraneennes) ha
avuto il compito di organizzare le azioni preliminari in vista
di una candidatura di progetti a valere sui fondi della Programmazione europea 2007-2013.
Nel corso di tali lavori sono stati individuati diversi progetti fra cui il progetto For Climadapt, incentrato sulla problematica dell’adattamento degli ambienti forestali mediterranei al cambiamento climatico.
Il Parco Nazionale del Vesuvio è stato scelto come Capofila dal Partenariato.
Questo non è un evento occasionale, ma va inquadrato in una politica internazionale che L’Ente Parco ha da
tempo avviato, al fine di favorire da un lato lo scambio di
esperienze e buone pratiche tra aree protette in ambito
mediterraneo, e dall’altro la definizione e l’implementazione
di un parternariato che favorisca la circolazione e l’integrazione di competenze ed iniziative.
Questa politica deriva dalla consapevolezza che l’ecoregione mediterranea necessita di azioni coordinate e
condivise per poter raggiungere forme di collaborazione
indispensabili ad affrontare e gestire correttamente il complesso rapporto tra tutela della biodiversità e sviluppo so-
11
Introduzione
12
stenibile delle popolazioni. In questa ottica Il ruolo che oggi
viene affidato alle aree protette, la cui istituzione ha la finalità
di salvaguardare quel patrimonio locale di biodiversità naturale e culturale che rende speciale un territorio, tiene ben presente che il concetto di salvaguardia della specificità acquisisce
valenza maggiore proprio dal confronto con altre specificità.
Dallo scambio e dal confronto reciproco le aree protette possono trarre vantaggi in termini di valorizzazione
delle proprie risorse, di condivisione di problematiche e di
scambio di buone pratiche, ed a supporto di tali finalità vi
sono oggi Associazioni ed Enti volti a favorire la creazione
di network permanenti.
mento climatico in atto produce su tali ecosistemi. Approvato nel 2010, è stato proposto nel quadro del Programma europeo di cooperazione territoriale MED.
Il Programma MED è un programma europeo di cooperazione transnazionale, cofinanziato dal fondo FEDER.
Rientra nel quadro della politica regionale dell’Unione
europea per il periodo di programmazione 2007-2013
(terza componente “cooperazione territoriale”) e si pone
in continuità con la collaborazione transnazionale del
programma Interreg III B, sviluppato nel periodo di programmazione precedente.
Attraverso partenariati transnazionali costituiti nella
Il Progetto
FOR CLIMADAPT (adattamento delle foreste mediterranee ai cambiamenti climatici) nasce dalla volontà di un
partenariato già precedentemente costituito; è un progetto di cooperazione internazionale incentrato sul tema
della foresta mediterranea e sugli effetti che il cambia-
regione del Mediterraneo, il programma mira a favorire il
raggiungimento di obiettivi strategici dell’Unione Euroepa:
• Il miglioramento della competitività del settore per
assicurare crescita e occupazione per le generazioni
future (Strategia di Lisbona).
• La promozione della coesione territoriale e la prote-
Introduzione
Il programma è articolato in quattro assi principali:
- Asse 1: Rafforzamento delle capacità di innovazione.
- Asse 2: Protezione dell’ambiente e promozione di uno
sviluppo territoriale sostenibile.
- Asse 3: Miglioramento della mobilità e accessibilità
territoriale.
- Asse 4: Promozione di uno sviluppo policentrico e integrato della regione mediterranea (spazio MED). gestione degli spazi forestali, utilizzando quattro approcci
complementari previsti nel piano di lavoro:
• Lo sviluppo di attività di osservazione e monitoraggio
dei cambiamenti negli ecosistemi;
• Lo sviluppo di una nuova selvicoltura per promuovere la
conservazione della biodiversità mantenendone il valore economico;
• Lo sviluppo di metodi per il restauro ecologico di suoli
degradati;
• Informazione, sensibilizzazione della società e miglioramento della governance.
Il progetto For Climadapt è stato approvato sull’Asse
2 - Obiettivo 4: “Prevenzione e lotta contro i rischi naturali”, ed è finalizzato ad individuare strategie per mitigare gli
effetti dei cambiamenti climatici sulle foreste mediterranee.
In particolare il progetto mira a fornire soluzioni per i soggetti gestori del territorio per migliorare le loro pratiche di
Le azioni del progetto sono concentrate prevalentemente sui rischi legati alla erosione, sulla prevenzione degli incendi boschivi e sulla mitigazione e contenimento dei
fattori di degrado, e sono state condotte adottando una
strategia comune a livello transnazionale basata sulla condivisione di esperienze, sulla sperimentazione di tecniche e
zione dell’ambiente in una logica di sviluppo sostenibile (strategia di Göteborg).
13
Introduzione
pratiche in territori gestiti dai diversi Partner, sul trasferimento
e condivisione di tali esperienze e sulla costruzione di orientamenti comuni.
I partner del progetto sono:
- Parco Nazionale del Vesuvio (Italia) Riserva Man and
Biosphère
- Associazione Internazionale Foresta Mediterranea
(Francia)
- Regione Umbria (Italie) comunità montana “Valnerina”
(Terni).
- Centro di ricerca forestale di Catalogna (Spagna) Pirenei Catalani
- Direzione territoriale Mediterranea dell’ONF Regioni
Languedoc-Roussillon et Provenza-Alpi-costa Azzurra
(départements de l’Aude et des Alpes-maritimes, Francia).
- Region Nord-Egeo (Grecia) Isola di Lesbo.
- ADPM, Regione Alentejo (Portogallo) Parco naturale
della Valle del Guadiana et Centre pedagogico del
Monte do Vento.
- Forêt Méditerranéenne (Francia)
Per favorire la fase di capitalizzazione si è adottata
una metodologia comune di confronto che coinvolge, oltre i tecnici dei diversi partner, degli esperti internazionali
chiamati a discutere delle soluzioni e tecniche adottate dal
partenariato ed indirizzare tali esperienze verso orientamenti comuni per la gestione.
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In particolare il progetto prevede:
• Un Partner “animatore” della fase di capitalizzazione
(AIFM) che organizza ed anima il dibattito e favorisce
l’andamento e l’incisività del confronto;
• Un gruppo di esperti (peer group) che effettua una
valutazione della soluzione ed individua le ricadute
transnazionali, a seguito delle visite;
• Esperti extra comunitari, individuati dai partner, per contribuire alla capitalizzazione con pareri ulteriori e punti
di osservazione diversi;
• Un tecnico – valutatore esterno, individuato dal Capofila, che dà un ulteriore parere a metà percorso ed alla
fine, per contribuire alla validità dei risultati condivisi;
I risultati raggiunti non saranno un patrimonio esclusivo
dei tecnici impegnati nel progetto ma saranno ampiamente
diffusi in modo da favorire un’ampia diffusione delle conoscenze, per questo motivo:
• Ciascun Partner effettua azioni di diffusione a livello locale, orientata verso il proprio territorio di riferimento e
verso il coinvolgimento dei gestori;
• Il Capofila e l’AIFM effettuano un’azione di diffusione a
livello mediterraneo organizzando seminari di valenza
sovranazionale;
Di seguito si riporta uno schema molto sintetico della
suddivisione in componenti del progetto:
Nr.Componente
Descrizione Componente
Fasi
0
Preparazione
1
Gestione del Progetto
Amministrativa e Finanziaria
Coordinamento
2
Attività Pilota
Esame dello Stato iniziale
Gestione adattativa della Selvicoltura
Restauro e Rimboschimento
Governance e adattamento sociale
3
Comunicazione
Livello Locale
Livello Mediterraneo
4
Capitalizzazione
Seminari – siti pilota
Gruppo Peer to Peer
Valutazione qualitativa
Introduzione
Le attività del Parco Nazionale del Vesuvio nel progetto For Climadapt
L’Ente Parco Nazionale del Vesuvio, capofila del
progetto, è stato istituito nel 1995 per salvaguardare il
valore ecologico e il patrimonio del territorio, consentendo una perfetta integrazione tra l’uomo e l’ambiente,
promuovendo attività di educazione ambientale e la ricerca scientifica. Il Parco si estende su 8.482 ettari nella
provincia di Napoli attorno al Vesuvio, esempio tipico di
vulcano costituito da un tronco di cono, ancora attivo. Il
territorio è ricco di elementi unici di punto storico e naturalistico, vanta una produzione agricola di qualità carat-
terizzata dalla diversità e l’originalità dei sui sapori locali.
Il cambiamento climatico può indurre un aumento costante delle temperature medie e un’alterazione delle
manifestazioni metereologiche che si traducono in una
diminuzione delle precipitazioni deboli, un aumento di
piogge forti e periodi di siccità accentuati (tropicalizzazione del clima). Queste mutazioni sono associate
ad una variazione della capacità del suolo di assorbire l’acqua piovana, e ad un aumento di processi alluvionali e/o fenomeni di aridità diffusa e desertificazione.
Questi cambiamenti, nel territorio del parco, possono anche comportare variazioni della biodiversità, soprattutto
Scheda identificativa del sito pilota
Status e strumenti di gestione disponibile
Parco Nazionale, Riserva Forestale Statale, sito Natura 2000
Superficie
8. 482 ha (PNV)
Popolazione
352.180 abitanti (42 / km²)
Principali città e comuni
Boscoreale, Boscotrecase, Ercolano, Massa di Somma, Ottaviano, Pollena Trocchia,
San Giuseppe Vesuviano, San Sebastiano al Vesuvio, Sant’Anastasia, Somma Vesuviana,
Terzigno, Torre del Greco, Trecase
Superficie forestale sul sito pilota
1. 027 ha
Amministrazione locale incaricata della
gestione forestale e della pianificazone
Ente Parco Nazionale del Vesuvio, Corpo forestale dello Stato – Ufficio Territoriale per
la Biodiversità di Caserta
Essenze forestali dominanti
Specie dominante (Pinus sp., Genista aetnensis, Robinia pseudacacia, Castanea
sativa) Popolamenti puri e misti (Quercus ilex, Q. pubescens). Foreste naturali in prossimità
della sommità (Betula pendula, Alnus cordata, Populus tremula)
utilizzo principale attribuito alla foresta
Conservzione e usi ricreativi
Assenza di utilizzo pastorale
-
Altri tipi di occupazione dei suoli sul sito
(spazi non forestali)
-
Precipitazioni annuali
950 mm
Media delle temperature minime del mese
più freddo
8.2°C
Media delle temperature massime del mese
più caldo
26.5°C
Principali rischi naturali cui è sottoposto il sito Incendio boschivo, frane
15
Introduzione
perché il territorio del Vesuvio presenta ecosistemi giovani.
Inoltre, nei secoli precedenti, molti interventi umani eseguiti per combattere l’erosione associata alle
eruzioni vulcaniche, hanno portato all’introduzione di diverse specie aliene potenzialmente invasive.
Gli interventi di contrasto alle calamità idrogeologiche, attraverso tecniche eco-compatibili, e una gestione territoriale orientata alla conservazione della biodiversità, possono
migliorare la protezione del suolo, rispettando l’evoluzione
degli ecosistemi.
Nel Parco Nazionale del Vesuvio la lotta ai fenomeni erosivi è stata effettuata spesso ricorrendo ad opere di
Ingegneria naturalistica (una metodologia innovativa ed
evoluta di intervento sul dissesto ambientale compatibile
con la natura), ma con i mutamenti climatici in corso è necessario disporre di informazioni metodologicamente appropriate per favorire le scelte migliori e per valutare la loro
efficienza rispetto ai fenomeni citati.
Il PNV ha già avviato azioni sperimentali in due progetti
Interreg IIIB Medocc su tali tematiche:
- Nel progetto Recoforme sono state sperimentate tecniche di contrasto alle piante invasive.
16
- Nel progetto Desertnet sono state sperimentate tecniche
di Ingegneria naturalistica in ambienti aridi o desertici;
Con il progetto For Climadapt si sono sintetizzate l’insieme delle sperimentazioni e, anche mediante il contributo
di esperienze diverse da parte del partenariato, sono state
delineate linee guida per indirizzare in maniera consapevole le scelte degli enti gestori e dei politici.
il progetto interessa soprattutto gli obiettivi:
• Ripristino delle funzionalità ecosistemiche e tutela del
patrimonio naturale del Parco e delle aree contigue.
• Miglioramento della qualità dell’ambiente ed incremento del livello della sicurezza nel territorio del Parco.
• Consolidamento della funzione dialogica dell’Ente per
favorire la diffusione e condivisione di competenze e
conoscenze su cui fondare lo sviluppo dell’area Parco.
L’Ente Parco, nel sito sperimentale collocato nella Riserva Forestale di Protezione Tirone Alto Vesuvio, ha sperimentato tecniche di ingegneria naturalistica e protocolli
di gestione forestale orientati al contenimento delle specie
esotiche.
In questa sede si sintetizzano i risultati ottenuti sui protocolli di gestione forestale orientati al contenimento delle
specie esotiche.
Il Parco nazionale del
Vesuvio è uno scrigno
di biodiversità: il mare,
la montagna, il vulcano,
la varietà dei luoghi,
gli splendidi scorci
naturalistici, le tante specie
di piante, animali, minerali,
i tanti paesi ognuno con la
propria storia e tradizione,
rendono l’area vesuviana uno
dei luoghi più affascinanti da
visitare.
Il ruolo del Corpo forestale dello Stato
nella tutela della biodiversità in italia
tra passato e futuro
Antonio Zumbolo
Ufficio Territoriale per la Biodiversità di Caserta
L’
Ufficio per la Biodiversità del Corpo Forestale
dello Stato è preposto alla tutela e salvaguardia
delle riserve naturali statali riconosciute d’importanza nazionale e internazionale.
Il termine biodiversità descrive la varietà di esseri
viventi (animali, piante e microrganismi), così come li conosciamo oggi, e i cicli naturali che regolano la vita sul
nostro Pianeta. La diversità biologica o biodiversità, è
frutto dell’evoluzione naturale di 3 miliardi e mezzo di
anni e, in modo più determinante, dell’azione dell’uomo.
Istituito nel 2005, l’U.T.B. è l’erede dell’Azienda di Stato
per le Foreste Demaniali che, nel 1910 avviò la sua storica azione di gestione dei beni demaniali per la conservazione di un patrimonio naturalistico fondamentale
per la biodiversità nazionale. E’ ben nota a tutti e non
solo agli addetti ai lavori, l’operatività dell’Azienda di
Stato per le Foreste Demaniali, ufficialmente soppressa
nel 1977 con il D.P.R. n.616.
Gli attuali Uffici Territoriali per la Biodiversità, sono
gli eredi morali dell’A.S.F.D., con il precipuo compito di
tenere il passo con l’evolvere dei tempi e con le nuove richieste di una
società post-industriale e globalizzata, dove la valenza
ecologica è particolarmente sentita.
Con la riforma del C.F.S. i
nuovi Uffici per la Biodiversità
fondano dunque la loro
operatività essenzialmente
su quattro pilastri di primaria
importanza:
- tutela e salvaguardia delle
riserve naturali dello Stato e delle
altre aree di interesse naturalistico;
- conservazione e salvaguardia della biodiversità
animale e vegetale;
- promozione dell’attività di ricerca scientifica e di
programmi finalizzati allo studio ed alla conservazione della biodiversità;
19
Il ruolo del corpo forestale dello stato nella tutela della biodiversità in italia tra passato e futuro
20
- promozione di attività di educazione ambientale e
comunicazione.
Ripercorrendo la storia, l’A.S.F.D. trae origine nel
1910 con la Legge Luzzatti, ma è il Serpieri, agronomo
e politico illustre, a definirne compiutamente compiti e
funzioni, prima con la Legge forestale del 1923 che
istituisce l’Azienda del Demanio Forestale e poi con la
più specifica Legge n.30 del 1933, che la trasforma in
Azienda di Stato per le Foreste Demaniali.
In quegli anni intensa è l’economia montana e le foreste sono fortemente utilizzate, pascolate, antropizzate; c’è fame di terra e il disboscamento è intenso, quindi
un vero pericolo per la stabilità e l’integrità del territorio.
Le foreste dello Stato sono considerate da allora
beni demaniali inalienabili ed indisponibili, dovendo
essere esempio di una buona gestione e fornire l’incremento alle attività selvicolturali e al commercio dei
prodotti forestali.
Con il R.D.Lg.vo n.3267 del 1923 e più ancora con
quello del 1933, il demanio forestale si amplia progressivamente; all’Azienda di Stato si chiede anche di fornire una riserva strategica di legname per i bisogni del
Paese. E’ altresì facoltà del Ministero espropriare terreni
per ampliare le foreste demaniali.
La Legge del 1923 dà la facoltà al Ministero di
fare concessioni temporanee di aree nei terreni amministrati dall’A.S.F.D. per edificarvi alberghi, stabilimenti
idroterapici o climatici, per l’esercizio di industrie forestali ed altre finalità prettamente economiche.
L’Azienda nel 1927 assume personalità giuridica
propria, con gestione autonoma, alla stessa stregua di un “Ente parastatale”, equiparata alle altre
Amministrazioni dello Stato per quanto attiene il regime fiscale.
In questi stessi anni all’A.S.F.D. è affidata la gestione
tecnica ed amministrativa dei Parchi Nazionali d’Abruzzo, dello Stelvio, del Gran Paradiso e del Circeo,
a cui, poi, si aggiungerà il Parco della Calabria.
Nel dopoguerra la Legge della montagna del
1952, detta anche Legge Fanfani, apporta notevoli
impulsi all’A.S.F.D. per darle la possibilità di nuovi acquisti immobiliari ed incrementando l’attività di rimboschimento e di sistemazioni idrauliche attraverso i famosi
“cantieri scuola”.
Così l’Azienda può accedere ai mutui presso la
Cassa depositi e prestiti e presso altri Istituti di credito
per acquistare terreni nudi, cespugliati, parzialmente
boscati da rimboschire o per farne prati-pascolo e per
costruirvi zone di ripopolamento e di cattura per la selvaggina nobile stanziale.
Con il 2° Piano Verde (Legge 910/1966 – art.29)
l’A.S.F.D. può ulteriormente ampliare i propri obiettivi, costituendo anche vere e proprie aziende zootecniche,
accentuando così la vocazione ad essere modello
di proposta per lo sviluppo dell’economia montana in
Italia.
Crescente e progressiva è l’acquisizione all’A.S.F.D.
di nuovi terreni, passando dai 95.719 ettari del
1914 agli oltre 224.000 ettari del 1924, per arr
ivare alla massima estensione nel 1974, quando la
proprietà demaniale, gestita dall’A.S.F.D., si sviluppa
per oltre 418.000 ettari, senza contare che già erano stati trasferiti alle Regioni a Statuto Speciale oltre
99.500 ettari (al Trentino 64.814 Ha; alla Sardegna
26.152 Ha; alla Sicilia 4.865 Ha; al Friuli Venezia Giulia
3.702 Ha).
Sulla base della Legge delega del 16 maggio
1970 n.281 viene emanato il D.P.R. n.11/1972 col quale
si dichiara il trasferimento dei beni forestali dello Stato
alle Regioni; sono esclusi quei terreni che non avevano
caratteristiche colturali produttive forestali ovvero che
costituiscono fasce litoranee frangivento, riserve natu-
Il ruolo del corpo forestale dello stato nella tutela della biodiversità in italia tra passato e futuro
rali, boschi da seme, aventi finalità di protezione idrogeologica naturalistica e comunitaria.
Ed in tal senso ha operato intensamente in quel periodo l’A.S.F.D., attraverso l’istituzione e l’identificazione
di gran parte delle foreste demaniali in Riserve Naturali
Statali.
Il 1977 segna l’anno della svolta, con la soppressione dell’A.S.F.D. e con il passagio, ope legis
(D.P.R.616/1977, art.68), alle Regioni di gran parte del
demanio, per circa 345.000 ettari; continua a restare
una gestione residuale su una proprietà non superiore all’1% di quella complessiva, da destinare a scopi
scientifici, sperimentali e didattici di interesse nazionale.
Non rientrano nel trasferimento alle Regioni a
Statuto Ordinario le Riserve Naturali dello Stato ed
altri ambiti protetti, le aree sperimentali di interesse nazionale, i terreni d’interesse militare, le caserme forestali,
per una consistenza complessiva di oltre 76.500 ettari.
La Corte dei Conti, con decisione n.855 del 1978,
ha riconosciuto alla soppressa Azienda la figura di
Organo dello Stato, stabilendo che continuasse con
la denominazione di Gestione ex A.S.F.D..
Così dal 1° gennaio 1978 inizia la difficile gestione
“ex A.S.F.D.”, su quasi 76.500 ettari tra boschi ed alcune
aziende agro-zootecniche e faunistiche; terminerà solo
nel 2004, con l’emanazione della recente Legge di
riordino del C.F.S..
Si è trattato di un lungo periodo transitorio durante
il quale la ex A.S.F.D. ha effettuato, comunque la si voglia vedere, una gestione conservativa del patrimonio,
impiegando in media circa 1.500 operai, con contratto di diritto privato, come esplicita la Legge 124
del 1985, per la gestione: di aree protette; di Riserve
Naturali ed Integrali; di aree di rilevante interesse naturalistico anche per conto del Ministero dell’Interno o di
altri soggetti pubblici; di aziende pilota per la conservazione della biodiversità animale e per l’allevamento
di cavalli da impiegare per scopi istituzionali; di centri
per la produzione di sementi forestali selezionate.
Negli ultimi anni, con il manifestarsi di crescenti bisogni volti alla tutela della biodiversità, e all’imporsi della
“selvicoltura naturalistica”, anche l’attività gestionale
dell’ex A.S.F.D. ha accelerato in tali direzioni, virando
nettamente le “aziende pilota” da prototipi aventi anche risvolti commerciali, in Centri Nazionali per lo studio, la conservazione e la salvaguardia del patrimonio
genetico di razze in via d’estinzione o per favorire la
diffusione di fauna selvatica autoctona.
Ancora oggi il principale filone di attività consiste
nella gestione di 130 Riserve Naturali Statali, in virtù
della Legge Quadro sulle aree protette (L.394/1991)
e delle Riserve biogenetiche; queste aree sono tra le
meglio conservate, come rimarcano i riconoscimenti ricevuti a livello internazionale.
Si ha infatti che:
-68 aree sono ricomprese nella rete europea delle
riserve biogenetiche, istituita dal Consiglio d’Europa;
- 105 aree sono ricomprese nella rete Natura 2000,
istituita ai sensi della Direttiva 92/43/CEE, relativa
alla conservazione degli habitat naturali e seminaturali e della flora e della fauna selvatica e della
Direttiva 79/409 CEE relativa alla conservazione
degli uccelli selvatici;
- 3 aree (Circeo, Monte di Mezzo e Collemeluccio)
godono del riconoscimento di riserva della biosfera
dell’UNESCO;
- 9 aree sono riconosciute zone umide d’importanza
internazionale ai sensi della Convenzione di Ramsar;
- 2 aree (Montecristo e Sassofratino) sono Riserve
Integrali, che hanno acquisito il Diploma Europeo istituito dal Consiglio d’Europa.
I predetti ambiti, che rappresentano circa il 5%
21
Il ruolo del corpo forestale dello stato nella tutela della biodiversità in italia tra passato e futuro
della superficie protetta, ospitano quasi il 20% delle
specie vegetali considerate a rischio di conservazione
in Italia ed il 70% delle 88 specie di avifauna sempre
oggetto di tale rischio.
Le Riserve Statali inserite in Parchi Nazionali sono
58, per un totale di oltre 58.000 ettari; tra esse vi è
la Riserva Forestale di Protezione “Tirone-Alto Vesuvio”,
inclusa nel Parco Nazionale del Vesuvio.
Recentemente, con Decreto del Capo del Corpo,
gli Uffici dell’A.S.F.D. hanno ceduto il passo ai nuovi Uffici
centrali e periferici per la Biodiversità, che sono armonizzati al perseguimento delle funzioni proprie della
Legge di riordino del C.F.S..
Va rimarcato come quasi tutti gli attuali beni demaniali, gestiti dalle nuove strutture del C.F.S., siano
strettamente funzionali e strumentali all’assolvimento dei
compiti istituzionali dello stesso Corpo, per perseguire
compiutamente le finalità della Legge 36/04, ovvero
l’educazione ambientale, l’attività addestrativa e formativa, l’attività di studio, la conservazione della biodiversità animale e vegetale; basi queste fondanti i nuovi
e riorganizzati Uffici per la Biodiversità.
Sul trasferimento delle Riserve Naturali interne in tut-
22
to o in parte ai Parchi Nazionali, pari ad oltre 58.000
ettari, l’Amministrazione ha già avviato un’opportuna
interlocuzione col Ministero dell’Ambiente e con gli Enti
Parco per verificare la possibilità di una fattiva collaborazione tra i vari soggetti interessati, aventi tutti il comune obiettivo: la tutela ambientale.
In Campania, l’Ufficio Territoriale per la Biodiversità ha
sede a Caserta e gestisce i seguenti beni:
- Riserva Forestale di Protezione “Tirone-Alto Vesuvio”,
in Provincia di Napoli, con una superficie di circa
1000 Ha;
- Riserva Naturale Orientata “Valle delle Ferriere”, in
Comune di Scala (SA), nella costiera amalfitana,
con una superficie di circa 500 Ha;
- Riserva Naturale di “Castel Volturno” (CE), di circa
250 Ha.
- L’U.T.B., inoltre, gestisce altri siti di interesse naturalistico:
- Cipresseta di “Fontegreca” (CE), di circa 60 Ha;
- Bosco Flegreo “S. Michele Arcangelo” di Napoli;
- Arboreto da seme “S. Michele” di Alife (CE).
Il ruolo del corpo forestale dello stato nella tutela della biodiversità in italia tra passato e futuro
La Riserva Forestale di Protezione
“Tirone-Alto Vesuvio”
I terreni della Riserva furono consegnati al Corpo
Forestale, dal Demanio dello Stato, nel 1912.
I lavori svolti dal C.F.S. interessarono circa 3500 Ha
di aree demaniali e non, ed avevano i seguenti obiettivi:
- trattenere i materiali eruttivi sulle pendici;
- sistemare il corso dei torrenti esistenti;
- sistemare le frane;
- rimboschire (ripetutamente, a causa delle eruzioni
laviche) le zone spoglie di vegetazione, con pino
domestico, pino marittimo e ginestre;
- vendere i materiali prodotti: strobili, legna, fascine di
ginestra.
La difesa idrogeologica ha rappresentato lo scopo principale per la tutela dei numerosi centri abitati
situati intorno al complesso vulcanico.
I lavori di sistemazione e manutenzione, praticamente, non sono stati quasi mai interrotti, fatto salvo
che nei due periodi bellici.
Nel dopoguerra sono stati eseguiti rimboschimenti
nelle zone prive di alberi anche in conseguenza
dell’ultima eruzione vulcanica del 1944.
La Riserva Forestale di Protezione “Tirone-Alto
Vesuvio” è stata istituita con Decreto del Ministero
dell’Agricoltura e delle Foreste del 29.03.1972, con i
seguenti obiettivi:
- tutelare il patrimonio naturalistico e paesaggistico
presente nella riserva;
- consentire la ricerca scientifica;
- favorire la divulgazione ambientale e le visite naturalistiche guidate.
Essa si estende su di una superficie complessiva
di Ha 1.019 e rientra totalmente nel Parco Nazionale
del Vesuvio, a seguito della Legge quadro sulle aree
protette n.394 del 06.12.1991.
L’altitudine sul livello del mare è compresa tra un
minimo di m 250 ed un massimo di m 1.281. R i c a d e
interamente in Provincia di Napoli e più precisamente
nei territori dei Comuni di Ercolano, Torre del Greco,
Trecase, Boscotrecase, Terzigno ed Ottaviano.
La Riserva, per la sua posizione al centro del
golfo di Napoli, gode di un clima abbastanza mite
con differenze di temperature e di piovosità poco
23
Il ruolo del corpo forestale dello stato nella tutela della biodiversità in italia tra passato e futuro
24
marcate alle diverse quote e sui differenti versanti.
L’estremo grado di permeabilità degli orizzonti
più superficiali del suolo fa si che le acque pluviali vengano immediatamente avviate verso gli strati
profondi, determinando l’assenza di una rete idrica superficiale.
Fenomeni di ruscellamenti sono evidenti soltanto durante la stagione autunnale, assumendo spesso carattere
torrentizio.
La vegetazione è costituita soprattutto, fino a quota 750 mt s.l.m. circa, da pini del piano basale e
leccio; quest’ultimo si sta diffondendo ove le condizioni edafiche lo consentono e negli spazi vuoti fra le
conifere.
Entro la Riserva è consentito l’accesso esclusivamente per ragioni di studio, per fini educativi, per
escursioni naturalistiche, per compiti amministrativi e di
vigilanza, nonché ricostitutivi di equilibri naturali, restando vietata qualsiasi altra attività antropica.
Le attività produttive consentite consistono nella
raccolta e relativa vendita di strobili di pino domestico,
nonché vendita della legna proveniente dai lavori di
manutenzione effettuati nell’ambito della Riserva.
La Riserva, con sempre maggiore frequenza, è
meta di visite guidate da parte di scolaresche ed
associazioni varie che manifestano vivo interesse per
tutto ciò che concerne la problematica ambientale.
Attualmente, l’U.T.B., attraverso l’impiego del proprio
personale operaio, svolge i seguenti interventi all’interno della Riserva:
- lotta fitosanitaria contro la processionaria del pino
(consistenti nella cattura dei maschi con trappole a
feromoni e nell’asportazione e distruzione dei nidi)
e contro altri parassiti (consistenti nel taglio delle
piante attaccate e nella distruzione del materiale
infetto);
- taglio delle piante morte o deperienti;
- lavori di diradamento nel caso di eccessiva densità
delle piante;
- lavori di prevenzione incendi, consistenti nella apertura e manutenzione di fasce tagliafuoco nonchè
nella potatura dei rami bassi nelle aree a maggior
rischio, sorveglianza, avvistamento; in caso di incendi,
interventi di spegnimento con l’impiego di operai forestali ed automezzi;
- lavori di manutenzione degli stradelli di servizio e delle recinzioni;
- lavori di sistemazione idraulico forestale con pulizia
delle briglie in pietra esistenti e palificate.
Per il futuro, oltre alla continuazione degli interventi sopra descritti, si prevede un eventuale progressivo
diradamento nelle pinete a maggiore densità, anche
al fine di favorire la naturale diffusione del leccio e di
altre specie indigene.
Attualmente, l’U.T.B. è altresì impegnato nel For
Climadapt, un progetto di cooperazione internazionale incentrato sul tema della foresta mediterranea e sugli
effetti che il cambiamento climatico in atto produce su
tale ecosistema.
Ne fanno parte soggetti di nazionalità italiana,
francese, spagnola, portoghese e greca; il partner capofila del progetto è il Parco nazionale del Vesuvio.
L’obiettivo del progetto è quello di anticipare ed
attenuare le conseguenze dei rischi sulle foreste dell’area mediterranea, associati ai cambiamenti climatici,
oramai riconosciuti dalla quasi totalità della comunità
scientifica.
Infatti sul bacino del mediterraneo è quasi certo
che nel prossimo futuro si produrranno un aumento delle
temperature ed un aumento della frequenza e dell’intensità dei fenomeni esterni, quali siccità prolungate,
precipitazioni violente ed inondazioni.
In conseguenza di ciò la biodiversità vegetale, e
conseguentemente animale, sarà seriamente minacciata e, nonostante la resistenza degli ecosistemi mediterranei a questi cambiamenti, è da temere nei prossimi
anni, la scomparsa di un gran numero di specie, tanto
più che il mediterraneo è una regione di forte endemismo.
Il progetto quindi si pone come intermediario tra i
lavori degli scienziati facenti parte del progetto e le
esigenze degli amministratori di spazi boscosi e naturali
fortemente minacciati e vuole offrire a questi ultimi validi
strumenti ed orientamenti per una gestione efficace e
duratura del fenomeno.
Esso ha lo scopo di registrare in questa rete di partner europei, tutti interessati alla gestione di aree boscate in ambito mediterraneo, come questi rischi sono
percepiti, quali soluzioni sono previste e quali sperimentazioni sono in atto su queste particolari esigenze.
Dalla condivisione delle diverse esperienze e competenze dei partecipanti al progetto si avvierà una
comune riflessione sul tema, per giungere a formulare
raccomandazioni e/o soluzioni gestionali al problema.
La colonizzazione dei suoli
lavici,ha avuto inizio poco
dopo il raffreddamento
ed è dovuta al
lichene Stereocaulon
vesuvianum, che ha
forma di corallo ed è
stato il primo essere
vivente a insediarsi
sulla lava raffreddata,
preparando il suolo
per l’attecchimento
delle piante. Ricopre
interamente le lave
vesuviane e le colora di
grigio, facendo assumere
alla lava riflessi argentati
nelle notti di luna piena.
Risultati di piantagioni sperimentali
sotto copertura e variazioni della
struttura dei popolamenti arborei
nel periodo 2005-2011
Francesco Cona, Stefano Mazzoleni, Antonio Saracino
Dipartimento di Agraria Università di Napoli “Federico II” Via Università 100 Portici (NA)
Nel presente rapporto si espongono i principali risultati ottenuti in parcelle sperimentali permanenti realizzate
nel 2005 in soprassuoli caratterizzati da elevata artificialità, costituiti da specie esotiche con fenomeni di successione secondaria in atto. In questo anno in 30 parcelle di 650 m2 sono state effettuate sottopiantagioni
di semenzali S1 di specie autoctone secondo una disposizione spaziale definita da un protocollo predefinito.
Contestualmente è stata rilevata la struttura dei popolamenti arborei dove ciascuna pianta è stata georeferenziata. Nel 2011 si è proceduto alla ricognizione delle piantine messe a dimora e alla misurazione dei parametri dimensionali del popolamento arboreo all’interno delle parcelle. In seguito sono stati effettuati interventi
dimostrativi di diradamento la cui finalità è quella di modificare il clima luminoso di bosco e quindi assecondare
i fenomeni di rinaturalizzazione in atto lo sviluppo delle specie autoctone.
1. Clima dell’area di studio
Il Reale Osservatorio Vesuviano fu fondato nel 1841
per volere del Re Ferdinando II di Borbone e inaugurato, pur non completo, il 28 settembre 1845. Costruito a
608 m sul livello del mare, a una latitudine di 40°49’60”
e longitudine di 14°23’87”, l’Osservatorio Vesuviano
sorge su di un’altura isolata, la collina del Salvatore,
che rappresenta il dente più occidentale del recinto
craterico del Monte Somma.
Attualmente l’Osservatorio Vesuviano è gestito dalla
Sezione di Napoli dell’Istituto Nazionale di Geofisica e
Vulcanologia (INGV).
Per la sua localizzazione la stazione di rilievo meteorologico dell’Osservatorio può essere considerata rappresentativa per l’area studio oggetto di analisi della
struttura forestale del progetto ForClimadapt.
1950-1980
25.0
250
20.0
200
P (mm)
150
15.0
100
10.0
50
dicembre
novembre
ottobre
settembre
agosto
luglio
giugno
maggio
aprile
-50
marzo
0
0.0
febbraio
5.0
gennaio
T (°C)
Temperature
Precipitazioni
Figura 1
Diagramma termopluviometrico.
Periodo 1950-1980.
27
Risultati di piantagioni sperimentali sotto copertura e variazioni
della struttura dei popolamenti arborei nel periodo 2005-2011
Figura 2
Diagramma termo pluviometrico. Periodo
1981-2001.
1981-2001
Temperature
Precipitazioni
25.0
250
150
P (mm)
T (°C)
20.0
15.0
10.0
50
Per la caratterizzazione climatica dell’area in esame
sono stati presi in considerazione gli andamenti di
temperatura e precipitazione nel periodo dal 1950 al
2001 (anno di chiusura della stazione meteorologica).
Tali serie di dati sono stati suddivisi in due sub-periodi:
dal 1950 al 1980 e dal 1981 al 2001.
Dalle elaborazioni emerge che la temperatura media
annuale è aumentata passando da 13,8°C (periodo
1950-1980) a 14,3°C (periodo 1981-2001), così
come le temperature medie dei mesi più freddi (da
5,7°C a 6,0°C) che più caldi (da 22,4°C a 23,7°C)
mentre, la piovosità annua è diminuita da 968 mm a
842 mm. L’innalzamento delle temperature medie e la
diminuzione delle precipitazioni confermano un trend
all’incremento della temperatura. Le precipitazioni inol-
28
dicembre
novembre
ottobre
settembre
agosto
luglio
giugno
maggio
aprile
marzo
febbraio
0.0
gennaio
5.0
-50
tre tendono a concentrarsi in periodi ristretti dell’anno:
si assiste ad una tendenza a lunghi periodi piovosi che
scaricano sul territorio decine di centimetri di acqua in
pochi giorni, che potrebbero scatenare dei processi
franosi lungo i versanti meno stabili.
I diagrammi termo pluviometrici evidenziano il rapporto
tra le temperature e le precipitazioni medie mensili e,
con l’estensione del poligono di intersezione tra i due
diagrammi, dà un’idea immediata di quanto sia intensa
ed estesa nel tempo la condizione di aridità.
Il diagramma descrive un clima di tipo temperato di
transizione caratterizzato da un periodo arido durante
il trimestre estivo (P < 100 mm) e da una piovosità concentrata nei mesi autunno-invernali.
Lungo le pendici del complesso vulcanico il clima va-
Risultati di piantagioni sperimentali sotto copertura e variazioni
della struttura dei popolamenti arborei nel periodo 2005-2011
Figura 3
Localizzazione delle 30 parcelle sperimentali (Recoforme Project). Nel 2005 erano state individuate 30 aree sperimentali costituite da
27 parcelle permanenti circolari di 650 m² (raggio = 14,38 m) e 3 rettangolari (7 m x 10 m) localizzate nella Riserva Tirone Alto-Vesuvio
(parcelle da n.1 a n.12), nel Vallone Molaro (parcelle da n.13 a n.15) e sul Monte Somma (parcelle da n. 18 a n. 30).
ria secondo un cline, dal piano basale dove esso è
simile a quello della pianura circostante, alle aree montane dove il clima è caratterizzato da una maggiore
piovosità e minore aridità estiva. Le località situate sul
versante meridionale del Vesuvio risultano più aride in
estate e meno piovose in autunno–inverno. In conclusione possiamo dire che il complesso Somma–Vesuvio,
localizzato sul versante tirrenico, è interessato da frequenti perturbazioni di origine occidentale che investono direttamente i rilievi vulcanici determinando una
maggiore umidità ambientale.
La superficie boschiva risulta distribuita fra le quote
altimetriche tra i 150 e 1000 m s.l.m. In questo range
altitudinale la vegetazione forestale si distribuisce nella fascia Mediterranea cui corrisponde il fitoclima del
Lauretum sottozona media e fredda, nella fascia submontana (o basale) cui corrisponde il fitoclima del Castanetum.
2. Parcelle permanenti di monitoraggio
Nell’ambito del progetto FORCLIMADAPT sono stati
effettuati rilievi dendrometrici e vegetazionali all’interno
di parcelle sperimentali realizzate nel 2005 nell’ambito del progetto Interreg IIIB Medocc – RECOFORME
(2002-2006). La finalità è quella di documentare le
dinamiche vegetazionali dei popolamenti forestali e
l’espansione delle specie aliene invasive.
Una volta eseguite le analisi dendrometriche e vegetazionali, in alcune parcelle di pineta sono stati effettuati
interventi di riduzione della copertura arborea median-
29
Risultati di piantagioni sperimentali sotto copertura e variazioni
della struttura dei popolamenti arborei nel periodo 2005-2011
Figura 4
Esempio di mappa di campo utilizzata per l’individuazione delle piante misurate nel 2005.
30
te diradamenti, al fine di favorire lo sviluppo delle specie autoctone (Quercus ilex) ivi presenti sia nello strato
arboreo che in quello di rinnovazione e per contrastare le specie invasive (Robinia pseudoacacia). Nelle
rimanenti parcelle (boschi di misti di latifoglie con forte
invasione di Robinia pseudoacacia) sono previste delle piantagioni sottocopertura di specie autoctone.
Nel rilievo del 2005 la posizione di ciascuna pianta con portamento arboreo presente all’interno delle
parcelle è stata fissata mediante coordinate polari e
numerata in modo permanente.
Le mappe georeferenziate (Figura 4) unitamente alle
schede di rilievo compilate nel 2005 sono state aggiornate nel 2011.
In ciascuna parcella sono state eseguite le seguenti
misurazioni dendrometriche:
• Diametro a petto d’uomo (a 1,30 m dal suolo) in cm
delle piante con diametro ≥ 2.5 cm.
• Altezza totale in metri (h) di tutti gli alberi.
• Altezza di inserzione della chioma verde in metri di
tutti gli alberi.
• Diametri della chioma in metri, misurati nelle direzioni
Risultati di piantagioni sperimentali sotto copertura e variazioni
della struttura dei popolamenti arborei nel periodo 2005-2011
Figura 5
Esempio di analisi dell’evoluzione della copertura arborea.
Figura 6
Distribuzione della copertura arborea delle specie rinvenute in alcune parcelle sperimentali
31
Risultati di piantagioni sperimentali sotto copertura e variazioni
della struttura dei popolamenti arborei nel periodo 2005-2011
dei quattro punti cardinali (Nord-Sud e Est-Ovest).
Le parcelle sperimentali (e i dati rilevati) sono state
inserite in un GIS, utilizzando il software ARCGIS 9.3 per
Windows.
Successivamente sono state elaborate delle mappe
relative all’evoluzione della copertura delle chiome tra
il 2005 e il 2011 (Figura 5).
Figura 7
Plot sperimentali d’impianto. Le linee rosse indicano le distanze dei plot dall’albero che occupa la
posizione centrale nelle parcella di 650m2, (X=Quercus pubescens, Y=Fraxinus ornus, Z=Quercus ilex).
32
3. Impianti sperimentali di specie autoctone
Nel 2005 all’interno di 18 particelle sono state messe
a dimora sotto varie tipologie di copertura arborea,
giovani piantine di Quercus pubescens, Fraxinus Ornus
e Quercus ilex. Lo schema sperimentale adottato è riportato in Figura 7 e consisteva nella realizzazione di
tre plot di 3x3 m all’interno dei quali sono state inserite
3 piante per ogni specie adottando il layout del quadrato latino (QL).
I tre plot sperimentali d’impianto prevedevano tre tipi di
trattamento:
A. Nessun intervento sulla vegetazione;
B. Taglio degli esemplari arborei ed arbustivi con diametro inferiore ai 5 cm;
C.Taglio totale della vegetazione presente.
Nel 2011 sono state eseguite le seguenti misurazioni:
• Misura del diametro (cm) al colletto delle piantine
rinvenute.
• Misura dell’altezza (m) delle piante rinvenute. In figura 8 è illustrato uno dei plot oggetto di rilievo.
Dall’analisi dei dati è risultato (Tabella 1) che nelle 14 aree rilevate per una totalità di 126 piantine
messe a dimora (9 piantine per specie per ogni area
suddivise nei 3 plot), il 34,1% di queste è sopravvissuto,
di cui il 54,8% di orniello, il 26,7% di roverella e il 20,6%
di leccio (il dato riferito al leccio potrebbe essere falsato dalla folta presenza di rinnovazione naturale di
questa specie che ha impedito il riconoscimento uni-
Risultati di piantagioni sperimentali sotto copertura e variazioni
della struttura dei popolamenti arborei nel periodo 2005-2011
Trattamento A
Trattamento B
Trattamento C
Figura 8
Plot sperimentali. Le frecce gialle indicano le piante rilevate.
33
Risultati di piantagioni sperimentali sotto copertura e variazioni
della struttura dei popolamenti arborei nel periodo 2005-2011
Tabella 1 - Risultati dell’impianto di specie autoctone all’interno delle parcelle sperimentali (n=18).
voco delle piante messe a dimora nei plot, per quanto
riguarda la roverella spesso gli individui monitorati risultavano essere ricacci delle piante originarie).
Dall’elaborazione statistica dei risultati non risulta esserci correlazione significativa tra specie e tipo di trattamento né nei riguardi della crescita diametrica né in
quella in altezza. Differenze significative si sono riscontrate, invece, tra le specie. I maggiori tassi di crescita in
altezza e in diametro e di sopravvivenza, indifferentemente dal tipo di trattamento e di copertura arborea,
sono da attribuirsi a Fraxinus ornus.
34
4. Variazione della copertura arborea e dei parametri dendrometrici nel periodo 2005-2011
In seguito alle analisi dei dati strutturali rilevati nelle
diverse tipologie forestali e parcelle sperimentali la
sintesi dei risultati evidenzia che:
1) Il pino domestico mostra una progressiva riduzione del suo contributo alla densità del soprassuolo
nell’intervallo temporale considerato (2005-2011)
2)Il pino domestico mostra scarsissima propensione a
rinnovarsi per seme.
3) Il pino marittimo mostra una tendenza all’incremento
del suo contributo alla densità del soprassuolo nel
periodo di tempo considerato.
4) Il pino marittimo mostra una maggiore propensione,
rispetto al pino domestico, a rinnovarsi per seme,
soprattutto nelle aree di margine di boschi, nonché
nelle radure e nelle chiarìe.
5)Il leccio, nel periodo considerato, mostra un lieve
ma progressivo aumento del suo contributo in termini di area basimetrica, anche quando è relegato
nel piano inferiore. Quando compete con i pini e la
robinia nel piano superiore, il leccio esercita con la
sua chioma una forte competizione con le chiome
delle suddette altre specie.
6)Nello strato di rinnovazione il leccio ha mostrato
un incremento demografico in tutte le tipologie di
soprassuolo oggetto di rilievo, anche quando la
fonte del seme era distante.
7)La robinia, nel consorzio delle pinete, non manifesta forti capacità competitive essendo relegata
prevalentemente nel piano inferiore. Nel periodo di
censimento considerato la specie ha fatto registrare una mortalità variabile dal 4,6% al 42,9% nelle
parcelle 2, 4, 7, 10 e 11. Lo stesso si è verificato
nella parcella 8 situata in una lecceta. Questi dati
di mortalità sono stati registrati in assenza di disturbi
di qualsiasi natura. Laddove, invece, sono stati eseguiti tagli su ceppaia come nelle parcelle 1, 2, 5, 6
e 10 l’incremento demografico della popolazione
clonale di robinia è avvenuto mediante ricacci radicali.
8)La robinia nei boschi puri e soprattutto nei consorzi
misti ad altre latifoglie del Monte Somma (parcelle
20, 21, 22, 23, 24, 25 26, 27 e 28) ha registrato
una mortalità naturale variabile dal 14,3% al 37,2%
(Tabella 2).
Risultati di piantagioni sperimentali sotto copertura e variazioni
della struttura dei popolamenti arborei nel periodo 2005-2011
Tabella 2
Mortalità degli esemplari di robinia censiti nel 2011
nelle parcelle sperimentali
Nelle figure seguenti sono esposti a titolo esemplificativo i risultati dei rilievi svolti in alcune parcelle
sperimentali rappresentative dei diversi popolamenti forestali studiati.
Figura 9
Ads 1. Pineta di pino domestico. Periodo 2005-2011 – Confronto dei parametri dendroauxometrici.
35
Risultati di piantagioni sperimentali sotto copertura e variazioni
della struttura dei popolamenti arborei nel periodo 2005-2011
Figura 10
Ads 1. Pineta di pino domestico. Periodo 2005-2011 –Confronto dei parametri dendroauxometrici.
36
Figura 11
Ads 8. Lecceta. Periodo 2005-2011 - Confronto dei parametri dendroauxometrici.
Risultati di piantagioni sperimentali sotto copertura e variazioni
della struttura dei popolamenti arborei nel periodo 2005-2011
Figura 12
Ads 8. Lecceta. Periodo 2005-2011 - Confronto dei parametri dendroauxometrici
Figura 13
Ads 18. Boschi misti radi su lave. Periodo 2005-2011 - Confronto dei parametri dendroauxometrici.
37
Risultati di piantagioni sperimentali sotto copertura e variazioni
della struttura dei popolamenti arborei nel periodo 2005-2011
Figura 14
Ads18”. Boschi misti radi su lave.
Periodo 2005-2011
Confronto dei parametri dendroauxometrici.
Figura 15
Ads 21. Robinieti. Periodo 2005-2011
Confronto dei parametri dendroauxometrici.
38
Figura 16
Ads 21. Robinieti. Periodo 2005-2011
Confronto dei parametri
dendroauxometrici
L’elenco floristico comprende ben
906 specie. Tra queste sono
da evidenziare presenze
di grande interesse, quali
ad esempio, l’Acero
napoletano, l’Ontano
napoletano, ed
Helicrhysum litoreum,
una pianta pioniera
particolarmente
frequente sul Vesuvio.
Da segnalare anche
l’alto numero di specie
di orchidee, ben 23,
e la ginestra, presente
con diverse specie,
tra queste anche la
Ginestra dell’Etna,importata
dall’Etna nel 1906 e oggi
ampiamente distribuita su tutto
il territorio vesuviano.
Analisi dell’impatto di Genista aetnensis
(Biv.) DC. (Fabaceae) sul Vesuvio
(Sud Italia)
Adriano Stinca, Giovanni Battista Chirico & Giuliano Bonanomi
Dipartimento di Agraria, Università di Napoli Federico II, Via Università 100 Portici (NA)
1. Premessa
bbiettivo di questo lavoro è stato valutare
l’impatto sul Vesuvio dell’invasione di G. aetnensis (Biv.) DC.. In particolare la ricerca è
stata finalizzata all’analisi delle conseguenze dovute
alla diffusione di questa specie sulla qualità dei suoli,
sulle proprietà idrologiche del suolo e sul microclima
generato dalla chioma, oltre che sulla distribuzione
delle specie coesistenti.
Negli ultimi decenni sul Vesuvio si è assistito ad una
rapida espansione di questa specie legnosa azotofissatrice, con evidente alterazione del naturale dinamismo della vegetazione e compromissione del paesaggio (Fig. 1). Questa entità, endemica dell’Etna e
della Sardegna orientale (Pignatti, 1992), fu importata
dalla Sicilia sul Vesuvio dopo il 1906 per imboschimenti (Agostini, 1959) e, pertanto, in Campania è da
considerare aliena.
O
Le figure di seguito riportate (Fig. 1-4) mostrano le dinamiche in oggetto e la struttura dei popolamenti oggetto di studio.
2. MATERIALI E METODI
Il disegno sperimentale ha previsto l’individuazione
di 4 differenti stadi del ciclio ontogenetico di G. aetnensis (Biv.) DC. (Fig. 5)
I Giovane 1 (G1), altezza inferiore a 50 cm ed età
di 3,8 ± 0,8 anni;
II Giovane 2 (G2), altezza 50-200 cm ed età di 8,6
± 1,5 anni;
III Adulto (A), altezza maggiore di 200 cm ed età di
38,4 ± 2,9 anni;
IV Morto in piedi (M), altezza maggiore di 200 cm ed
età di 37,0 ± 1,6 anni.
L’età delle piante è stata valutata mediante analisi
Fig. 1 - Il Gran Cono Vesuviano come si presentava intorno al 1850 confrontato con la situazione attuale. Nel 2012 si nota un’ampia
zona verde-giallastra corrispondente alle cenosi a G. aetnensis (Biv.) DC., assenti invece in precedenza.
41
Analisi dell’impatto di Genista aetnensis (Biv.) DC. (Fabaceae) sul Vesuvio
Fig. 2 - Aspetto di G. aetnensis (Biv.) DC.. A: Pianta Adulta. B: Particolare dell’infiorescenza. C: Particolare dei frutti.
D: Particolare dei rami.
42
Analisi dell’impatto di Genista aetnensis (Biv.) DC. (Fabaceae) sul Vesuvio
Fig. 3 - Popolamenti a G. aetnensis (Biv.) DC. sulle pendici orientali del Vesuvio in primavera (sopra) ed inverno (sotto).
43
Analisi dell’impatto di Genista aetnensis (Biv.) DC. (Fabaceae) sul Vesuvio
44
Fig. 4 - Invasione G. aetnensis (Biv.) DC. sul Gran
Cono Vesuviano. A: Popolamento sul versante
settentrionale. B: Popolamento sul versante sudoccidentale che ormai ha raggiunto la vetta
del cratere. C: Individui isolati sul versante sudorientale.
Analisi dell’impatto di Genista aetnensis (Biv.) DC. (Fabaceae) sul Vesuvio
dendrocronologica di 10 individui scelti a caso per
ogni stadio (n. 40).
Per ciascuno di questi stadi è stata quindi individuata una zona di influenza (definita IN) ed una di non
influenza (definita OUT) della chioma e delle radici in
corrispondenza delle quali sono stati effettuati i successivi campionamenti (Fig. 6).
La lettiera stabilmente presente sulla superficie del
Fig. 5 - Stadi ontogenetici di G. aetnensis (Biv.) DC. studiati.
suolo è stata misurata per due anni consecutivi (2010 e
2011) ed in due momenti dell’anno (maggio e agosto)
mediante aree di saggio quadrate (20 x 20 cm).
Allo scopo di valutare l’effetto dei suoli IN prelevati
agli stadi A e M ed OUT sulla crescita vegetale, sono
state svolte prove di crescita in ambiente controllato. In
particolare, oltre a G. aetnensis (Biv.) DC., sono state testate le specie seguenti:
45
Analisi dell’impatto di Genista aetnensis (Biv.) DC. (Fabaceae) sul Vesuvio
Fig. 6 - Area influenzata (IN) e non influenzata (OUT) da chioma e radici di G. aetnensis (Biv.) DC..
46
- Briza maxima L., erbacea annuale indigena;
- Spartium junceum L., arbusto azotofissatore indigeno;
- Fraxinus ornus L. subsp. ornus, albero caducifoglie
medio-successionale indigeno;
- Quercus ilex L. subsp. ilex, albero sempreverde tardo-successionale indigeno;
- Robinia pseudoacacia L., albero azotofissatore
originario del Nord America in espansione sul Vesuvio.
L’esperimento è stato svolto presso una delle serre
del Dipartimento di Agraria (Portici, provincia di Napoli) dell’Università di Napoli Federico II (temperatura
del giorno 20 °C, notte 15 °C, luce naturale) ed i vasi
sono stati irrigati con acqua distillata ogni 2 giorni fino
alla capacità di ritenzione idrica. La prova è stata interrotta dopo 90 giorni (solo per Q. ilex L. subsp. ilex
dopo 220 giorni).
Le conseguenze sul microclima e sulle condizioni
idrologiche del substrato dovute alla presenza di G.
aetnensis (Biv.) DC. sono state valutate mediante il rilevamento della temperatura dell’aria e del suolo, umidità relativa dell’aria e contenuto idrico del substrato. A
tal fine sono state installate 2 stazioni di monitoraggio
permanenti in posizione IN e OUT per un individuo dello stadio A. La strumentazione è stata collocata lungo
il versante nordorientale del Gran Cono Vesuviano ad
una quota di circa 1055 m s.l.m. (Fig. 7).
Per ogni stazione i sensori di temperatura ed umi-
Analisi dell’impatto di Genista aetnensis (Biv.) DC. (Fabaceae) sul Vesuvio
dità relativa sono stati posizionati a 5 cm al di sopra
della superficie del terreno, mentre le sonde nel suolo
sono state poste orizzontalmente a 5 e 20 cm di profondità. Tutti i dati sono stati raccolti per un periodo
di un anno (gennaio 2012-gennaio 2013), con una
risoluzione temporale di dieci minuti. La maggior parte
degli studi precedenti relativi ad altre specie hanno
monitorato il microclima generato dalla chioma solo
per pochi giorni o alcune settimane (Callaway, 2007).
Nel caso del presente studio, poiché le rilevazioni ri-
Fig. 7 - Localizzazione INA e OUT delle stazioni di monitoraggio.
guardano un intero anno, è possibile valutare gli effetti
sul microclima nelle diverse stagioni.
Per ottenere ulteriori dati sulla temperatura superficiale del suolo IN e OUT, nell’estate 2012, è stata
eseguita un’analisi IR utilizzando una fotocamera termografica (Fluke Yi25).
La radiazione fotosinteticamente attiva (PAR, lunghezza d’onda tra 400 e 700 nm) è stata misurata
con rilevatore LICOR LI-250A ad un’altezza di 0, 50,
100, e 200 cm dal suolo di 5 individui scelti in modo
47
Analisi dell’impatto di Genista aetnensis (Biv.) DC. (Fabaceae) sul Vesuvio
casuale per gli stadi ING1, ING1, INA e OUT. Le misure
sono state effettuate in ottime condizioni di illuminazione, intorno a mezzogiorno, nel luglio 2012.
3. Risultati
3.1. Isola di fertilità
I risultati delle analisi cui sono stati sottoposti i suoli
sono riportati in Tab. 1. Tutti i substrati hanno una tessitura sabbiosa e tale proprietà non è influenzata significativamente dalla presenza di G. aetnensis (Biv.) DC.. I
suoli INA e INM, rispetto a quelli campionati in corrispondenza degli stadi giovanili (ING1 e ING2) e nell’area di
non influenza (OUT), presentano maggiori valori di N
totale, C organico, P2O5, EC, CEC e attività microbica
quantificata tramite la respirazione del suolo e la sua
attività enzimatica FDA. L’incremento dei valori di tali
parametri è direttamente correlato con le fasi di sviluppo della pianta. In particolare si rileva un forte aumento del C organico il quale, da 709 g m-2 nella zona
OUT passa a ben 6213 g m-2 in corrispondenza dello
stadio Adulto (INA). Analogo incremento si verifica per
l’N totale (74 g m-2 nei suoli OUT e 793 g m-2 nei suoli
INA). Di contro si registra una leggera acidificazione
del substrato passando dagli stadi giovanili a quello
Adulto e Morto.
I suoli OUT e ING1 non sono risultati idrofobici (tempo di penetrazione della goccia inferiore ad 1 secondo). Al contrario è stata riscontrata una crescente
idrofobicità negli altri stadi (nei suoli INA la goccia imAree di campionamento
Parametri
OUT
ING1
ING2
INA
INM
730±170a
648±182a
683±231a
754±158a
750±176a
Sabbia (mg g-1)
946±52a
967±11a
957±10a
961±19a
979±14a
Limo (mg g-1)
42±32a
11±9a
9±8a
17±12a
14±13a
Argilla (mg g-1)
C organico (mg g-1)
12±5a
4,43±2,15
22±11a
2,89±1,12
34±16a
7,51±3,36
22±16a
38,83±12,1
7±6a
42,53±5,46
N totale (mg g-1)
0,46±0,19
0,64±0,17
0,74±0,23
4,44±1,50
4,95±1,72
pH
6,47±0,20a
6,39±0,13a
6,06±0,18b
5,42±0,28c
5,40±0,20c
0,049±0,001a
0,041±0,001a
0,123±0,005b
0,701±0,188d
0,404±0,11c
8,08±4,08a
5,93±2,32a
14,75±3,98b
53,43±19,21c
56,28±17,4c
2,19±0,36
2,02±0,21
2,69±0,58
13,62±2,3
16,33±3,56
11,21±2,04a
9,81±1,48a
11,34±2,53a
10,13±0,57a
10,29±1,54a
assente
assente
assente
assente
assente
0,21±0,02a
0,18±0,03a
0,30±0,04b
0,51±0,13c
0,49±0,12c
Mg (meq+ 100 g )
0,19±0,05a
0,22±0,03a
0,27±0,04b
1,68±0,52c
1,14±0,35c
-1
Ca (meq+ 100 g )
1,49±0,19a
1,41±0,14a
1,74±0,26a
10,61±3,15b
12,53±1,92b
Na (meq+ 100 g )
0,12±0,02a
0,10±0,03a
0,11±0,02a
0,12±0,03a
0,11±0,03a
130±61a
197±43ab
250±35b
286±44bc
306±96c
1,39±0,24a
1,25±0,41a
1,80±0,63a
3,89±0,48b
2,78±0,58b
<1±0a
<1±0a
1248±340b
12033±730d
7760±250c
Tessitura
Frazione > 2mm (mg g-1)
Frazione < 2mm (mg g-1)
EC (dS m )
-1
P2O5 (mg kg )
-1
CEC (meq+ 100 g )
-1
C/N
Calcare totale (g Kg )
-1
K (meq+ 100 g )
+
-1
2+
-1
2+
+
-1
FDA (µg g h )
-1 -1
Respirazione (µg CO2-C g soil h )
-1
Idrofobicità (s)
48
-1
Tab. 1 - Caratteristiche fisiche, chimiche e microbiologiche dello strato superficiale di suolo (primi 20 cm) campionato nell’area di influenza (ING1, ING2, INA e INM) e di non influenza (OUT) di G. aetnensis (Biv.) DC.. I dati indicano valori medi ± 1 deviazione standard per tutti
i parametri della terra fine (frazione inferiore a 2 mm di diametro), lettere diverse indicano differenze statisticamente significative tra aree
(ANOVA Duncan test, P <0,05).
Analisi dell’impatto di Genista aetnensis (Biv.) DC. (Fabaceae) sul Vesuvio
piega circa 3 h 20’ per essere assorbita).
Per quanto concerne il colore, tutti i suoli sono risultati
grigio-brunastri per l’elevata presenza di ossidi di Fe.
Il valore di HUE è di 7,5YR., mentre i valori di VALUE/
CHROMA variano da 4/1 a 6/2. A fronte di sostanziali analogie tra i suoli IN e OUT degli stadi giovanili
(G e G), si sono riscontrate significative differenze tra i
substrati localizzati sotto la chioma e quelli delle aree
aperte degli stadi A ed M dovute, essenzialmente, al
diverso contenuto di C organico (Fig. 8).
3.2. Produzione e decomposizione della lettiera
G. aetnensis (Biv.) DC., com’era logico attendersi, evidenzia una produzione di lettiera direttamente
correlata alle dimensioni della chioma (Tab. 2). Si rileva, infatti, una presenza quasi nulla di deposizione di
lettiera nella zona OUT (in quest’area la ridottissima
presenta di lettiera è probabilmente dovuta al trasporto ad opera del vento) ed una ridotta incidenza
negli stadi ING1 (chioma di piccole dimensioni) e INM.
Il dato riscontrato in quest’ultima area non sorprende
in considerazione del fatto che gli individui morti sono
collocati all’interno dei popolamenti a G. aetnensis
(Biv.) DC. e, pertanto, subiscono parzialmente l’influenza della lettiera prodotta da questi ultimi (trasporto
probabilmente operato dal vento). La deposizione
di lettiera aumenta progressivamente negli stadi ING2
e soprattutto INA dove, in particolare, è stata rilevata
una produzione di circa 1000 g m-2 anno-1. Si precisa
che la lettiera deposta da questa neofita è costituita
in massima parta da rametti (diametro 0,5-2 mm) e solo
in percentuale ridottissima da foglie.
La quantità di lettiera prodotta dalle altre specie,
in tutte le aree di campionamento, è molto più bassa
Fig. 8 - Confronto tra il colore del suolo IN (a sinistra) e OUT (a destra) nei diversi stadi ontogenetici di G. aetnensis (Biv.) DC. studiati. Si
nota il colore più scuro dei suoli INA e INM rispetto a tutti gli altri per il maggior contenuto di C organico.
49
Analisi dell’impatto di Genista aetnensis (Biv.) DC. (Fabaceae) sul Vesuvio
rispetto a quella di G. aetnensis (Biv.) DC.. Il valore più
elevato per questo parametro è stato rilevato nello
stadio INM (Tab. 2).
3.3. Testo biologici
I risultati delle prove di crescita (Fig. 10 e 11) evidenziano, per tutte le specie, una maggior produzione
di biomassa nei suoli IN (A e M) rispetto a quelli OUT.
Questo risultato è molto accentuato in Briza maxima L.,
mentre risulta meno evidente in G. aetnensis (Biv.) DC..
Tra le ipotesi che possono essere formulate per spiegare il ridotto accrescimento di G. aetnensis (Biv.) DC.
figurano la produzione di tossine da parte della stessa specie e l’accumulo di patogeni nel suolo IN che,
nel complesso, possono indurre condizioni di negative
feedback. È interessante notare che i suoli IN favoriscono entità arboree sia native come Fraxinus ornus L.
subsp. ornus, sia alloctone come Robinia pseudoacacia L., specie tra le invasive più dannose d’Europa.
3.4. Effetti sul microclima e sull’idrologia del suolo
In Fig. 12 sono riportate i dati medi giornalieri registrati dalle stazioni di monitoraggio nel periodo gennaio 2012-gennaio 2013.
L’andamento della temperatura dell’aria non ha
evidenziato sostanziali differenze tra le posizioni IN e
OUT. Per quanto concerne i dati sul contenuto idrico
del suolo è stato rilevato che, mediamente, il suolo IN è
più umido di quello OUT durante il periodo invernale e
Aree di campionamento
Parametri
OUT
ING1
ING2
INA
INM
Lettiera G. aetnensis (Biv.) DC. (g m-2 anno-1)
29±15a
213±66b
554±124c
997±158d
270±112b
Lettiera di altre specie (g m-2 anno-1)
23±11a
31±8a
39±12a
79±33b
162±57c
Lettiera permanente (g m-2)
15±12a
19±17a
330±77b
1029±83d
595±76c
Tab. 2 - Lettiera di G. aetnensis (Biv.) DC. e lettiera permanente rilevati nell’area di influenza (ING1, ING2, INA e INM) e di non influenza (OUT)
di G. aetnensis (Biv.) DC.. I dati indicano valori medi ± 1 deviazione standard per la lettiera e la media di due anni di rilievi (2010 e
2011) per la lettiera permanente, lettere diverse indicano differenze statisticamente significative tra aree (ANOVA Duncan test, P <0,05).
50
primaverile. Tale fenomeno è apprezzabile ad entrambe le profondità di rilievo. Queste differenze possono
essere attribuite prevalentemente al maggior contenuto di sostanza organica nel suolo IN che, soprattutto in
suoli a matrice grossolana, tende ad aumentare la capacità di ritenzione idrica del suolo a potenziali prossimi alla capacità idrica di campo. Questo si traduce
anche in una maggiore disponibilità idrica per l’attingimento radicale da parte delle piante nei periodi di
ripresa vegetativa. Al contrario, è interessante notare
che a 5 cm di profondità nel periodo compreso tra
giugno e novembre, in corrispondenza di forti piogge
verificatesi tra settembre ed ottobre 2012, il suolo OUT
è più umido rispetto a suolo quello IN (Fig. 13).
Questa scarsa propensione ad inumidirsi da parte
del substrato INA, come evidenziato dai risultati riportati
nel paragrafo 3.1., è probabilmente determinato dalla
spiccata idrofobicità dei suoli INA e, solo in minima parte, all’intercettazione della chioma di G. aetnensis (Biv.)
DC. e della lettiera. Comunque, una volta che il suolo
INA si è inumidito il fenomeno dell’idrofobicità scompare
e il suolo si idrata rapidamente ad ogni evento piovoso.
In merito alla temperatura del suolo, è possibile affermare che la presenza della chioma di G. aetnensis
(Biv.) DC., ad entrambe le profondità studiate, consente il verificarsi di temperature mediamente più basse
rispetto alle zone scoperte (OUT). Molto importante
è la dinamica delle temperature nel corso dell’anno.
Alla fine dell’inverno ad esempio, dopo lo scioglimento della neve, a -5 cm il suolo OUT si riscalda molto
più velocemente rispetto al suolo IN (Fig. 14). In estate,
Analisi dell’impatto di Genista aetnensis (Biv.) DC. (Fabaceae) sul Vesuvio
Fig. 10 - Confronto tra la biomassa prodotta dalle specie testate sui suoli IN (A e M) e quella prodotta sui suoli OUT (valori medi; ANOVA
Duncan test; P < 0,05).
Fig. 11 - Esempi di piante cresciute su suolo IN (a sinistra) e OUT (a destra). A: B. maxima L.. B: G. aetnensis (Biv.) DC.. C: Spartium junceum L..
D: Fraxinus ornus L. subsp. ornus. E: Robinia pseudoacacia L.. F: Quercus ilex L. subsp. ilex.
51
Analisi dell’impatto di Genista aetnensis (Biv.) DC. (Fabaceae) sul Vesuvio
tuttavia (Fig. 15), alla stessa profondità le differenze di
temperature tra IN e OUT sono mediamente di 10 °C
(circa 25 °C nel suolo IN e 35 °C nel suolo OUT). Nello
stesso periodo, inoltre, le escursioni termiche tra giorno
e notte sono molto più accentuate nella zona OUT,
mentre nella zona IN si registra una relativamente maggiore stabilità termica.
L’analisi IR (Fig. 16) ha mostrato che in estate la
temperatura superficiale del suolo OUT spesso supera
i 60 °C, mentre quella del suolo IN è molto più bassa
(da 25 a 35 °C). Particolarmente significative sono le
osservazioni fatte il 13 agosto 2012 quando, per il
suolo OUT è stata rilevata una temperatura massima
che ha raggiunto gli 81 °C.
Direttamente correlato allo stadio ontogenetico
di G. aetnensis (Biv.) DC. è l’attenuazione della PAR
(Fig. 17). In particolare si nota che il valore di tale
parametro si riduce al diminuire dell’altezza dal suolo.
Quest’ultimo aspetto è da mettere in relazione con la
particolare architettura della pianta in quanto policaule e con ramificazioni abbondanti già verso la
base (aspetto globoso), struttura evidente soprattutto
negli individui adulti.
52
3.5. Effetti sulle specie coesistenti
G. aetnensis (Biv.) DC. indubbiamente genera condizioni favorevoli alla crescita delle altre specie sia in
termini di biomassa sia di biodiversità (Fig. 18).
La biomassa vegetale totale (g m-2) rilevata, infatti,
negli stadi Adulto (INA) e Morto (INM) è stata rispettivamente circa 6,4 e 8,7 volte superiore rispetto alle altre
aree (OUT, ING1 e ING2). Analogo andamento è stato
registrato per la diversità specifica.
Complessivamente, nell’area di studio sono state rilevate 71 entità: 69 specie vascolari, 1 lichene (Stereocaulon vesuvianum Pers.), mentre le briofite sono state
trattate in modo aggregato (Tab. 3)
Tra le specie vascolari le piante erbacee, annuali
e perenni, sono quelle rilevate con maggiore frequenza. La presenza di G. aetnensis (Biv.) DC. ed i relativi
differenti stadi di sviluppo esercitano una pressione selettiva nei confronti delle altre specie. Tipici degli spazi
aperti (OUT e talvolta INM) sono Stereocaulon vesuvianum Pers., Glaucium flavum Crantz e Scrophularia
canina L. subsp. bicolor (Sm.) Greuter. A differenza delle
fasi giovanili (ING1 e ING2), dove non sono state rilevate specie preferenzialmente legate a questi, gli stadi
Fig. 12 - Dati medi giornalieri di precipitazioni, contenuto idrico del suolo (-5 cm e -20 cm), temperatura dell’aria, temperatura del suolo
(-5 cm e -20 cm) registrati in posizione IN (linea blu) ed OUT (linea rossa) tra gennaio 2012 e gennaio 2013.
Analisi dell’impatto di Genista aetnensis (Biv.) DC. (Fabaceae) sul Vesuvio
Fig. 13 - Contenuto idrico del suolo a 5 e 20 cm di profondità tra gennaio 2012 e dicembre 2012. A 5 cm di profondità nel periodo
giugno-novembre il suolo, malgrado precipitazioni di una certa intensità, INA ha un contenuto idrico inferiore rispetto al suolo OUT.
ontogenetici successivi (INA e INM) hanno evidenziato
la presenza di 26 specie ad essi più strettamente associati. Tra queste, oltre le Briofite, figurano Terofite (Briza
maxima L., Bromus sterilis L. e Geranium purpureum Vill.),
Emicriptofite (Arrhenatherum elatius (L.) P. Beauv. ex J. et
C. Presl subsp. elatius, Centranthus ruber (L.) DC. subsp.
ruber) e Fanerofite (Clematis vitalba L.).
4. Discussione e conclusioni
L’invasione, tutt’ora in atto, di G. aetnensis (Biv.) DC.
avvenuta sul Vesuvio negli ultimi decenni ha profondamente alterato le caratteristiche paesaggistiche del
vulcano partenopeo e le relative fitocenosi naturali.
I dati rilevati (Tab. 1) hanno dimostrato che in poco
meno di 40 anni (età media rilevata negli individui
Adulti 38,4 ± 2,9 anni) questa specie aliena è in grado
di modificare profondamente la qualità dei suoli vesuviani interferendo sui processi pedogenetici.
I valori di C organico e N totale rilevati nei suoli
del Vesuvio prelevati sotto la sua chioma (INA) sono,
rispettivamente, 9,2 e 10,3 volte superiori rispetto a
quelli registrati nel suoli dove tale specie non è presente (OUT). Il rapido accumulo di tali elementi è da
mettere in relazione con l’abbondante produzione di
lettiera (circa 1000 g m-2 anno-1 in piante Adulte) (Tab.
2) e alla relativa lenta degradazione della stessa (in
1 anno perde circa il 45% del suo peso iniziale). La
lettiera indecomposta di questa pianta presenta una
53
Analisi dell’impatto di Genista aetnensis (Biv.) DC. (Fabaceae) sul Vesuvio
Fig. 14 - Andamento della temperatura del suolo a 5 cm di profondità registrati in posizione IN (linea rossa) ed OUT (linea nera) tra
febbraio e marzo 2012.
Fig. 15 - Andamento della temperatura del suolo a 5 cm di profondità registrati in posizione IN (linea rossa) ed OUT (linea nera) a luglio
2012.
54
Analisi dell’impatto di Genista aetnensis (Biv.) DC. (Fabaceae) sul Vesuvio
concentrazione relativamente elevata di N (1,9%) ed
un alto contenuto di lignina (15,4%). In accordo a
Berg & Matzner (1997) è stata osservata una rapida
decomposizione nei primi mesi (es. dopo 30 giorni ha
perso il 15% del peso iniziale), mentre successivamente
tale processo è avvenuto a ritmi più lenti. All’inizio, infatti,
l’elevato contenuto di N favorisce l’attività microbica
degradativa con conseguente perdita di peso. Nelle fasi successive, invece, l’abbondante presenza di
N rallenta la degradazione e quindi il calo di peso
in quanto favorisce la formazione di complessi a base
di lignina maggiormente stabili. Secondo Berg et al.
(1996) il valore limite di decomposizione (cioè il peso
oltre il quale il materiale organico non si decompone)
è maggiore per le lettiere ricche di N e lignina. L’iniziale rapida perdita di peso e la successiva lenta decomposizione riscontrata nella lettiera di G. aetnensis
(Biv.) DC. suggeriscono un elevato valore limite di
decomposizione che, unitamente all’abbondante
produzione di lettiera, determinano l’accumulo nel
suolo di C organico e N totale. Gli esatti meccanismi
microbiologici e biochimici che sono alla base della decomposizione, tuttavia, non sono del tutto noti
(es. Hatakka, 2001).
Per quanto concerne il P totale, nel corso di questa ricerca è stato dimostrato che, nella fase iniziale
della successione, si ha un incremento del P disponibile, probabilmente apportato con la lettiera. Gli
effetti positivi sull’accumulo del P disponibile indotti
da arbusti azotofissatori sono noti per le prime fasi
delle successioni primarie su dune sabbiose (Bonanomi et al., 2008) e nelle condizioni semi-aride della
savana (Facelli & Brock, 2000).
All’evidente accumulo nei suoli INA e INM di C
organico possono essere rapportati, in questi stessi substrati, l’incremento della capacità di scambio
cationico e dell’attività microbica (FDA e respirazione). Il pH del suolo, normalmente, tende ad acidificarsi con il procedere della successione primaria
a seguito dell’accumulo di acidi organici prodotti
Fig. 16 - Immagine IR rappresentante la temperatura superficiale del suolo nella zona di influenza della chioma di un individuo Adulto
di G. aetnensis (Biv.) DC. (IN) e nell’ara non influenzata (OUT). È evidente l’effetto di ombreggiamento della chioma che determina una
riduzione di circa il 50% della temperatura rilevate nelle zone scoperte (IN circa 35 °C, OUT circa 68 °C). Il rilievo è stato eseguito il 13
agosto 2012 con temperatura dell’aria di circa 28 °C.
55
Analisi dell’impatto di Genista aetnensis (Biv.) DC. (Fabaceae) sul Vesuvio
Fig. 17 - Attenuazione della PAR lungo il profilo verticale al di fuori (OUT) e all’interno di dei 4 stadi ontogenetici di G. aetnensis (Biv.) DC.
(ING1, ING2, INA e INM). I dati indicano valori medi ± 1 deviazione standard.
56
Fig. 18 - Biomassa vegetale e diversità specifica rilevate al di fuori (OUT) e all’interno dei 4 stadi ontogenetici di G. aetnensis (Biv.) DC.
(ING1, ING2, INA e INM). I dati indicano valori medi + 1 deviazione standard, lettere diverse indicano differenze statisticamente significative
tra aree (ANOVA Duncan test, P <0,05).
Analisi dell’impatto di Genista aetnensis (Biv.) DC. (Fabaceae) sul Vesuvio
aree di campionamento
Entità
OUT
ING1
ING2
INA
INM
OUT
ING1
ING2
2010
INA
INM
2011
Licheni e briofite
Stereocaulon vesuvianum
Briofite (aggregato)
1,01c
0,05a
0,01a
0,43b
18,09c
0,17b
109,25d
1,11c
0,49a
0,05a
2,00b
26,03c
0,54b
63,30d
Erbacee annuali
Aira caryophyllea
0,68c
-
0,02b
-
-
-
-
0,07b
-
-
Avena barbata
Briza maxima
Bromus sterilis
Bromus tectorum
Carduus pycnocephalus
0,31a
3,78b
2,50a
0,10a
0,10a
1,03a
0,13a
0,11a
15,08c
1,33a
0,83a
9,81b
90,79d
11,40b
1,58a
5,19b
31,46c
95,70d
26,54c
0,87a
0,63a
0,32a
2,44b
0,40a
-
0,13a
0,23a
-
1,40a
8,84c
1,05a
-
8,78b
101,71d
14,23
0,45a
0,40b
25,21c
41,91d
7,34
0,13a
0,25b
Cynosurus echinatus
Galium aparine
0,15b
-
0,26b
11,65c
7,06c
4,07b
4,40c
-
-
-
8,74c
-
0,43b
-
Geranium purpureum
Lactuca serriola
Myosotis arvensis
Sonchus asper
Trifolium arvense
0,13a
0,26b
5,20c
0,04a
0,16b
0,11a
5,59c
7,48b
0,12b
4,22c
9,87b
4,54b
3,05c
0,13b
-
2,38c
0,31b
1,96c
0,81b
4,81b
0,35b
4,63c
40,13c
1,04b
-
Vulpia myuros
0,74a
0,23a
2,48b
10,92c
1,04b
1,65a
0,98a
1,26a
4,97b
0,22a
Erbacee perenni
Arabis collina
Arabis turrita
Arrhenatherum elatius
Artemisia campestris
Centaurea deusta
Centranthus ruber
Dactylis glomerata
Daucus carota
Glaucium flavum
Hieracium piloselloides
Hypochaeris radicata
1,66a
0,08b
0,34a
0,14a
0,91b
0,78a
-
0,91a
0,19a
0,15a
0,21a
-
2,12a
0,10a
1,69b
3,51b
-
28,11c
0,29b
15,03b
0,38b
0,22a
2,72b
0,88a
-
10,85b
18,41c
45,21c
3,39b
0,11b
6,74c
1,02b
5,01b
-
1,74a
0,79a
2,08b
0,29b
5,65b
2,04b
3,10b
5,46b
7,38c
1,12a
0,53a
-
9,21b
0,59a
2,13b
4,84b
-
15,77c
0,15a
39,08b
0,28b
5,19b
11,42c
2,80b
1,10b
0,13a
14,30b
151,48c
61,92c
42,63d
2,71b
5,11c
Lactuca muralis
Linaria purpurea
Petrorhagia dubia
Picris hieracioides
0,43a
-
0,35a
-
0,95ab
0,53b
1,26b
1,71b
7,44c
1,19b
2,19b
4,45bc
0,57b
6,10c
0,34b
0,48a
3,31c
0,11b
7,78c
0,84b
0,40b
2,65b
0,15b
0,32b
11,69d
Rumex acetosella
Rumex scutatus
1,53b
3,24b
0,87b
-
3,27c
3,36b
1,13b
46,25d
13,26c
1,26b
14,02b
1,06b
0,01a
7,71b
4,94c
61,95d
29,24c
Scrophularia canina
Silene vulgaris
Solidago virgaurea
1,19b
-
-
0,31b
7,54
4,65c
-
-
3,88b
0,61b
-
-
1,14b
-
6,77c
-
-
Liane, arbusti ed alberi
Clematis vitalba
Cytisus scoparius
Pinus nigra
Robinia pseudoacacia
0,03b
-
-
-
2,48b
-
10,66c
-
4,15c
0,42b
-
-
6,11b
1,13b
-
18,56c
9,02d
2,10c
Tab. 3 - Distribuzione delle specie rilevate al di fuori (OUT) e all’interno delle 4 fasi ontogenetiche di G. aetnensis (Biv.) DC. (ING1, ING2,
INA e INM). I dati si riferiscono alla media dei valori di biomassa (g m-2) per i 40 soggetti più comuni di 71 trovati. Lettere diverse indicano differenze significative tra i gruppi all’interno di ogni anno (ANOVA test di Duncan, P <0,05). Zero valori e quelle corrispondenti alla
lettera (a) sono stati omessi per migliorare la leggibilità.
57
Analisi dell’impatto di Genista aetnensis (Biv.) DC. (Fabaceae) sul Vesuvio
58
soprattutto durante la decomposizione della materia organica e solo in piccola parte emessi dalle
radici. Tale tendenza è molto pronunciata in morene
glaciali, dune sabbiose e pianure alluvionali, mentre
è poco evidente nei substrati vulcanici in quanto
spesso eruttati già acidi (Walker & del Moral, 2003).
Effettivamente, anche i suoli vesuviani non colonizzati da G. aetnensis (Biv.) DC. (OUT) sono subacidi, ma
la presenza di tale pianta li acidifica ulteriormente di
circa 1 punto (INA e INM).
É stata riscontrata un’elevata idrofobicità (Doerr
et al., 2000) soprattutto nei suoli degli stadi Adulto
e Morto (nei substrati INA la goccia impiega circa
3 h 20’ per essere assorbita). In accordo a precedenti studi (Doerr et al., 2000; Mataix-Solera et al.,
2007) questo fenomeno è favorito dalla tessitura
sabbiosa, dal pH acido e dall’elevato contenuto di
C organico nel suolo. In linea generale l’idrofobicità può essere imputabile anche all’attività di funghi
noti come anelli delle fate (York & Canaway, 2000;
Bonanomi et al., 2012) e alle caratteristiche biochimiche della sostanza organica del suolo (McGhie
& Posner, 1981). All’idrofobicità dei suoli INA è probabilmente legato il lungo periodo (circa 2 mesi)
necessario al suolo per reidratarsi dopo la siccità
estiva, e solo a seguito di precipitazioni intense verificatesi nel periodo di settembre ed ottobre 2012
(Fig. 13). In tale contesto è da ritenere poco influente, infatti, l’intercettazione della chioma di G. aetnensis (Biv.) DC. e della lettiera presente al suolo.
Ad ogni modo l’idrofobicità rilevata nel suolo sotto
chioma è un dato da tenere nella massima considerazione qualora per cause naturali o antropiche (es.
incendi o ipotesi di eradicazione) venisse a mancare la copertura vegetale. L’assenza di protezione,
infatti, renderebbe il suolo direttamente esposto alle
precipitazioni e, benché sabbioso, maggiormente
esposto al pericolo di ruscellamento superficiale in
caso eventi meteorici particolarmente intensi.
L’incremento di conducibilità elettrica rilevato
nelle aree INA e INM rispetto alle altre zone (OUT,
ING1 e ING2) potrebbe dipeso dal rilascio di ioni durante la mineralizzazione della sostanza organica. Si
sottolinea, tuttavia, che i valori di EC riscontrati sono
molto inferiori a quelli osservati in suoli salini (Bona-
nomi et al., 2011).
Per quanto riguarda gli effetti di G. aetnensis (Biv.)
DC. sulle altre specie è possibile affermare che tale
aliena ha un impatto rilevante sulla struttura e sulla biodiversità dell’ecosistema vesuviano. L’intensità
delle alterazioni indotte da questa pianta è però
diversa a seconda dello stadio ontogenetico considerato (Fig. 18). Gli stadi giovanili (G1 e G2), infatti, non hanno nessuna influenza significativa, mentre
si apprezzano forti interazioni facilitative negli stadi Adulto (INA) e Morto (INM). Gli individui giovani
non si comportano da piante nurse (Bonanomi et
al., 2011) perché di dimensioni ridotte (G1 altezza
meno di 0,5 m; G2 altezza 0,5-2 m) ed insediate da
toppo poco tempo (G1 età 3,8 ± 0,8 anni; G2 età
8,6 ± 1,5 anni) per influenzare in modo apprezzabile
il microclima e la qualità del suolo. Al contrario gli
individui Adulti migliorano profondamente la fertilità
del suolo ed incidono positivamente sul microclima
e, nel complesso, facilitano la colonizzazione di altre
entità. Allo stadio Adulto può essere dunque attribuita la costituzione dell’isola di fertilità. Gli Adulti alla
fine della loro vita, inoltre, lasciano il substrato ricco
di nutrienti per essere colonizzato da altre specie e
questo spiega, seppur parzialmente, gli elevati valori
di biomassa e di biodiversità rilevati in questo stadio.
Generalmente, la facilitazione esercitata degli
arbusti azotofissatori nei riguardi delle altre specie
è stata messa in relazione ad un maggior contenuto
idrico e di nutrienti del suolo presente sotto la loro
chioma (Maron & Connors, 1996; Moro et al., 1997;
Barnes & Archer, 1999; Bonanomi et al., 2008). Il ruolo facilitante delle piante nurse, infatti, gli è attribuito
per la capacità di alterare l’ambiente circostante,
migliorando così assunzione dei nutrienti, lo sviluppo
e la riproduzione dei potenziali beneficiari (Callaway, 2007).
Come dimostrano i dati rilevati, gli stadi INA e INM
di G. aetnensis (Biv.) DC., per il miglioramento delle caratteristiche chimico-fisico-microbiologiche del
suolo e per la positiva influenza sul microclima, favoriscono la presenza di altre specie in termini di
biomassa e di diversità biologica rispetto agli altri
stadi ontogenetici (Fig. 18). La distribuzione di tali
specie tra questi 2 stadi (Tab. 3), pur indicando per
Analisi dell’impatto di Genista aetnensis (Biv.) DC. (Fabaceae) sul Vesuvio
alcune una preferenza per le aree INM (es. Arrhenatherum elatius (L.) P. Beauv. ex J. et C. Presl subsp.
elatius, Centranthus ruber (L.) DC. subsp. ruber, Lactuca muralis (L.) Gaertn. e L. serriola L.), suggerisce
l’esistenza di diversi fattori che regolano la facilitazione. Il fattore principale che regola la distribuzione delle specie tra questi 2 stadi sembra essere la
disponibilità di luce. Ad una sostanziale similitudine
nelle caratteristiche dei suoli, si contrappone infatti
una forte attenuazione della PAR nello stadio INA
(al suolo giunge solo il 13% della luce rilevata in
ambiente aperto) (Fig. 17) che limita la crescita
di alcune specie. Si sottolinea, tuttavia, la positiva
azione mitigatrice della chioma dello stadio INA nei
confronti delle elevate temperature rilevate soprattutto nel periodo estivo nello strato superficiale del
suolo (Fig. 15) che comporta un maggior contenuto
idrico del substrato.
Tutti questi risultati indicano che il miglioramento
della qualità del suolo e delle proprietà idrologiche e microclimatiche hanno, congiuntamente, effetti
sulla facilitazione G. aetnensis (Biv.) DC. rispetto alle
altre specie. A tal proposito l’esperimento di crescita
svolto in ambiente controllato ha fornito utili indicazioni nel valutare il solo fattore suolo. Ad eccezione
di G. aetnensis (Biv.) DC., tutte le altre specie testate
hanno mostrato una maggior produzione di biomassa nei suoli IN (A e M) rispetto ai suoli OUT, in risposta ad un maggior contenuto di nutrienti (Fig. 10 e
11). Questo consente di affermare che il miglioramento della qualità del suolo indotto da G. aetnensis (Biv.) DC. è certamente un fattore di facilitazione.
Tuttavia l’effetto sulla crescita delle specie è specie-specifico. Briza maxima L., la pianta vascolare
maggiormente presente nella zona INA, ha mostrato
un incremento pari al 533% rispetto a quello della
zona OUT. Anche specie native medio-successionali
(Fraxinus ornus L. subsp. ornus, +120%) e tardo-successionali (Quercus ilex L. subsp. ilex, +80%) hanno
mostrato risposte positive sui suoli INA. È da sottolineare, tuttavia, che analogo effetto di facilitazione
è stato rilevato anche nei confronti di Robinia pseudoacacia L. (+79%), pianta aliena tutt’ora in espansione sul Vesuvio. Questi risultati suggeriscono che il
miglioramento della qualità del suolo indotto da G.
aetnensis (Biv.) DC. potrebbe consentire la crescita
di diverse specie arboree in caso di eradicazione di
tale specie invasiva.
In merito alla produzione e dispersione dei semi,
malgrado sia stata rilevata una nettissima differenza
del loro numero tra la zona OUT (12 semi m-2 anno-1)
e la zona INA (513 semi m-2 anno-1), le plantule di G.
aetnensis (Biv.) DC. si ritrovano esclusivamente nelle
aree non ancora colonizzate da questa aliena. La
rinnovazione di tale pianta si osserva, in particolare,
lungo i margini dei popolamenti in corrispondenza
della vetta del Gran Cono Vesuviano nei popolamenti pionieri a prevalenza di Rumex scutatus L. subsp.
scutatus e Centranthus ruber (L.) DC. subsp. ruber.
Non sono state osservate plantule, invece, sotto la
chioma degli individui di G. aetnensis (Biv.) DC. vivi e
morti. Questo aspetto da un lato indica chiaramente
l’espansione dell’areale di questa specie verso la
vetta del vulcano, dall’altro suggerisce una inibizione alla germinazione dei semi a causa dell’instaurarsi
di condizioni di negative feedback nel suolo (Bever
et al., 1997; Mazzoleni et al., 2007; Kulmatisky et al.,
2008). Quest’ultima ipotesi è supportata dai risultati del test biologico i quali hanno mostrato per G.
aetnensis (Biv.) DC. valori di biomassa poco diversi
tra i suoli OUT, INA e INM (Fig. 10). Questo è sorprendente in considerazione della maggiore disponibilità di nutrienti del suolo localizzato sotto la chioma
della specie studiata. È possibile dunque affermare
che nelle aree già invase, a causa dell’assenza di
rinnovazione, G. aetnensis (Biv.) DC. sarà progressivamente sostituita da altre specie (van der Putten
et al., 1993; Bonanomi et al., 2005). Genera preoccupazioni tuttavia la colonizzazione, tutt’ora in atto,
dei versanti sommitali del Vesuvio il quale, in assenza
di azioni di contenimento sarà destinato a mutare
il suo aspetto paesaggistico con danni, non solo
ecologici, difficilmente prevedibili e quantificabili.
Per la straordinaria portata delle trasformazioni ambientali, G. aetnensis (Biv.) DC. è dunque da ritenere
specie aliena invasiva trasformatrice (Richardson et
al., 2000; Pyšek et al., 2004).
59
Analisi dell’impatto di Genista aetnensis (Biv.) DC. (Fabaceae) sul Vesuvio
60
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La fauna del Parco è
particolarmente ricca e
interessante. Tra i mammiferi
spiccano le presenze
del Topo Quercino,
fattosi raro in altre parti
d’Italia,del Moscardino,
della Faina, della
Volpe, del Coniglio
Selvatico e della
Lepre europea; a
queste si devono
anche aggiungere
numerose specie di
pipistrelli, alcune anche
particolarmente rare.
Più di cento le specie di
uccelli tra residenti, migratrici,
svernanti, e nidificanti estive.
Linee guida di gestione forestale per
il contenimento delle specie esotiche
Francesco Cona, Stefano Mazzoleni, Antonio Saracino
Dipartimento di Agraria Università di Napoli “Federico II” Via Università 100 Portici (NA)
1. Introduzione
Nel territorio del Parco Nazionale del Vesuvio sono presenti diverse tipologie forestali derivate da rimboschimenti
eseguiti nel secolo scorso con l’utilizzo di specie non autoctone.
Tenuto conto degli obiettivi di gestione naturalistica del
Parco, che prevedono la necessità di contenimento e progressiva riduzione delle specie esotiche, sono state studiate
le dinamiche evolutive in corso nelle tipologie forestali più
diffuse.
2. Tipologie forestali
Pinete di pino domestico.
Soprassuoli a densità colma e oltremodo colma, edifi-
cati spesso da piante a chioma rada a causa delle crisi
di aridità ricorrenti e dei danni di varia natura (incendi, inquinamento, patogeni, mancanza di cure colturali). Queste
manifestazioni sono particolarmente evidenti nelle pinete impiantate su depositi di lapilli, su colate ed affioramenti lavici
dai 150 ai 1000 m s.l.m. Il piano inferiore, sempre con indici
di copertura molto bassi, è costituito da cenosi arbustive
sparse o solo localmente addensate (generalmente lungo
i crinali ed i fossi), di leccio, roverella, ginestra comune, ginestra dei carbonai, ginestra dell’Etna e corbezzolo nelle
esposizioni più calde; orniello, castagno, ontano napoletano e coronilla sono presenti nelle esposizioni più fresche.
Lo strato erbaceo è in genere assente. Il leccio, l’ontano
napoletano, il corbezzolo e la ginestra dell’Etna sono stati
introdotti insieme al pino domestico.
Figura 1. Pineta di Pinus pinea
65
Linee guida di gestione forestale per il contenimento delle specie esotiche
Pinete di pino marittimo. La densità e la struttura sono variabili. Le pinete sono state impiantate su depositi di lapilli e
su colate ed affioramenti lavici dai 250 ai 900 m s.l.m. Il pino
marittimo si consocia con il pino domestico ed in misura minore con il pino nero. La composizione specifica del sottobosco è variabile e, a seconda della specie maggiormente
diffusa nel piano inferiore, possiamo suddividere queste pinete nei sottotipi a leccio (Quercus ilex), a robinia (Robinia
pseudoacacia) e a ginestra dell’Etna (Genista aetnensis)
e ginestra dei carbonai (Cytisus scoparius). Oltre a queste
specie sono presenti, con un minore indice di copertura,
le seguenti specie arbustive ed arboree: ginestra comune
(Spartium junceum), coronilla (Coronilla emerus), corbezzolo
(Arbutus unedo), orniello (Fraxinus ornus), roverella (Q. pubescens), ontano napoletano (Alnus cordata), acero napoletano (Acer obtusatun ssp. neapolitanum), cisti (Cistus
spp.) e felci (Pteridim aquilinum e Asplenium spp). Lo strato
erbaceo è per lo più assente.
La struttura e la fisionomia di queste pinete varia con
66
la fertilità e l’età. L’incendio in queste tipologie rappresenta il fattore che più condiziona la struttura e la dinamica
vegetazionale. Dopo ogni evento si verificano ondate di
rinnovazione di pino marittimo estremamente dense (Località Scappa Grande e Piano delle Ginestre). Il pino marittimo
si accompagna spesso a specie come le ginestre, la robinia e il leccio, che hanno grande capacità di rinnovarsi
per seme (ginestre, robinia) e per ricaccio (robinia e leccio)
dopo il passaggio del fuoco. Quando l’incendio determina
la scomparsa della pineta, si affermano i ginestreti, spesso
consociati con robinia. Altri fattori che condizionano la stabilità di questi popolamenti percorsi dal fuoco sono il vento
e il precario ancoraggio nel suolo dovuto al ridotto spessore dei suoli. Nella riserva Tirone-Alto Vesuvio, per esempio,
le piante parzialmente ustionate dagli incendi, deperiscono
e muoiono, con loro conseguente sradicamento. Questi,
oltre ad incrementare l’accumulo di combustibile morto sul
pavimento della foresta, possono costituire un pericolo per
l’incolumità dei fruitori del Parco.
Figura 2. Pineta di Pinus pinaster
Linee guida di gestione forestale per il contenimento delle specie esotiche
Pinete miste di pini mediterranei. Queste pinete rappresentano, dopo quelle di pino domestico, quelle a maggiore
estensione ed anche quelle più interessanti dal punto di
vista turistico ricreativo. A questo riguardo è da segnalare
soprattutto la pineta mista della Riserva Tirone-Alto Vesuvio, impiantata a partire dal biennio 1912-1913. Si tratta
di soprassuoli a composizione e struttura diversa al variare
dell’anno d’impianto e delle caratteristiche stazionali. Costituiti dall’alternanza spaziale di gruppi di piante di pino marittimo e domestico o alternati in file lungo le linee di massima
pendenza o lungo le curve di livello. Ai due pini spesso si associano il leccio che può gruppi ricoprire anche superfici rilevanti, ottenute mediante impianto ma anche per diffusione
naturale. In questi soprassuoli densi dove i livelli di irradianza
sotto copertura sono più contenuti, le ginestre e la robinia
tendono a localizzarsi ai margini della pineta. Dove c’è più
luce nel piano inferiore, lo strato arbustivo è costituito da
Spartium junceum, Cytisus scoparius, Coronilla emerus e da
specie arboree relegate nel piano inferiore come leccio,
robinia, corbezzolo, orniello e roverella. Lo strato erbaceo è
per lo più scarso, ed è caratterizzato da Centranthus ruber
Boschi misti di conifere e latifoglie radi su colate laviche
Si tratta di boschi a densità scarsa, costituiti da pino
nero, pino marittimo e pino domestico con partecipazione
di leccio, robinia e roverella.
Sono situate su colate ed affioramenti lavici da 600 a
900 m di altitudine.
Lo strato arbustivo è per lo più formato da ginestre
(Spartium junceum e Cytisus scoparius). Lo strato erbaceo
è per lo più scarso. I pini sono stati impiantati direttamente
sulla lava del 1944.
Figura 3. Boschi misti di conifere e latifoglie radi su lave
67
Linee guida di gestione forestale per il contenimento delle specie esotiche
Leccete
Il leccio nella sua area principale di indigenato (Mediterraneo occidentale) si distribuisce in più fasce di vegetazione, dal livello del mare fino ad oltre 1000 m.s.l.m; si tratta quindi di una specie ad elevata ampiezza ecologica.
Nell’area del Parco i versanti acclivi e le rupi della caldera
del Somma costituiscono probabilmente le uniche aree di
sicuro indignato del leccio, largamente impiegato nei rimboschimenti fino a quota 750 m. Occorre sottolineare la notevole dinamicità del leccio che riesce ad insediarsi in molte
pinete. Il leccio forma spesso boschi misti con il pino domestico e marittimo (sulle lave del 1944 il leccio si addensa
in gruppi ai margini delle pinete), in misura minore con la
roverella ed il castagno, il carpino nero, l’acero napoletano
e l’ontano napoletano. La lecceta può spesso presentarsi
68
anche come piano inferiore nelle pinete di pino domestico,
pino marittimo o nelle pinete miste. Lo strato erbaceo è per
lo più assente. Nei versanti interni del M. Somma si riscontrano interessanti formazioni rupicole di leccio. Una cenosi più
localizzata (Cognoli di S. Anastasia) vegetante su pendenze lievemente inferiori, vede il leccio consociato con acero
napoletano, carpino nero, robinia e castagno. Nei versanti
del M. Somma esposti ad Est si rinvengono dense formazioni
di leccio governate a ceduo o in fase di giovane fustaia. Al
leccio si consociano in vario grado il castagno, la robinia
e la roverella, ed in modo sporadico l’ontano napoletano,
l’ailanto, l’acero napoletano, il carpino nero e le ginestre
(Spartium junceum, Cytisus scoparius e Coronilla emerus) che
divengono con la robinia più frequenti nelle chiarie della
lecceta.
Figura 4. Ads 8- Lecceta
Linee guida di gestione forestale per il contenimento delle specie esotiche
Robinieti
Si tratta di boschi e boscaglie a prevalenza di robinia
o boschi in cui la robinia concorre alla dominanza con altre
specie arboree (in particolare il castagno). Nell’area del
Parco il suo utilizzo è stato finalizzato al consolidamento,
peraltro riuscito, di molti pendii franosi. L’emissione di polloni,
soprattutto radicali, viene favorita in seguito al disturbo alla
porzione epigea della pianta (ceduazione, incendio). Nel
territorio in esame il disturbo più ricorrente è senza dubbio
il passaggio del fuoco il cui regime, nel territorio del Parco, è stato profondamente modificato dall’uomo. Pertanto
la specie è da considerare naturalizzata e in espansione
grazie alla capacità di colonizzazione di diversi ambienti.
La presenza della robinia si riscontra lungo tutto il versante
meridionale, spingendosi, alle quote superiori, anche lungo
quello che resta del tracciato della funicolare. In genere
resta confinata ai margini delle formazioni di pino o partecipa all’edificazione dello strato arbustivo. Solo sul versante
interno del vecchio cratere del Somma, fortemente acclive,
la robinia trova ostacoli insormontabili alla colonizzazione.
Allo stesso modo lungo i versanti Nord ed Est, la specie è
sempre presente, consociata o meno con le altre specie
(castagno, roverella, ontano napoletano, leccio, etc.), soprattutto in corrispondenza di pendici molto ripide e lungo
i canaloni. Il bosco di robinia ha la capacità di migliorare il
terreno con la lettiera, di arricchire di azoto il suolo, di mantenersi denso grazie al concorso dei polloni radicali che
vengono emessi dopo ogni taglio e, infine, di essere poco
vulnerabile agli incendi. Un popolamento puro di robinia
è presente nella Valle del Gigante al limite superiore della
colata di lava del 1944. Il bosco di robinia governato a
ceduo, è un detrattore paesaggistico e determina impoverimento della biodiversità nei diversi strati del bosco.
3. Orientamenti di gestione
forestale sostenibile
L’obiettivo di lungo periodo da perseguire nella gestione della copertura forestale del territorio del Parco è quello
di assecondare i fenomeni di successione vegetazionale in
atto. Questi prevedono un progressivo insediamento delle
Figura 5. Ads 25. Robinieto
69
Linee guida di gestione forestale per il contenimento delle specie esotiche
latifoglie decidue e sempreverdi sotto la copertura degli
estesi rimboschimenti di conifere eseguiti nel secolo scorso.
Questo obiettivo gestionale è fondato sulle seguenti motivazioni.
1) A scala di paesaggio, occorre interrompere la monotonia (cromatica, di copertura monoplana legata alla
coetaneità) impartita dalle formazioni artificiali che costituiscono poligoni molto ampi. La diversificazione del
mosaico forestale è un obiettivo gestionale di lungo
periodo. Si persegue assecondando ed accelerando i
fenomeni successionali in atto nei rimboschimenti. Questa
diversificazione risponde ai criteri propri della gestione
naturalistica in area protetta, richiamati peraltro nel Piano del Parco in vigore. Essa si fonda sulla progressiva
eradicazione delle specie aliene, sull’incremento della
biodiversità paesaggistica e sulla ridefinizione dell’estensione e delle forme geometriche dei poligoni costituenti
le diverse tipologie forestali. Le soluzioni gestionali sono
differenti a seconda della tipologia di soprassuolo artificiale considerato e della dinamica successionale in
atto, considerato che alcuni di questi popolamenti (robinieti, pinete di marittimo) sono in attiva fase di rinaturalizzazione.
2) A scala di soprassuolo, la progressiva sostituzione delle
70
conifere con latifoglie autoctone rende i soprassuoli più
resistenti e resilienti alle avversità abiotiche e biotiche
(siccità ricorrenti, incendi, attacchi parassitari). L’incremento della biodiversità specifica nello strato arboreo
determina, grazie al diverso fototemperamento delle
specie costituenti il consorzio, un progressivo passaggio
da strutture monoplane a strutture articolate su più piani.
3) La diversificazione strutturale dell’habitat forestale, con
conseguente arricchimento di nicchie trofiche e riproduttive, ha riflessi positivi sulle altre componenti dell’ecosistema con particolare riguardo alla fauna vertebrata e
invertebrata.
4) La diversità dendrologica determina, nel comparto del
suolo forestale, un significativo cambiamento della traiettoria dei processi di umificazione con un’inversione di tendenza da humus Mor a humus Mull e con un significativo
cambiamento dei cicli biogeochimici e della pedoflora e
pedofauna associata.
In linea generale si osserva che i popolamenti artificiali
di conifere sono dislocati sui versanti esposti a Sud e SudOvest del territorio protetto, mentre i robinieti puri sono diffusi
prevalentemente nelle esposizioni Ovest e Nord del Monte
Somma. Oltre che in popolamenti puri la robinia in consorzio
con altre specie è diffusa un po’ ovunque a seguito dei di-
Linee guida di gestione forestale per il contenimento delle specie esotiche
sturbi indotti dall’uomo sia nelle attività gestionali (tagli) sia a
seguito di incendi.
La gestione forestale è differenziata a seconda che si
sia in presenza di conifere in boschi puri e misti a latifoglie,
oppure se si tratti di robinieti.
Riassumendo si propongono i seguenti obiettivi gestionali articolati per le diverse tipologie forestali oggetto di
indagine:
a) obiettivo gestionale di medio periodo: diradamento e
diversificazione strutturale delle pinete a dominanza di
pino domestico;
b) obiettivo gestionale di medio-lungo periodo: diradamento e diversificazione strutturale delle pinete a dominanza di pino marittimo (e miste);
c) obiettivo gestionale di lungo periodo: eradicazione della robinia quando è in consorzio misto;
d) robinieti puri: utilizzo delle biomasse per combustibile.
4. Specifiche tecniche per interventi dimostrativi in attuazione delle linee guida di gestione forestale
In base ai risultati ottenuti ed al monitoraggio delle par-
celle sperimentali, vengono proposti i seguenti interventi a
carattere dimostrativo finalizzati a valutare le dinamiche di
rinaturalizzazione nelle diverse tipologie forestali oggetto di
indagine.
Pinete
Diradamento debole e dal basso a carico del pino domestico e del pino marittimo
Taglio con roncola della rinnovazione di pino marittimo
Nessun intervento a carico della robinia
Leccete
Nessun intervento selvicolturale
Boschi misti di conifere e latifoglie radi su colate laviche
Nessun intervento selvicolturale
Robinieti puri, castagneti e boschi misti di latifoglie con
invasione di robinia
Impianti sperimentali da eseguirsi mediante ripulitura dello
strato erbaceo e dei rovi, sottopiantagione di latifoglie
autoctone (leccio, roverella, ontano napoletano, orniello
e castagno), taglio dell’edera e della vitalba avvolta sui
fusti delle specie diverse dalla robinia e nessun intervento di
taglio a carico di quest’ultima specie.
71
Linee guida di gestione forestale per il contenimento delle specie esotiche
Figura 6. Parcelle sperimentali oggetto degli interventi dimostrativi: diradamenti (riquadri rossi) e sottopiantagioni di latifoglie autoctone (riquadri verdi)
Interventi di diradamento nelle pinete
72
1. Diradamento debole e dal basso a carico del
pino domestico e del pino marittimo
I diradamenti saranno eseguiti per aumentare l’efficienza
funzionale del popolamento predisponendolo alla futura
evoluzione. La riduzione graduale della densità determina
condizioni favorevoli all’insediamento delle latifoglie autoctone1.
Le operazioni colturali dovranno essere eseguite con
cautela soprattutto nei riguardi delle specie invasive che
non dovranno in alcun modo essere favorite mediante tagli
su ceppaia o attraverso l’apertura dello spazio aereo al di
sopra di esse.
Il materiale legnoso andrà successivamente triturato o
bruciato perché rappresenta un pericolo per i fruitori e per il
rischio di diffusione di insetti e funghi patogeni al resto della
pineta2.
1
L’eliminazione delle piante morte, deperienti, e comunque
soprannumerarie consentono di rafforzare la stabilità meccanica del popolamento, di migliorare lo stato idrico del
suolo, di favorire lo sviluppo armonico della chioma e la
resistenza alle avversità di natura biotica.
Le buone regole selvicolturali prevedono diradamenti
precoci, selettivi, costanti, dal basso, in modo da lasciare
che le chiome si sviluppino regolarmente senza intrecciarsi
né sovrapporsi, ma in pratica, nei casi in esame, tenuto
conto del ritardo e dell’omissione dei diradamenti, si sarà
obbligati ad asportare anche individui vivi del piano dominante, soprannumerari e deperienti, oltre quelli morti.
Considerando che il pino domestico oltre i 50 anni perde
progressivamente la capacità di espandere la chioma
dopo il diradamento e che i popolamenti in questione
hanno in media un’età media di 35-40 anni i tagli intercalari dovranno essere eseguiti con gradualità sia per
favorire le specie autoctone sia per evitare un eccessivo
e improvviso isolamento degli individui adulti di pino che
potrebbe esporre l‘impianto a schianti e a sradicamenti
oltre che favorire un forte sviluppo del sottobosco (rovi,
ginestre e specie invasive).
Linee guida di gestione forestale per il contenimento delle specie esotiche
Figura 7. Bosco di Pinus pinea con leccio - Copertura pre e post diradamento
Figura 8. Bosco di Pinus pinea con leccio - Copertura pre e post diradamento
Le piante che cadranno al taglio saranno individuate
tra le piante di pino domestico e marittimo in funzione:
a) Della posizione sociale (andranno in primo luogo eliminati gli individui sottoposti e soprannumerari).
b) Della vigoria (andranno in primo luogo eliminati gli individui deperienti e morti in piedi).
c) Del portamento (andranno eliminati in primo luogo gli individui con fusto difettoso, rastremato e chioma ristretta).
d) Della presenza sotto copertura di rinnovazione affermata di latifoglie autoctone (leccio, roverella, ecc.).
e) Della vicinanza di individui adulti di latifoglie autoctone
(con diametro > di 2,5 cm) che possano in breve tempo
saturare lo spazio aereo lasciato libero dalle conifere
ed impedire alla robinia di inserirsi.
f) Dalla presenza sotto copertura o e nelle immediate vicinanze di specie invasive (robinia, ginestre, ecc) vigorose.
2
Gli interventi selvicolturali
risultano di fondamentale importanza inoltre per la riduzione del rischio d’incendio,
per ridurre la necromassa, e
creare soluzioni di continuità
verticali e orizzontali nella
biomassa, particolarmente
dove esistono punti di contatto tra la pineta e la viabilità.
73
Linee guida di gestione forestale per il contenimento delle specie esotiche
Figura 9. Parcella sperimentale prima e dopo il diradamento
Figura 10. Parcella sperimentale prima del diradamento
74
Linee guida di gestione forestale per il contenimento delle specie esotiche
Figura 11. Distribuzione dell’area basimetrica post-diradamento A livello di parcella il contributo di area
basimetrica G dei pini si riduce dall’83% al 77% del totale mentre quello del leccio aumenta dal 16% al 22%.
L’intervento andrà ad incidere sul 10-20% dell’area basimetrica delle conifere (Figura 10 e 11). La variazione di
copertura nella volta forestale è rappresenta nelle figure
12 e 13.
Le operazioni di diradamento consisteranno in:
a)Abbattimento.
b)Concentramento.
c)Esbosco.
d) Triturazione o combustione del materiale.
Ai diradamenti si aggiungeranno, ove possibile, le spalcature dei rami secchi delle piante rilasciate (ed eventualmente anche di quelli verdi).
2. Taglio con roncola della rinnovazione di pino
marittimo
Questa operazione colturale nasce dalla forte propensione del pino marittimo a rinnovarsi per seme, spesso in nuclei molto densi, soprattutto nelle aree di margine di boschi,
nonché nelle radure e nelle chiarìe che siano originate da
incendi (soprattutto) o da operazioni selvicolturali. Inoltre la
rapida crescita degli individui giovani di pino marittimo esercita una forte concorrenza sulle giovani piantine di latifoglie.
Anche in questo caso il materiale legnoso asportato
dovrà essere portato all’esterno delle aree di saggio e bruciato o triturato.
75
Linee guida di gestione forestale per il contenimento delle specie esotiche
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Figura 12. Area di saggio 1. Anno 2011
Linee guida di gestione forestale per il contenimento delle specie esotiche
Figura 13. Area di saggio 1. Anno 2013 post diradamento.
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Linee guida di gestione forestale per il contenimento delle specie esotiche
3. Nessun intervento a carico della robinia
A causa della forte capacità di emettere polloni dalla
ceppaia e dalle radici.
Realizzazione di nuovi impianti sperimentali
1. Ripulitura dello strato erbaceo e dei rovi
All’interno delle parcelle sperimentali e in buffer di 5 metri
esterno, andranno estirpati i rovi e tagliato lo strato erbaceo mediante l’utilizzo di un decespugliatore e ove
possibile sarà effettuato lo sradicamento con zappa.
Durante i lavori non dovrà essere danneggiata la rinnovazione delle specie autoctone eventualmente presenti
(castagno, aceri, orniello, roverella, leccio, ecc).
2. Taglio dell’edera e della vitalba avvolta sui fusti
delle specie diverse dalla robinia e nessun intervento di taglio a carico di quest’ultima specie
3. Sottopiantagione di latifoglie autoctone
a) Il numero delle piantine sarà variabile da 30 a 60 in
funzione dello spazio aereo disponibile
b) Le specie da impiantare saranno scelte in base alle caratteristiche dendrologiche della parcella sperimentale,
utilizzando la cartografia relativa seguendo ove possibile il seguente schema di riferimento:
Parcella 20 (orniello, leccio e roverella) - Esposizione
Sud-Ovest
Parcella 21 (orniello, leccio e roverella) - Esposizione
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Nord-Ovest
Parcella 22 (castagno, orniello e ontano napoletano)
- Esposizione Nord –Nord-Ovest
Parcella 24 (castagno, orniello e ontano napoletano)
- Esposizione Nord-Ovest
Parcella 25 (castagno, orniello e ontano napoletano)
- Esposizione Nord-Ovest
Parcella 26 (castagno, leccio e ontano napoletano)
- Esposizione Est
Parcella 27 (castagno, leccio e ontano napoletano)
- Esposizione Est
a) Parcella 28 (castagno, leccio e ontano napoletano) Esposizione Nord-Est
b) Le piantine dovranno essere di uno o due anni a radice nuda o in pane di terra (fitocella o vaso).
c) Il postime sarà impiantato in seguito all’apertura di buche pari almeno a 30x30x30cm (substrato permettendo).
d) Il posizionamento delle piantine deve essere scelto in
funzione:
Della copertura esercitata dalle diverse specie presenti (evitare il posizionamento al di sotto delle piante
adulte di leccio e castagno).
Dalla presenza di rinnovazione affermata (evitare il posizionamento all’interno di nuclei di leccio).
Dalla presenza di rovi o altri arbusti.
Materiale di propagazione
Le piantine dovranno essere di uno o due anni a radice
nuda o in pane di terra (fitocella o vaso)
L’ingegneria naturalistica è una
disciplina introdotta nel Parco
Nazionale del Vesuvio
a partire dal 1997,
per intervenire nella
gestione del territorio
e dei dissesti con
interventi efficaci
dal punto di vista
tecnico e funzionale
e volti a favorire gli
aspetti naturalistici
e paesaggistici;
infatti tali interventi,
basati sull’utilizzo di
piante vive autoctone,
in abbinamento con
paleria ed altro materiale
inerte, consentono di creare
ambienti favorevoli alla vita ed
alla biodiversità.
Finito di stampare maggio 2013