L`agricoltore energetico
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L`agricoltore energetico
L’agricoltore energetico EMISSIONI CARBONIO di Sergio Ferraris B iocombustibili e biocarburanti sono due delle frontiere delle energie rinnovabili più prossime allo sfruttamento industriale e in Europa i sistemi agricoli si stanno muovendo in questa direzione. Intere filiere saranno, nei prossimi anni, investite da questi mutamenti, ma qual è la situazione nel nostro Paese? Ne abbiamo parlato con Franco Pasquali, segretario generale di Coldiretti. La Germania vede una grande crescita dei biocombustibili, la Francia ha anticipato di due anni l’obiettivo europeo della presenza del 6% di biocombustibili nel settore dei trasporti entro il 2010. Dietro questa accelerazione si intravede anche una pressione del mondo agricolo che punta a trovare nuove strade. Qual è il punto di vista italiano su questa riconversione? La nostra lettura, che è condivisa nel settore, è quella che il modello agricolo stia cambiando. Siamo convinti che l’agricoltura debba essere letta in maniera multifunzionale, intendendo ciò come produzione di prodotti agricoli finiti e non come materie prime. Si tratta di una distinzione importante, perché la materia prima attiene a un modello fordista, nel quale rinuncio in partenza a una parte del valore, mentre il prodotto contiene al suo interno un processo che è depositario di conoscenze, metodi e saperi, oltre che di valore. Il modello agricolo multifunzionale qualifica sia i prodotti, sia, e qui c’è la novità, i servizi che l’azienda agricola può offrire. Possono essere ser- vizi al prodotto oppure al territorio e le imprese agricole stanno abbracciando questo modello. In questo quadro è chiaro che l’impresa agricola può attivarsi sul piano energetico e può farlo su più fronti. Può sviluppare, in maniera quasi automatica, la filiera relativa alle biomasse, ma può intraprendere vie anche più brevi sul fronte energetico, come la produzione diretta d’energia, attraverso le colture energetiche, il fotovoltaico, l’eolico, il piccolo idroelettrico e anche con l’uso diretto delle biomasse. Si tratta di un modello che potrebbe, secondo noi, caratterizzare il nostro Paese. Questo è, per esempio, un aspetto che ci differenzia da altri Paesi in Europa dove ancora si punta a un modello agricolo, specialmente per i cereali, “pesante” pensato e tarato sulla produttività. Noi in Italia oggi siamo in un momento ibrido, di transizione. Da un lato puntiamo ancora sul modello “pesante” mentre dall’altro si stanno manifestando i primi episodi di multifunzionalità. L’azienda agricola italiana affronterà questo passaggio occupandosi di servizi energetici, come già sta facendo con il settore dell’agriturismo e in alcune occasioni in quello didattico. Il nuovo decreto che prevede che dal 1° luglio 2006 l’1% dei carburanti per trasporti sia di origine vegetale e che la percentuale cresca fino a raggiungere il 5% nel 2010 è molto importante. Quali sono i passaggi necessari per far diventare operativa la norma e quali gli ostacoli da superare? INTERVISTA Il futuro dei biocombustibili in Italia secondo il Presidente di Coldiretti 33 Noi abbiamo spinto molto per questa normativa che però ha come punto debole il fatto che non ci sono sanzioni per chi non la rispetta. Il modello a cui guardiamo è quello francese, dove sono previste le sanzioni. Insomma bisogna prevedere un leva economica per questa norma. O si defiscalizza chi agisce in maniera virtuosa, oppure si penalizza chi non si adegua. Se no c’è il rischio che tutto rimanga come ora, anche perché il settore dei carburanti deve andare incontro a delle spese, come quelle per l’adeguamento della filiera di distribuzione, che in assenza di una leva economica di sicuro non si adeguerà. In Germania gli agricoltori, con gli investimenti prima nell’energia eolica poi nel solare fotovoltaico e ora nelle coltivazioni come la colza per la produzione del biodiesel, hanno trovato QUALENERGIA ANNO IV - N.3 importanti MAGGIO-GIUGNO 2006 fonti EMISSIONI CARBONIO aggiuntive di reddito e sono diventati i più forti sostenitori delle fonti rinnovabili. Crede che anche in Italia possa avviarsi un processo analogo? Penso di si. Con lo sviluppo dell’impresa agricola multifunzionale è percorribile il fatto di avere ampi settori del mondo agricolo come sostenitori delle energie rinnovabili. Penso, inoltre, che questa via sia quella più congeniale al nostro Paese. Un primo segnale è stato quello di rendere agricola l’energia. Mi spiego: oggi se un imprenditore agricolo vende energia si tratta in tutto e per tutto di un “prodotto agricolo” che accede alla fiscalità di settore, cosa che non complica il quadro produttivo delle aziende. Certo non siamo a livello della Germania, però possiamo riflettere la nostra struttura produttiva, fatta di piccole imprese, su quella energetica, adottando il modello della generazione diffusa. Si tratta di una strada ancora tutta da esplorare e che potrebbe dare dei risultati sorprendenti. 34 Ci potrebbero essere dei problemi, come per esempio succede per l’eolico, su questa strada? Il settore dell’agricoltura gestisce ampie zone di territorio e in questo quadro lo sviluppo di aziende agroenergetiche è un processo che deve essere gestito. Mentre non vedo enormi problemi per le colture, si potrebbero verificare degli incidenti di percorso per ciò che riguarda quelle rinnovabili che hanno un impatto di una certa entità sul territorio, come l’eolico, il piccolo idroelettrico e in una certa misura il fotovoltaico. La chiave per evitare conflitti di questo tipo risiede nella condivisione con le comunità e nella creazione di nuove relazioni da parte degli agricoltori impegnati nell’agroeneregia. Si tratta di interloquire anche con soggetti QUALENERGIA ANNO IV - N.3 nuovi per il MAGGIO-GIUGNO 2006 nostro settore, come per esempio le associazioni ambientaliste. In definitiva bisogna comunicare l’impegno delle aziende agricole sul fronte energetico come un valore collettivo, come un insieme di azioni positive, specialmente per le comunità locali. L’obiettivo di questi impianti nelle aziende agricole è anche quello di creare consenso attorno a queste attività, non fratture. Quali sono le prospettive quantitative di sviluppo dell’agroenergia in Italia? Bisogna pensare che il nostro Paese ha delle caratteristiche morfologiche diverse da quelle dei Paesi del centro Europa. L’Italia ha oggi 5 milioni di ettari seminativi, 5milioni di ettari destinati al pascolo e all’agricoltura di qualità e 10 milioni di ettari di boschi, i restanti 10 milioni sono urbanizzati. In questo panorama è pensabile la destinazione di un milione di ettari a colture energetiche come il mais, la soia e il girasole. Si tratta di un obiettivo realizzabile che potrebbe portare alla produzione di 10 milioni di tonnellate equivalenti di petrolio, un 6% dei consumi totali. Non è poco e dobbiamo pensare anche al valore aggiunto che questa produzione possiede nell’ottica di Kyoto. Alcuni settori, specialmente scientifici, sostengono che si potrebbero utilizzare colture energetiche Ogm, ottenendo delle performance energetiche migliori. Qual è la vostra posizione? Siamo molto fermi sulla nostra posizione di rifiuto verso gli Ogm. Si tratta di un problema di coerenza del modello di sviluppo del nostro Paese. Se puntiamo all’eccellenza nella produzione agricola non si possono inserire elementi come gli Ogm, anche perché non disponiamo degli ampi spazi degli Stati Uniti e la coesistenza tra agricoltura food e no food Ogm non è realizzabile. Il tentativo di introdurre Ogm nel settore dell’agroenergia, inoltre, non tiene conto dei contesti generali di tutela dei nostri territori che sono anch’essi un valore da salvaguardare.