Attorno al tavolo ho imparato
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Attorno al tavolo ho imparato
Attorno al tavolo ho imparato Il ricordo del tavolo del collegio non è piacevole perché, non avendo i miei genitori, era piuttosto triste avere a che fare con gente che mi trattava come una cosa, infatti i bambini che erano in collegio con me avevano i genitori, mentre io ero l'unica a essere senza un padre perciò... Il secondo tavolo era... me lo ricordo con felicità. E' stato quando, avevo sette anni ed ero uscita da quel collegio, mi sono riunita con i miei genitori intorno a questo tavolo per la prima volta. I miei genitori si erano incontrati per caso su un autobus e si sono innamorati a prima vista. Mia madre, che era una ragazza madre, fu talmente colpita che un uomo potesse guardarla, che accettò, perché aveva una figlia e non sperava più di potersi rifare una famiglia. Perciò quando ci riunivamo nel tavolo noi tre, nonostante ci fosse miseria, eravamo felici, perché eravamo insieme. Ricordo con gioia che si mangiavano spesso le trenette col pesto: é per questo che amo il pesto. C. La colazione della mia infanzia era sempre caffelatte con pane vecchio. Il latte lo comperavamo della zia Milla (suo marito e suo cognato erano contadini) e doveva essere sempre bollito. Ricordo che quando capitava che ero nella stalla e il latte era appena stato munto aveva un aspetto e un profumo che diceva: bevimi! Ma tutti i grandi dicevano che non si poteva berlo se prima non veniva bollito. La mamma lo bolliva tutte le sere e al mattino nel tegame si era formata una bella pellicola e io me la prendevo tutta, poi riempivo la tazza di pane (tanto che il cucchiaio poteva starci diritto) e spolveravo abbondantemente con lo zucchero!!! Con una colazione così sostanziosa arrivavo a mezzogiorno senza sentire fame. Ancora oggi preferisco questa colazione al cappuccino con brioche. A pranzo e a cena non mangiavo mai molto anche perché la mamma diceva sempre che non bisognava diventare persone grasse! Oggi, a distanza di anni, penso a quello che non mi è stato insegnato: a non parlare con la bocca piena, a mangiare con la bocca chiusa, a usare a modo il coltello, a tenere la schiena diritta e i gomiti uniti. Troppe regole sono deleterie è vero, ma la mancanza di regole “buone” mi ha fatto sentire molto spesso inadeguata e non a mio agio. I miei genitori erano custodi di una villa di campagna e io ero spesso nella casa dei padroni perché erano persone molto cortesi e mi avevano preso in simpatia. Osservando anche il loro modo di vita compensavo quello che mancava nell'educazione dei miei genitori e che ora so che non mi è stato insegnato. F. Quella volta attorno al tavolo ho imparato...che le discussioni vengono superate, anche se a fatica, tra una portata e l’altra. Ero uscita con mia cugina Imperia, maggiore di me di ben dodici anni, naturalmente con il permesso dei genitori, ma con l’obbligo di rientrare per l’ora di cena. Dopo che avevamo trascorso circa due ore nel parco, Imperia vide un cartellone che illustrava, in piccoli riquadri, la storia del “Gatto con gli stivali” e che indicava il cinema nel quale la fiaba veniva proiettata. Improvvisa l’idea:“Paola, mi disse, andiamo, vedrai che saremo a casa in tempo per la cena”. Contenta, mi diressi con lei verso il cinema. Il tempo volò e quando uscii l’orologio segnava già le diciannove. La gioia che avevo provata, ben presto si tramutò in paura perché pensavo al rientro ed alla faccia dei miei genitori. Infatti, l’entrata non fu delle più felici. Mi sedetti atavola silenziosa, tremante; ascoltavo i rimproveri con un grosso nodo alla gola e mangiavo masticando lentamente. Timidamente alzavo lo sguardo, sperando di non essere osservata dai miei familiari, per scorgere nei loro occhi il perdono. Il più rigido era il papà; al contrario, la mamma, mi giustificava dicendo che ero solo una bambina e che Imperia avrebe dovuto essere più responsabile. Anche la mia cara nonna, a cui ero molto affezionata, mi difendeva dicendo che ero sempre stata una brava bimba ubbidiente. Lo zio mangiava e di tanto in tanto esclamava come fra sé: “Ora basta, mettiamoci tranquilli, non vedete come sta male Paola ?”. I miei fratelli, troppo piccoli, mangiavano tranquillamente e non davano importanza a quello che dicevano gli adulti. Ad un tratto però mia sorella esclamò: “Ma almeno lei si è divertita!” La frase placò all’improvviso la controversia e anche mio padre disse: “Per questa volta, passi”. Il clima si fece sereno, mi affrettai ad alzarmi e a dire: “Buonanotte a tutti”. Andai a letto e dormii tranquillamente. Il ritardo era stato causato dall’aver trascorso ore piacevoli; al contrario, per i miei genitori, era stato motivo di preoccupazione. Attorno al tavolo, dalle parole dei miei famigliari, imparai che spesso ciò che piace a noi può causare dispiacere agli altri. P. Dalle mie parti c’era l’usanza (ma spesso ancora c’è), una volta costruita una casa, di invitare ad un pranzo tutte le persone che avevano lavorato alla sua costruzione: muratori, manovali, elettricisti, falegnami, idraulici... Questo pranzo aveva (ed ha) un nome particolare, si chiama BENDÌGA ( penso abbia a che fare con la parola “benedire”). Forse l’intento, in origine, era di dare una specie di benedizione alla nuova abitazione ed ai suoi abitanti. A casa mia i mezzi non erano tanti, per cui passò parecchio tempo prima che venisse organizzata la Bendìga. La casa venne ultimata più o meno quando nacqui io, e la mia famiglia si trasferì dalla vecchia casa di Pugnano e andò ad abitare in paese, quando io avevo quaranta giorni.Pertanto io avevo circa dieci anni quando organizzammo la bendìga. Cosa ricordo? Ricordo i preparativi: innanzitutto la bendìga venne organizzata in casa, e non, come si fa oggi, al ristorante, per cui mia madre e mia nonna si presero l’impegno di preparare il pranzo, che in realtà, poi, fu una cena. Non ricordo esattamente i cibi che furono preparati, ma presumo, per analogia, che fossero quelli tipici dei giorni di festa: - Tortellini fatti a mano, per i quali la regola era “più piccoli possibile”, perché dei tortellini un po' troppo grandi si diceva che “sembravano tortelli” e denotavano dei cuochi e dei padroni di casa “grossolani”, “ordinari”. Nel momento in cui si facevano i tortellini era gradita la partecipazione dei bambini perché avendo il dito indice ancora piccolo riuscivano meglio a piegare dei tortellini dalle dimensioni davvero molto piccole; - Brodo di carne e cioè fatto con un bel pezzo di gallina nostrana, doppione di manzo e assolutamente con l’aggiunta di un osso. Dal brodo, durante la bollitura, con la schiumarola, dovevano essere tolti la schiuma ed il grasso eccessivo che andavano via via formandosi, perché un brodo troppo grasso faceva male alla salute e denotava, ancora una volta, grossolanità; - Pollo arrosto o un bel pezzo di arrosto di maiale, condito con aglione, cioè aglio, sale e rosmarino pestati assieme sul tagliere con una coltellina molto affilata, che sprigionava un profumo delizioso durante la lenta cottura in forno; - Salsa da accompagnare al bollito di carne, fatta con cipolla, sedano, carota, prezzemolo, prima cotti poi tritati finemente e conditi con sale ed olio; - Dolce a freddo per chiudere, con savoiardi imbevuti nel liquore un po' allungato col latte perché non fosse troppo alcolico e uova, burro, zucchero, cacao, tutto a crudo. - Si finiva poi con un bicchierino di nocino fatto in casa o di amaro. Oltre ai preparativi per la cena immagino mia madre e mia nonna impegnate a pulire molto bene la casa per accogliere nel migliore dei modi gli ospiti. Considerato che la nostra casa aveva stanze abbastanza piccole, penso che questo abbia condizionato il numero degli invitati, inoltre mamma e nonna avranno tolto gli oggetti che in quell’occasione non servivano, per recuperare spazio. Ricordo poi che la cena fu piacevole, gli invitati mangiarono con piacere il cibo preparato e chiacchierarono a lungo ridendo e scherzando, in particolare risero per le battute, le barzellette e per le trovate nelle quali era esperto mio padre, uomo socievole e amante, oltre che della buona tavola, delle simpatiche conversazioni. Perché ho voluto ricordare proprio la bendìga dei miei genitori? Che cosa posso dire di avere imparato? Varie cose: che fu bello festeggiare quel risultato così importante per i miei genitori, essere riusciti con pochi mezzi a costruirsi una piccola casa in cui vivere assieme; che è preferibile fare le cose da sé, anche se umili, ma frutto del proprio lavoro, piuttosto che andarle a comprare già pronte, questo è un insegnamento che ho veramente fatto mio.E ancora che è bello nella vita ritrovarsi attorno ad un tavolo a festeggiare, chiacchierare, ridere, scherzare, mescolando sapori e discorsi, profumi ed amicizie, e mettendo da parte ricordi che è sempre bello rispolverare. P. Quelle poche volte che mi ricordo di essermi seduta attorno a un tavolo, dovevo prima aspettare che avessero mangiato i miei fratelli più grandi, perché il tavolo era piccolo. Una cosa che non scorderò e che mi disgusta ancora a ripensarci è una specie di “burro cotto” che mi faceva vomitare nonostante la fame. Mia madre mi obbligava a mangiarlo perché per noi era l’unica fonte di grassi della nostra alimentazione. Da noi, in montagna, per mantenerlo lo facevamo cuocere, poi lo mettevamo nei vasi di terracotta dove diventava nero. Risultato? Ora non mangio burro! B. Quella volta attorno al tavolo, ho imparato...che attraverso l'alimentazione i bambini assimilano valori fondamentali, un'impronta che contribuisce ineluttabilmente alla formazione e allo stile di vita presente e futura. Questa premessa è utile per caratterizzare al meglio un aspetto della mia infanzia che, data la sua importanza, ha avuto un seguito e ha marcato in modo indelebile alcuni aspetti del mio carattere e della mia personalità. Ricordo, infatti di quell'episodio, una conseguenza molto nitida: da allora sono diventato un potenziale vegetariano. Ricordo di aver avuto fame, eppure rifiutai di mangiare la carne, per i fatti che racconterò. Si deve sapere che io avevo uno zio il cui mestiere era quello del macellaio e che macellava in un macello pubblico. Orbene, saltando tutti i preamboli, mi ricordo che un giorno mia mamma preparò, in una piccola marmitta, il pranzo da portare a mio zio. Era la prima volta che mettevo piede in un mattatoio. Il primo impatto fu tremendo per l'odore pungente del sangue che scorreva sul pavimento, liquido rosso che usciva dagli animali agonizzanti, la cui acredine determinò, come aspetto immediato una repulsione e un disgusto talmente forti che ne ricordo i particolari, anche desso che li sto descrivendo.Un vomito! Mi assalì immediatamente e ricordo che il suo sapore acre e acido m'accompagnò nei giorni a seguire. Avere davanti agli occhi l'immagine dei vitelli che venivano spronati ad avanzare verso il locale in cui avrebbero perso la vita è veramente raccapricciante, soprattutto quella di quando continuavano a resistere inutilmente, perchè, con uno strumento, veniva loro opposta una carica elettrica, per cui l'avanzamento verso la morte era inevitabile. Ma sono anche indimenticabili, comunque, gli occhi che con la loro espressione supplicavano un aiuto che mai sarebbe potuto arrivare. Ebbene, una volta rientrato a casa continuavo a vivere queste immagini come una ossessione, ero anche consapevole che l'esperienza avuta, soprattutto nella sua crudezza, stava per dare una svolta alla mia vita, ma non ero ancora conscio di ciò che stava per accadere. Così, successe che quel giorno mia madre mi mise un po' di carne nel piatto, una rarità, un evento da scrivere, perché allora era insolito avere a disposizione una simile pietanza, e quando mai poteva ripetersi? Ebbene, davanti a quel ben di Dio, risposi con una immediata repulsione, prevalse il rifiuto di quel cibo. Venni prima bonariamente esortato, ma il mio raccnto dell'esperienza vissuta, non sortì in nessun effetto e alla fine la mia caparbietà fu punita con le botte, infatti le minacce risultarono vane e io rimasi fermo nella mia decisione. Quel giorno ebbi una vittoria, ma fu la vittoria di Pirro. Perché in seguito, purtroppo non fu così, nonostante le mie proteste, fui costretto ad accettare di mangiare la carne, anche perché la nostra povertà non permetteva alternative, ci veniva portata da mio zio e quindi non dovendola comprare era uno dei pochi pasti disponibili. E da allora la mia assuefazione alla carne rimase e mi accompagnò per il resto della mia vita. Poi nel 1981, nel mese di giugno, avvenne la mia scelta di vita: quella di diventare vegetariano e di non volere nessuno alimento proveniente dal mondo animale, pesci compresi. Da questa scelta ho derivato uno stile di vita che mi permette il rispetto di ogni persona, della sua volontà di poter esercitare la propria libertà nel migliore dei modi. Ed ecco perché sono diventato uno stratega del patteggiamento con i bambini, accetto che quello che dovrebbero mangiare non è quello che davvero mangiano... auguro loro, quando diverranno grandi, di non dimenticarsi di essere stati piccoli. V.