Il tavolo della mia infanzia La mia infanzia non la ricordo molto

Transcript

Il tavolo della mia infanzia La mia infanzia non la ricordo molto
Il tavolo della mia infanzia
La mia infanzia non la ricordo molto volentieri; ultima di sette fratelli, eravamo in
tanti, con poco amore e poco da mangiare in una casa vecchia e fredda.
Però un ricordo piacevole ce l’ho, a volte lo sogno ancora la notte: un gran tavolo di
sasso davanti casa, tutto coperto di glicini con dei colori intensi e con un profumo
stupendo.
NOMI DEI MIEI FRATELLI E SORELLE: Renzo, Lina, Angela, Benito, Ottavia,
Edda.
B.
LA MIA FAMIGLIA AL TAVOLO DURANTE IL PASTO:
PAPA’ GINO: “Ragazzi, mangiate tutto ciò che è nel piatto, altrimenti sono guai.”
MAMMA EMMA: “Dai, Gino, non esagerare!”
SORELLA CARLA: “Oh, com’è buono!”
FRATELLO CARLO: “Basta, non ne voglio più.”
NONNA MARCELLINA: “Avessi avuto io quello che avete voi!”
ZIO LORENZO: “Il tuo papà, Carlo, ha ragione.”
IO: non dicevo nulla, prendevo poco cibo per essere sicura di finirlo, dicevo che era
squisito così accontentavo tutti.
P.
Non mi ricordo come era fatto il tavolo dove pranzavamo tutti i giorni, mentre ho
presente la stanza, so che era dalla parte sinistra dell'ingresso; ho invece ben presente
il tavolo lungo in veranda, usato solo per i pranzi della mia Cresima e della
Comunione.
Attorno al tavolo che non ricordo, allora c’eravamo io, mio babbo Enzo, mia madre
Ines, la nonna Annunziata e zia Lella. Nel tavolo in veranda rivedo tutti gli zii e le
zie: Irmo, Amedeo, Dario, Disma, Iole, Celestina, Milla, Mario e Tonino.
Ricordo molto bene che sul tavolo lungo, la zia Milla faceva i gnocchetti usando la
forchetta.
A tavola ero la più piccola e quindi parlavano sempre i grandi. La nonna Annunziata
mi coccolava e mi voleva molto bene: oggi che sono nonna anch’io, cerco di
assomigliarle.
Il babbo cantava e fischiava. La mamma era più seria e mi sgridava molto.
Della zia Lella non ho ricordi se non di quella volta che la nonna mi regalò una
bambola molto bella e ne regalò una anche a lei che ha dieci anni in più di me ed era
ancora piccola.
Degli altri parenti ricordo la loro presenza ai pranzi della cresima e della comunione
con tante cose buone da mangiare e tanta allegria e confusione.
Dei pranzi di tutti i giorni ricordo di aver scolato la pasta tante volte anche se mia
madre non lavorava! Alla domenica si mangiava sempre minestra in brodo (quadretti
o tagliatelline) e carne di manzo con patate in umido. Non si era mai molto allegri. Io
non avevo tanta fame e mi bastava poco, preferivo andare fuori in giardino a vedere i
fiori, mangiare fichi e marusticani o girare in bicicletta.
Non c’erano altri bimbi intorno a casa e quando la vicina, la zia Milla faceva un
pranzo mi invitava a mangiare, non aveva figli e mi aveva praticamente adottato e
anch’io! Cucinava i tortellini in brodo, con i pizzi intorno e il brodo che sapeva
troppo di noce moscata. Oggi (ancora la noce moscata non mi piace) capisco che la
zia copriva con la noce moscata quello che per i pochi soldi mancava!
F.
Siamo tornati dalla Francia festeggiando il mio sesto compleanno, ma i miei genitori
poco dopo dovettero ripartire per cercare lavoro. Andarono a Milano dove trovarono
una sistemazione come domestici presso una casa di persone abbastanza note e
ricche. Chiesero ai nuovi datori di lavoro se io potessi alloggiare con loro, anche
soltanto per il periodo estivo, la richiesta fu accolta, così lasciai i nonni al Paese e
partii per quella città.
La casa era immensa e molto bella, anche se a me faceva un po’ paura perché mi
perdevo in tutte quelle stanze così grandi, ma l’angolo a noi riservato: una camera, un
bagno ed un salottino, riusciva a ridarmi sicurezza e la sensazione un po’ domestica
di casa nostra.
Mangiavamo nella cucina dove mia madre era la cuoca. La padrona di casa curava
direttamente la spesa e controllava anche i nostri pasti. A noi erano riservati un
panino a testa, un bicchiere di vino per ognuno dei miei genitori e ciò che rimaneva
dei pasti principali previsti per loro, senza la carne, però, perché costava troppo.
C'era anche un cane in tutto questo benestare, un cocker, si chiamava Taddeo; era
coccolato come un figlio e gli avevano destinato tutti i servizi come a un componente
della famiglia, anche una stanza adibita a bagno soltanto per lui, con il rivestimento
alle pareti di colore verde chiaro con riproduzioni di diverse razze di cane, tutti i
sanitari erano bianchi.
Mi sono sempre chiesta quale funzione potessero avere il water ed il bidet per lui e
ancora adesso non riesco a darmi una spiegazione. Dormiva con il padrone di casa,
aveva una valigia tutta sua, era un piccolo principe. Il suo posto per mangiare era in
un angolo appena fuori dalla cucina: due ciotole di porcellana inglese con riprodotti
paesaggi di caccia.
La signora aveva mille riguardi per il piccolo Taddeo che anche nella spesa era
considerato uno di loro. Un giorno arrivò con la spesa, aveva acquistato due
bellissime fiorentine per Taddeo che la notte precedente, però, non era stato molto
bene, quindi doveva mangiare in bianco e non carne ai ferri.
Noi mangiavamo un po’ prima dei padroni di casa, e quel pranzo rese giustizia ai miei
genitori. Infatti mia madre ci aveva cucinato le fiorentine destinate a Taddeo che ci
sembrarono buonissime, ancora adesso mio padre sostiene che fu la fiorentina più
buona che abbia mai mangiato. Quel giorno a Taddeo furono serviti gli avanzi della
sera prima, scodinzolò ed apprezzò tantissimo.
Ero piccola, ma capii benissimo che chi gode di ricchezza, a volte, considera molto
di più un cane di una persona. Capii che il danaro non poteva comprare la dignità dei
miei genitori e che per avere rispetto non occorre la ricchezza, ma avere quei valori
che fanno la differenza degli essere viventi.
M.
Quando ero piccola la mia famiglia era composta da sette persone, a volte otto, in
quanto, in alcuni periodi Caterina, la nonna materna che era ospite in una casa di
riposo di S. Agata Bolognese, veniva per dare un aiuto a mia mamma.
Mia nonna era una persona molto buona e tanto religiosa, la ricordo sempre
uguale, infatti lei non è mai invecchiata perché io l’ho sempre considerata “vecchia’’
anche quando era di età più giovane. La ricordo sempre vestita di nero, con il
grembiule ed il fazzoletto in testa. Ha avuto una vita di grande miseria e di
grandissima sofferenza perché era rimasta vedova presto e con due figli: il maschio
era più grande di mia mamma e faceva da capofamiglia.
La guerra era terminata dopo tanta paura e tanta miseria, ma erano tutti vivi. Ma
posso proprio dire che non c’è mai limite al peggio. Questo mio zio che si chiamava
Lino come mio padre e che ho conosciuto solo dai racconti di mia mamma e di mia
nonna, destino o sfortuna ha fatto sì che a venticinque anni è annegato in un canale
dove era andato per fare il bagno.
Quella tragedia ha portato un grandissimo dolore a mia mamma, ma mia nonna, che
già ne aveva passate troppe, nel periodo della risaia si ammalò gravemente e quando
mia mamma si è sposata non potè più stare sola. Allora, aveva circa cinquantacinque
anni, così, attraverso i servizi del Comune è stata ospitata nella casa di riposo di S.
Agata Bolognese, in servizio alla cucina ed è rimasta in quel posto, che era diventato
la sua casa, fino alla fine dei suoi giorni.
Posso sicuramente dire che l’aiuto più grande che ha avuto per sopportare tutto quel
peso è stata la sua profonda fede: sosteneva che il Signore quando le chiudeva una
porta le apriva poi una finestra…
Le volte che veniva da noi, durante le feste di Pasqua o Natale eravamo molto felici
e ascoltavamo i racconti delle sue favole con grande interesse. Le ho sempre voluto
molto bene e tutte le volte che potevo andavo a trovarla.
Mio nonno paterno, Arturo, veniva a volte da noi per aiutare mio padre nella
gestione del gregge di pecore: mio padre faceva il pastore, mestiere che aveva
ereditato da lui. Ricordo che mio nonno tutte le mattine faceva colazione con un uovo
crudo che andava a prendere nel pollaio, lo bucava con un ago e lo beveva poi, dopo
una abbondante zuppa di caffellatte, si beveva un bicchierino di grappa e si fumava
il suo toscano. Non so se questo suo modo di iniziare la giornata era quello giusto, so
per certo, però, che è vissuto fino a novantadue anni senza grossi problemi di salute.
A tavola insieme ci si trovava più che altro per cena e in particolare a pranzo la
domenica. Ricordo che molte volte per cena c’ era la pasta in brodo fatta con il dado
perché mia mamma era molto impegnata e aveva poco tempo, mentre la domenica si
alzava presto, metteva su il brodo, faceva la sfoglia, tirata rigorosamente a mano con
il matterello, e faceva le tagliatelline o i quadretti. Per secondo preparava la carne
lessa accompagnata da una salsa molto buona, tipo peperonata. Così il buon giorno
della domenica ci veniva dato dal profumo del brodo e della salsa che si spandeva in
tutti gli ambienti della casa.
Mia sorella Laura era la più grande anche se tra me e lei c’erano solo tredici mesi di
differenza ed eravamo molto gelose una dell'altra, tanto che da piccole litigavamo
spesso dandoci botte da orbi e facevamo disperare nostra madre. Una volta, durante
un litigio, ci siamo tirate dietro degli utensili e io con un cucchiaio le ho scheggiato
un dente, vi lascio immaginare….come è finita. Poi, crescendo, abbiamo recuperato
un buon rapporto, eravamo molto unite e anche complici, quando era il caso, nel
coprirci a vicenda. Ora non c’è più, è mancata il 25 ottobre 2011 in conseguenza di
un incidente stradale: con la sua morte si è spezzato un forte legame e sento
moltissimo la sua mancanza.
Mia sorella Mara era molto brava a scuola e non mancavano mai i suoi libri sul
tavolo, anche quando era ora di apparecchiare.
Lauro era l'unico fratello, per la gioia di mio padre di avere un figlio maschio. Era un
bimbo creativo e molto vivace che sicuramente ha dovuto subire la gelosia per la
nascita di Loretta, la sorella più piccola. Tra me a lei ci sono quasi quattordici anni di
differenza, perciò le ho fatto un po’ da mamma. Ricordo che quel ruolo mi piaceva
molto perchè mi faceva sentire grande, la lavavo e la cambiavo sull’unico tavolo che
serviva a varie funzioni, (allora non c' erano certamente i fasciatoi di oggi)e la davo
alla mamma pronta per essere allattata. Loretta è nata con una disfunzione cardiaca
che ha comportato un intervento al cuore a soli otto anni, ma per fortuna tutto si è
risolto in modo positivo. Quella situazione, però, ha penalizzato mio fratello che
prima dell’arrivo di Loretta era il più piccolo e il più coccolato. Da quel momento si è
sentito privare di attenzioni, anche se non volutamente, da parte un po’ di tutti noi.
Forse anche per quello, tra gli otto e i dieci anni, era diventato un bambino, un po’
ribelle tanto che ,ricordo, i miei genitori avevano pensato di metterlo in collegio.
Questo, per fortuna, non è successo anche perché dopo averne parlato con il parroco
della parrocchia gli venne sconsigliato e devo riconoscere la saggezza di mio padre
che chiese al bambino cosa ne pensava e, tenendo conto del suo rifiuto l’ argomento
non fu più in discussione. Oggi penso proprio che fu una saggia decisione, anche
perché, quel bambino così vivace oggi è un uomo di cinquantasette anni, con una
carriera, dopo varie gavette, di manager aziendale, amministratore delegato ecc.
Mia mamma Vittoria, non era mai ferma, lavorava sempre, l’ultima a mettersi a
tavola e la prima ad alzarsi. Era maniaca della pulizia e non voleva che si entrasse in
casa prima di esserci tolte le scarpe che spesso erano infangate, anche perché si
viveva in campagna.
Mio padre, Lino, leggeva molto: tutti i giorni il giornale e due settimanali, la
Domenica del corriere e la Tribuna illustrata. Dava molta importanza all’istruzione e
si rammaricava molto di non avere potuto studiare. Mio padre ha avuto una vita
molto difficile, segnata da un periodo di grande sofferenza vissuta, come prigioniero
di guerra, nei campi di lavoro di Bezeichnung in Germania che lo hanno segnato in
modo irreversibile avendo veramente sofferto la fame e rischiato la vita.
Sono molto vivi in me ricordi poco piacevoli di suoi momenti di grandi arrabbiature,
che spesso sfociavano con violenti pugni sulla tavola, accompagnati da prediche che
non finivano mai ed erano tutte le volte le stesse, quando rifiutavamo certe pietanze o
scartavamo il grasso del prosciutto. Noi eravamo piccoli, non potevamo certo capire
il perché di quelle reazioni così violente anche se la mamma faceva di tutto per
tranquillizzarci.
Solo con la maggiore età ho capito che quel comportamento era dovuto ad un
terribile passato, dove, oltre alle grandissime umiliazioni subite, aveva veramente
sofferto la fame.
Nonostante tutto ricordo che eravamo stati educati a dare il bacio della buona notte
ai genitori prima di andare dormire. A volte diventava difficile, ma rispettavamo
quel rito anche quando eravamo arrabbiati. Ora penso a mio padre con grande
tristezza, e anche se non sono più in tempo, è morto nel 1986, mi scuso con lui per
non avere capito e assecondato la sua sofferenza anche nei suoi disperati racconti.
E.
Trovarsi noi tre insieme a tavola era semplicemente piacevole, anche se non ci si
trovava spesso insieme a causa del lavoro dei miei genitori, perché lei era infermiera
e lui lavorava al porto. Ma quando ci si incontrava era veramente bello, ricordo che i
miei non mi hanno mai fatto pressione nel dover mangiare quella determinata cosa
(d'altronde c'era ben poco da scegliere) e non mi facevano mai pressioni di nessun
genere. Erano occasioni in cui si parlava molto del loro lavoro: specialmente mia
madre essendo infermiera in un reparto dove c'erano solo bambini da uno a quindici
anni, con patologie croniche, mi raccontava. Io nel frattempo mi intristivo, pensando
che loro non potevano riunirsi al tavolo con i loro genitori essendo impossibilitati nel
muoversi.
Ancora oggi amo stare con amici intorno a un tavolo e non solo per mangiare, ma per
parlare, giocare a carte, stare insieme, insomma.
C.