Quella volta che... La nostra esperienza dei rapporti scuola

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Quella volta che... La nostra esperienza dei rapporti scuola
30.Ricordo ancora chiaramente l’anno in cui tutta la classe decise di rifiutare di
apprendere il latino. Tutto questo per una semplice protesta manifestata contro la
scuola, al fine di ottenere nuovamente l’ex docente di latino. Era il mio secondo
anno di liceo psicopedagogico. In aula durante la lezione della nuova
professoressa di latino non c’era alcun tipo di attenzione: gente che chiacchierava,
gente che scriveva tutt’altro tranne che qualche appunto riguardo la sua materia.
Eravamo davvero una classe un po’ particolare.
Cosi, la nostra docente decise di convocare i nostri genitori, il preside e la
vicepreside.
All’incontro provavo molta vergogna. Vidi lo stesso imbarazzo nei miei compagni.
La rabbia e la delusione dei nostri genitori, che non facevano altro che giustificarsi
per il nostro scomodo comportamento. Direi una bella figuraccia!
La docente con molto garbo e molta calma spiegò tutto alle rispettive famiglie. Con
dolci parole e qualche simpatica battuta ci spiegò che con quell’atteggiamento non
saremmo arrivati a nulla, restando semplicemente nella nostra ignoranza.
Il giorno seguente, la professoressa entrò in aula. Tutti noi ci alzammo dalla sedia e
con tono amorevole le augurammo il buongiorno.
Quell’incontro, quella convocazione non provocò alcun danno, ma fu solo l’inizio del
nostro nuovo percorso di apprendimento.
29.PREMESSA: lo scorso anno scolastico (2013-2014) ho affiancato una ragazza
di quarta superiore nello studio della pedagogia, avendo lei problemi
nell’approcciare la materia, nel trovare il metodo più adatto per studiarla e, inoltre,
nel rapporto con la docente. Raggiungendo a fatica la sufficienza nelle verifiche
scritte e orali, a maggio la mamma mi ha chiesto di andare a scuola per fare,
insieme a lei, un colloquio con la professoressa.
Io e la mamma abbiamo aspettato la docente nell’atrio della scuola, in piedi,
attendendo la campanella che annunciava l’inizio del suo orario di ricevimento.
Essendo occupate le salette usate abitualmente per ricevere i genitori ci ha fatto
accomodare in una stanza molto piccola, con un armadio, un tavolino basso, un
divano e due poltroncine. Io e la mamma di siamo sedute vicine, di fronte alla
docente. L’inizio della conversazione è stato difficoltoso poiché la docente era
abbastanza rigida e con uno sguardo severo. Abbiamo iniziato a parlare della
ragazza e la professoressa ha evidenziato quelle che riteneva le sue carenze e
difficoltà, sia durante le lezioni sia per quanto riguardava le prove di valutazione, e
la mamma ha confermato (ritenendolo conveniente per la circostanza ma non
essendone del tutto convinta) le problematiche della figlia evidenziate. Io ho
cercato di mediare riconoscendo l’impegno che la ragazza metteva nelle ore che
trascorrevamo insieme a casa e ho cercato di approfondire il metodo didattico
utilizzato dalla docente e l’uso richiesto dei materiali forniti agli studenti, così da
poter eventualmente modificare il lavoro svolto a casa con la ragazza. Il colloquio si
è concluso con un clima più sereno, a mio parere, dovuto alla constatazione da
parte della docente della nostra volontà di comprendere le problematiche (e non di
criticare le metodologie e le pratiche adottate dall’insegnante, pur essendo sia io
che la mamma in disaccordo con alcuni elementi) e da parte della mamma della
rassicurazione che la situazione era meno grave di quello che pensava e vi erano
ancora possibilità di recupero.
28.Sabato pomeriggio...prima di accompagnare mio figlio ad una festa di
compleanno consulto la mia casella di posta elettronica. C'è una mail di una mia
studentessa...le ho già parlato più volte in corridoio, da un po' mi dice che è triste,
giù di morale, ma non riesce bene a spiegarmi il motivo. Leggo le prime righe, poi
ad un certo punto mi fermo, paralizzata: "...questa volta non ce la farò, avrò il vuoto
sotto i piedi. Comunque grazie, prof, è stato bello incontrarla!".
Sono terrorizzata: cosa faccio? Dove vado?
Sono arrabbiata: perché lo ha detto proprio a me? perché non ne ha parlato con la
famiglia o con l'amica del cuore?
Sono confusa: chi chiamo? chi c'è adesso, nel week end, per ascoltarmi e
aiutarmi?
E la famiglia? Bisognerà avvertire i genitori...certo questo la farebbe sentire tradita,
più volte mi ha chiesto riservatezza riguardo alle sue confidenze e io gliel'ho
garantita...ma questo è un caso diverso...già...ma non lo farà davvero, lo avrà
scritto solo per attirare al massimo l'attenzione su di sé...e se lo facesse davvero?
Aiuto!!!
Accompagno mio figlio alla festa di compleanno e in mente ho un chiodo fisso.
Oggi lei mi ha investito di un ruolo pesante e importante. Ma a questo punto dove
mi posiziono io tra lei, scuola e famiglia? Cosa è giusto fare?
27.Terzo anno del liceo di Scienze Sociali ambito ecomico-giuridico.
La mia insegnante di italiano e storia, che era molto esigente, chiese un incontro
con i miei genitori a seguito della mia scarsa applicazione nello studio.
Mia madre,-insegnante in una scuola professionale in cui la maggior parte degli
studenti ha un background di bocciature e una scarsa propensione allo studio-,
esige ed esigeva da me e da mia sorella un impegno a scuola costante.
Tra le due insegnanti si creò un'intesa, una sorta di alleanza.
L'insegnante richiese mio maggior impegno nello studio, cosa concordata con i miei
genitori, e che mi avrebbe controllato attraverso interrogazioni come volontaria e/o
interrogazioni
specifiche
su
un
determinato
argomento.
La conseguenza fu un mio netto miglioramento nelle materie di italiano e storia,
cosa che mi servì non solo negli anni liceali successivi, ma anche per l'università,
contribuendo alla costruzione di un modello di studio efficace.
26.Frequentavo il terzo anno della scuola elementare.
I genitori e noi bambini veniamo invitati ad un incontro serale in cui verrà trattato il
tema "rapporto genitori-figli". Le insegnanti caldeggiano la partecipazione di tutti
noi, poichè sarà presente un esperto in materia (se non ricordo male, uno
psicologo).
Arriviamo in palestra e ci fanno accomodare su dei gradoni rialzati, mentre "gli
esperti" si siedono al centro della palestra (più in basso dunque rispetto a noi). Non
ho un ricordo netto della serata, solo della noia di noi bambini (costretti per almeno
un'ora in prima fila a stare muti e fermi dall'accoppiata "maestre di fronte-genitore/e
alle spalle) e dell'imbarazzo dei nostri genitori (non tutti, immagino). Ciò che è
successo, almeno nella percezione di chi stava sui gradoni (genitori compresi), è
che siamo stati a sentire una persona che parlava di noi, ma non con noi. Poche
persone (tra quelle che conosco) hanno capito il linguaggio tecnico dell'esperto e
quasi nessuno dei presenti è riuscito ad intervenire quando richiesto (se non
capisco un tubo, che posso dire in materia?).
Ciò che i miei si sono portati a casa è stato l'imbarazzo di non essere all'altezza di
discutere di un argomento che li riguardasse in prima persona e la conseguente
rabbia per l'inadeguatezza provata. è stato il primo e ultimo incontro "con l'esperto"
a cui abbiamo partecipato.
25.Se ad una lezione in università mi si chiede di scrivere di un episodio legato al
tema scuola-famiglia, non posso fare a meno di pensare ad uno degli momenti che
più hanno segnato la mia vita e in qualche modo l'ha segna tutt'ora forse.
Il fatto in sè non riguarda la scuola ma il suo evento ha segnato irreparabilmente il
modo in cui io poi l'ho vissuta.
Quando a mia madre hanno diagnosticato un tumore benigno alla testa io ero in
seconda media. Un periodo in stand by l'ha trasformata dal ruolo di mamma
addetta alla super cura a madre che ti dice, ok sei grande puoi fare da sola, anche
tua sorella lo fa (è più piccola di 2 anni ed era autosufficiente nella gestione dello
studio). Ora, tralasciando il commento pedagogico sul confronto tra sorelle, il
trauma per me è stato, oltre alla sensazione dell'eventuale perdita di mia madre, il
dovermi “organizzare” da sola lo studio, una sensazione di spaesamento totale che
oserei dire mi ha traumatizzata.
24.Durante la mia personale esperienza come educatrice in un centro estivo
ricordo un episodio che credo possa riguardare la tematica dei rapporti tra la
scuola e la famiglia, in particolare la tematica della trasparenza.
In quel periodo mi era stato affidato un gruppo di bambini. Durante le mie ore di
lavoro una bambina è scivolata e si è fatta male ad una gamba. Fortunatamente
non era nulla di grave, ma nel momento in cui ho dovuto parlare con la madre e
spiegargli l’accaduto ero molto spaventata dalla sua reazione, anche perché era la
mia prima esperienza e non sapevo bene come comportarmi. Tuttavia sono riuscìta
a chiarirmi con lei, senza avere problemi.
L’anno successivo ho incontrato la stessa madre, sempre durante il centro estivo e
mi sembrava di notare nell’ espressione del suo viso ancora risentimento nei miei
confronti e mancanza di fiducia per quello che era successo precedentemente.
Successivamente l’ho incontrata al di fuori della scuola varie volte ed ho avuto
occasione di farmi conoscere meglio da lei. Man mano il suo sguardo nei miei
confronti è cambiato e mi sembra che io abbia riguadagnato maggior fiducia e
stima.
23.Ero in prima o seconda liceo, non ricordo. Mia sorella gemella ed io fummo
messe nella medesima sezione. Trascorsi pochi mesi dall’inizio dell’anno scolastico
l’insegnate di matematica ci consegna una busta contenente una lettera. Dice di
non aprirla e di recapitarla ai nostri genitori. La aprimmo poco dopo: nella lettera
l’insegnante consigliava ai nostri genitori di accompagnarci ad un consulto con la
psicologa della scuola; la motivazione era il nostro comportamento poco relazionale
con il gruppo classe. Pochi giorni dopo la situazione fu la seguente: quattro sedie
posizionate al centro di una stanzetta; tre da una parte e l’altra messa frontale;
sopra queste sedie vi erano seduti: mia madre, mia sorella, la psicologa ed io.
Dopo una breve presentazione, la psicologa porse una serie di domande a mia
sorella ed io. Facemmo scena muta. La psicologa, non contenta di come furono
andate le cose, ci consigliò di recarci presso una struttura “specializzata".
Facemmo scena muta anche lì.
22.Il mio ricordo del rapporto tra scuola e famiglia risale al primo anno del liceo.
La scuola ha convocato me e la mia famiglia per comunicarci qualcosa che ahimè
già
sapevamo:
la
mia
bocciatura!
Così quella mattina mia madre ed io ci siamo recate all'istituto ritrovandoci in un
luogo
freddo
e
vuoto
probabilmente
perché
era
fine
anno.
Non ricordo esattamente chi fosse la professoressa designata a darci la bella
notizia, ma ricordo ciò che provavo e come mi sentivo di fronte a quella donna ma
sopratutto di fianco a mia madre. Eravamo sì sedute vicine ma io la sentivo
lontanissima.
Avevo il cuore a mille perché temevo la reazione di mia madre o forse avevo paura
di qualcos'altro e cioè della mia testa. Per l'ennesima volta mi sono sentita
incapace di fronte a qualcuno. Provavo odio per la donna al di là della scrivania che
durante l'anno non era stata capace di aiutarmi a non provare quella delusione
enorme, che leggevo soprattutto negli occhi di mia madre.
21.Ho un ricordo brutto della prima elementare: la classe in cui sono stata inserita
non mi piaceva e c'erano stati alcuni episodi di presa in giro nei miei confronti
anche da parte delle stesse insegnanti. La mamma mi ha ascoltata e creduta,
allora
ha
deciso
di
farmi
cambiare
scuola.
È stato l'unico atto forte della mia famiglia nei confronti dell'istituzione scolastica
(latitanza).
20.In qualità di sorella di una persona con disabilità ho partecipato ad una riunione
di èquipe assieme alla mia famiglia dove erano presenti:la scuola,il servizio di
inserimento lavorativo dell’ASL e le operatrici del centro diurno che mio fratello
aveva iniziato a frequentare .
Il tema della riunione era il suo progetto di alternanza scuola-lavoro.
Ci trovammo,con l’insegnante di sostegno, circa una mezz’oretta prima dell’inizio
dell’incontro per concordare una linea comune.
Gli operatori erano seduti dietro ad un tavolo,allineati e molto rigidi (soprattutto alla
mia vista).
In quanto sorella infatti, secondo loro, avrei dovuto partecipare in “futuro” a queste
riunioni.
Già questo provocò,a mio avviso, un iniziale “turbamento”al clima della riunione.
Noi familiari assieme all’insegnante di sostegno eravamo dalla parte opposta,del
tavolo.
L’operatrice del SIL,gesticolando, iniziò ad elencare le cose che mio fratello non
sapeva fare (in quel periodo era inserito in una mensa scolastica di una scuola
dell’infanzia e aveva il compito di tagliare il pane e metterlo nei cestini) e arrivò
subito alla conclusione che non era pronto per un’esperienza lavorativa ma
sarebbe stato meglio prospettare l’inserimento definitivo nel centro diurno che già
frequentava una volta a settimana.
A quel punto l’insegnante di sostegno iniziò ad elencare,invece, tutte le qualità,le
autonomie ed i traguardi raggiunti da mio fratello e propose che prima di “alzare la
bandiera” così velocemente si sarebbe potuto trovare un’alternativa: ad esempio F.
era molto bravo ad apparecchiare e riempire le caraffe dell’acqua. Cosa impediva di
non tentare?
I miei genitori ed io concordammo.
A quel punto era chiaro che questa possibilità non era stata da loro nemmeno
presa in considerazione;si notava che non c’era stata una discussione interna e,in
alternativa, delle possibili ipotesi da condividere durante l’incontro assieme agli altri
partecipanti.
Il dover uscire dai loro schemi prestabiliti le aveva messe in difficoltà.
La decisione era già stata presa e, evidentemente, a loro avviso, l’avremmo dovuta
accettare.
Dai loro visi traspariva palesemente la domanda “e adesso cosa
rispondiamo/facciamo?”
Da questa esperienza emerge che, molte volte, ad un’ottima alleanza scuolafamiglia non corrisponde la tanto auspicata intesa scuola-famiglia-servizi.
19.Pensando al rapporto scuola-famiglia la prima cosa che mi viene in mente non
riguarda me in prima persona ma una situazione che alcuni genitori, di una scuola
dell’infanzia, stanno vivendo con una nuova maestra. Una mamma mi ha
raccontato che con questa maestra hanno problemi di comunicazione (a volte, ad
esempio, non riescono a sapere come è andata la giornata del/la figlio/a) e che
suo figlio, spesso, si è lamentato di questo cambiamento arrivando a chiederle di
cambiare scuola. Personalmente con questa maestra ho avuto modo di parlare
poco in quanto le volte che accompagna da me i bambini del doposcuola rimane
solo il tempo necessario per verificare che ci siano tutti e poi va via. Una volta a
persino lasciato a me una bambina, che non era iscritta al doposcuola, ed è andata
via senza assicurarsi che quella bambina frequentasse il doposcuola e senza
aspettare l’arrivo dei genitori della bambina.
18.L'unica esperienza che mi viene in mente in cui siano coinvolti sia la famiglia
che la scuola è durante il servizio tutorato che c'era per tutti i cinque anni del liceo.
A metà di ogni anno io dovevo incontrare in un colloquio i genitori e il professore
che mi faceva da tutor. Questo colloquio aveva lo scopo di far presente alla famiglia
l'andamento del percorso scolastico. Purtroppo, almeno per quanto riguarda me, il
colloquio consisteva solo nel comunicare i voti di ogni materia senza che venissero
spiegati e capiti i motivi o le difficoltà per cui c'erano quei voti.
17.Era inverno, faceva freddo. Ero vicina alla mamma e al papà, inizialmente, e
facevamo parte di una lunghissima fila di genitori in attesa dietro una porta chiusa.
Il motivo doveva essere importante perché c’erano sia mamma sia papà; forse era
il giorno delle pagelle.
Fare la fila era troppo noioso, infatti mi ero messa quasi subito a giocare con i miei
amici, stando ben attenti a non fare rumore e a non gridare per non disturbare i
grandi; o forse a farlo apposta.
Finalmente era arrivato il turno dei miei genitori. Mi ero avvicinata per
accompagnarli nella mia classe, ma la maestra mi aveva detto che non potevo
entrare. Ma come?! Avrebbero parlato di me e io non potevo sentire??
Avevano chiuso la porta e io avevo provato ad appiccicare l’orecchio contro la
porta, ma non sentivo nulla.
Finalmente erano usciti. La maestra mi aveva salutato come al solito, con un
sorriso e i miei genitori mi avevano sorriso felici. Poi siamo andati a casa.
16.Se mi si chiede un ricordo personale del rapporto scuola – famiglia mi viene
subito in mente la mia esperienza liceale nella quale si possono distinguere due
periodi diversi, il primo caratterizzato da "cattive pratiche" e il successivo, invece,
da "buone pratiche".
Durante i primi quattro anni di liceo classico avevo mostrato delle carenze in
determinate materie e durante i colloqui i docenti, davanti alla richiesta riguardo
cosa si potesse fare, oltre alle ripetizioni private già in atto, ribadivano freddamente
ed in modo poco interessato solo il problema delle carenze presenti senza
aggiungere altro. Addirittura alla fine del secondo anno (la quinta ginnasio) ero
stata convocata con in miei genitori in un’aula con davanti i tre professori delle
principali materie che mi invitavano a cambiare tipologia di scuola. Costoro si
mostravano persino discordi tra loro, mentre parlavano da dietro i banchi posti
davanti a noi, sul consiglio da darci ma concordavano, invece, nel vedere in me
una persona in grado di raggiungere ben pochi risultati a livello di scuola
secondaria di secondo grado (soprattutto un liceo) e oltre.
Dopo la bocciatura al quarto anno (disagio importante per me e per la mia famiglia,
comunicato con una fredda lettera recapitata a casa con firma del preside), ho
cambiato scuola ma non tipologia (sempre liceo classico perché ero desiderosa di
terminare questo tipo di studi che, nonostante tutto, mi piaceva ed interessava).
Ricordo proprio questi miei ultimi due anni di liceo, invece, come un esempio
di "buona pratica". Ho ancora impressi i primi incontri con me e con i miei genitori,
durante i quali, nonostante tutte le paure e le incertezze di tutta la famiglia derivanti
dalla mia precedente esperienza scolastica, il preside ed alcuni docenti ci hanno
incoraggiato e hanno deciso d’investire su di me nonostante tutto (soprattutto le
valutazioni ed il mio profilo scolastico redatto in modo non propriamente positivo
dalla precedente scuola). In questa nuova scuola tutta la famiglia è stata sostenuta,
si sono tenuti rapporti frequenti e si è dimostrato un atteggiamento positivo e
propositivo in ogni occasione, adottando così la "politica scolastica" dell’interesse
globale per il singolo alunno visto come persona e non solo come numero. In tal
modo io mi sono trovata a concludere in modo sereno i due anni di liceo rimanenti
senza più avere alcun problema di rendimento scolastico, riacquistando così un po’
di fiducia in me stessa. Anche i miei genitori hanno vissuto questo periodo
tranquillamente, anche perché, sin dai primi colloqui, si sentivano rassicurati dai
docenti dato che non vi erano più problemi di rendimento scolastico di alcun tipo
(non avendo quindi più bisogno di ripetizioni o sostegni). Gli stessi docenti erano
sempre pronti ad intervenire in caso di bisogno in qualunque modo con un
atteggiamento empatico e stando sempre vicini sia a livello scolastico sia a livello
umano a me ed ai miei genitori. Inoltre mi hanno incoraggiata a capire che in realtà
valevo, tanto che persino loro stessi non si spiegavano tutte le cose scritte dai
colleghi dell’altra scuola nel mio portfolio scolastico liceale, tanto più che io nel
frattempo non avevo cambiato comportamento in classe e neppure metodo di
studio.
15.Al primo anno di scuola superiore non mi applicavo affatto in metodologie
operative, avevo instaurato un pessimo rapporto con la professoressa, non mi
applicavo, non mi preoccupavo di procurarmi i materiali che richiedevano a lezione.
Alle udienze di metà anno temevo ciò che la professoressa avrebbe detto a mia
madre, ero con lei quel giorno, inaspettatamente la docente parlò di me come uno
studente brillante che poteva ottenere ottimi risultati, nel pagellino mi aveva messo
"8". Ricordo il suo sguardo di complicità mentre diceva quelle parole. Non disattesi
la fiducia riposta in me, a fine anno avevo riconfermato il voto.
14.Ripenso a quella volta che, terminata la lezione di psicologia, alla scuola
superiore, la docente si è avvicinata al mio banco per domandarmi come stesse
mio padre; tempo prima, infatti, le avevo parlato della situazione che stavamo
affrontando in famiglia a causa di una grave malattia agli occhi che lo aveva
improvvisamente colpito.
La docente mi ha chiesto come stesse mio padre e come stessimo affrontando la
situazione anche mia mamma ed io.
Ricordo ancora oggi questo episodio con piacere; mi ha colpito molto
l'interessamento che la docente ha mostrato nei miei confronti, un interessamento
che mi è sembrato andare oltre al consueto rapporto tra insegnante e studente.
13.L'unico evento che mi è venuto in mente è un colloquio che ha fatto mia madre
con una prof.ssa di letteratura in terza
superiore ma non è accaduto in mia presenza.
Mentre parlavano la prof.ssa a un certo punto dice a mia madre "Se Dante avesse
dovuto posizionare sua figlia
nella Divina Commedia, probabilmente l'avrebbe messa nel girone degli ignavi".
(ignavi = persone che non hanno agito nè per il bene, nè per il mare, "neutrali",
senza mai aver avuto una propria idea).
La motivazione di questo fatto era "a vole cambiamo i posti in classe e a seconda di
chi ha di fianco cambia l'atteggiamento in classe.
A me questa cosa ha colpito molto perchè in realtà non mi son mai sentita una
persona di questo tipo e non mi aspettavo che potesse
arrivare questa sensazione a qualcuno di esterno. In secondo luogo dal mio punto
di vista mi comportavo in quel modo per il semplice
fatto che con alcune persone mi trovavo meglio (quindi avevo più cose da
raccontare) e con altre di meno. Oltre a esserci rimasta malissimo
mi ha dato la sensazione che avesse bisogno di classificare anche l'inclassificabile
come non-classificabile (non è nè ignorante, nè secchiona,
nè vivace, nè tranquilla... neutrale e quindi va negli ignavi) , senza sforzarsi
nemmeno di capire le motivazioni di quel mio comportamento .
12."Quella volta che...questo avvenimento ha avuto luogo dopo aver terminato il
mio percorso scolastico: la mia prof. di spagnolo, dopo aver incontrato ed aver
parlato con un'altra docente, la quale era a conoscenza di una situazione di di
grande disagio all'interno della mia famiglia, mi ha ha contattata per dare a me ed
ai miei cari il suo sostegno e la sua vicinanza.
Mi ha quindi fatto comprendere di essere interessata a me come persona e non
solo come sua ex studentessa."
11.Quando frequentavo il primo anno della scuola secondaria di primo grado mi
ricordo che i professori dopo un'assemblea di classe decisero di consegnare ad
alcuni studenti una lettera di convocazione per i genitori.
La mia classe era una delle più chiassose della scuola. Eravamo solamente sette
ragazze mentre i ragazzi erano una ventina.
Mi ricordo che quel giorno io ed i miei compagni eravamo seduti ai nostri banchi a
sperare che l'insegnante non pronunciasse il nostro nome.
Purtroppo la lettera di convocazione era indirizzata anche a me. Ero triste e non
sapevo proprio in che modo dirlo ai miei genitori.
Ero anche infuriata in quanto non capivo il motivo di questa convocazione.
Quando tornai a casa informai i miei genitori (arrabbiati) che volevo essere
presente al colloquio con i professori,
Il giorno seguente avvisai che ci sarei stata anche io al colloquio ma i professori mi
risposero che era stata richiesta solo la presenza dei miei genitori.
Ero davvero molto infastidita dalla risposta ricevuta.
Avrei voluto essere presente per sapere i reali motivi di tale convocazione e per
poter replicare ad essi.
10."Difficoltà di dialogo tra i miei genitori, l'istituzione scuola e me stessa."
9.Era il primo giorno di scuola elementare. Diversamente dai miei futuri compagni
di classe, io non conoscevo nessuno. Avevo frequentato un asilo diverso
rispetto agli altri e avevo da poco rinunciato alle mie amicizie per
frequentare
una
scuola
elementare
più
vicina
a
casa.
Ero molto legata ai miei genitori, in particolare a mia madre, e l'idea di
separarmi
da
lei
mi
terrorizzava.
Appena entrata in quel grande portone (se penso a quel portone mi viene subito
in mente una grande bocca, con una gola buia e profonda, che inghiotte ogni
cosa) ho iniziato a piangere disperata, mi mancava il respiro da quanto
piangevo, mi guardavo attorno e non trovavo niente di familiare a cui
aggrapparmi.
La maestra (che per me era colei che voleva separarmi da mia madre) era
brutta, bassa, cicciotella, con un viso dai tratti duri. Non mi ispirava
affatto simpatia o conforto. Usava le parole per cercare di tranquillizzarmi ma
con il corpo e il viso stava mettendo in ridicolo il mio comportamento, come se
piangere
fosse
esagerato,
come
se
fossi
sbagliata.
Ha dovuto chiamare mia madre che mi ha accompagnata in aula e non so come
(non
ricordo) è riuscita a convincermi a rimanere a scuola.
8.Il ricordo che mi sale alla mente pensando ad una mia esperienza pedagogica
riguarda il periodo in cui frequentavo il liceo. Ricordo di una riunione scuola-famiglie
in cui mi ero presentata da sola, poiché i miei genitori erano entrambi a lavorare e
l’orario di scelta di tale riunione non era favorevole per loro.
Ripensandoci, mi salgono alla mente subito due aspetti: la disposizione delle sedie
nell’aula e l’atteggiamento dei genitori e dei professori.
Davanti alla lavagna erano disposti quattro professori, seduti su delle sedie. La
cattedra era stata spostata e i loro corpi seduti erano ben visibili. Ricordo di aver
apprezzato questo aspetto, perché per una volta era come se fossero scesi dal
gradino degli insegnanti per porsi alla pari con genitori e studenti. Davanti ad essi vi
eravamo noi, sparsi, quasi a formare un cerchio attorno a loro.
Della riunione in sé ho un ricordo piuttosto negativo. Una professoressa parlava,
spiegava e raccontava gli sviluppi della classe durante l’anno scolastico. I genitori
ascoltavano in silenzio, e le loro espressioni facciali sembravano quasi suggerire
noia e stanchezza davanti alle solite cose ripetute. Ricordo che parlava la
coordinatrice della classe; gli altri insegnanti seguivano poco, intenti a giocherellare
con penne o matite. Alla fine della spiegazione la coordinatrice chiese se ci fossero
domande, ma la scarsa partecipazione dei genitori fece subito volgere al termine la
riunione.
7.Ero in terza elementare in classe insieme ai miei compagni. tutti seduti sulle
sedie, ognuno con il proprio banco. La maestra Anna, si siede di fronte a noi, e
inizia a parlare di me. Raccontando a tutti della morte del mio papà e del momento
difficile che stava passando la mia famiglia. Alla fine del discorso mi chiede di
alzarmi di andare li vicino a lei e mi abbraccia. Mi ricordo che provavo tanto freddo,
gelo anche l'abbraccio non sembrava sincero infatti era rigido. So che in quel
momento avrei voluto essere invisibile.
6.La
mia
prima
e
ultima
nota
sul
registro.
Durante il secondo anno di liceo, una mattina, il prof di matematica mi diede una
nota per, testuali parole, essermi "specchiata con ostentazione durante la lezione".
Subito dopo mi cacciò fuori dall'aula senza neanche farmi spiegare il motivo per cui
avevo in mano uno specchietto. Ricordo che mi diede fastidio il fatto che non mi
avesse lasciato parlare, però dall'altro lato ero quasi divertita dell'accaduto. Sono
sempre stata un'alunna tranquilla e di poche parole, quindi questa nota è come se
non l'avessi sentita realmente mia. Quando poi tornai a casa, raccontai tutto ai miei
genitori. Il vero motivo per cui stavo usando lo specchietto era per controllare una
lente a contatto che in quel momento mi dava molto fastidio. I miei chiesero quindi,
il giorno dopo, un colloquio con il prof in questione, arrabbiati e scocciati per il fatto
che la loro figlia, cosi calma e timida, non era stata ascoltata e aveva ricevuto una
nota sul registro. A seguito del colloquio, il docente si scusò per l'incomprensione e
cancelló immediatamente la nota. Ancora oggi, a pensarci, sorrido.
5.Mi ricordo che quando frequentavo la scuola superiore le insegnanti
consegnavano agli studenti un avviso con i giorni e gli orari relativi alla disponibilità
dei professori per fissare un eventuale appuntamento.
Inoltre veniva allegato un foglio relativo all' incontro per i genitori lavoratori il sabato
mattina.
In questa occasione tutti i professori erano disponibili per una mezza giornata
appunto per incontrare il genitore di ogni studente che durante la settimana non
poteva venire per impegni lavorativi.
4.Ho un ricordo legato alla scuola materna, un po' sfuocato e sbiadito dal tempo,
ma non ho mai dimenticato la sensazione di spaesamento che ho provato quel
giorno. Sono in mensa seduta al tavolo con altri bambini, sto mangiando
tranquillamente ed, essendo mancina, impugno la forchetta con la mano sinistra.
Ad un certo punto arriva la maestra che con un gesto veloce mi prende dalle mani
la forchetta e me la mette nella mano destra. Non sto capendo, perché? Cosa ho
sbagliato? Torno a casa e lo racconto a mia mamma, mi ricordo che i suoi occhi
sono diventati grandi e rotondi, credo sorpresi, e mi dice che devo continuare a
mangiare con la sinistra perché per me è naturale così. Il giorno dopo sono tornata
a scuola e durante il pranzo impugno la forchetta con la sinistra, arriva la maestra...
mi prende la mano, mi toglie la forchetta e me la mette nella destra.
3.Convocazione da parte degli insegnanti dei genitori di un bambino di terza
elementare. Sono stata invitata anch'io in quanto educatrice del Centro educativo
pomeridiano dove il bambino è inserito.
Le tre maestre, in posizione frontale dietro dei banchi rispetto a me e al papà (la
mamma non è voluta venire) hanno iniziato il colloquio leggendo il pei ed altre
osservazioni sul bambino elencando e sottolineando le sue carenze e i
comportamenti negativi. Il papà è rimasto pressoché muto, non sapeva cosa dire.
Io ho cercato di mediare e di evidenziare gli aspetti positivi di miglioramento del
bambino al Centro e abbiamo cercato di fissare alcuni obiettivi comuni.
2.Durante la scuola estiva presso una scuola dell'infanzia dove ho potuto lavorare
come educatrice, del mio paese ho assistito a una mancanza di dialogo e
comunicazione chiara tra la direttrice e la mamma di un bambino con problemi di
dislessia. All'inizio dell'anno scolastico, in fase di affiancamento con una educatrice,
la direttrice ha proposto la possibilità per il bambino di continuare ad avere il
sostegno di tale educatrice anche durante la scuola estiva, ovvero quando le
maestre di ruolo non fossero state più presenti e il bambino stesso si fosse trovato
in un contesto altro dalla sua classe. Durante la scuola estiva tale proposta non è
stata attuata: da un lato la direttrice si aspettava una richiesta esplicita della madre
o del medico in cura del bambino, dall'altro la madre dava per scontato che tale
proposta era stata attuata, o come scoprirò poi forse è stata una sua dimenticanza
nel richiederlo. Solo l'ultimo giorno di scuola estivo la madre ha chiesto alla
direttrice il perchè della mancanza dell'educatrice. Tale dialogo è stato intavolato
dalla madre solo dopo che il medico curante le ha chiesto com'era andato il mese
estivo con il continuo supporto. La risposta della direttrice a tale richiesta è stata,
appunto che ciò che era stato detto a inizio anno era solo una proposta e che, visto
che non vi era stata più una richiesta esplicita, non era stata più presa in
considerazione. Ho assisitito alla scena come osservatrice, oltre che aver vissuto
per un mese intero le problematiche di questo bambino, che effettivamente
avrebbero richiesto una presenza diretta di una educatrice, dati non solo i suoi
problemi di dislessia, ma anche di relazione con il resto del gruppo di bambini.
1.Ero in terza superiore e decisi per la prima volta di partecipare alla riunione di
classe tra insegnanti e genitori (ma aperta anche agli studenti, anche se in realtà
quest'ultimi non erano quasi mai presenti), che si teneva ogni anno a inizio ottobre.
I genitori erano seduti tra i banchi in posizione frontale rispetto ai professori, questi
ultimi seduti uno di fianco all'altro dietro la cattedra. Per prima prese la parola la
Prof.ssa Ognissanti, coordinatrice di classe, che iniziò a spiegare com'era andata
fino a quel momento in aula; mentre lei parlava il Prof. Chiappa scriveva il tutto su
un computer. Come negli anni precedenti, emerse che parte della classe seguiva
senza dare problemi, mentre c'erano degli "elementi disturbanti" che non
consentivano il regolare svolgersi delle lezioni. A turno tutti i docenti presero parola,
raccontando in breve come si trovavano con la classe e presentandosi, nel caso in
cui non fossero nostri insegnanti anche nel biennio. I genitori ascoltavano quanto
veniva detto; ogni tanto intervenivano per mettersi nei panni degli studenti, ma gli
insegnanti ci tenevano a sottolineare il loro punto di vista. Alla fine della riunione,
vennero lasciati pochi minuti in cui i genitori potevano prendere parola, ma già la
metà degli insegnanti aveva lasciato l'aula per andare alla riunione di un'altra
classe.