I LUOGHI IMPORTANTI DELLA VITA
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I LUOGHI IMPORTANTI DELLA VITA
I luoghi importanti della vita C M Y CM MY CY CMY K Indice Prefazione pag. 3 Note pag. 5 Emilia-Romagna pag. 7 Liguria pag. 31 Lombardia pag. 45 Veneto pag. 65 Piemonte, Toscana, Friuli Venezia Giulia pag. 81 Lazio, Sicilia, Sardegna, Campania pag. 91 Paesi esteri pag. 99 Ringraziamenti pag. 118 1 C 2 M Y CM MY CY CMY K C M Y CM MY CY CMY K Prefazione Ci sono posti che rimangono appiccicati addosso. È la vita che li invade a renderli talmente speciali: le cose dette, quelle vedute, i pensieri pensati, gli amori nati ed anche quelli finiti: tutte cose semplici ma così importanti. Un luogo qualunque finisce per diventare intimo. Speciale. Entra dentro, fin nell'anima e lì rimane per tutto il tempo che la memoria concede. Si trasforma in un focolare che puoi raggiungere solamente ricordando e così, quando ti senti solo, o felice, oppure stanco, lo puoi visitare e sentirne il sapore ancora e ancora. Per questo, il libro che stringi tra le mani è una faccenda importante: perché raccoglie la memoria dei luoghi e la salva dall'oblio. E insieme salva le storie delle persone che li hanno attraversati. Perché non c'è storia senza un luogo e non c'è un luogo senza una storia. Francesco Vidotto Scrittore 3 C 4 M Y CM MY CY CMY K C M Y CM MY CY CMY K Note Nato da un progetto di narrazione autobiografica nelle strutture residenziali, questo libro raccoglie i ricordi legati ai luoghi più sentiti in cui gli anziani hanno vissuto. La partecipazione è stata altissima e la quantità di racconti raccolti ne è testimonianza: un mosaico di storie germogliate nel territorio, che raccontano l’Italia e il mondo attraverso un caleidoscopio di punti di vista. E, proprio per dare importanza ai ricordi e alla terra che li ospitano, si è scelto di suddividere la pubblicazione senza badare alla distinzione delle strutture residenziali di appartenenza; è la condivisione della terra a legare le storie di vita e chi le ha condivise. Dal paese d’infanzia ai trasferimenti per lavoro, dai campi di casa all’altro capo del mondo, le voci degli anziani ci hanno regalato una mappa intessuta di emozioni, sottolineando che, spesso, non è il luogo più spettacolare quello che si riveste di maggiore affetto. I luoghi di cui leggerete in queste pagine non sono solo quelli fatti di terra e strade, di botteghe e tram, di paesaggi che mutano con lo scorrere del tempo, di campi trasformati in moderni quartieri residenziali e vecchie case di mattoni che resistono alla frenesia del mondo. Queste pagine parlano anche dei luoghi invisibili, raggiungibili solo attraverso le parole di chi li racconta; un viaggio nei ricordi della memoria e del cuore. Anna Tasinato Educatrice C.S.A. “Valgrande” - Sant’Urbano (PD) N.B. Gli interventi effettuati sui testi sono stati volti a mantenere il più possibile l’aderenza agli originali, sia nella lingua sia nello stile, favorendo una maggiore leggibilità e conservando ove possibile le identità linguistiche di appartenenza. 5 C M Y CM MY CY CMY K C M Y CM MY CY CMY K Emilia-Romagna 7 C M Y CM MY CY CMY K C M Y CM MY CY CMY K Reggio Emilia Il luogo più importante della mia vita è Case Bagatti, dove sono nata. I miei genitori avevano costruito una casetta; era senza pretese perché c’era tanta miseria, ma ci volevamo bene e quello era l’importante, bastava accontentarsi. Mio papà faceva il fabbro, invece la mamma stava dietro alla casa, andava a prendere la legna per il fuoco, se la caricava in spalla in fasci. Avevamo sette pecore e accudivo anche quelle. Sono andata a scuola a Case Bagatti. Ci venivano anche quelli di Riparotonda, un tempo c’erano tanti ragazzi nei paesi. In inverno uscivamo e giocavamo nella neve, non sentivamo il freddo. Andavamo alla chiesa per giocare perché c’era tanto spazio, ci correvamo dietro, bastava poco. Angela Cattoni - 84 anni Sono nata a Carpineti il 16 maggio 1929. I genitori facevano i contadini e avevamo delle mucche, buoi, maiali, galline, ecc. Ricordo che da bimba in cortile badavo alle galline e mi piaceva più che rastrellare. Dopo siamo andati ad abitare a Regnano, vicino al castello di Querciola; anche qui facevamo i contadini. Al mattino, con una sorella, andavo a scuola e percorrevamo una via piena di fango, arrivando a scuola con gli scarponi sporchi, e per questo venivamo sgridate dalla maestra. Nei giorni festivi al castello di Querciola facevamo festa, si cantava e ballava, però quando rientravo prendevo botte dal fratello più grande, anche se erano poche, perché riuscivo a scappare! A queste feste conobbi Anselmo Fantini, con cui sono stata fidanzata per tre anni, ci vedevamo sempre in casa con la presenza dei genitori o dei fratelli, vicino al fuoco. Il nostro matrimonio è stato grande, con parenti e amici. Subito abbiamo abitato con la mia famiglia, nella nostra stanza. Dopo alcuni anni siamo andati a vivere da soli, alle case di Querciola. Le uscite che facevamo erano andare a pranzo da parenti nei giorni festivi, una festa da uno, una festa da un altro. Non sono mai andata in vacanza al mare o in montagna, vedevo il mare quando andavo d'estate a trovare i miei due figli in colonia. Antonina Comasri - 86 anni Sono nata a Bagno il 17 aprile 1923. I miei genitori lavoravano la terra e avevano mucche e maiali. Da piccoli non c’era molto da fare, non avevamo niente. Andavo a scuola, fino alla quinta elementare, a piedi coi fratelli, e anche a dottrina. La maestra aveva un bastoncino con il quale a volte 9 C dava bacchettate sulle mani, ma senza rompere le ossa. Vicino a noi abitava un pollaiolo, ricordo che uccideva le galline e io soffrivo e piangevo. Mio papà era un uomo d'oro, mentre la mamma era più severa. Tutte le domeniche con mia sorella andavo alle benedizione, ma io ne approfittavo per andare a ballare. Di sera però, mia sorella svelava tutto alla mamma, che mi mandava a letto senza cena per punizione. Il padre però, di nascosto, mi portava sempre qualcosa da mangiare. Mio marito si chiamava Umberto, veniva a casa nostra con il cassinaio. Aveva la macchina e faceva il contadino. Per questo mia mamma ha faticato ad accettarlo, ma io ci stavo bene ed eravamo sempre insieme. A un certo momento, abbiamo preso una casa in affitto ad Arceto. Era una bella casa con tanti fiori. Quando sono rimasta vedova, ho cominciato a lavorare in farmacia ad Arceto. Mi piaceva tanto. Il farmacista a volte mi portava fuori a pranzo con tutta la famiglia. Rina Davoli - 92 anni Abitavo in “dal Valoun”, si chiamava così perché la nostra era l’unica casa abitata per chilometri. Eravamo in dodici in famiglia, io e i miei fratelli lavoravamo nei campi. M Y CM MY CY CMY K Andavamo a spigolare, a togliere le cipolle, facevamo un po’ di tutto! Andavo a lavare la roba sporca al fiume, con l'acqua che era chiara e limpida! Noi salivamo su delle piastrelle e lavavamo con le mani perché le spazzole non c'erano. Non c’era tempo per giocare perché eravamo in troppi. Anche se mio padre lavorava, i soldi non erano mai abbastanza. Oh, nove figli sono nove figli, eh! Rosanna Foroni - 70 anni Vivevo a Cognento di Campagnola, andavo a scuola, ho fatto fino alla quinta elementare e a undici anni sono venuta ad abitare a Fabbrico. Giocavo con gli amici di scuola nei cortili delle case, ma non tanto, aiutavo mia mamma perché eravamo otto fratelli. E poi, in campagna non c’era mai niente! Attorno ai quindici o sedici anni andavamo all'oratorio, perché non c’erano mica tanti posti in cui andare, andavi lì o in campagna. La prima volta che sono andata a ballare avevo sedici anni, a casa di amici, però si doveva tornare prima di mezzanotte. Teresa Gambarini - 85 anni Sono nato a Toano. I miei genitori facevano i contadini per la curia, lavoravano per il parroco del paese. Avevo tre fratelli e io ero il più grande. Nella vita poi ho svolto la professione di scalpellino. Le mie opere sono a Toano. Io ho lavorato la porta della chiesa, mi piaceva lavorare il sasso ed ero anche bravo. Venerio Guidetti - 92 anni Sono nata a Stiano, un paesino del comune di Toano. I miei genitori erano contadini, facevano i mezzadri. Un lavoro duro che svolgevano a Lupazzo, dove poi ci siamo trasferiti. Ci tornerei a vivere là, ci penso spesso. Ci tornerei subito, così come tornerei a quei tempi, con i miei genitori, i miei 10 C fratelli e le mie sorelle. Ho vissuto con loro fino a ventitré anni. Poi mi sono sposata e sono andata ad abitare a Monte Biotto. Il posto che ricordo con più affetto e rimpianto è Lupazzo, per quello che ha significato per me quel periodo. Giuseppina Lombardi - 66 anni Durante la mia infanzia ad Arceto non abbiamo mai sofferto la fame, perché avevamo la campagna, due pecore, una bianca e una nera, due mucche e due maiali che tutti gli anni venivano macellati. Ricordo quando al mattino presto mia mamma accendeva il grande fuoco e poco dopo vedevo quando uccidevano i due maiali, mi faceva paura. Da bimba mi piaceva andare nei campi con un cestino, a cercare le uova che facevano in giro le galline; ero orgogliosa di portarle da mia madre. Laura Orlandini - 82 anni Il posto più importante della mia vita è Ligonchio. Ci sono nata, a Ligonchio. Mio padre faceva il pastore e in inverno facevamo la transumanza. Andavamo in Toscana, a Campiglia Marittima. Perché in inverno veniva la neve qua, c’era freddo. Ma a me non piaceva andarci, avrei preferito restare a Ligonchio. Mi sono sposata quando il mio fidanzato è tornato da militare. Si chiamava Secondo Bacci e abbiamo continuato a vivere a Ligonchio perché lui, con la sua famiglia, aveva il forno. Io li aiutavo preparando le torte, ma non facevo la pasticcera: facevo la pasticciona! C’erano anche mia suocera e mio “nonno”, cioè mio suocero. Lui era grosso, aiutava poco e mangiava tanto! M Y CM MY CY CMY K stato fino al 1957-58, finché ho vissuto in casa con i miei genitori. Poi io e i miei fratelli abbiamo diviso le proprietà e io ho deciso di costruire una casa mia per me e la mia famiglia. Mi sono fatto la casa a La Ciocca, distante un chilometro, che prende il nome dal campo lì vicino. Nel 1958 io, mia moglie e le due figlie ci siamo trasferiti nella casa che avevo costruito con le mie mani. Da giovane sono diventato maggerino. Come compagnia siamo stati in Val d’Asta ma anche in Toscana, a Buti e a Piazza al Serchio, poi siamo stati a Busana e lì abbiamo avuto un gran successo sia come trama del Maggio che per come l’abbiamo cantato. È stata una bella soddisfazione, il pubblico ha gradito molto. Avevo una bella parte, l’Orlando Furioso, ero proprio soddisfatto perché sapevo di averla studiata bene ed interpretata a dovere. Ne ho avuto certezza alla fine, per l’applauso e per la gente che mi urlava: «Bravo!». Vittorio Zambonini - 88 anni Abitavo a Villanova, una frazione di Reggiolo; per andare a scuola tutte le mattine facevo cinque chilometri a piedi, non avevo la bici! Sono arrivata fino alla quinta elementare. Io stavo a giocare nel cortile di casa con le mie sorelle, in miseria. Abitavamo in campagna, lontano dal paese e lavoravamo, coltivavamo ogni tipo di frutta e ortaggi. Con le amiche si girava per il paese, Clarice Venturi - 87 anni Sono nato in Val d’Asta, a Case Balocchi, nel comune di Villa Minozzo. A Case Balocchi ci sono 11 C poi andavamo dal prete perché c'era miseria e da lui non c'era da pagare. Mi ricordo che la cosa che mi piaceva di più era andare a raccogliere le viole lungo i fossi. Bruna Zenezini - 80 anni Quando eravamo giovani andavamo sotto il campanile della chiesa di Fabbrico e raccoglievamo le castagne, non quelle da cuocere ma quelle matte con cui noi facevamo il sapone che si adoperava per lavarci. Allora usavamo questo per lavarci il viso e per farci il bagno. Era un segreto di bellezza delle donne. Ci costava anche caro, perché il parroco ci veniva a prendere con prepotenza per le orecchie, ci portava in chiesa e ci sgridava per bene; secondo lui era una cosa che non si doveva fare. Questo era il mio lavoro prima di andare a scuola… Pierina Levani - 90 anni Da noi a Fabbrico c’era la cooperativa, era un blocco con i negozi. Quello di alimentari e l’osteria erano davanti, dietro c’erano il forno dove facevano il pane e la macelleria. Proprio dove c’era il fosso, quello che hanno coperto qualche anno fa. C’era anche un campo, avevamo dieci o dodici anni e ci giocavamo a calcio, a re e regina e a pasquali. Più avanti d’età, con le ragazze si andava a passeggiare lungo la strada che porta a Campagnola, dove c’è la curva, il muretto. Eh, ci andavamo a sedere lì… Uber Cavalletti - 89 anni 12 M Y CM MY CY CMY K Un luogo che mi è caro è sicuramente San Genesio! A maggio ci si andava in processione a piedi; per ottenere una grazia si doveva passare sotto un piccolo altare tre volte, pregando. All’interno della corte, dietro la chiesa, c’era un noce gigante. Quando avevo cinque anni andavo all'asilo parrocchiale e portavo sempre la merenda da casa. Giocavo e cantavo molto, sono arrivata fino alla quinta elementare. Ogni momento libero lo passavo giocando. La prima volta che sono andata a ballare avevo diciassette anni, a casa di un amico. Laura Mastini - 88 anni Mi sono sposata a Collagna, il paese dove sono nata e ho vissuto per tutta la vita. Dicevamo che mia mamma era antica come l’arca di Noè, «Razza Pallaina, chi la scampa l’indovina!», perché era antica nei modi di fare e nel pensare. Basti sapere che quando mi sono sposata, nel 1937, mi ha confezionato un vestito nero e ci ha fatto andare in chiesa alle sette del mattino, perché ero incinta e nessuno ci doveva vedere. Noi eravamo poveri, quindi partecipavamo alla funzione mattutina; solo i ricchi facevano delle belle cerimonie con il tappeto in terra e dei bei vestiti con lo strascico. Mi aveva preso il vestito nero perché c’era miseria, era andata nel negozio e l’unica stoffa che poteva permettersi era quella. La mia vita l’ho trascorsa tutta a Collagna. Che bisogno avevo di andare in giro? Eravamo contadini, c’era tutto: la famiglia, il lavoro, quello che contava. Non mi interessava vedere altri posti. Per fare cosa? Non c’era mica il tempo, c’era tanto da lavorare, prima nei campi e poi ho aiutato i C miei figli con i loro figli. E poi, Collagna è un bellissimo paese! Nice Ferretti - 99 anni Sono nato a Sologno, una frazione nel comune di Villa Minozzo. Eravamo in tanti in famiglia. I miei genitori lavoravano la terra. Io invece sono diventato un muratore, ho lavorato a Reggio Emilia, in Toscana e ho costruito una casa anche a Fivizzano. Come lavoro mi è sempre piaciuto, io lavoravo il sasso. La casa della mia infanzia c’è ancora. Era la casa del conte Dalli, un conte che veniva dalla Toscana, da Castiglione della Pescaia. L’abbiamo presa nel 1950, l’ho restaurata e ci ho abitato anche dopo che mi sono sposato. Quello è il posto più importante della mia vita. Emilio Bacci - 75 anni Sono cresciuta a Mandriolo. Avevo un sacco di amiche alcune le vedo ancora che sono anziana. Quando ero giovane non c’era niente, c’era solo la chiesa d’epoca, piccola, ma molto bella, si chiamava chiesa dell’Immacolata. Poi hanno costruito un negozio di alimentari, un teatrino dove si facevano commedie e un parco vicino al cimitero. Mio marito l’ho conosciuto a ballare nella villa del dottor Cattafavi. I tedeschi l’avevano adibita a loro ufficio comando ma, quando sono andati via, è diventata una sala da ballo. Lui aveva diciannove anni, io solo diciassette. Adriana Ariobelli - 85 anni Abitavamo vicino alla piazza del Gioioso a San Martino in Rio, si poteva giocare alla sera, vi era spesso della gente che suonava e cantava; noi ascoltavamo dalla finestra. Ci abitava anche M Y CM MY CY CMY K Henghel Gualdi, lui suonava il clarinetto. Quando mio padre lo sentiva suonare, diceva sempre che quel giovane avrebbe fatto carriera. Quando iniziarono a girare le macchine, la piazza diventò un parcheggio. In questa piazza vi erano due fontane, una all’inizio e una alla fine. Noi ci andavamo sempre a prendere l’acqua. Prima le due fontane erano senza rubinetti, quindi l’acqua continuava a scorrere e si consumava tanto. I gatti randagi ci giravano sempre intorno. Clite Corghi - 81 anni Sono nata a Cerrè Sologno, Villa Minozzo. In centro c’era una bella chiesetta, dove sono stata battezzata e andavo sempre a messa. Cerrè mi piaceva molto, andavo a raccogliere prugne, nocciole e noci. Si facevano sempre delle feste. Ricordo un giorno in cui scappai di casa da mia mamma e mi rifugiai da mia zia. Le volevo molto bene, lei non mi sgridava mai. Viveva in un bel casolare, una casa da poveri. Dal tanto che era povera teneva sempre la porta aperta. Ida Canovi - 86 anni Sono nato a Novellara. Ricordo l’argine del canale, dove sino a dodici anni andavo a pescare. Partiva da Novellara e arrivava sino a Bagnolo. Pescavo con un torinese che veniva d’estate. Mi aveva insegnato un signore del paese, mio vicino di casa: quando lo vedevo pescare, in lontananza, andavo sempre a guardarlo all’opera. C’era un canaletto largo un metro o poco più. Lì scorreva l’acqua sino a quando arrivava il dogarolo, che apriva con la chiave e l’acqua si infilava dal canale grande a quello piccolo. Nel canaletto mi ci tuffavo: l’acqua era sempre fredda, però il bagno riuscivamo a farlo lo stesso. Bruno Battini - 70 anni 13 C Sono nata a Campolungo, nel comune di Castelnovo ne’ Monti. Mi hanno dato questo nome perché era un nome di famiglia. I miei genitori erano contadini e allevavano mucche, capre, pecore. Mangiavamo da poveri: polenta e pane. Oggi invece si mangia da ricchi: cappelletti, tortelli e pastasciutta. Da bambini giocavamo a nascondino, quando era brutto tempo stavamo in casa a leggere giornali e libri. Era tempo di guerra e faceva tutto paura. Ricordo che le feste più importanti per noi erano il Natale e la Santa Maria di Ferragosto. Ho frequentato la scuola fino alla quinta elementare, prima a Campolungo poi a Castelnovo. Andavo a scuola a piedi, tutti andavano a scuola a piedi! La scuola era tenuta nella stanza del prete e c’erano solo tre file di banchi. Indossavamo le divise: per le femmine il grembiule nero e il colletto bianco, per i maschi la blusa con il colletto. E, se non stavi zitto, venivi bacchettato sulle dita! Giuseppina Scapini - 88 anni Il posto che porto nel cuore è Secchio, il mio paese. Ero figlia unica e spesso giocavo da sola, mio papà mi aveva costruito una bambola di legno. Ho studiato fino alla quarta elementare, dopo in M Y CM MY CY CMY K classe erano tutti maschi e allora ho smesso di andarci perché mi vergognavo. Si faceva scuola in canonica; al centro della stanza c’era una stufa e c’erano le panche di legno. Alla mattina, a turno, andavamo noi alunni ad accendere la stufa. Il mio maestro era molto severo, ma da lui ho imparato molte cose. Per risparmiare la legna, dopo aver cenato, ci si trovava nelle stalle. Una sera nella stalla di uno, una sera nella stalla di un altro, si svernava così perché il calore delle mucche ci faceva da stufa. Noi bambini ci divertivamo molto perché giocavamo a nascondino, a carte, a dama e quando eravamo stanchi di giocare ascoltavamo i racconti degli adulti. Gli uomini, oltre che giocare a carte, aiutavano le donne a disfare le matasse di lana. A metà serata ci portavano a letto perché il mattino bisognava andare a scuola. Eravamo più poveri di adesso, ma molto più uniti. Alide Coli - 89 anni Il mio posto preferito è Morsiano, il mio paese d’origine. Si festeggiavano due occasioni importanti: il 10 agosto la sagra di San Lorenzo e l’11 agosto si cantava il Maggio; dicono che il Maggio abbia origini lontane che risalgono addirittura all’antica Grecia. Si svolgeva all’aperto, gli attori recitavano e cantavano in uno spiazzo e noi eravamo seduti tutti intorno; gli attori si chiamavano Maggerini, rappresentavano anche con i gesti storie affascinanti che narravano di cavalieri, Carlo Magno, Orlando, battaglie e sentimenti. Nella vita ho lavorato come contadina e poi ho fatto la donna di servizio. Il 3 settembre 1955, a venticinque anni, mi sono sposata a Morsiano, poi abbiamo preso la corriera a Quara e siamo andati a lavorare a Genova per qualche anno. Vittorina Campi - 86 anni 14 C Il mio luogo preferito? Cortogno! Dove ho vissuto tutta la vita! Da bambina abitavo al Mulino in fondo a Cortogno, sul fiume Tassobbio, poi mi sono sposata e sono andata in paese. Ho perso la mamma quando avevo solo quattro anni e sono dovuta crescere in fretta. Facevo i lavori in casa, andavo nella stalla e portavo al pascolo le pecore. Mi volevano tutti bene e qualche giorno stavo dai miei nonni materni, sempre lì in paese. Ho frequentato la scuola fino alla terza elementare: era una scuola vera, con tre aule e il bagno, le panche lunghe di legno con il porta-inchiostro e una stufa nel mezzo. Non ci andavo tutti i giorni però, perché dovevo portare le pecore al pascolo. Da ragazza mi piaceva andare a ballare nelle case o nelle stalle, filavo la lana e lavoravo a maglia. La domenica andavo a messa al mattino e al pomeriggio andavo ai vespri, facevamo un giro a vedere le biciclette che passavano, poi andavo nella stalla a guernare le bestie e la sera ci trovavamo nelle stalle a giocare a carte, tresette, briscola e scopetta. Nella mia vita ho lavorato come contadina, esercente per trentadue anni e domestica. Mi sono sposata il 7 giugno 1942 con Aldo, a Cortogno. Mio marito aveva l’osteria, alimentari e tabaccheria, perché una volta nei paesi c’era tutto insieme. Ci siamo sposati di sera e con solo i testimoni perché lui era vedovo e dovevamo sposarci di nascosto, sennò ci facevano la cioccona: la cioccona consisteva nel fare un gran rumore con attrezzi, bastoni, coperchi, catene, e si faceva quando si sposavano dei vedovi o delle vedove, oppure quando gli sposi, anche se non vedovi, non erano più giovani. Però noi siamo stati attenti e non se ne sono accorti! M Y CM MY CY CMY K a Campolungo. Quando c’era qualche festa mi facevo portare da mia zia e, mentre lei ballava, io giocavo con le mie amiche. Da ragazza aiutavo i miei nei campi e in inverno andavo da una sarta del paese a imparare a cucire. Ho lavorato come contadina, cameriera da Farinelli, custode di una villa e casalinga. Mi sono sposata il 19 maggio 1962 con Giorgio; lui abitava alla Noce e l’ho conosciuto quando la zia che abitava con noi si è finalmente sposata, a quarant’anni! Alla mattina presto siamo andati a piedi alla Cappella sulla Pietra di Bismantova a confessarci, poi sono andata a casa a prepararmi e una mia amica mi ha messo il velo in testa. Giorgio mi è venuto a prendere a piedi e siamo andati a sposarci nella Chiesa di Campolungo. A pranzo abbiamo mangiato a casa mia; al pomeriggio abbiamo fatto il giro di tutte le famiglie di Casale per dare i confetti. Alla sera abbiamo cenato a casa di mio marito, c’era un suonatore di fisarmonica e abbiamo ballato. Abbiamo dormito alla Noce per tre sere, poi siamo andati al Ponterosso, nella casetta che mio suocero ci aveva regalato. Tre anni dopo ci siamo trasferiti in una villa a Castelnovo dove facevo la custode. Tersilla Mercati - 77 anni Olga Ferri - 96 anni Il posto più importante della mia vita è Casale di Bismantova, dove sono nata e cresciuta. Abitavo con mamma, papà, nonno, nonna, zia e quattro fratelli. A Casale ho frequentato fino alla terza elementare, mentre la quarta e la quinta le ho fatte 15 C M Y CM MY CY CMY K C M Y CM MY CY CMY K Parma Quando mio marito ha vinto la condotta di veterinario a Tizzano, ci siamo sposati. Ancora non insegnavo, perché mio marito aveva l’orgoglio di poter mantenere la famiglia con il suo lavoro. Siamo rimasti a Tizzano per il periodo invernale e per solo sei mesi, perché poi ha vinto la condotta a Roccabianca. Ho iniziato a insegnare dopo la nascita del quinto figlio, a Roccabianca, come insegnante di matematica e scienze. Eleonora Borlenghi - 88 anni Il luogo che ricordo è Parola, in una casa di campagna con sei stanze. Nel cortile eravamo tre bambini e quattro bambine. Mi piaceva giocare ai soldatini e ai banditi. Quando avevo cinque anni, il mio papà mi ha regalato la radio e mi piaceva ascoltare la musica. Sono andato a scuola sino alla quinta elementare a Parola. A Fidenza ho frequentato le superiori e ho preso il diploma di meccanico, poi sono andato a lavorare alla vetraria, alla scelta dei bicchieri. Ho lavorato per quarant’anni lì, mi piaceva. Robi Sono nata a Fontanelle e ci sono rimasta fino a quattordici anni. È stato il periodo più bello della mia vita, anche se mi sono ammalata per gravi pro- blemi alla schiena. La mia casa si trovava nel punto dove il torrente Rovacchia entrava nello Stirone. Quando c’era la piena per le abbondanti piogge mi piaceva andare sull’argine a vedere tutta quell’acqua e quello che portava verso il Po: tronchi e rami con sopra tante grosse lumache. Vanda Lavezzi - 64 anni Da bambina vivevo con i miei nonni a Fidenza, in una casa comunale. Mio nonno era a capo del cimitero, seppelliva i morti. Quella casa gliel’avevano data apposta per svolgere quel lavoro. La mia nonna, nel periodo della festa dei morti, vendeva i fiori ai visitatori. Ma lungo la via c’erano altri venditori. Allora io, che ero furbetta, prendevo la bicicletta e correvo all’inizio della strada per fermare la gente e vendere i fiori prima che li comprassero dagli altri. Avevamo le galline, le anatre, due pecore e un maialino. La nonna mi aveva insegnato a capire quante uova avrebbero fatto le galline. Ogni giorno tastavo il sedere alle galline per capire quante uova dovevano fare. Così, se nella cesta c’erano meno uova di quelle che avevo calcolato, voleva dire che alcune galline le avevano fatte fuori dalla cesta e io le andavo a cercare. Margherita Massenza - 90 anni 17 C M Y CM MY CY CMY K C M Y CM MY CY CMY K Piacenza Sono nata a Farini il 19 settembre 1924; eravamo in otto maschi e tre femmine, io ero la penultima. Sono andata a scuola fino alla quinta elementare, nella scuola di Farini. Abitavo sopra al fruttivendolo e ho sempre curato mia mamma; quando è morta, sono andata a lavorare come serva da una dottoressa a Milano. Francesca Zannellotti - 91 anni Sono nata il 23 marzo 1922 a Ravine di Pradovera. Nel mio paese c’erano una decina di famiglie, non c’era neanche la chiesa e per pregare andavamo a Costa. Un’altra cosa che mi ricordo è l’osteria del mio paese, me la tengo in mente perché c’era solo quella, anche se io ci andavo pochissimo perché era più un posto da uomini. A Ravine non ce n’era di fontane, quindi sia per lavare i panni sia per bere o fare da mangiare bisognava andare nel paese vicino o al canale. Io non mi sono sposata, sono rimasta sempre a Ravine e di altri posti non ne ho visitati. Rosa Maschi - 93 anni Sono nata a Orezzoli, in montagna. Da Ottone ad andare dove abitavo io ci saranno settanta chilometri. Andavamo a piedi col carico in testa, con la farina, il pane. Facevamo il mercato e poi la roba la portavamo così. Adesso hanno fatto la strada, però c’è poca gente che la usa. Hanno cercato tutti la loro strada fuori dal paese. Anche io sono andata via. Quando mi sono sposata sono venuta giù, alla Pieve di Rovescala. E poi dalla Pieve a Santa Maria. A Santa Maria della Versa abitavo nella casa del Professor Suardi, pagando il fitto se no non me la davano mica, la casa! E poi qualche volta andavo in chiesa, ho lavorato un po’ come donna di servizio, in banca, in municipio. In montagna si sta bene quando c’è bel tempo, ma d’inverno c’è da stare vicino alla stufa. Come provincia siamo sotto Piacenza, però siamo a metà tra Piacenza e Genova. Nella provincia di Genova raccoglievo le olive d’inverno e mi pagavano con un litro di olio al giorno: alla fine ne avevo trenta, quaranta litri, me lo portavo a casa e mi bastava per tutto l’inverno e anche per l’estate successiva! Luigia Canevari - 86 anni 19 C Durante la guerra ho trascorso quattro anni a Piacenza, al Secondo Reggimento Genio Pontieri. Finita la guerra sono tornato a casa e qualche volta sono tornato a Piacenza. Due volte sono tornato a casa dalla caserma a piedi. La prima volta, la vigilia di Natale. Non avevo chiesto il permesso ma i miei ufficiali mi avevano fatto comunque una licenza di cinque giorni. All’uscita, l’ufficiale di picchetto mi ha detto: «Tu puoi andare in giro e hai la licenza, ma dove vai?». Allora, in tempo di guerra, i treni erano ben pochi, e ho detto: «Come faccio?». Allora mi sono messo in viaggio a piedi e sono arrivato fino a Castel San Giovanni; là c’era un mio parente, mi sono fatto prestare la bicicletta e sono venuto a casa. I miei genitori erano stati contenti che non mi avevano mandato in giro o in Russia. Mio nonno ha combattuto la guerra e lo avevano mandato nel Veneto. Invece, suo fratello, ha fatto la campagna di Russia. Però è tornato. Molti del mio paese non sono tornati. Piacenza adesso l’hanno ingrossata molto. Quando c’ero io, c’era un pezzo di mura. E appena fuori c’era Gossolengo. Ci sono stato tante volte. C’era la polveriera, i militari del mio reggimento ci andavano a fare la guardia. Facevano il servizio di guarda per evitare che entrasse qualcuno. C’erano molti reggimenti. C’era il sessantacinquesimo, il sessantaseiesimo, il ventunesimo, il quarto artiglieria e il terzo aerostieri. È bello ricordare ancora i vent’anni. Io le ho provate tutte. Il bello e il brutto. Alfredo Fugazza - 94 anni Adesso abito al Poggiolo, ma sono nata nella provincia di Piacenza, appena fuori, di Pianello. 20 M Y CM MY CY CMY K Ho anche una casetta a Case Varesi. Andavo a scuola a Monte Martino. Ci andavo a piedi; c’è una strada di montagna che è la stessa che si faceva per andare a prendere la legna. Le feste di paese le facevano, ci andavo con mio papà e con mia mamma. C’era tanta gente, andavamo a ballare e se si voleva mangiare c’erano molte cose. Quando avevo tredici anni andavo all’asilo a lavorare, ricamavo i grembiulini con le suore. Eravamo in tante signorine che facevano i loro lavori, come le lenzuola per il corredo. Giulia Maini - 87 anni Sono nato in provincia di Piacenza e ho frequentato la scuola, le elementari, nel paese. Sono originario del comune di San Giovanni e nelle mie zone c’erano maglifici e fabbriche che facevano i bottoni. Poi mi sono spostato in un’altra frazione, Fontana Pradosa, con settecento abitanti e tante fontane. Ho visto i bottoni prodotti nelle fabbriche: inizialmente sembravano castagne amare, gli operai poi li tagliavano a fette, venivano fresati e bucati. Comunque, era più che altro un paese di agricoltori. Il Marchese Paveri era proprietario e sindaco di Castel San Giovanni. Ermanno Meriggi - 89 anni Gropparello è il luogo che ho amato di più perché ci sono nata e cresciuta. In settembre andavo alla festa dell’uva che si teneva in piazza: c’era tanta uva, si ballava e le ragazze si vestivano con un vestito tradizionale da belle dell’uva. Ida Alberici - 89 anni C A causa del mio lavoro di falegname, ho viaggiato molto. Da ragazzo ho cominciato con la Ditta Dolara che faceva le casse da morto, con cui lavorava anche mio padre: ero un mago! Ho fatto delle casse belle, robuste, con la Madonnina. Con quei soldi mi sono comprato la moto ed ero il solo giovanotto ad averla; da Cremona andavo a Piacenza. Mio padre è andato a lavorare per dei cremonesi a Travo e io l’ho seguito. A Travo per me era tutto bello, dal paese al mio lavoro, ai bambini del paese che mi venivano dietro e che tiravo su: io gli spiegavo come si faceva a lavorare il legno, loro mi davano una mano, io gli dicevo di non sbagliare e loro mi dicevano: «No, Cito, prima di sbagliare ti chiamiamo!». Nella falegnameria c’era il maringon, che era il capo, e poi il meccanico per le casse in zinco. I bambini, mano a mano che crescevano, si sono trovati altri lavori, chi a Piacenza e chi a Milano. Cesare Citterio - 80 anni Ho abitato in una cascina di campagna, a Polignano. Mi piaceva anche starci perché c’erano le mie amiche e andavo a scuola e c’era un prete ca l’era tant bon, povr om! Dal prete facevamo anche le commedie in dialetto e in italiano, poi c’era mia sorella che cantava, e cantava anche bene! Quando mi sono sposata sono andata ad abitare in una cascina nei pressi di Piacenza, verso Caorso. Da lì non mi sono più spostata. Io facevo la sarta, l’ho sempre fatto, mi sono messa a fare le asole e aiutavo mia sorella. Polignano è il posto che mi è rimasto più caro, lì ho passato la mia gioventù, ho conosciuto persone buone come il pane. Non so nemmeno io perché mi è rimasto impresso, perché allora non avevo l’età che le cose mi rimanevano molto addosso. Però adesso che ci rifletto, penso sempre al mio paese, forse perché ci sono cresciuta, e anche se era un paesino da poco ci tornerei subito. E poi M Y CM MY CY CMY K mi ha dato felicità perché ho conosciuto il primo moroso. Per ballare bisognava andare a Caorso o alle fiere sulla balera. Franca Verzè - 81 anni Mio marito era di Polignano ed era un bel ragazzo! Ci siamo sposati e siamo andati ad abitare poco lontano da casa. Abitavamo in una cascina con gli animali e coltivavamo i campi. Dopo siamo andati ad abitare a Caorso, dove sono stata per trentacinque anni. Di tutti i luoghi mi è rimasto più impresso Polignano perché ho i miei ricordi di gioventù, c’erano i morosi e l’età più bella. Maria Magnani - 89 anni Il posto che mi è rimasto nel cuore è l’Isola Serafini, dove sono rimasta fino a diciotto o vent’anni. Lì sono nata, vicino al Po. Avevo una famiglia molto numerosa; mia mamma e mia zia avevano sposato due fratelli, mio papà e mio zio. I miei ricordi sono lì, io poi sono nata un po’ fuori tempo e per questo ero un po’ la cocca di tutti: 21 C sono diventata zia a quattro anni e sono cresciuta con i miei cugini, perché i miei fratelli si sono sposati subito e li ho conosciuti poco. Non eravamo ricchissimi ma avevamo una casa confortevole, un bel giardino con tutta la frutta immaginabile perché mio nonno materno era un amante dell’agricoltura e faceva tutti gli innesti. La zia, poi, era appassionata di fiori, quindi avevamo sempre il giardino fiorito. Il sabato di Pasqua, quando slegavano le campane che rimanevano legate per tre giorni, io andavo ad abbracciare le piante perché erano fiorite ed erano bellissime! Ho cancellato tanti ricordi, ma questi no, questi li tengo e chissà perché li tengo. Forse perché valgono la pena di essere raccontati. A volte mi chiedo sempre se tornassi indietro se rifarei le stesse cose… Racconto queste cose molto volentieri perché quando mia mamma mi raccontava le stesse cose io non le davo importanza, solo dopo ho capito che erano importanti. Del passato bisogna conservare le cose più belle, lo dico perché voglio trasmettere la spensieratezza della vita. Maria Cattivelli - 80 anni Quando siamo tornati a Piacenza, dopo la guerra, ci siamo ritrovati sfollati, ma abbiamo trovato un posto sullo Stradone Farnese vicino a via Santa Franca; era pieno di gente, però ognuno aveva il suo appartamento. Noi avevamo una soffitta, che poi abbiamo affittato alla sorella di mio papà. C’era un passaggio che andava sui tetti, che usavano i partigiani per fuggire dai tedeschi, oltre ai ragazzi dell’età per essere reclutati che non volevano essere arruolati. Passata la guerra siamo andati ad abitare poco lontano dallo Stradone e sono rimasta lì fino a quando mi sono sposata. Dopo essermi sposata sono andata ad abitare in via XX Settembre, in pieno centro, e quella è rimasta la mia casa. Bruna Ferrari - 82 anni 22 M Y CM MY CY CMY K Io sono nato a Piacenza in via Scalabrini, vicino al macello, in una casa con una porticina che dava proprio sul macello. Sono uno di Porta Galera, io! I ricordi più belli sono legati ai posti dove ho abitato, ma più di tutto mi ricordo Rivergaro, dove andavamo a fare dei giri con mia moglie. Abbiamo girato quasi tutta la provincia per il nostro divertimento, per vedere posti belli senza allontanarci troppo. Quelli che mi sono rimasti più impressi sono le colline, le montagne sopra Bettola, il paesaggio della Trebbia. Mi piaceva fermarmi in un ristorantino di alcuni signori che poi hanno preso la tabaccheria in via Illica. I paesaggi si ricordano perché ci lasciano delle emozioni, ci ricordiamo i colori dei tramonti sopra le colline quando in autunno facevano risplendere le foglie. Queste piccole cose ti restano nella mente perché quando le vedi ti emozioni, soprattutto se abiti in città e vedi solo strade asfaltate. Giulio Botti - 86 anni Io sono nata e ho vissuto a Piacenza; abitavo in via Nicolini con mia sorella e i miei genitori e non mi sono mai spostata tanto. Quando mi sono sposata ho fatto un pezzo di strada nella stessa via e sono andata ad abitare in un altro appartamento… Ho fatto tutto lì! Con mio marito andavamo a fare delle fotografie ai matrimoni o a dei bambini piccolini, perché lui era un fotografo, ma stavamo qui intorno; andavamo al mare, ma non avevamo un posto in particolare. Gabriella Carini - 73 anni Un posto che mi è rimasto nella mente è la Val Nure. Una notte, la notte di Natale, il secondo anno che ero lì, ero rimasto a confessare a Castelcanafurone perché c’era la Perigratio Mariae predicata da mio zio che era prete lì vicino. Siccome non sapevo cosa regalargli e avevo un C capretto, l’ho fatto uccidere e gliel’ho portato. Durante il viaggio ero stanco, perché c’era mezzo metro di neve e portavo in spalla il capretto, così mi sono seduto e ho guardato la vallata con la nebbia e non sapevo dove andare, se a destra o a sinistra. A quel punto ho visto un uomo che andava a mungere le mucche e ho capito che erano le quattro; sapevo che mio zio doveva partire, così mi son fatto accompagnare da quel buon uomo fino al santuario della Madonna del Gra, gli ho indicato la strada per il sentiero che portava alla sua macchina, che era ai Lupi. Il luogo era chiamato “i Lupi” non perché c’erano i lupi, ma perché ci abitava gente che si chiamava Lupi. Don Olimpio Raggi - 96 anni Il posto che mi ricordo di più è Castelletto, ci sono rimasto molti anni. Quando ci penso ho ricordi meravigliosi, la gente mi ha sempre seguito. Abbiamo fatto molte cose, come restaurare la chiesa. Io sono un uomo di poche parole ma quando parlo della mia parrocchia mi emoziono. Don Rebuffi - 87 anni Io e mio fratello siamo nati a Massa Marittima, in provincia di Grosseto. Mio papà era nelle Ferrovie e lavorava alla Centrale di Milano come ragioniere; sui treni non è mai andato, è sempre stato in ufficio e nel 1917 si è sposato, perché non l’hanno preso in guerra. È stato fortunato! Abbiamo vissuto a Milano per quattro o cinque anni, ma il papà non ha giurato a Mussolini, quindi l’han mandato in pensione giovane. Allora lui, che non aveva più obblighi di lavoro, si è trasferito a Piacenza, ha preso un appartamento in affitto. Quando mio fratello ha vinto il concorso è diventato farmacista. Io studiavo ancora a Parma, per un po’ ho studiato insieme a lui, andavamo avanti indietro e rientravamo con il treno perché avevamo il libretto M Y CM MY CY CMY K della ferrovia. I parmigiani non sono come i piacentini, sono brava gente ma dei gran chiacchieroni, mentre il piacentino è il contrario. Ci siamo laureati a Parma, prima mio fratello, poi io. Mio fratello ha lavorato a Ponte dell’Olio, c’era una farmacia unica e lui faceva il direttore. Il posto che mi ricordo di più è Piacenza. Degli anni che ho vissuto a Piacenza mi ricordo la gioventù: tutti lavoravano, non era una città di gaudenti perché non c’erano molti soldi, ma lavoravano tutti, poi io avevo la macchina e andavo in giro… Il fatto è, glielo dico io, che gli anni volano! Fausto Molla - 93 anni Io non mi sono mai mossa da Piacenza. Sono nata e cresciuta in via Mazzini, quello è il luogo dove ho trascorso la mia vita. Di quel posto mi ricordo i profumi della cucina, perché i miei genitori avevano una trattoria dove mia madre cucinava per i nostri clienti. Della sua cucina, che non era piacentina perché a lei non piaceva, mi ricordo i dolci che preparava per me e i miei cugini, che sparivano in un attimo. Mi ricordo i rumori dei piatti, delle chiacchiere dei clienti. La mia vita l’ho trascorsa lì, ma attraverso tutte le persone che passavano ho visto la città che è cambiata. Carmen Ferrari - 70 anni Castagnola è dove ho conosciuto mio marito Augusto, un amico di mio fratello. Un giorno, rientrando dalla messa, nella mia casa ho trovato mio padre che parlava con un bel giovanotto e mio fratello, e al primo sguardo ci siamo piaciuti molto. Dopo qualche anno di fidanzamento ci siamo sposati e siamo andati a vivere a Orezzoli. I ricordi di Castagnola sono legati alla mia infanzia e alla mia famiglia, perché anche se eravamo poveri eravamo molto uniti. Mio padre ci mandava al pascolo con le pecore, vicino a Cattaragna; a diffe23 C renza di mia sorella, io mi divertivo molto. Nei pascoli alti non eravamo mai sole, incontravamo altre ragazze o signori che portavano al pascolo le mucche e spesso ci si faceva compagnia e si cantava. Sui pascoli ho imparato tante canzoni dai ragazzi che tornavano dal fronte. Maria Casella - 82 anni Uno dei luoghi che ricordo più volentieri è dove sono cresciuto, San Nazzaro di Piozzano. Oggi non ci abita quasi più nessuno, ma quando ero bambino le cose erano molto diverse. In particolare ricordo la mia infanzia: mia madre, povera donna, ha messo al mondo dodici figli. Il bello era proprio essere in tanti, i soldi erano pochi e i giocattoli erano cose semplici, molte volte fatti a mano da noi. Mia madre era sempre indaffarata e cuciva tanto, e io ero sempre alla ricerca del suo ditale che una gazza ladra spesso le rubava. Luigi Giacopazzi - 64 anni Sono nato a Castione di Ponte dell’Olio il 3 luglio del 1926. Adesso lì non c’è quasi più nessuno, però prima era pieno di gente. La scuola l’ho iniziata lì e poi l’ho proseguita a Sarmata; anche quello era un paesino piccolo, però mio padre aveva trovato lavoro lì e quindi ci siamo spostati. Mi ricordo bene la chiesa di Sarmata, ci andavo tutte le domeniche con gli amici; era una chiesetta piccola, c’era l’altare in fondo un po’ rialzato e due file di panchine. Non aveva finestre, quindi era molto buia e bisognava lasciare aperto il portone, sennò in inverno bisognava accendere le poche luci. Attorno ai vent’anni ci siamo spostati a Teglio, una frazione nel comune di Bettola. Non c’era niente, neanche un’osteria. Dopo Teglio siamo andati a Torrano, una parrocchia molto povera. Con gli amici ci trovavamo in un bar chiamato “La Fratta”, giocavamo a briscola e bevevamo qualche 24 M Y CM MY CY CMY K bicchiere, ma non troppi perché c’erano pochi soldi. Era un bar piccolino quindi era sempre pieno, l’oste ci sapeva fare con i clienti e ci si andava volentieri. Nel 1969 sono andato a lavorare come fattorino in una grande fabbrica, facevano macchine per la lavorazione del ferro. Mi sono trovato molto bene, eravamo una grande famiglia, andavo d’accordo sia con i padroni che con i loro figli, che mi vengono a trovare ancora anche adesso. Con i padroni ho sempre mantenuto i rapporti perché erano proprio delle belle persone. Ho lavorato sei anni e dopo mi sono licenziato perché di soldi ne avevo guadagnato abbastanza e volevo godermi gli ultimi anni. Mi ricordo che a Ponte dell’Olio si festeggiava San Rocco il 16 Agosto, e la piazza e le vie si riempivano di bancarelle. Luigi Faccini - 89 anni Sono nato a Bellito, nel comune di Bettola. A scuola sono andato a Bocito, non ero un gran studente, infatti sono arrivato fino alla quinta elementare. Era una bella scuola, grande, ma adesso è vuota. Mi ricordo ancora la maestra Carolina, era cattiva come l’aglio, ho in mente ancora tutte le miserie che ci faceva. Severino Ferrari - 78 anni Sono nata il 19 luglio del 1922 a Fellino di Travo e ci sono stata fino a dieci anni. A scuola ci sono andata fino alla terza elementare e mi ricordo che l’esame l’ho dato a Rivergaro, ero uscita con un bel voto. Poi ci siamo trasferiti a Bettola perché mio papà aveva trovato lavoro lì. A Fellino c’era solo qualche casa e poi una piccola chiesetta, si festeggiava San Alessandro e per noi era una festa molto sentita, perché mio padre si chiamava così. Poi c’era la festa della Madonna del Castellaro, e tutti gli anni mia mamma ci prendeva la vestina C M Y CM MY CY CMY K nuova; si festeggiava la prima domenica di agosto, durava due o tre giorni, si cantava e si ballava. Io però ho ballato proprio poco perché avevo paura di sbagliare e fare brutta figura, le mie sorelle invece erano molto brave e appassionate e ci andavano anche di nascosto. Egle Stabellini - 93 anni Sono nata il 26 febbraio del 1923 a Vigonzano, nella casa dei miei genitori; era una casa molto alta, c’erano tante stanze e una grande scala di sasso in mezzo. A Vigonzano mi ricordo che c’era una bella fontana al centro del paese, era grossa e ci lavavamo dentro i panni; ci trovavamo sempre lì con le mie amiche, così intanto che si lavavano i panni si cantava. Io non cantavo perché non ero capace, però mi piaceva ascoltarle e a volte chiacchieravamo. Angela Morisi - 92 anni Bologna Per sopravvivere ho puntato su Bologna dove avevo un’attività. Abitare in città no di certo, allora su, verso la collina e la montagna, poco prima di Porretta Terme. Abitavo in una zona di case a metà costa sulle alte colline fra Vergato e Grizzana, eravamo dispersi e così ne venne fuori una piccola comunità di gente che si aiutava l’un l’altro. Loro erano di varie zone d’Italia, tutti ferrovieri, molti appena sposati. Eravamo una festa di fusioni che si divertivano a prendersi in giro nei propri dialetti. Spesso lasciavo l’auto alla Stazione di Vergato e scendevo con il trenino a Bologna. Si attendevano i treni ammassati nell’unica sala attesa, con il caldo e poi con la neve. E quando un affare attardava anche di pochi minuti, dovevo attendere l’ultimo trenino per raggiungere l’auto e fare, d’inverno, gli ultimi trenta chilometri nella neve e nel ghiaccio. Quello era il tempo in cui vidi la popolazione notturna della sala d’attesa. Fu un inverno particolarmente freddo e nevoso e le donne arrivavano con le borsine di plastica della spesa sopra le ciabatte e due-tre giacche, una sopra l’altra. Tutte avevano borse appese alle braccia e si sedevano sparpagliate, distanti una dall’altra. Da un lato all’altro del gran locale si raccontavano a voce alta i complimenti appena ricevuti dai loro figli, della meraviglia delle loro case che avevano rubinetti dell’acqua in oro e del regalo appena ricevuto che stava lì, in una di quelle borse e che mai, mai mostravano alle altre. Poi si addormentavano arrotolate sulle sedie di legno. Graziella Salterini - 71 anni 25 C M Y CM MY CY CMY K Modena Sono nato a Muschioso di Fontanaluccia, nel comune di Frassinoro, in provincia di Modena. È un bel borgo, c’è un punto in cui si riesce a vedere Marina di Ravenna. A undici anni lavoravo nei campi; eravamo benestanti perché il nonno paterno era emigrato in America ed era riuscito a guadagnare un discreto gruzzoletto che usò per comprare un podere. Avevamo terra e bestie, quindi potevamo mangiare polenta, formaggio e per le sagre anche di più… Fino a diciannove anni ho vissuto lì, poi mi hanno chiamato a fare il militare. La vita militare nel 1943 era durissima, ci davano da mangiare un po’ di caffè nero e pane, un tozzo a colazione e a pranzo una piccola porzione di zuppa. Si faceva tanta istruzione, lo chiamavano ordine chiuso, che significava marciare di corsa mentre cantavamo l’inno. Ero di guardia l’8 settembre 1943, turno di notte. Il mio tenente si presentò vestito in borghese, mi prese il moschetto e me lo buttò via, giù per le spine. Poi mi disse: «Scappa via, se ci riesci, ora i tedeschi sono i nostri nemici più cattivi...». E di lì si partì verso casa a piedi. Eravamo in tanti a Castiglione delle Stiviere, dove poi siamo stati trasferiti; abbiamo incontrato una donna gentile e buona che ha svuotato il guardaroba e ci ha fatto vestire in borghese. Da Castiglione a piedi ho impiegato sette giorni per arrivare a Frassinoro; ci arrivai 26 il quindici settembre, giorno della fiera. Al nostro arrivo i contadini ci hanno aiutato, ospitandoci a dormire nelle stalle, dandoci da mangiare pane, formaggio, latte… Ad una certa distanza intravidi due vecchietti e chiesi al mio compagno, che era anche il mio vicino di casa: «Chi sono?». Erano i nostri padri, che tornavano dalla fiera. Ci siamo abbracciati piangendo. Giuseppe Cervetti - 92 anni Per San Giovanni, a Spilamberto, c’era la fiera. Organizzavano la mostra dei conigli, che sembravano dei leoni, e c’erano molte bancarelle. Nella scuola erano preparati vari stand e anche qui c’erano le bancarelle. Vicino c’era un laghetto con i cigni e l’esposizione della locomotiva. Mi piaceva molto riprendere e fare foto. Loredana Schiavi - 67 anni C Sono nata a Formigine, ci siamo rimasti per un po’ di anni ma poi siamo andati a vivere a Fontana di Rubiera. Sfortunatamente mia madre è morta quando io ero piccola; mia sorella più vecchia non aveva neanche dodici anni e ci ha pensato lei a tutti noi, fino a quando non si è sposata. Eravamo sotto padrone, mezzadri, a lavorare la terra. Quando c’era il raccolto dovevamo fare a metà. D’estate si andava a lavorare e facevamo tutto ciò che ci dicevano. Quando c’era la mietitura, arrivavano “quelli delle macchine”. In quell’occasione mangiavamo tutti insieme. Il luogo importante per me è la casa dove sono cresciuta; adesso ormai sono vecchia, ma ci tengo ancora. Io e mia sorella andavamo insieme alla chiesa e al cinema. A volte andavamo a Sassuolo a piedi! Ma non andavamo spesso in paese, perché ci volevano i soldi e la bicicletta, e noi in famiglia ce ne avevamo una sola. M Y CM MY CY CMY K l’università. Ero bravo nelle materie letterarie, mi piaceva letteratura, storia e anche inglese. Al tempo, allo scientifico, c’era solo una lingua straniera. Il tedesco l’ho studiato nel biennio all’università, ma la grammatica l’avevo imparata bene, i vocaboli li conoscevo poco perché non sono mai andato in Germania a fare pratica. Non ho mai ripensato di riprendere gli studi, ormai è passato troppo tempo, non mi ricordo più nulla. Sono nel limbo. Bruno Iemmi - 57 anni Bruna Montanarini - 83 anni Il posto più importante della mia vita è Gargallo, il paesino della campagna vicino a Carpi dove ho abitato con i miei genitori: era un posto favoloso, una casa in campagna con tre biolche di terra, uno stallino attiguo, un noccioleto, piante da frutto e anche la vite. Finché sono stati in salute, i miei genitori facevano le marmellate nello stallino, che era collegato a un recinto; avevamo la cavalla con i puledrini, le caprette, i colombi… Dopo la morte di mia madre, mio padre ha venduto la proprietà a uno pieno di soldi, che ha buttato giù tutto: sia la casa dove abitavamo noi, sia lo stallino. Ha ricostruito due ville, una al posto della casa e una al posto della stalla. A distanza di poco tempo si è stancato anche delle due ville e ha, di nuovo, buttato giù tutto, così ora non è rimasto nulla né della mia casa né di quello che avevano costruito. Io ho frequentato il liceo scientifico e ho dato tutti gli esami di lingue, ma mi sono “inceppato” al momento della tesi, quindi non ho mai terminato 27 C M Y CM MY CY CMY K Romagna Durante la mia vita ho viaggiato molto, ho visitato molti posti perché ero a servizio presso la famiglia Benassi, che era numerosa e facoltosa. Durante l’estate, da giugno a settembre, con la signora andavamo in villeggiatura a Viserba. Prima invitavano gli amici, ma una volta cresciuti i ragazzi venivano a coppie con le fidanzate. La casa era sempre piena di gente. Il mare mi piaceva, ma non facevo il bagno perché ho paura dell’acqua. Andavo la mattina presto con la bassa marea, arrivavo fino agli scogli e l’acqua era fredda, poi camminavo sul bagnasciuga e arrivavo fino a Torre Pedrera, per rincasare verso le nove. Partivo verso le sei e tornavo prima che si riempisse la spiaggia; dopo sembrava un formicaio. Non ho un posto nel cuore, ma non ho mai sentito nessun posto veramente mio. Il periodo più bello sono stati i primi anni al mare, quando c’erano i primi nipoti, c’erano ancora i nonni e andavamo a trovarli. Questo è stato il periodo più bello. Giuseppina (Geppa) Ponti - 88 anni D’estate andavo al mare a Riccione con mio marito e mio figlio, in una casa in affitto per quasi un mese. Mi piaceva moltissimo andare in spiaggia ma non nuotavo, mi bagnavo soltanto. Mio marito 28 e mio figlio, invece, erano sempre in acqua. Di sera passeggiavamo sul lungomare. Ida Alberici - 89 anni D’estate andavo spesso in ferie al mare sulla Riviera Romagnola, a Rimini, dove amavo soprattutto andare in spiaggia a prendere il sole. Non sapendo nuotare non andavo a farmi il bagno. Rita Parmigiani - 75 anni Dopo l’alluvione, noi quattro sorelle siamo andate a Cervia assieme a mia mamma, mio papà invece era rimasto a casa; aveva solo una gallina, se la teneva pure in camera e se la portava via con lui in bicicletta, ma anche così sono riusciti a rubargliela! Pensa... da Patina non c’era l’acqua e mio papà andava a mangiare lì con la sua gallina sotto braccio. È riuscito a venire da noi a Cervia col motorino, ci ha portato due borsoni con le mutande e i pannolini e un po’ di frutta. A Cervia andavo a lavorare, aiutavo in cucina e anche negli uffici; eravamo in un mondo diverso, avevo un paltò nuovo che mi aveva fatto la sarta per un matrimonio, non l’ho usato e me lo son portato per C M Y CM MY CY CMY K usarlo a Cervia... sembravo la badessa. E mi rispettavano perché ero in cucina e in ufficio. La gente aveva tanta fame e si lamentavano lo stesso pur avendo la possibilità di mangiare primo e secondo, mentre a Contarina non sapevano neanche cosa voleva dire avere un primo e un secondo. Eppure andavano a rubare e facevano i dispetti, rompevano i vetri delle finestre. Erano di famiglie sbandate che non si sono più raddrizzate! Andava a finire che quelli di Cervia volevano l’alluvione ma non gli alluvionati! Marcello Baratella - 85 anni, con la moglie Teresa 29 C M Y CM MY CY CMY K C M Y CM MY CY CMY K Liguria 31 C M Y CM MY CY CMY K C M Y CM MY CY CMY K La Spezia Sono nata in Nave, un quartiere di Sarzana, e poi a pochi mesi sono andata ad abitare a Canal Tur. Lì sono rimasta sino ai sei anni, poi mi sono trasferita a Ponzano. Infine ci siamo trasferiti alla ghiaia di Falcinello. Eravamo mezzadri, mi ricordo che quando veniva giù l’acqua dalla ghiaia arrivava vicino a casa. Era una casa isolata, le altre case erano un po’ più distanti. Alla domenica andavo alla messa a Santa Maria con altre ragazze. Nel pomeriggio si andava da Paolo o a San Michele a ballare. Mia mamma mi diceva: «Devi essere a casa prima che vada sotto il sole», io lo facevo non perché avessi paura delle botte, ma perché mi vergognavo, ero timida. Mia sorella, una volta, è tornata a casa che era già buio e mia mamma si è arrabbiata molto. Adele Baria - 103 anni Sono nata a La Spezia, in una famiglia semplice e onesta. Ho potuto frequentare la scuola fino alla quinta elementare. Dopo ho studiato con un mio cugino più grande e ho letto tantissimi libri, anche più di cento! Ero brava a scuola, un po’ timida, avevo sempre paura di disturbare, per questo non sono mai stata messa in castigo. Purtroppo la guerra ha cambiato molte cose… Mia madre mi diceva di diventare una maestra, perché io diventavo matta per lo studio, per i libri… E invece niente, perché, finita la quinta elementare, siamo finiti a rifugiarci nella galleria. Quella che adesso passa per Rio Maggiore, al mare. Noi stavamo lì, si dormiva lì, in piedi dentro una galleria, sotto a un monte. Perché bombardavano. Prima della guerra mio papà ci fece un libretto postale, uno per me e uno per mia sorella. A due bambine ha fatto il libretto! Quando è rientrato dalla prigionia, dopo otto anni, ha trovato mia sorella quasi fidanzata. Io avevo quindici anni e lei diciotto, ormai era una donna. Aveva lasciato due bambine e aveva ritrovato due donne. Però la vita l’avevamo salvata, anche se le paure provate non si cancellano. Ne abbiamo passate tante… però ci siamo salvate. In fin dei conti siamo sopravvissuti. Sono esperienze che ti insegnano, ti forgiano, ti fanno cambiare idea anche sulla vita in generale. Carla Maria Paini - 85 anni Io sono nata a La Spezia. Prima di sposarmi facevo la segretaria in un ufficio, poi mio marito mi ha aperto una cartoleria nel quartiere di Mazzetta, si chiamava “Il punto rosso”. 33 C Ho dei bei ricordi a La Spezia: dalla casetta con cui vivevo da bambina con i miei genitori, vicino al Teatro Civico, alla chiesa di Pegazzano, dove all’età di circa ventidue anni mi sono sposata. Ho dei bei ricordi anche delle nostre tradizioni: una delle nostre feste più belle è la fiera di San Giuseppe. Ci andavo tutti gli anni e la prima cosa che compravo era la collana di noccioline: ne prendevo due, una per mia figlia e una per mio figlio. Non mi scordavo mai di comprare la porchetta di cui tutta la famiglia era golosa. E poi è famosissimo il palio dei borghi marinari, si svolge la prima domenica di agosto. È una sorta di gara tra tutte le frazioni della provincia della Spezia che si affacciano sul mare. Dopo il matrimonio, mio marito affittava una casa a Fiumaretta. Io avevo smesso di lavorare, lui invece non era ancora andato in pensione. I nostri due bambini erano piccoli e io li portavo al mare. Mio marito ci raggiungeva la sera. Mi piaceva molto stare lì, avevamo la possibilità di farci una piccola vacanza. Io adoro il mare, se fossi più giovane ci tornerei subito! Giovanna Mori - 84 anni Sono nata a Sarzana, in via della Trinità, e ho sempre vissuto lì. La casa dove abitavo è poi stata demolita, non era casa mia, eravamo in affitto. Troppa grazia essere padroni! Dopo ci hanno dato un appartamento. Era una casa colonica, i miei erano mezzadri 34 M Y CM MY CY CMY K e coltivavano i terreni. Succede così quando la città si espande, costruiscono nelle periferie, occupano dove si coltiva. Io ho sempre abitato in periferia e i miei sono tutti sarzanesi: i miei genitori, i nonni. A scuola andavo in centro, sia per l’asilo, sia le elementari e sia l’avviamento al lavoro, che poi sono diventate le medie. Erano tutte in centro. Vicino a piazza Garibaldi c’erano le scuole elementari maschili, la mia invece era all’inizio di via Landinelli. Mi ricordo che sui muri della scuola vicino alla porta delle classi c’era scritto il quattro di quarta classe con i numeri romani, e noi ci chiedevamo cosa fossero quei segni. Il giovedì a Sarzana era giorno di mercato, ma solo la mattina. Davanti alla Laurina, un albergo storico, c’era un uomo che cantava e con un piattino raccoglieva i soldi; radunava tanta gente. Allora era già una gioia uscire di casa e stare fuori. Vicino a Piazza San Giorgio c’era la tettoia del mercato. A Sarzana non capiscono niente, perché l’hanno demolita. Sotto alla tettoia c’era sempre una signora che vendeva le polpettine, mele cotte al forno, ne preparava qualche vassoio e poi diceva: «Donne, a go le porpettine!» in sarzanese. La chiamavano la Ro dei dozi. Bruna Bologna - 91 anni Sono nato a La Spezia. Da bambino abitavo in via XX Settembre e mi ricordo che i tram di colore verde, in via Persia, fermavano dove ora c’è il chiosco: facevano moltissimo rumore, si sentiva il suono del campanello che li preannunciava per avvertire le persone di allontanarsi dai binari. In centro c’era la gelateria “La Fiorentina”, che ora è diventata una pasticceria. Quando ero bambino, se ero stato bravo a scuola, i miei genitori mi portavano da Riccardo a prendere il gelato; io prendevo arlecchino, gusti misti con sopra la panna montata e una ciliegina. Ero un bambino studioso, una volta ho vinto anche un premio per un tema dal titolo “Cosa voglio fare da grande”. Io avevo scritto “Il Papa”. Mi ricordo che mi piaceva affacciarmi al C balcone con i bambini del palazzo che mi guardavano e dire la Messa con il libretto in mano e alla fine dare la benedizione. La domenica pomeriggio mi portavano ai giardini, dove prendevamo la bici a noleggio. Alla chiappa c’era una trattoria dove cucinavano la farinata e la mesciua; allora c’erano tutti i tavoli in pietra e si mangiava fuori all’aperto. Un altro ricordo della città di allora erano i carrettini che trasportavano il ghiaccio. Gli ambulanti acquistavano il ghiaccio dalla fabbrica del ghiaccio, lo facevano a pezzi e con il carrettino lo consegnavano alle famiglie che lo usavano per conservare il burro; anche il pesce lo portavano con i carrettini. Mi ricordo l’arrotino che passava per le strade e urlava: «Arrotino!» e tutti scendevano con forbici e coltelli. C’erano anche quelli che aggiustavano le pentole di terra cotta con il filo di ferro. Allora non si buttava via niente, queste figure oggi non ci sono più. Davanti alla stazione c’erano i cavalli, di fronte al civico, al posto dei taxi, c’erano i calessi. Mi ricordo l’odore dei cavalli… Nella borgata del Canaletto mi ricordo le vecchie marine, costruzioni su palafitte dove vivevano e da dove partivano le imbarcazioni dei muscolai, le persone che curavano i vivai di mitili o, come si dice in spezzino, muscoli. Le palafitte furono purtroppo sacrificate per lasciare spazio alle attività del porto mercantile. I muscolai del Canaletto fornirono all’inizio la maggior parte dei vogatori del Palio del Golfo. In occasione della festa del mare, nel Golfo dei Poeti si disputa il Palio del Golfo, una gara tra imbarcazioni a remi alla quale prendono parte le tredici borgate che si affacciano sul golfo di La Spezia. Io sono della borgata di Ca’ di Mare perché mia mamma era di lì. La cosa più bella sono i bengala che segnalano la partenza delle barche e l’ovazione del pubblico. Tutti guardavano la gara dal molo o dalle imbarcazioni ormeggiate nel porto. Molte fotografie della Spezia di un tempo sono raccolte presso il centro della comunicazione grazie al fotografo Sergio Fregoso, il fratello è invece un poeta che scrive poesie in dialetto spezzino e le legge all’accademia Capellini. Dopo i vari trasferi- M Y CM MY CY CMY K menti sono tornato a La Spezia. La Spezia è una città in evoluzione. Ci sono tante iniziative culturali, come la Festa della Marineria, in occasione della quale sono arrivati i velieri da tutto il mondo e gli equipaggi hanno sfilato nel centro della città. I luoghi della città che preferisco sono i giardini pubblici e il castello di San Giorgio. I giardini sono molto belli e curati. Enrico Cerretti - 68 anni Io sono nata su una piccola collina che si chiama Drignana. Era una località dove all’epoca c’erano al massimo sei o sette famiglie. Adesso non c’è più nessuno. Nel paesino non c’era niente, né la farmacia, né il medico, né la bottega per fare la spesa; se c’era bisogno di qualcosa bisognava scendere fino al paese. Per arrivare a Vernazza la strada era molto ripida. Per salire ci voleva più di un’ora, era faticoso e la strada era una mulattiera, stretta e sterrata. Io la facevo diverse volte al giorno. La mia famiglia era una famiglia povera, eravamo contadini. Coltivavamo frutta e verdura e allevavamo le bestie. Quello che avanzava e non serviva al sostentamento della famiglia lo vendevamo. Allora io mi caricavo una cesta di vimini sulla testa e portavo al paese la merce. 35 C Da bambina svolgevo un sacco di compiti; oltre a vendere i prodotti agricoli curavo i terreni e gli ortaggi, zappavo la terra, seminavo il grano, le patate e altra verdura, badavo agli animali, tagliavo l’erba. Questa è la storia della mia famiglia e della mia vita. È stata sicuramente dura e faticosa, ma io ho dei bei ricordi dei miei genitori, della mia gioventù e dei miei posti, i miei campi, i miei terreni. La mia casa? Anche se non ci abita più nessuno, non si vende mica! Lina Colombo - 88 anni Sono originaria delle Cinque Terre, di Riomaggiore. Sicuramente tutti conoscono il posto per il mare e per il vino. Qui si produce il famoso Sciacchetrà. È un vino che viene prodotto un po’ in tutte le Cinque Terre, ma qui c’è la produzione principale. Se devo raccontare un ricordo in particolare legato ai miei luoghi di origine, mi viene senz’altro in mente la vendemmia nei terreni di famiglia. Io avevo i campi a Cà de Giannotto, a Vallescura Migliarino. Ci si alzava al mattino presto, mangiavamo un po’ di pane con un po’ di uva appena raccolta nel vigneto. Poi si cominciava la vendemmia, allora staccavamo l’uva dalle vigne e la dividevamo in bianca e nera, in diverse ceste. Una volta piene, le ceste venivano portate a mano fino alla cantina. Questa era la parte più faticosa perché i vigneti nelle Cinque Terre sono terrazzamenti in salita. Una volta portata nella cantina, l’uva si buttava nella tina, dove veniva pestata per fare uscire il succo che poi sarebbe stato messo nelle botti. Adesso è cambiato tutto, il momento della vendemmia non è più un momento di fatica, ci sono trattori e sistemi tecnologici per spostare i cesti carichi di 36 M Y CM MY CY CMY K uva, e macchinari che la spremono per estrarne il succo. Da un lato è un bene, ma dall’altro si perdono un po’ le antiche tradizioni della mia infanzia e che i miei genitori hanno imparato dai loro, tramandandoseli di generazione in generazione. Così come sta succedendo per la costruzione dei muretti a secco, anche questi sono tipici delle nostre parti. Ora non li sa fare più nessuno. E pensare che vengono da tutto il mondo per vedere i nostri posti! Lidia Bonanni - 81 anni Sono nata e cresciuta a Molicciara, nel comune di Castelnuovo Magra. Molicciara è ai piedi di Castelnuovo, che invece si trova in collina. A Castelnuovo ho fatto tutte le elementari, in un bel palazzo. Io ero brava in italiano, facevo bene i riassunti e i temi, invece di matematica non ho mai capito niente, anche adesso se devo fare una divisione ho difficoltà. Mi sono fermata alle elementari, non ho potuto fare le medie perché i miei genitori non potevano permettersi di pagare i libri e il pullman per andare a Sarzana, dove allora era la scuola media; così ho cominciato presto a fare piccoli lavori. Castelnuovo si trova su una collina tutta ulivi, mi ricordo che andavo con mia nonna a raccogliere le olive e alla vendemmia. I miei nonni avevano un casale sulle colline e io ci andavo sempre volentieri, perché avevano tanti animali e io ho sempre amato gli animali. C’era un torrente, il Bettigna, dove da ragazzi andavamo a pescare i ranocchi o a fare il bagno. D’estate era il nostro mare, allora l’acqua era limpida. Mi ricordo che dall’Aurelia al mare era tutta campagna coltivata; c’erano tanti alberi da frutto, i fossati limpidi e tanti fiori gialli. Maria De Maria - 76 anni C «Bello il mio Pitelli, Dio lo fece e poi strappò i modelli! E disse il buon Gesù, come Pitelli non ne faccio più!». Abitavo con mia nonna in cima alla piazza. Da bambina mi portava spesso in campagna, c’era l’uva da raccogliere, le olive, la frutta. Si andava a piedi e poi si tornava indietro con le ceste piene. A me piaceva tantissimo la campagna chiamata “del Colletto”, non ricordo perché si chiamasse così, ci sarà stato un motivo. Lì c’era tanta frutta, ciliegie, pesche, fichi, fragole, nespole, susine. Mi piaceva raccoglierla, ma soprattutto mangiarla sul posto. Siccome ero piccola e non arrivavo ai rami degli alberi, raccoglievo quella caduta a terra. Mi piaceva raccogliere i fiori selvatici e quelli seminati dai miei nonni, abbondavano in primavera; facevo mazzetti di margherite e viole e li portavo a casa. Crescendo poi, da ragazzotta, andavo al mare con le mie amiche. Da Pitelli scendevamo a piedi sino alla Baia blu, un posto bellissimo: l’acqua pulitissima, una piccola spiaggetta e tanti scogli. Ricordo che stavo tutto il tempo seduta su uno scoglio con le gambe in ammollo. Mi piaceva sentire le onde che mi massaggiavano i piedi. Non sapevo nuotare... Il mare della Baia blu è bellissimo ma Pitelli, il mio paese, ancora di più. Ferdinanda Rebolini - 91 anni I luoghi che per me sono stati importanti sono quelli in cui ho studiato o lavorato. Mio padre era il titolare dell’albergo Principe a Pontremoli, vicino alla stazione ferroviaria, che ora non esiste più. Lo aveva preso in gestione e fin da ragazzo lo aiutavo nelle diverse mansioni. I nostri clienti erano in particolare dei camionisti; a quei tempi non esisteva ancora il turismo. Siccome non c’era ancora l’autostrada della CISA, i viaggi per raggiungere Parma, Milano e l’Emilia erano molto più lunghi rispetto a oggi. Quando un autista era stanco si fermava da noi per la notte. Di solito stavo al bar, riuscivo a far combaciare il lavoro con lo studio e mi sono diplomato ragioniere M Y CM MY CY CMY K nell’istituto Dapassano in piazza Verdi. Appena finita la scuola, sono partito per il servizio militare. Quando sono tornato, mio padre era morto e l’albergo era stato disastrato e saccheggiato dopo i bombardamenti. Insomma, non avevamo più di che vivere. Con la mia famiglia siamo rimasti sfollati e sono tonato a Spezia per cercare lavoro. Per fortuna, nel 1946 ho trovato lavoro in Comune come impiegato, all’ufficio tributi. Ho dovuto fare un concorso e sono stato assunto, ho lavorato lì per quarantadue anni. Da giovane andavo allo stabilimento balneare Nettuno, al Muggiano. Ora non esiste più, in quella zona ci hanno fatto dei cantieri navali e un piccolo porticciolo per ormeggiare le barche. Andavo lì con i miei amici, poi quando hanno chiuso il bagno mi sono spostato al Colombo, a Lerici. Mi è sempre piaciuto andare al mare. Eravamo un bel gruppo di amici e colleghi, prendevamo la cabina per tutta la stagione. Nel tempo di guerra La Spezia era un’importante base militare; avevamo la scuola per marinai e una flotta navale di armi da guerra pronte a partire in qualsiasi momento. Oggi il porto è una località turistica, ideale per una passeggiata sul mare. Dopo la guerra partivano le vaporelle, delle navi che portavano i passeggeri fino a Lerici. Erano l’unico mezzo per raggiungere Lerici, l’autobus si fermava al Muggiano e poi bisognava proseguire a piedi. Quando ero ragazzo, alla sera, alle dieci, c’era la ritirata dei marinai. Era bellissima da vedere. Mi ricordo che i cittadini si recavano in piazza Garibaldi, sotto la statua, mentre la banda richiamava i marinai in caserma. I suonatori si spostavano suonando una marcia militare e si dirigevano verso la caserma Duca degli Abruzzi con i marinai al seguito. Corso Cavour è una delle vie principali di Spezia. Qui ci sono diversi negozi storici della città, che sono aperti tutt’oggi. Come il calzaturificio Mellei, dove hanno lavorato tutti e due i miei fratelli subito dopo la guerra. Pensa che ha aperto nel 1917! Loro erano due garzoni, dovevano vendere e occuparsi della consegna delle scarpe. Un altro negozio storico è in una traversa di via Prione, è la pizzeria al taglio “La Pia”, è chiamata 37 C anche la Centenaria, da quanti anni è aperta. Tutti gli spezzini hanno mangiato almeno una volta nella vita un po’ di pizza e un po’ di farinata dalla Pia! Gabriele Maioglio - 90 anni La calzoleria “La casa della scarpa di Deiva” era il negozio mio e di mio marito. È stato aperto negli anni Sessanta ed era un fondo, proprio piccolo. Successivamente, negli anni Settanta, abbiamo riaperto il negozio in un’altra parte della città. Al suo interno c’era un laboratorio per la riparazione degli oggetti in pelle e in cuoio, dove stava sempre mio marito, poi c’era la parte di negozio per la vendita di scarpe, borse e cinture di cui mi occupavo io, e dietro si trovava l’appartamento nel quale vivevamo. Mio marito ha sempre fatto il calzolaio, ma dove abitavamo prima di Deiva non riuscivamo a guadagnare abbastanza, così abbiamo deciso di trasferirci. Ho dovuto abbandonare il mio paese. Lorena Vascelli - 90 anni M Y CM MY CY CMY K Sono nata a La Spezia, al Muggiano. Il mio babbo aveva aperto una tabaccheria, vendeva le sigarette e il sale. A Spezia abitavo al Canaletto, in un palazzo dove c’era tanta gente… Alla sera si andava al cinema. Davanti al cinema c’era una signora, si chiamava Margherita e vendeva i cannoli. Ah, tempi passati. Al Muggiano c’era una spiaggia piccola, io ci andavo con mia sorella, la chiamavano la spiaggia dei morti, non so perché; a volte mia sorella non ne aveva voglia e io ci andavo da sola a piedi, era vicino a casa mia e passavo in mezzo agli orti per arrivarci. Alle “Tre strade” tutte le sere ballavano, c’era la festa da ballo, io abitavo a due passi e ci andavo spesso; mi piaceva ballare, c’era tanta gente. Dopo la guerra siamo rimasti al paese e ho conosciuto mio marito. Sergia Duranti - 86 anni Sono nata e ho vissuto sempre a Sarzana. Da bambina abitavo in periferia, vicino alla vetreria, con i miei genitori e mia sorella; allora era tutta campagna, adesso non la riconosci più, hanno costruito tutte le case. Il centro storico è rimasto più o meno come allora, invece la periferia è completamente cambiata. Quando ho cominciato a lavorare mi sono trasferita in città, perché non potevo prendere i mezzi tutti i giorni per raggiungere l’ospedale; allora erano pochi, uno ogni due o tre ore, non come adesso che ne passa uno ogni dieci minuti. Edda Fabbricotti - 84 anni Da bambino giocavo al cosiddetto Giro d’Italia con i tappini di ferro delle bibite. Era un gioco molto praticato dai ragazzi di quegli anni, univa la fantasia e la passione per uno sport: il ciclismo. Per prima cosa vi era la ricerca dei tappini delle bibite nei vari bar della città. Ricordo che la pista da gioco veniva tracciata con il gesso che si usava per scrivere sulla lavagna di scuola, sull’asfalto o sul 38 C cemento di una strada chiusa al traffico, come era ad esempio a La Spezia, Viale Mazzini. Poi iniziava la gara, dando con il dito dei piccoli buffetti al tappino, in modo da fargli percorrere l’intero percorso. Ho trascorso molto tempo in quella via, era un punto di ritrovo per i ragazzi della zona. Questo era un gioco semplice ma appassionante che assorbiva gran parte del tempo di un bambino di allora, facendolo socializzare con i propri compagni e vivere all’aria aperta. Paolo Ceragioli - 65 anni Io ho passato una bellissima infanzia, avevo le sorelle già grandi e una mamma e un papà molto presenti. Avevo tante bambole, le ricordo tutte: belle, di marca Lenci, una marca molto famosa. Me le comprava mia mamma quando c’era il mercato a Lerici. Mia mamma tutte le mattine andava e Lerici a vendere il latte. Ero molto viziata, per la festa della Befana avevo ricevuto delle calze di velo, a quell’epoca rare e costose; un’amichetta era venuta a casa mia, ci rimase di stucco! Subito andò dalla mamma a dirle che non era giusto. «La Mafalda fa sempre i capricci e la Befana le ha portato delle calze bellissime, io che sono buona ho ricevuto solo qualche caramella dentro le mie calze di lana!». Abitavo a Romito, ma lì non c’era molto. Mi piaceva Lerici perché c’è il mare. Ogni estate ci trascorrevo quindici giorni, ospite di una cliente di mia mamma. La signora aveva due figlie poco più piccole di me e giocavamo, facevamo il bagno. Ma poi mi prendeva la nostalgia dei miei genitori, delle mie sorelle e delle mie bambole. Ricordo che passavo anche alcuni giorni ospite della signora Dirce, alla Bellavista, località di Lerici in collina. Lei era brava ma non mi piaceva il suo nome, era un nome che mi faceva paura! Facevamo delle lunghe passeggiate in mezzo alla natura. Vicino a lei abitava il Conte De Benedetti. La sua casa era immersa in un grande parco dove andavo a giocare. Passavo delle ore sull’altalena, correvo tra le siepi. Ero molto vivace e anche da sola mi divertivo. C’era tanto verde, ordinato e pulito e M Y CM MY CY CMY K questa altalena sembrava dirmi: «Vieni, salta su!». Ma anche lì, dopo qualche giorno, mi prendeva la nostalgia di casa. In fondo, stavo bene a casa mia. Anche se ho sempre vissuto a Romito, sono legata a Sarzana perché l’ho frequentata sin da bambina: con mia mamma venivo talvolta al mercato e mi ricordo che in via Mazzini, che allora era via Grande, c’era un negozio “Le Peroni”, dove mia mamma comprava la stoffa per fare i vestiti per me e per le mie sorelle. Diventata grande, venivo a Sarzana per lavoro; prima lavoravo al biscottificio e poi al sindacato. Mi ricordo che in piazza Matteotti c’erano le piante di mandarini e di arance. Quando penso a piazza Matteotti mi viene sempre in mente che una volta dovevo fare delle punture. La mutua era in fondo alla piazza, dove finisce a punta. La signora che mi faceva le punture era affacciata alla finestra e mi ha visto mentre finivo con la bicicletta in mezzo alle gambe del maresciallo dei carabinieri! Quando sono entrata mi ha chiesto se il maresciallo mi aveva sgridato, invece lui si era scusato perché pensava fosse colpa sua, ma se lui era in mezzo e io non guardavo dove andavo… io sono stata zitta perché, be’, allora ero una brighella. Mafalda Fresco - 92 anni 39 C Sono nata come un piccolo criceto: riposta in un piccolo cartone di scarpe, riscaldato solo con un po’ di cotone, e lasciata nell’orfanotrofio di via Garibaldi, qui a La Spezia, che ora non esiste più. Per fortuna ci sono rimasta poco, dopo venti giorni sono stata adottata da una dolcissima famiglia. Vivevamo in una casa su due piani, con un bel giardino, e avevo due fratelli. I miei genitori adottivi mi hanno sempre cresciuta con amore. Dopo molti anni ho cercato di scoprire le mie vere origini e ho ritrovato la mia vera madre, ho imparato a volerle bene e a perdonarla. Allora era una giovanissima ragazza con problemi famigliari, ed è così che ha deciso di lasciarmi all’orfanotrofio piuttosto che farmi morire di stenti. Angela Aramini - 82 anni Sono nata nel quartiere di Mazzetta, a La Spezia. Questo è un luogo importante per me perché ci sono cresciuta e perché qui i miei genitori avevano un forno con annessa una piccola bottega. Mio padre produceva e vendeva il pane, ma avevamo anche dei generi alimentari di vario tipo. Fin da piccola ho iniziato a lavorare nella bottega. Era faticoso perché dovevo anche studiare e andare a scuola. Quando ho smesso di frequentare le elementari, ho iniziato a portare il pane ai vari negozi della città. Avevo circa dieci anni. Ero magra e minuta, ma mi caricavo sulla testa grosse ceste colme di pane e a piedi rifornivo i negozi. Nel retrobottega avevamo una stalla, c’era un cavallo che serviva a trainare la carrozza che usava mio padre per le consegne delle grosse quantità, quelle che io non sarei riuscita a portare in spalla. Io a volte mi occupavo di lui, gli davo da mangiare l’avena e la biada e gli curavo gli zoccoli. Il negozio dei miei genitori è stato molto importante 40 M Y CM MY CY CMY K per me perché mi ha insegnato cosa vuol dire la fatica e l’importanza di svolgere un lavoro. Quando avevo sedici anni mi sono sposata, sono rimasta incinta e così per la mentalità dell’epoca ho dovuto prendere marito. Mio marito faceva il liutaio, fabbricava violini e violoncelli. Purtroppo non era un lavoro molto redditizio così i miei genitori, che nel frattempo avevano preso in gestione un forno a Migliarina, mi hanno offerto di lavorare per loro. Avevo molto da fare, stavo dietro ai miei due figli e lavoravo. Ma non mi sono mai lamentata, mi sono sempre rimboccata le maniche. Aldina Biagioni - 96 anni Sono nata a Sarzana, vicino alla chiesa dei frati cappuccini, nel quartiere della Bradia, e lì ho frequentato la scuola, ma non mi piaceva studiare, non ne avevo voglia quindi a volte ci andavo e a volte no. Sono cresciuta in campagna, i miei genitori avevano terra da coltivare tra collina e pianura. Anch’io ho lavorato con loro sin da bambina, mia sorella invece un po’ meno. Mio padre si occupava delle vigne da solo, potava, legava e dava il verderame; quando c’era la vendemmia ero io a portare i sogi, i tini pieni d’uva sulle spalle. Me la sono tolta, la voglia di lavorare! Davanti a casa c’era un prato e un pozzo dove prendevamo l’acqua per le bestie; avevamo le vacche da latte e le pecore, e mia mamma con il latte faceva il burro, la ricotta e il formaggio. Dopo il matrimonio sono rimasta con i miei genitori sino a quando hanno venduto la casa. A quel punto ci siamo trasferiti in una casa vicino alla fortezza dove un tempo c’erano le prigioni, e lì siamo rimasti sino a quando non ci hanno dato la casa popolare. Eravamo in troppi, nella casa di mia madre non ci stavamo tutti: io, mio marito e i miei figli. C La cittadella era un punto di ritrovo, c’era una piazzetta vicino alle mura dove si andava per stare un po’ al fresco. Io ci andavo spesso con mia mamma. Sarzana già allora era una bella città: piazza Garibaldi, dove c’erano il panettiere e la farmacia dell’ospedale, e il teatro Impavidi, dove io ci sono stata una volta sola, a vedere un film. Andreina Olivieri - 83 anni Sono nato e cresciuto a La Spezia in via Gianturco, abitavo in un palazzo al quarto piano. A Spezia la prima domenica di agosto c’erano le gare di barche, il Palio del Golfo, una gara tra tredici imbarcazioni a remi, simili al gozzo, ma con alcune differenze che le rendevano più veloci e agili. Erano costruite a mano dai nostri artigiani. Io ci andavo sempre a vedere il palio e tifavo per il Canaletto; il nostro colore è il giallo, infatti ci chiamano canarini. Mi ricordo che mio padre mi aveva raccontato che all’inizio i marinai delle barche cariche di pesce o di muscoli si sfidavano tra loro per approdare per primi in banchina, così è nato il palio a cui partecipano con passione tutti gli abitanti delle tredici borgate che si affacciano sul mare. Tutti per mesi partecipano ai preparativi dei costumi e dei carri per la sfilata, che si tiene il giorno prima della gara per le vie del centro della città. Gli atleti delle diverse borgate si allenano tutto l’anno per vincere l’ambito palio. La festa si conclude la domenica sera con la premiazione dei vincitori del palio e con i fuochi d’artificio. Mauro Perioli - 88 anni Sono nato a Filattiera, ma a quattro anni con la mia famiglia ci siamo trasferiti a Falcinello, vicino al torchio, perché cercavano un contadino a cui affittare la casa e il terreno. Poi, in tempo di guerra, hanno bombardato la nostra casa e abbiamo perso tutto. Allora il comandante dei carabinieri ci ha ospitato nel distretto nella zona militare. M Y CM MY CY CMY K Ho frequentato la scuola a Sarzana, in città; ero bravo, il voto migliore lo avevo in disciplina e buona condotta perché in classe stavo attento, in silenzio. Allora c’era severità! Finita la guerra sono andato a vivere in cittadella, nel centro storico di Sarzana; mi ricordo che ci pioveva in casa, entrava l’acqua dal tetto per via dei bombardamenti. Dopo siamo andati alla Bradia, ci hanno dato la casa popolare e lì sono rimasto. Sarzana nel tempo è stata trasformata, ai miei tempi in piazza Matteotti c’erano tutte piante di arance e vicino all’Alhambra, una discoteca, c’era un pozzo che è stato riempito dai detriti delle case costruite vicino, sino a farne una piazza. Allora si poteva camminare in mezzo alla strada, non c’erano pericoli, passava una macchina ogni tanto. Giuseppe Picchiò - 84 anni Io sono nata a La Spezia, ma a Podenzana abitavano i miei suoceri, ed è la terra di origine di mio marito. Fino alla fine della guerra, io e i miei figli siamo rimasti lì, nella casa dei miei suoceri. Anche se abitavamo a Spezia, andavamo sempre a Podenzana con i bambini, anche dopo la guerra... Da bambina giocavo nel cortile della mia abitazione con le bambine della mia età; i giochi erano più semplici di quelli che ci sono oggi, avevamo bambole di celluloide, giocavamo al pampano, a nascondino… poi mi piaceva curare le piante assieme a mia mamma. Avevamo una casa con il giardino e avevamo tanti fiori, che meraviglia erano! Da ragazza invece mi piaceva andare a vedere l’opera, sono una grande appassionata di musica lirica. Se devo scegliere un posto che per me è stato molto importante, scelgo il teatro Monteverdi. Quando ero bambina, venivo sempre con mio padre ad assistere agli spettacoli lirici. A volte mi vengono in mente le arie delle opere e le canto, mi piace cantare, ho preso anche delle lezioni da ragazza. Mio marito l’ho conosciuto in tribunale. Sicuramente è stato molto importante per me come luogo; non solo perché avevo un lavoro che mi piaceva molto, 41 C ero la segretaria del presidente del tribunale di La Spezia, ma anche perché mi ha fatto conoscere mio marito. Lui era un avvocato e passava sempre dal mio ufficio per far archiviare delle pratiche o consultare dei documenti. Mara Toracca - 93 anni Il mio primo amore è sbocciato all’età di quindici anni. Lui era più grande di me e abitava nel mio paese, Lerici; facevamo belle passeggiate sul lungomare mano nella mano, fino alla Venere Azzurra, dove in spiaggia prendevamo il sole e facevamo il bagno. Si chiamava Gino ed era bello, alto, abbronzato, capelli e occhi scuri. Mi piaceva molto stare con lui, mangiare sulla spiaggia i panini preparati da me. Questo mio primo amore è stata una storia segreta che ho raccontato solo alla mamma. Piera Chiappini - 86 anni 42 M Y CM MY CY CMY K La mia infanzia è stata bellissima, piena di libertà e nello stesso tempo di regole da me osservate sempre. Ho avuto molti amici, compagni di giochi e di studio. Nel pomeriggio, dopo aver studiato, mi recavo con loro nel pianone, un altopiano nella piana a Nicola di Ortonovo, per i giochi di tradizione e quelli che inventavamo sul momento. Sono lieta di dire che con alcuni di loro ho mantenuto contatti e rapporti ancora vivi oggi. A Nicola di Ortonovo c’era un edificio, un collegio di suore dove c’era l’asilo e un salone col palco. C’era la tv dove si andava con i ragazzi. C’era un dondolo grande coi sedili, noi spingevamo di qui e di là. Nora Corsini - 65 anni C M Y CM MY CY CMY K Genova A diciotto anni sono entrato in ferrovia; prima ho avuto l’incarico a Pietralcina, il paese di Padre Pio, poi sono stato trasferito in provincia di Teramo e lì ho conosciuto quella che sarebbe stata mia moglie. Infine sono stato trasferito in Liguria dove sono rimasto; quando ho saputo del trasferimento in provincia di Genova ho chiesto a mio suocero di poter sposare sua figlia, così che mi potesse seguire a Zoagli. Zoagli è un piccolo borgo, si trova tra Chiavari e Rapallo, nel golfo del Tigullio, e secondo me è il più bel paese della Liguria. C’è una passeggiata sul lungomare, una scogliera pedonale proprio a livello del mare e una rotonda sul mare; come dice la canzone, lì si cominciava a ballare la sera e si finiva alla mattina. È un paese meraviglioso, per questo mi è rimasto nel cuore; quando c’erano le mareggiate le onde arrivavano in piazza. Il paese si sviluppava invece in collina, sembrava di vedere un presepe con la stazione che era a picco sul mare. A Zoagli ho anche iniziato la mia attività di commerciante, ho aperto la prima latteria del paese. Quando mia figlia era piccola, non si trovava il latte, così ho pensato che come me altre famiglie potessero avere il mio stesso problema. Zoagli è un posto meraviglioso, poi in piazza ci sono i ristoranti dove si mangia dell’ottimo pesce. Dalla Cesarina, se c’è ancora, si mangia benissimo. Giovanni Prisciandaro - 82 anni Da ragazza, prima di sposarmi, sono andata a servizio a Genova. La domenica pomeriggio avevamo qualche ora libera e andavamo al mare, io e le mie amiche; ho anche delle foto con il costume, me lo aveva regalato una mia amica. A Genova mi sono trovata bene, però l’ho lasciata quando il mio fidanzato è tornato da militare e poi ci siamo sposati. Clarice Venturi - 87 anni Sono andata a Genova a lavorare presso una famiglia molto per bene. Nei giorni liberi, con le mie colleghe, andavamo in via XX Settembre e guardavamo i negozi fino a Piazza De Ferraris. Nel periodo estivo ci piaceva andare in Corso Italia a mangiare il gelato, a me non è mai piaciuto andare al mare e prendere il sole. I ragazzi di Genova sono più belli di quelli di Cerignale perché sono della città. Natalina Castelli - 81 anni La città in cui ho vissuto meglio al di fuori del mio paese d’origine è Genova. Mi sono trasferita per lavorare presso una famiglia come donna tuttofare, ero giovane e fidanzata con un mio paesano. La mia signora mi trattava bene e 43 C si fidava di me, spesso loro andavano in vacanza e mi lasciavano sola nella loro casa. Il mio futuro marito veniva spesso a trovarmi e si fermava a mangiare con noi, come invitato dalla padrona di casa. Dopo pranzo uscivo con lui e facevamo delle passeggiate, a volte andavamo a ballare al “Righi”. Ho smesso di andare a Genova quando mi sono sposata. Beatrice Sacchi - 84 anni Da adulto mi sono trasferito a Genova e facevo l’asfaltatore. Questa città ti fa sudare ma è molto bella, io andavo spesso in Via XX Settembre fino a Piazza De Ferraris. Non mi piaceva andare in spiaggia a prendere il sole o a fare il bagno, ma passeggiavo volentieri in Corso Italia. o n a o o o e o , e e r Enrico Valla - 92 anni Sono nata il 16 luglio del 1928 a Casella. Abitavo in mezzo al paese con i miei genitori e tre fratelli. Io ero la più giovane e la più brava. A scuola fino alla quarta sono andata a Costa, poi la quinta l’ho fatta a Casella, di sera. Mi piaceva andare a scuola, però avevamo gli occhi coperti, eravamo molto indietro; come nascono i bambini l’ho scoperto a dodici anni, ma solo perché un mio amico aveva sentito delle urla di notte, si era svegliato e di nascosto aveva visto la mamma partorire. A ventiquattro anni mi sono sposata con Dario, che abitava nel mio paese; siamo stati morosi per cinque anni e poi ci siamo sposati, era il 16 maggio e siamo andati ad abitare in una sua casa sempre a Casella. Mario l’ho partorito in casa. Mamma mia, che dolori! Ho pensato che, se non morivo lì, non sarei più morta; invece con Rosella sono andata all’ospedale. i . i e a à a a Lina Scaglia - 87 anni 44 M Y CM MY CY CMY K C M Y CM MY CY CMY K Lombardia 45 C M Y CM MY CY CMY K C M Y CM MY CY CMY K Milano Sono andata a Milano quando ho iniziato a lavorare nella moda, facevo la sarta per più di una casa di moda e mi piaceva. Passare da un paesino alla città non è mica difficile, mi sono trovata bene subito. Mi muovevo coi mezzi, la macchina non ce l’avevo. Abitavo a San Siro, poi ho abitato a Porta Magenta per molto tempo. Ci sono bei negozi, bei palazzi. Milano è una città interessante, ci sono eventi importanti, le mostre. Io andavo a vederle a Palazzo Reale o anche negli altri musei, perché ho studiato pittura a scuola. Preferivo vedere le mostre degli artisti emergenti in Piazza Duomo, magari uno che non so neanche chi è. Milano è una grande città, può anche non piacere per tutto il traffico che c’è. Ma Milano è sempre Milano, si sa. C’è poco da dire. Anna Covini - 90 anni Ho abitato una vita a Santa Maria. Però da sposata sono andata ad abitare a Milano, perché mio marito era nella polizia e l’hanno trasferito lì. Mio figlio è nato a Milano, quando si è sposato è stato due o tre anni a Milano e poi si è spostato vicino a Siena. Abitare a Milano a me piaceva. Mi sono adattata subito, era più comodo, insomma è tutta un’altra vita, a noi sarebbe piaciuto stare anche un po’ fuori ma per il lavoro che faceva mio marito era più comodo così. Angela Boioli - 86 anni Abitavo in un palazzo, a Milano. È raccontata in tutte le storie, l’arte di Milano. Da ragazza andavo a vedere le mostre a Brera e in Duomo, con l’autobus. Non era mica tanto comodo, ci voleva del tempo. Da bambina, giravo a piedi. Piazzale Corvetto è dove ho vissuto con tutti gli inquilini. Ci ho visto anche il Duce lì. La cosa più bella di Milano è il Duomo. Da ragazza andavo a mangiare in piazza del Duomo, dove c’erano i miei amici. Formavamo il gruppo e andavamo a declamare le poesie. Tutta la mia vita è successa a Milano, da quando ero piccolina a quando poi sono diventata grande. A Milano ce n’è tanta, di nebbia. Quando mi alzavo alla mattina trovavo la nebbia. Era un problema andare a lavorare. Io prendevo il tram, la bici la usavo per divertimento. All’Idroscalo ci andavo la domenica a fare il bagno, ero una signorinetta. È il mare dei milanesi. Si prendeva il sole e si faceva il bagno con il costume. 47 C Si andava a sentire le opere al Castello Sforzesco e alla Scala a vedere i balletti, in platea o sul loggione. C’era una mia amica che mi trovava i posti. Mi mettevo il profumo per andarci. E bisognava vestirsi bene, ci sono persone intelligenti e colte, è bello sentirle. Milan l’è un gran Milan e un po’ mi manca. Andavo a pranzo con il mio principale sotto la Galleria, salivi e da sopra vedevi tutto il Duomo. Nataly Redaelli - 92 anni Io ho fatto solo le elementari a Bernate. Ah, la scuola che roba! Mi ricordo che in prima elementare dovevamo spazzare noi per terra a scuola, perché era di mattoni e facevano la polvere. Guai a sollevarla da terra! M Y CM MY CY CMY K Spazzavamo fino alla porta e poi buttavamo via tutto. A scuola ci insegnavano a fare anche i mestieri: come usare la scopa e a raccogliere tutta la polvere per bene. E lo facevano anche i maschi! Sai, ci insegnavano l’educazione, il rispetto per la gente. Mi ricordo che una volta è venuto un professore del liceo. Ci ha sentiti parlare in dialetto ed era stupito perché facevamo tanti errori di ortografia, ma i contenuti dei temi erano molto belli. Lui pensava che ce li scrivesse la maestra e noi li copiassimo. Invece li facevamo noi, eccome! Però ci fece i complimenti, diceva che nel paese si stava meglio e i bambini imparavano prima a fare le cose della vita quotidiana. Iride Bognetti - 78 anni Sono nata a Milano in Viale Zara, all’altezza del deposito ATM, mi sono trasferita in Piazzale Lagosta e poi in Fulvio Testi. Mio marito era macellaio, non si aveva tempo per girare, lavorava molto. Non gli piacevano le mostre ma, appena avevamo tempo, andavamo in Brianza, a Lomagna, da parenti. Da lì quando ci sono le belle giornate si vede il Duomo! Facevano anche un burro buonissimo, con la stampa della mucca; l’ho mangiato per quarant’anni! Stefania Pogliani - 101 anni Ho sempre vissuto nella zona di Milano. Andavo a giocare nell’aia a Bruzzano. Mettevano il frumento a prendere il sole e noi si giocava lì. I giochi che facevamo erano nascondersi, rincorrersi. Ho sempre lavorato in casa, curavo i miei fratelli. Abbiamo tanti anni di differenza, sono nati a sedici anni di distanza da me perché in tempo di guerra non si facevano figli. Angela Redaelli - 84 anni 48 C Quando ho iniziato a lavorare avevo quindici anni. Ero stenografa. Ho iniziato alla Montecatini di Milano, una società che portava il vanto. Donegani era il direttore. Il primo giorno è stato una prova di stenografia. Ero in un ufficio con tante persone, tutte giovani, poi sono passata in segreteria e ho fatto la mia carriera. Ho avuto tanta soddisfazione dal lavoro: una carriera molto riconosciuta con mazzi di fiori. Ho concluso la mia carriera in un ufficio di importexport. Valeria Carnovali - 95 anni Mi trasferii a quindici anni a Milano, per raggiungere i miei fratelli; il primo impatto con questa grande città è stato buono. Ricordo del grattacielo della Pirelli in costruzione e lo stupore per le linee tranviarie. Pochi giorni dopo l’arrivo, ho cominciato a lavorare all’interno di una fabbrica di interruttori elettrici e, grazie a questa esperienza, intorno ai sedici o diciassette anni, visitai prima Capri e in seguito Palermo. All’età di diciannove anni venni assunto in una importante fabbrica di componenti elettronici, fu una vera fortuna. In questa fabbrica conobbi la donna che sposai e che dopo tanti anni è ancora al mio fianco. È stato il classico colpo di fulmine, sia per me sia per lei. Alessandro Boaretto - 71 anni Io sono nata a Greco Milanese. Abitavamo in via Pulci. Alla mattina la mia mamma mi faceva scaldare dei mattoni da mettere sullo stomaco, per via del freddo. Andavamo al lavoro a piedi. A scuola andavamo a Prato Centenaro. Mia mamma faceva la bidella e ci portava sempre a scuola con lei, il primo giorno della prima elementare mi sentivo già a casa. In tempo di guerra eravamo sfollati a Lierna, sul lago. La nostra casa era tra la Pirelli, la Breda e la Magneti Marelli; quando abbiamo visto che i bom- M Y CM MY CY CMY K bardamenti continuavano, abbiamo deciso di sfollare. Mi ricordo che portammo via anche la mobilia, con un camion. La casa che ricordo con più affetto è quella di via Sarca, rimane la casa che ho vissuto di più. Mi ci sono trasferita a tredici anni. Esite Palazzoni - 91 anni Abitavo a Milano in via di Missaglia, vicino ai campi. La chiamavano “il rocchetto delle rane”, perché c’erano tante rane attratte dai campi di risaie. Non mi piaceva andare da quelle parti, perché oltre alle rane trovavi bisce e altri pericoli. Ci toccava attraversare il cimitero e noi avevamo molta paura; non per i morti, ma per i ladri che ci si nascondevano. Purtroppo però, a volte, ci toccava attraversarlo per andare alla messa nella nostra chiesa di San Barnaba, dove c’è il monumento dei caduti e il fratello di mia madre, chiamato Vecchio Giuseppe, morto in guerra. Il ricordo della mia chiesa è molto legato alle feste natalizie, perché solo per queste occasioni mio padre riusciva a liberarsi da ogni impegno e ci portava tutti insieme ad ascoltare la messa. È il più bel ricordo che ho di mio padre! Nel 1960 abbiamo dovuto trasferirci in via Degli Etruschi. Ho saputo che la mia vecchia casa è ancora lì. Dicono che la stalla della cascina è diventata una biblioteca e la mia casa è diventata la casa del portiere. Io ci vorrei tornare solo per vederla, com’è. Ho dei ricordi belli e brutti, ma è stata la mia casa. Carla Virpo - 86 anni Sono nato il 5 luglio 1924 a Inzago, a nord di Milano. In quegl’anni c’erano solo campi e le case erano distanti tra loro. Facevamo così l’orto dietro casa. Era molto bello perché passavamo alcune ore della giornata a coltivare la verdura e la frutta, in particolare l’uva. Mi piaceva tanto ma soprattutto piaceva a mio padre, perché amava prepararsi il vino 49 C in casa. La nostra coltivazione è stata un aiuto, perché i soldi erano pochi e si pativa la fame. Ricordo la Falck; in quegl’anni era famosa per la produzione di acciaio e ferreria e mio padre e miei fratelli ci lavoravano. È stata un’azienda molto importante che è entrata a far parte della storia del circondario. Mi piaceva andare a trovare mio padre all’uscita dal lavoro. I capi di mio padre avevano dato il permesso ai lavoratori di poter accedere a un grandissimo orto, e noi ci fermavamo a coltivare l’uva insieme. All’età di ventisei anni mi sono sposato con Elda, lei di anni ne aveva ventitré. Ci siamo sposati nella chiesa di San Francesco a Sesto San Giovanni. Per il viaggio di nozze siamo andati a visitare Firenze, Roma, Castel Gandolfo e Napoli e Amalfi, un posto più bello dell’altro. Purtroppo abbiamo interrotto il nostro viaggio perché mia moglie soffriva il mal di mare. Ma fino a quel momento nessuno di noi lo sapeva. E così dopo quindici giorni intensi di amore e distrazione siamo dovuti ritornare. Carlo Buzzini - 91 anni Abitavo a Milano in via Pagliano, successivamente in via Martinetti al numero 27. Non ho avuto luoghi ma momenti importanti nella mia vita, e sono stati tre. Il primo era stare nella mia casa in montagna, che era come essere in vacanza. Il secondo momento è stato quando ho preso la mia laurea, non mi ricordo dove; è stato il momento più importante per me perché finalmente potevo insegnare. L’insegnamento è stato sempre la mia passione. Il terzo momento migliore della mia vita è stato quando ho iniziato a lavorare, ho girato alcune scuole e ho dei bellissimi ricordi dei miei allievi, ero molto 50 M Y CM MY CY CMY K benvoluta da loro per il mio modo di insegnare. Penso che oltre all’insegnamento dovevo guadagnarmi la fiducia e quindi cercavo di capirli. Quando andai in pensione venivano a cercarmi a casa per salutarmi e sapere come stavo. Miranda Giovanacci - 86 anni Sono nato a Foggia, ad Ascoli Satriano, e mi sono trasferito a Milano a diciassette anni, nel 1949. Mio padre era un agricoltore, ma io e mio fratello volevamo trasferirci a Milano per lavorare nel mondo dell’industria. Così ho iniziato a lavorare alla Remington, come apprendista. Nel 1984 sono andato in pensione. Aiutavo i miei genitori anziani. Ero pieno di impegni. La giornata passava in fretta. Francesco De Nittis 89 anni Io sono nata a Garbagnate e mi ricordo con affetto dei negozietti di una volta, ne avevo uno proprio vicino a dove abitavo. Le chiamavano botteghe, un nome antico. Quando andavi a fare la spesa segnavano sul quaderno e pagavi a fine mese. Il bottegaio conosceva bene i suoi clienti, perché andavamo tutti i giorni. Forse è un po’ come adesso il banco del mercato. In paese c’erano un medico, due preti e un’ostetrica. Io stessa ho fatto nascere quattro bambini: sono stata chiamata dal sacrestano, Don Giacomo, perché l’ostetrica non c’era. Rosa Colombo - 87 anni Io sono della zona del Niguarda. C’era il Seveso che puzzava. C’erano le officine che davano lavoro C nel dopoguerra. C’erano più che altro terreni. Mia madre aveva una trattoria. Quando ero piccolo, lei prendeva le rane dalle pozzanghere e le friggeva in casa. Vivevamo in casa tutti insieme e per l’intimità si tirava una tenda. Mario Manenti - 81 anni Io sono nato e ho vissuto a Gratosoglio. A Gratosoglio c’erano tre cartiere che davano lavoro alla gente del posto. Intorno c’erano risaie e campi di granturco. Tra il 1957 e il 1958 c’è stato il boom e, hanno costruito i palazzi: arrivavano con enormi blocchi di cemento e li posizionavano con una gru. Al posto dell’ Esselunga di oggi, c’era una cascina. Nella Gratosoglio vecchia c’erano una cooperativa con sala da ballo, il tabaccaio e una salumeria. Vicino alla salumeria c’era una pasticceria. Io abitavo vicino al Ronchetto. Il quartiere ha preso il nome San Rocco dal depuratore e c’erano sono stalle e mucche. Intorno, campi. Il resto è nato mentre io crescevo. Paolo Carnevali - 83 anni Sono nata in un paese dell’Emilia Romagna, Castelnovo, vicino a Reggio Emilia. Mi è venuto il pallino di venire a Milano e così l’ho fatto a diciannove anni circa, e ho avuto fortuna. Lavoravo in casa di medici e ho abitato in piazza Insubria. La domenica andavo al cinema per vedere i film d’amore e d’avventura. In vacanza andavo quasi sempre al mare, anche se non so nuotare. Andavo sui barconi e prendevo molto sole. Emma Lusuardi - 90 anni Sono nata a Milano e ho vissuto in via Zecca Vecchia. Mia mamma aveva una sartoria molto quotata in via Sant’Orsola. Io avevo la smania di trovare un lavoro, quindi non ho proseguito gli studi. Così M Y CM MY CY CMY K sono diventata segretaria in una ditta che importava trattori e finitrici per le strade. A sedici anni, scoppiata la guerra, sono stata sfollata nel varesotto, a Sant’Ambrogio Olona, dove avevamo una casa con un bel giardino. Ma io sono rimasta sempre legata a Milano. Laura Mongelli - 96 anni Mi sono trasferito a Milano il 26 ottobre 1955. Sono pugliese ma il mio cuore è di Milano, la città che mi ha adottato. Nel periodo della pensione abitavo in via Conegliano. Ho sempre sognato la pensione, la vedevo come un periodo di tranquillità. Dopo i primi quattro mesi mi mancava il cartellino, mi mancava qualcosa. D’altronde rimaniamo legati ai luoghi in cui passiamo la vita, anche quelli lavorativi, nonostante i problemi che si possono avere. Ogni tanto faccio un sogno: sogno di essere alla Innocenti, di fronte a me ho il timbratore delle entrate e delle uscite. Così i primi mesi dopo il pensionamento, mi sono messo a cercare un lavoro su Secondamano, ma nulla. Alla fine trascorrevo le giornata al bar sotto casa. Antonio Giorgino - 73 anni Nel dopoguerra dalle mie parti non c’era lavoro, così mi hanno preso come infermiera al Niguarda a Milano. I lavori umili in quel periodo li facevano quelli che venivano da fuori Milano, dicevano che le infermiere di Milano non volevano pulire gli ammalati, e quindi siamo arrivate noi dal Veneto e le bergamasche. Io sono più legata a Milano perché mi ha dato da mangiare. Ho comprato una mucca a mia madre. Mio padre ne era stato molto felice. A mia madre davo persino le mance come regalo. Io non spendevo nulla per me. Ho lavorato in ospedale per sei anni, poi mi sono sposata e una volta sposata non ti volevano più. Così ho fatto per sessant’anni la custode in un 51 C palazzo in via de Santi: i padroni mi volevano bene. Ho curato il loro orto e devo dire che venivano su dei fichi buonissimi. Mi sono sposata in Chiesa Rossa, e il viaggio di nozze… l’ho fatto a casa mia! La gita più lontana che ho fatto è stata a Recoaro, ma il viaggio più bello è stato visitare piazza Duomo. Al Niguarda avevamo il giorno di riposo, in cui spesso però stavamo dentro. Alla fine ho detto alle suore: «Io vado a visitare il Duomo». Elena Cariolato - 88 anni Sono nato a Terrazzano e ho vissuto sempre lì. Ai miei tempi faceva veramente freddo, non come adesso; allora in piazza con gli amici si faceva una montagna con tutta la neve che c’era e poi si faceva lo scivolo. Ai tempi a Terrazzano c’erano settecento abitanti al massimo, ci si conosceva un po’ tutti. Da grandi, invece, di giorno si lavorava e di sera si andava al circolo e si giocava a carte. Era bello, anche nel divertimento c’era organizzazione, ci si trovava nello stesso posto e si stava insieme. E c’era anche solidarietà: se qualcuno faceva fatica si andava tutti ad aiutarlo. Andrea Moroni - 93 anni M Y CM MY CY CMY K Sono nata a Garbagnate. Ho fatto fino alla quinta elementare, ero brava a scuola. Giocavamo nella piazza, vicino c’era un prato con un ruscello. La gente portava le oche e noi bambini giocavamo alla corda, alle biglie e al mondo, anche se io ero un po’ delicata di salute e all’asilo mi davano sempre l’olio di merluzzo per rafforzarmi. Poi, crescendo, quando battevano il fieno, si andava ad aiutare, così i contadini ci regalavano due o tre pannocchie a testa. Quando tornavi a casa, mettevi la pannocchia sotto il fuoco mentre si faceva la polenta. Una volta non c’erano i pop-corn, però era la stessa cosa: la pannocchia scoppiettava comunque! Angelina Meroni - 88 anni Sono nata a Francofonte, in provincia di Siracusa. Lì ho conosciuto mio marito, abitava vicino a me. Aveva un negozio di pellame, faceva le scarpe su misura. Quando ci siamo trasferiti a Milano, ha trovato lavoro in un negozio in via Montenapoleone, vicino a quello del marito di Rita Pavone. Io facevo la sarta, ho lavorato per gente famosa e sono finita pure sui giornali. Maria Saggio - 90 anni Dopo aver finito la quinta elementare mi hanno mandato a lavorare a Milano, facevo il commesso in un forno. Ero bravo, un po’ birichino, ma non avevamo molto. Facevo il fornaio e mi alzavo molto presto. Era dura, perché al pomeriggio andavo a fare il pisolino, ma poi alle cinque dovevo andare a pulire il negozio, mettevo a posto la pasta e il riso e mi rimaneva poco tempo per giocare. Non eri mai fermo, non mi sono mai sentito dire: «Vai pure a fare un giretto!». Anzi, il mio giretto era la domenica, quando controllavo se i figli del padrone andavano a messa. Sono rimasto a Milano circa sette o otto anni; abitavo a San Siro, e scappavo dentro lo stadio con i miei amici, gli altri garzoni, ci buttavamo nella ressa in mezzo alla gente e andavamo dentro. 52 C Almeno un po’ di divertimento ce l’ho avuto; anche i figli del padrone con me erano molto buoni, erano bravi ragazzi e con me sono sempre stati degli amici. C’era rispetto e un bel rapporto, ero di famiglia. La domenica mi trovavo con tutti gli altri garzoni. Ci ammiravano per la buona volontà, per il temperamento, per la voglia di imparare e lavorare. Il rispetto mi ha fatto imparare di più che a scuola; la scuola ti insegna, io sono stato un po’ disgraziato perché non ho studiato, ma ho imparato dalla vita, dalle persone e dal lavoro! Mario Tomaselli - 76 anni La casa che ricordo con più amore è quella di Milano, dove ho vissuto con mia moglie e dove sono nati i miei tre figli. Si trovava in via Rizzoli, proprio di fronte al palazzo della casa editrice Rizzoli. Non dimenticherò mai la demolizione di quel palazzo, al posto del quale è stato costruito un grattacielo. Nicolò Mazzone - 91 anni Da ragazzina vivevo a Milano nelle case popolari. La mia mamma lavorava tutto il giorno e mi lasciava all’asilo. Da ragazza ho iniziato a studiare la stenografia, mi è piaciuta così tanto che mi sono impiegata come stenografa alla Montedison, dove ho incontrato Eraldo, l’amore della mia vita. Abbiamo vissuto a Milano in Corso Sempione, in una bella casa. Ho dei bellissimi ricordi di quegli anni. Luisa Baldassini - 91 anni La città dove vorrei stare è Milano; ci sono nata, cresciuta e successivamente mi ci sono sposata. Da ragazza andavo al cinema e a ballare in un locale di Porta Ticinese; eravamo una bella squadra di ragazzi, partivamo con le bici e facevamo lunghe passeggiate. Ho iniziato a lavorare in fabbrica e lì ho conosciuto mio marito; dopo dieci anni di matri- M Y CM MY CY CMY K monio e con il figlio piccolo ci siamo trasferiti a Zibido San Giacomo. La fabbrica dove lavoravamo è stata chiusa, così siamo andati a fare i contadini. Carla Locardi - 83 anni Da ragazza mi sono trasferita a Milano dalle suore per imparare un mestiere e sono diventata infermiera. Ho lavorato all’ospedale Niguarda e sono diventata brava. Naturalmente mi sono trasferita in pianta stabile a Milano, a Limbiate. È un posto tranquillo, c’è tanto verde. Mi piaceva molto viaggiare. Ho girato in Italia e sono stata anche in Svizzera e in Germania. Ora sono qui bloccata, vorrei uscire e andare lontano… Loreta Menichetti - 72 anni Fin da ragazzo ho sempre avuto grande passione per l’elettronica ma i miei genitori mi hanno mandato all’Istituto Commerciale. Siccome non mi piaceva quello che studiavo, ho coltivato i miei interessi per conto mio: rubavo i libri a mio fratello per studiare i disegni e le macchine. Ho iniziato a lavorare a Livorno, ma ero così bravo che sono stato chiamato a Milano. Sono stato tecnico riparatore alla Grundig e mi è piaciuto moltissimo. Il mio lavoro è stato come un hobby, per l’amore e la passione che ci ho messo. A Milano mi sono trovato bene, ho incontrato una brava ragazza e l’ho sposata. In quegli anni mi ricordo una grande armonia a casa, nel frattempo era anche nata mia figlia, si era trovato un appartamentino a Bobbio e si andava lì ogni volta che era possibile. Era bello perché ci passavamo i weekend, le feste e il periodo estivo. Sono stati anni molto felici. Elio Ferretti - 87 anni 53 C M Y CM MY CY CMY K Monza - Brianza Sono nata a Ferrara ma ho abitato lì per poco tempo, perché mio papà viaggiava per lavoro e noi ci spostavamo con lui. Era un calzolaio specializzato nei tacchi alti e lo chiamavano negli stabilimenti in tutta Italia. A sedici anni ci siamo trasferiti a Monza definitivamente, in via Zucchi. Mio papà ha comprato un negozio, nel quale lavoravo anche io. Facevo le rifiniture dei lavori grezzi che mi davano: cucivo, rammendavo, sostituivo. Le cose andavano bene così mio papà ha comprato un altro negozio, dove lavoravano mia sorella e mio fratello. Col tempo abbiamo avuto sei operai: quattro nel negozio di viale Italia e due in quello di via Zucchi. Sono la più piccola di cinque fratelli e ho abitato con i miei genitori fino a quando mi sono sposata. Abitavamo a Concorezzo, in una corte in via Santa Marta; eravamo quattro famiglie, tutte numerose. Avevamo la cucina al piano terra e due stanze al primo piano. Una per la mamma e il papà e una per noi figli. Il bagno era fuori, ma per lavarci scaldavamo l’acqua e portavamo le bacinelle in stanza. Quando poi mi sono sposata, sono andata ad abitare in via santa Agata, nella “Curt di Martei”. Ma questa è un’altra storia. Ester Soglio - 92 anni Lidia Ghelfi - 90 anni Sono nato a Meda, che è una bella cittadina con gente di mentalità aperta e benestante. È anche la città di origine di Johnny Dorelli. L’ho visto qualche volta al cimitero e mi ricordo quando si è sposato la prima volta. Adesso abita da anni a Roma con Gloria Guida e non si è più visto dalle mie parti. Giuseppe Allievi - 73 anni Da giovane ho studiato, poi ho imparato a lavorare. A usare l’ago, ad aggiustare le cose. 54 Sono figlia di due genitori molto uniti che hanno reso la nostra famiglia felice. Mio papà era un operaio e mia mamma una casalinga. Ho sempre abitato a Concorezzo, in una corte in centro. Sempre nella stessa corte, prima con la mia famiglia nativa, poi con mio marito. E sono sempre stata felice. Ricordo che, prima di chiamarsi via Libertà, la mia via ha cambiato diversi nomi perché era la via più importante del paese, quella che portava in chiesa. In cento passi ero in chiesa, con qualcuno in più ero all’asilo e alle scuole. Lorenzina Fumagalli - 87 anni C Sono nata a Concorezzo e ho sempre abitato qua. Prima con i miei genitori, poi con mio marito e i figli. Della casa paterna ricordo una credenza, piccolina, in cui mettevamo dentro tutto. A quei tempi Concorezzo era un paese, non una città come adesso. Sono andata a scuola fino alla quinta, poi subito a lavorare sul telaio, facevo i nastri di velluto. Nel 1952 mi sono sposata a Concorezzo e abitavamo nella “Curt dal Lacc”. Avevamo una stanza e una cucina. Il bagno era uno per tutta la corte, in cortile. M Y CM MY CY CMY K soprattutto, c’era il riscaldamento. Ero al secondo piano e quando uscivo in balcone vedevo tutto il parco della Villa Zoia. Anna Barna - 88 anni Angela Frigerio - 88 anni Sono nata a Concorezzo e sono figlia di una famiglia numerosa. Ho sempre abitato con i miei genitori nella “Curt di Martei”, in via Santa Agata, perché non mi sono mai sposata. A Concorezzo ogni corte aveva un soprannome e pure chi ci abitava dentro. A me chiamavano “La Martelascia”, che non è che mi piacesse tanto, ma abitavo nella “Curt di Martei” e me lo dovevo tenere. Ho il ricordo di una frase di quando ero piccola, che era in dialetto, e diceva: “Asciugarà il mare e il Ticino ma mai il borsellino di Felicino”. Si asciugherà il mare e il Ticino, ma non il portafoglio di Felicino, mio papà. Quando la ricordo sorrido, perché penso al mio papà e ai tempi in cui ero una bambina. Maria Ratti - 87 anni Sono nata a Concorezzo, nella “Curt di Mean”. Era una corte che sembrava piccola ma non era così piccola; si entrava da via Libertà ma si usciva da via XXV Aprile. Abitavamo in cinque famiglie ed eravamo una decina di bambini. Con Mario, mio marito, ci siamo trasferiti prima in una corte in via Manzoni, poi tra la metà e la fine degli anni Sessanta abbiamo comprato casa in un palazzo in via Libertà, quello che oggi ospita il bar Moderno. Abitare nel palazzo era molto diverso da abitare in corte, avevamo tutte le comodità ma, 55 C M Y CM MY CY CMY K Cremona Il luogo che ricordo è il collegio a Cremona in via Geromimi, eravamo cento bambini fra maschi e femmine. Io ci sono andata che avevo sette anni e ci sono rimasta fino ai quattordici anni. Durante le vacanze estive andavamo al mare a Sanremo e, prima di iniziare l’anno scolastico nuovo, si stava una settimana dai genitori e pure per Natale e Pasqua. Mi portava il papà, perché alla mamma dispiaceva. Diventata più grande, verso i dodici anni, mi hanno messo con le donne inservienti e allora mi piaceva restare lì perché mangiavo con loro, aiutavo le più piccole a mettersi le scarpe e i vestiti. Compiuti i quattordici anni non ho voluto più andarci. A volte ci penso e non so se ho fatto la scelta giusta. Giovanna Carrara - 65 anni Sono stato trasferito per lavoro a Cremona. Cremona è la patria della nebbia, c’erano certi giorni che alle due del pomeriggio non si vedeva nulla e io per tornare a casa contavo i semafori per orientarmi. A Cremona c’è una festa durante la quale tutti i figuranti in abiti medioevali rievocano, in piazza del Duomo, il matrimonio in cui si racconta sia stato inventato il torrone. Cremona al tramonto è suggestiva, assume un colore rosato perché la città è fatta 56 di mattoni; anche piazza del Duomo è bellissima. La Mille Miglia, la gara di auto storiche, prima faceva il tragitto Brescia-Roma e ritorno senza passare da Cremona, poi abbiamo fatto in modo di includere anche Cremona nel percorso proprio per la bellezza di piazza del Duomo. Cremona è una città di grande cultura, c’è una mostra di violini e nel palazzo comunale suonano uno Stradivari. A settembre c’è una fiera di bovini, mettono le mucche in stand tutti colorati con tanti fiori, e le mucche le pettinano e le profumano. Enrico Cerretti - 68 anni C M Y CM MY CY CMY K Pavia Dopo sposata, insieme a mio marito e ai miei suoceri, siamo partiti per Vigevano. Siamo stati via per quarant’anni anni, a lavorare in fabbrica. Di Vigevano ricordo piazza Ducale, i portici del centro, viale del Popolo, il Duomo e via Cairoli, dove abitavo al numero 21. È in provincia di Pavia. Mi hanno anche festeggiato e mi hanno regalato le foto del paese. Lì abitavo in appartamento. Erano altri anni, ero più giovane, avevo altre possibilità, stavo bene. Facevo le scarpe in fabbrica e non sarei più tornata a Stanghella, il mio paese d’origine. Maria Miotto - 80 anni Abitavo a Montù Beccaria, in una frazione chiamata Case Barbieri. Sono paesini di trenta o quaranta famiglie, ci conoscevamo tutti e adesso si sono tutti spostati. Per arrivarci si va su dalla strada per Torre Quattrini e sotto c’è Case Barbieri, in faccia c’è Bergamasco, il Poggiolo è dopo. Da giovani lavoravamo in campagna. C’era una miseria! Divertimento ce n’era poco. Andavamo un po’ fuori a fare la spesa. Si vendeva al Poggiolo, dove c’era una bottega. Adesso hanno aperto i supermercati. Riccardo Del Monte - 89 anni Io abitavo a Ca’ Nova di Rovescala. A scuola ho ripetuto la prima tre volte perché non sono andato all’asilo. L’asilo era importante ma io di andare in quel posto dove i bambini piccoli ti sputano addosso non ne volevo sapere. Da giovane per divertimento c’erano le feste di dimostrazione del vino. Quando avevo sedici anni era tempo di guerra, lavoravo già come un uomo di quaranta in campagna, nei campi. Avevo in affitto venti pertiche di terra da un nostro parente che abita verso Castel San Giovanni, che aveva una tenuta di duecento pertiche. Ho iniziato il lavoro da giovane, in tempo di guerra. Usavo l’aratro e i buoi. Adesso hanno tutti i trattori, fanno presto a lavorare in campagna. Oggi lavorare in campagna è un piacere, mica come prima. A Rovescala c’era qualche festa, venivano i corridori. Era un’epoca diversa. Ho fatto tanta di quella strada a piedi! Per andare a trovare una ragazza mi dovevo fare cinque chilometri a piedi. Giovanni Vercesi - 87 anni Sono nata al Carmine e anche la scuola l’ho frequentata lì. È un paesino, un posto un po’ di campagna e un po’ di collina. La scuola era lungo la strada, la provinciale. Io andavo a piedi, ma non era 57 C distante, solo pochi metri. Al Carmine di speciale c’erano i balli pubblici, erano un po’ giù dalla piazza e c’era un’orchestra. Io ci andavo e sentivo la musica. L’orchestra veniva dal piacentino e ci andavano tutti i ragazzi del paese e non solo, alcuni venivano da lontano. Da Zavattarello, da Torre degli Alberi, che passando a Torre degli Alberi vai a Casteggio. A me come zona piace, mi è capitato di andar via di lì, ma era la nostra casa e noi ci abitavamo. L’ultima domenica di giugno e l’ultima di settembre ci sono le feste paesane. Perché dicono che è comparsa la Madonna a Montelungo, sulla strada, al bivio che va a Zavattarello e Varzi. È il mio posto preferito, io sono nata lì, e i miei ci abitavano già. Abbiamo sempre abitato lì. Se avessi dovuto dire a mia mamma e mio papà di andar via, guai! C’era l’aria buona, porca miseria, se non fosse buona lì! La Chiesa del Carmine l’hanno fatta che è poco. Allora c’era una casa di ricchi, mamma e figlia, e avevano la cappella e andavamo lì a dire il rosario per il mese di maggio. La chiesa era a Montelungo e andavamo dove c’era l’oratorio. Anche quando andavamo a scuola ci facevano andare all’oratorio, M Y CM MY CY CMY K una volta a settimana: dicevamo il rosario e cantavamo le orazioni. A cantare cominciavo sempre io perché avevo la voce che non stonava. C’era una donna che non si era sposata, che ci teneva alla chiesa, e mi diceva: «Lina, ti chiamiamo Lina perché Ercolina è un nome vecchio». E poi è rimasto Lina, anche se nei documenti ci devo mettere Ercolina. Lina Reposi - 90 anni Sono nato a Borgo Priolo, in una cascina in campagna. Mio papà lavorava la terra e curava gli animali e noi fratelli gli davamo una mano. La sera, la mamma ci chiamava in casa e preparava un bel tegame di minestra. I tempi erano molto diversi, allora. Se c’era qualche poveretto che cercava ristoro, lo si invitava in casa e il primo piatto era per l’ospite, poi c’era nostro padre e poi tutti noi. L’ultimo piatto, se avanzava della minestra, era per lei. Dopo cena mio padre ci mandava a letto presto, perché al mattino dovevamo essere freschi e riposati. C’erano anche altre cascine nella zona, tutte abitate da famiglie numerose. Era bello perché c’era tanta collaborazione. La domenica mattina le donne infornavano le focacce e ci si svegliava con il profumo del pane fresco. Si facevano i carri per andare alla Messa e poi si sceglieva una cascina per pranzare. La sera ci si incontrava nei fienili e c’erano anche le ragazzine… non per vantarmi, ma ho avuto parecchie fidanzatine. Ora non è rimasto più nulla di quelle cascine, è vivo solo il ricordo dei vecchi come me. Aldo Dabusti - 93 anni Ho fatto una scelta strana, ho accettato di sposare un ragazzo che non avevo mai visto. Il primo anno di matrimonio eravamo poverissimi, io non avevo nemmeno una coperta per ripararmi dal freddo. Col tempo ci siamo scoperti innamorati, abbiamo lavorato tanto e siamo riusciti a guadagnare i soldi 58 C necessari per vivere dignitosamente. La casa che ricordo con più affetto è quella che ci siamo costruiti a San Martino Siccomario, in provincia di Pavia. Era una bella villetta e poi era frutto dei nostri sacrifici. Ci abbiamo vissuto diciassette anni, felicemente. Letizia Gianesin - 88 anni Io e mia moglie abbiamo vissuto e lavorato a Casteggio. Io avevo la carrozzeria e lei la latteria. Ci conoscevano tutti ed eravamo amati e rispettati. Nei momenti più difficili parlavamo e sognavamo insieme… avevamo deciso di aspettare la pensione per lasciare Casteggio e partire all’avventura. Avremmo acquistato un camper per fare il giro dell’Italia, forse anche dell’Europa. Ci siamo arrivati vicini, ma poi il sogno si è infranto. Però siamo rimasti uniti e ci vogliamo ancora bene e questa è la cosa più importante. Mario Bagnoli - 86 anni Sono nata a Robbio, il penultimo paese della Lombardia. Pensavano che non sarei campata perché ero molto magra e piangevo sempre, perché il latte che mi dava mia madre non era sufficiente ed era poco nutriente. Se il latte non era sufficiente, i signori avevano la nutrice, la povera gente, invece, dava al neonato latte di mucca… Abitavamo in affitto, eravamo in tre. Una casa semplice, con camera da letto ampia; una tenda separava il mio letto da quello dei miei genitori. Giù c’era la cucina piccolina e il bagno era fuori. Mussolini aveva stabilito che doveva essere a cento metri di distanza, venivano quelli del berretto nero a misurarla. La mia scuola era al pianterreno, un bel salone. Eravamo in cinquantaquattro in classe! Nella fila davanti c’erano i figli dei signori e dietro quelli dei contadini. Io non volevo la divisa e non l’ho mai messa. Andavamo a far ginnastica nel campo sportivo, tutte vestite uguali: grembiulino rosa, cappellino M Y CM MY CY CMY K bianco, che ho perso quasi subito perché… ehm… mi piaceva proprio tanto! Ho lavorato tanto. Ho raccolto il tabacco, il riso… Quando andavo a raccogliere tabacco avevo solo undici anni e mezzo, ma a me piaceva andare a lavorare più che andare a scuola. Volevo essere indipendente e guadagnare per aiutare i miei genitori. Avevo trovato un lavoretto di mattina e non avevo detto nulla ai miei genitori, sapevo che non me lo avrebbero permesso; infatti, quando l’hanno scoperto si sono arrabbiati. Il mio luogo preferito era un cascinino vicino al paese; passava il treno e io e i figli del padrone salutavamo le persone sul treno e qualcuno rispondeva al saluto: «Ciao bambini, ciao bambini!». Quanto tempo là ad aspettare i treni! Sentivamo il fischio che arrivava e, nell’attesa, stavamo in silenzio ad aspettare o commentavamo. Quando non avevo niente da fare, con gli altri bambini andavamo a “controllare” l’orto e rubavamo i pomodori maturi, li condivamo con il sale, anch’esso rubato, e li mangiavamo. Gina Gardellini - 84 anni Dopo il diploma mi sono trasferito a Pavia per frequentare la Facoltà di Scienze Politiche e lì sono rimasto sino alla laurea. Pavia è una città che deve piacere, perché d’inverno è brutta, c’è nebbia e un freddo pungente che entra nelle ossa. Invece in primavera è molto bella, c’è tanto verde, è vicina al fiume e poi è una città medioevale con tanta storia. Borgo Ticino è una zona di Pavia molto bella con tutte le casette tipiche del Ticino e con un caratteristico ponte coperto. A Pavia anche il mercato è sotterraneo, per ripararsi dal freddo. Mi ricordo un dolce buonissimo che faceva una sola pasticceria che aveva il monopolio, la torta paradiso, molto sottile e friabile. Enrico Cerretti - 68 anni 59 C M Y CM MY CY CMY K Varese Ricordo che andavo a fare delle passeggiate ad Affori nei giorni di mercato. Ho fatto anche una gita nei pressi di Varese, più precisamente a Castel Cabaglia dove facevo delle lunghe camminate insieme a mio padre, a raccogliere funghi, fragole, more e nocciole. Mio padre si arrampicava su un melo e mangiavamo le mele insieme strada facendo. Lui mi voleva molto bene. Livia Schieppati - 68 anni Sono nata a Ranco, dove il Lago Maggiore si restringe e diventa stretto e poi diventa il Ticino. Perché il lago Maggiore sta a metà tra la Lombardia e il Piemonte, e io mi ricordo che ad Angera, dall’altra, parte vedevo il Piemonte. Quando ero piccola avevamo la casa per conto nostro e la mamma non mi lasciava andare fuori, aiutavamo lei che affittava le camere ai milanesi che venivano al lago. D’estate andavamo a fare il bagno; c’era tanto verde, non è come in città. E poi c’era il castello, la rocca di Angera; si andava anche con la scuola a vederla e dal castello si poteva vedere anche il San Carlone. La mia casa era proprio sotto il campanile, sentivo le campane e la casa parrocchiale confinava con la mia; andavo alla finestra e parlavo con i preti. Ho 60 ancora un pezzo di bosco lì, perché mio nonno aveva comprato un terreno per costruirci una casa e andare fuori dalla città come i milanesi che vanno in vacanza. Margherita Sibillini - 98 anni Mi trasferii a Sesto Calende, Varese, dove le acque del Lago Maggiore si confondono con quelle del fiume Ticino. In pochi anni, nelle domeniche pomeriggio e poi la sera, andai a ballare, ebbi una breve crisi mistica, ma il twist ed il cha cha cha ebbero la meglio. Furono i tempi dell’ufficio, il matrimonio, mia figlia, l’herpes zoster che mi accecò per più di un anno e che mi avrebbe angustiato per tutta la mia successiva vita di rappresentante e giù di lì. Il trapianto di cornea infatti è stato solo nel 2006. Fui la prima rappresentante donna di prodotti tecnici per una grande azienda. Andavo su e giù anche per il Passo del Sempione e le Prealpi della zona. Meraviglie di luoghi. Ricordo un grandioso arcobaleno sul Lago Maggiore, sembrava una gran luce di fronte e invece l’avevo alle spalle. Le poche nevicate sul Lago erano magia… Graziella Salterini - 71 anni C M Y CM MY CY CMY K Como La mia è stata un’infanzia divisa tra Milano e Mandello del Lario, in provincia di Como. A Milano abitavo in centro, invece a Mandello ci andavo perché ci abitava la nonna: era una casa bellissima, aveva un grande giardino e avevamo costruito delle capanne sugli alberi. Siamo stati tranquilli a Milano fino al 1942, poi la nostra casa è stata distrutta dalle bombe, per cui ci siamo trasferiti al lago dalla nonna. In zona c’era il signor Guzzi, quello delle moto, e ci portava in giro a raccogliere i proiettili. La casa di Mandello era bellissima, ne conservo davvero un bel ricordo: aveva un giardino incredibile, anzi, un parco, e poi lì c’erano famiglie importanti: i Guzzi, i Falck… Ho tanti ricordi a Mandello. Una volta arrivarono delle scarpe da un amico inglese di mio padre: erano bellissime, come quelle di marca oggi, l’equivalente di Tod’s. Bene, mio padre arriva con queste scarpe. Un signore del paese gli chiede la scarpe in cambio di un provolone… un bel provolone, enorme! Allora non è che ci fosse molto da mangiare così mio padre accetta. Non le dico che delusione scoprire che il provolone era di gesso! Si rende conto? Senza scarpe e senza cibo! Noi ragazzi rubavamo i pomodori, le carote e i cachi. Il pane era immangiabile, uno a testa ogni due giorni e ovviamente carne e latte non c’erano… Sono rimasto al lago dal 1942 al 1946. Mi iscrissi al Liceo Scientifico. Continuavo a stare a Mandello, per cui Carlo Guzzi mi portava a scuola. Una volta, all’altezza di Merate, cademmo con la moto, ma non ci siamo fatti niente. Marco Nazarri - 85 anni Sono nata a Brunate, in provincia di Como, nel periodo dello sfollamento. Brunate si raggiunge con la funicolare. Al di sopra si trovano i colli, in questo periodo saranno già in fiore. Dopo, la mia famiglia si è trasferita a Milano. Io ho nel cuore le zone con i campi di granoturco, le bancarelle che immediatamente fuori dai campi vendono le pannocchie. Probabilmente questa sensazione è legata ai ricordi d’infanzia, che poi sono quelli più forti in noi. Claudia Perini - 70 anni 61 C M Y CM MY CY CMY K Mantova C’era la seconda Guerra Mondiale e mio padre fu trasferito in vari aeroporti militari italiani. I ricordi più forti furono gli spezzonamenti degli aerei su Mantova dove si abitava e quindi il trasferimento nelle notti su camion pieni di gente e con i fari dai vetri offuscati. E poi, la residenza in un villa di campagna a Cappelletta Virgiliana, patria del Grande Virgilio. C’erano grandi pini in quella parte di campagna padana e la Villa, requisita poi dai tedeschi, fu usata come nascondiglio dei loro mezzi, i panzer; ogni notte ronzava il Pippo per cercare luci o mezzi da bombardare. A scuola andavo volentieri, peccato che ho fatto la seconda con la maestra che veniva a casa, dovevo studiare grazie ai quaderni dei compagni di scuola. Insomma avevo avviato la mia carriera di catorcio… che però ha potuto avere buone puntate di vita normale o quasi. Non mi piacque il trasferimento da Mantova a Milano, d’altra parte fu là che iniziai le scuole Medie per passare poi al Classico, ma io avrei voluto fare le Magistrali. Ma tanto non avrei potuto finire neppure quelle e poi fu là, all’Ospedale Neurologico, che incontrai il Grande Medico che mi salvò la vita dopo la nefasta asiatica del 1957 che tanti si portò via. Dopo vari capitomboli di salute precedenti, atti un po’ a scusare la mia asineria in matematica e greco e la fiacca in campo studentesco, imparai di 62 nuovo a camminare e dopo tre anni di convalescenza avrei ballato anche il twist e il rock ‘n’ roll. Graziella Salterini - 74 anni Sono nato a Maccacari l’1 giugno 1920. La maggior parte della gente, lì, faceva il pescatore. Ero coccolato dai nonni. Il nostro gioco d’inverno era “slisiàr”, scivolare sul ghiaccio. Hanno costruito l’asilo come un monumento dedicato ai caduti della Grande Guerra. Mi portavano all’asilo, dove la maestra custodiva quindici, venti bambini. Il buon cuore degli abitanti contribuì a creare uno spazio per i bambini, con qualche semplice gioco. Ricordo che la mia parrocchia era molto povera. Il parroco del paese sapeva sempre tutto e controllava quello che facevano i ragazzi e soprattutto le ragazze, chiamandole addirittura sgualdrine. Non la frequentavo molto perché era lontana, così, invece di andare a dottrina, giocavo con i miei amichetti alle biglie. Eravamo un gruppetto di bambini molto vivaci. Al mio paese circa l’ottanta per cento degli abitanti era analfabeta. Eravamo ignoranti ma la voglia di C imparare e il bisogno di fare e di migliorare mi ha aiutato a fare del mio meglio nella vita. Ho trovato delle persone che mi hanno dato fiducia e stimolato a sviluppare le mie capacità. C’è voluta ambizione, fortuna e audacia visti i tempi di estrema povertà. Quante volte mi sono chiesto come mai con tutta la povertà che c’era, si era contenti e si cantava sempre… Da ragazzino ero sempre in giro, così mio papà si è accordato con il proprietario dei campi affinché portassi l’acqua alle donne che lavoravano per tenermi impegnato. Suonavo l’armonica a bocca e mi è sempre piaciuta la compagnia e chiacchierare. Vivevo con i nonni e la mamma perché il papà era in Germania a lavorare. A Gazzo c’era tanta acqua e la gente dei paesi limitrofi veniva a prenderla per poterla utilizzare in altri paesi siccitosi. Molti si improvvisavano pescatori, perché nell’acqua c’era tanto pesce. Armando Casari - 94 anni Sono nata a Cavriana, in provincia di Mantova, nell’agosto del 1921. La mia casa era vicina all’autostrada fra Pozzolengo e Castellaro. Era un bel posto. Tanti anni dopo ho rivisto la casa passando in macchina. In famiglia c’era il “fameio”. Il “fameio” era un ragazzo che viveva nella famiglia in cambio del lavoro nei campi. Era trattato quasi come un figlio. Ho abitato a Castellaro Lagusello. C’era un cortile con tante famiglie, si giocava senza pericoli. Si usciva il pomeriggio dopo una certa ora per non disturbare gli altri. Si giocava a mondo, pega, scalon e campanon; mia nonna stava attenta che non si andasse sulla scala ripida che portava al fienile. Quando si usciva dal paesino, si scendeva una scala e si raggiungeva il laghetto a Castellaro Lagusello. Usavo anche la bicicletta ma il paesino era piccolo e si percorreva in fretta. Ricordo che un giorno il nostro parroco ha riunito un gruppo di bambini e ci ha portato a piedi alla Madonna della M Y CM MY CY CMY K Corona. A scuola andavo a Solferino, distava tre o quattro chilometri. La mattina della domenica si andava in chiesa e il pomeriggio c’era la dottrina. Quando c’era qualche festa particolare, la chiesa era addobbata e i cantori si mettevano in divisa. Non sono mai andata a ballare, abitavo in campagna. Alla domenica si andava a piedi in paese, si andava a Messa. Maria Castenedoli - 92 anni Vivevo a Borgo Franco Po, in provincia di Mantova, località Quingentola. Il mio paese? Poche case e un prete. La casa era a tre chilometri dal paese; noi avevamo una bicicletta in sette. Da noi si coltivavano frumento, granoturco ed erba per il bestiame. La corte dove abitavo era grande. La strada divideva la corte. C’erano case di qua e di là. Ci vivevano centoventi persone e c’era solo un padrone, sia dei campi, sia delle case. C’erano i campi tutto intorno, dove andavamo a raccogliere le pompogne, i maggiolini. Andavo a scuola a piedi, in gruppetto; a volte passava il padrone dei campi col carretto e ci faceva salire fino a scuola. Ricordo che al mio paese c’era una chiesa grande. Nel cortile della parrocchia si giocava e le suore ci controllavano. Andavamo a dottrina tutte le domeniche pomeriggio, in chiesa. Gina Bellutti - 96 anni 63 C M Y CM MY CY CMY K Bergamo Sondrio Io sono molto legata ad un paese del lodigiano, San Colombano al Lambro. La prima volta che ci andai avevo dodici anni: quando vidi tutti questi vigneti non riuscii a coglierne nemmeno un grappolo, rimasi immobilizzata dalla bellezza di quella distesa. Andavo anche a Monza e poi a Trescore Balneario per le cure termali. Trescore era bellissimo, andavamo in un albergo dove c’era un meraviglioso giardino. Ricordo che nella piazza centrale facevano il mercato: c’erano polli, pulcini, galline… Dopo l’università ho vinto un concorso all’ACI e la prima sede che mi hanno assegnato è stata Sondrio, una città di montagna. Mi ricordo che una notte sentivo il suono di tanti campanelli, poi mi hanno spiegato che erano le mucche che alla fine dell’inverno dalle stalle venivano portate a valle per mangiare l’erba. Erano molto bravi a fare i formaggi. Mi sono trovato molto bene a Sondrio, perché c’erano persone provenienti da tutta Italia; ho fatto molte amicizie in quel periodo. Erano molto belli anche i dintorni di Sondrio. È bella la parte di Chiavenna, c’è un paesaggio lacustre, sembra di essere sul mare perché ci sono le scuole nautiche e tante barche e motoscafi. Lì inizia il lago di Como. Mi ricordo dei salumi a forma di violino che lasciavano appesi alle pareti di grotte naturali a stagionare e una volta all’anno c’era una festa durante la quale tutti si recavano alle grotte per degustare questi violini. Rosalina Saccani - 91 anni Enrico Cerretti - 68 anni 64 C M Y CM MY CY CMY K Veneto 65 C M Y CM MY CY CMY K C M Y CM MY CY CMY K Padova Quando ero ragazza sono stata a Padova. Ero a servizio da una famiglia e curavo i loro tre bambini. Andavo in giro per Padova con la bambina in braccio e un altro scappava e mi faceva disperare. La cosa che ricordo sono le chiese, in particolare quelle dedicate a Sant’Antonio. Dirce Bernardi - 85 anni Sono nato nel 1944 in provincia di Padova, a Galzignano Terme, dove rimasi fino ai quindici anni. La mia casa era una delle tipiche ville di campagna. La situazione economica non era agiata ma la mia infanzia è stata un periodo sereno nel quale non è mai mancato nulla. Ho frequentato le scuole, sia elementari che medie, a Galzignano. Finito l’orario scolastico, andavo con i miei amici a giocare nel bosco. Un giorno i miei genitori decisero di assegnarmi un compito per collaborare in famiglia: raccogliere la legna, le castagne, i funghi e perfino le erbe selvatiche. Alessandro Boaretto - 71 anni Noi andavamo a scuola in bicicletta. Ci sono otto chilometri da Ponso a Este e li facevo pedalan- do. Mi ricordo che la scuola era grande, con un bel giardino dove si faceva ricreazione. In ricreazione veniva un signore che vendeva dolciumi e bonbon: che buoni! Mi piaceva andare a scuola, ero brava. L’aula era al piano terra, coi banchi di legno e una stufa di mattoni. La maestra metteva la legna. Poi giocavamo alla ‘palca’: si gettava un bottone verso il muro, se ribalzando andava più lontano, vinceva quello più lontano. Il nostro paese era molto povero, non c’era niente. Da grande lavoravo in comune, in segreteria; mi trovavo bene con i colleghi, era un bell’ambiente. Crimene Businaro - 89 anni Noi siamo nati a Monselice, in via 28 Aprile, nella trattoria “Alla Posta Vecchia”. Dicono ci abbia abitato anche Francesco Giuseppe. Eravamo tanti, è una storia lunga. I miei genitori lavoravano nella trattoria sotto casa, servivano a pranzo e cena. Il profumo di casa che ricordo di più è quello del musso. Avevamo la lampada a petrolio e i lampioni! Giovanni Canola - 94 anni 67 C Io da piccola non giocavo, ho sempre lavorato tanto anche allora: d’inverno con il bosco e d’estate nei campi. Andavo a scuola a Piombà, in Palugana. La strada era brutta, fatta di sassi, noi andavamo cogli zoccoli, li chiamavamo “zopei”. Gli uomini e i bambini, invece, usavano le “sgalmare”. Prima di sposarmi andavo a servizio in una famiglia. L’ho fatto per diciotto anni. Era una famiglia di Este, un paese vicino al mio. Dopo sposata ho fatto la casalinga e il lavoro nei campi. Sorisa Capuzzo - 88 anni Abitavo in via IV Novembre, a Solesino. Avevo le bancarelle con mio marito, non andavo alle sagre per divertirmi ma per lavorare. Esponevo la mia roba: calze, maglie, mutande… Per tanti anni ho tenuto la bancarella di mercerie per vari mercati della zona. Ho iniziato portando calze, fazzoletti e maglie con la bicicletta, di casa in casa, poi ho preso la bancarella e ora ci lavorano i miei figli. Rina Castello - 92 anni Sono nata a Fontaniva, nel mese di marzo. Da bambina abitavo in località Fratte, in mezzo ai campi. Mia madre si chiamava Olga, mio papà Bertrando. Ho trascorso i miei primi vent’anni nella casa dei miei genitori. Dopo mi sono sposata e trasferita a Carmignano di Brenta, dove ancora oggi si trova la mia casa. È a due piani e ha una cantina e una taverna, come si usa dalle nostre parti. Esternamente è rosa, ha un bel giardino che adesso ormai sarà una foresta, ma quando c’ero io in casa era un bijou. Dietro la casa c’era la vite che produceva il vino per la famiglia e un bell’orto per i bisogni della famiglia. Mio marito lavorava in cartiera ma è morto giovane. Mi ha lasciato con due bambine 68 M Y CM MY CY CMY K piccole, che ho dovuto crescere da sola. Il posto a cui sono più legata è il mio paese natale, Fontaniva. Lì ci sono i miei ricordi più belli, quelli della prima infanzia, i pochi anni in cui non ho dovuto lavorare. Noi bambini giocavamo nelle strade e nei campi. Passavamo tanto tempo nella stalla; c’era più caldo che in casa perché le bestie, a modo loro, scaldavano. In quelle lunghe serate d’inverno passavamo il tempo pregando, le donne facevano i lavori che non avevano potuto fare durante il giorno, rammendavano, facevano a maglia. Noi bambini giocavamo con i pochi giochi che avevamo a disposizione, “gli scartossi dee panocce”, le foglie delle pannocchie, due legnetti che potevano diventare qualsiasi cosa con la fantasia… Angela Conte - 83 anni C’è un bel parco davanti alla Villa di Mottinello, proprio davanti a casa mia. Dentro c’è la grotta della Madonna, un ponticello che passa sul fiume, un laghetto... Una volta, quando c’erano eventi importanti in famiglia, si andava là a festeggiare e vi si celebrava la Santa Messa. La chiesa di Mottinello, a quei tempi, era brutta. C’era un palco dove si sedevano i signori, i Conti, poi in parte c’era un palco dove si faceva un po’ di teatro e noi andavamo a vedere passare un po’ di tempo. Giovanna Didonè - 91 anni Abitavo a Castelbaldo, in provincia di Padova. La mia era una casa piccola, con due stanze: una cucina e una camera. Eravamo poveri, ma non ci è mai mancato da mangiare. Se penso alla mia casa, mi viene in mente l’odore della minestra. C’era minestra tutti i giorni, perché scalda e riempie le pance! Andavo a scuola al tempo dei fascisti. Li ricordo C vestiti di nero, vestiti bene. La mia era una bella scuola grande, vicina a casa. L’aula era grande, coi banchi di legno e il tavolo che si alzava. Si metteva l’inchiostro sul bordo. Io ero brava, prendevo sempre ‘buono’ e ‘lodevole’. Mi piaceva leggere e scrivere. Dopo i doveri di casa e di scuola si giocava nei campi. Ce n’erano tanti, parte per parte, lunghi, coi fossi che correvano a lato. Le terre erano tutte misurate dai geometri e mettevano gli stroppari per andare sulle vigne, quando le potavano. Si facevano tante cose con le stroppe, anche ceste e fiaschi. Le strade, una volta, erano una meraviglia! I campi si delimitavano coi marmi o i sassi e tutti sapevano quale era il loro pezzo. Ho sempre frequentato la chiesa di Castelbaldo. Aveva un campanile alto con sette campane nuove: le hanno battezzate, sono state cambiate da poco. Le campane suonavano mattina, mezzogiorno e sera. Suonavano anche quando nasceva un bambino e quando c’era il temporale, perché erano benedette e scongiuravano il maltempo. C’era la sagra di San Valentino: era bella, lungo tutta la strada, bancarelle di dolci, arance e la chiesa tutta addobbata con drappi rossi ai lati. C’erano pure le giostre ed esponevano anche i maiali. C’era anche la balera, ma io andavo solo a guardare, non ho mai ballato. Il luogo più importante per me è il mio paese, Castelbaldo, dove sono nata e cresciuta, e la chiesa di San Prosdocimo più di tutto, perché ero quasi sempre in chiesa. Ho sempre vissuto a Castelbaldo, non mi sono mai spostata. M Y CM MY CY CMY K Ho studiato come maestra nell’educandato, abitavo lontano dalla scuola. Andavamo a piedi, cantando, si arrivava in mezz’ora; eravamo in quattro o cinque. Quanti ricordi, che nostalgia. A Pra’ di Botte la sagra era un po’ misera, con poche bancarelle. Era la sagra di San Luigi e si teneva in estate, a giugno. Io ci andavo di nascosto, perché i miei genitori non erano propensi che ci andassi. In inverno invece ci ritrovavamo in stalla: si faceva filò e si cantava con la fisarmonica. Ho sempre lavorato come maestra, subito dopo essermi diplomata. Il primo giorno di scuola l’ho fatto a occhi aperti. Gli alunni erano vivaci, venivano dalla campagna. Ero sufficientemente severa, come punizione facevo scrivere tante volte una frase, ma non ho mai alzato le mani: solo punizioni scritte. Luigina Ferruda - 86 anni Sono nato a Ospedaletto Euganeo, vicino alle suore. Ho tanta malinconia di Ospedaletto, certe notti mi viene da piangere. Da piccolo giocavo a baete, a marmorine: erano delle palline piccole di vetro, delle biglie. D’estate si giocava nel frumento e poi dai miei zii bevevo la Ida Faccioli - 91 anni La mia casa d’infanzia era grande perché vivevo con i nonni, la famiglia, gli zii, i figli. Era a Ponso, abitavamo vicino al fiume Frassine, quello che pochi anni fa è straripato. Mi ricordo anche la sagra del Tresto, per noi bambini era la fine del mondo! Partivamo in una quindicina a piedi per andarci. 69 C graspia, cioè quello che resta dopo il vino, in cui si aggiungeva acqua finché diventa buona. Il vino lo tenevano per venderlo. Era frizzante, buona e chiara. Che bontà! A fine settembre, andavo alla sagra del Tresto. Era una festa grandissima a Ospedaletto Euganeo, in mezzo ai campi. Anche quando ero piccolo era grandissima, con le giostre: la ruota panoramica, l’autoscontro, la giostra a catene… Io andavo sugli autoscontri coi soldi che mi dava mio papà: era di manica larga. Mia madre, invece, era tirchia. Cinque lire a giro! Di lavori ne ho fatti tanti: all’Utita, in fabbrica a Este, si facevano macchine utensili e macchine da seta. Era un capannone unico molto alto, enorme. C’era anche la fonderia, bisognava fondere i macchinari che erano in ghisa. Lavoravo otto o nove ore, anche di notte. Si facevano i turni ma io, soprattutto nel turno di notte e di sabato, mi nascondevo dappertutto, non mi piaceva farli. Gli ultimi lavori che ho fatto sono stati il tassista, un lavoro da signori, e l’autista di pulmini: lavoravo in proprio, da solo, mi trovavo bene. Mi ero comprato il pulmino e stavo bene a lavorare senza padrone. Alessandro Francescon - 66 anni Sono nata a Villetta, un quartiere di Galliera Veneta che ora non credo esista più. Solo molto più tardi ci siamo trasferiti in via Montegrappa. La mia vita non è stata facile: eravamo orfani, la mia mamma è morta molto presto e io ero l’unica femmina in casa. Da ragazza ho lavorato in una fabbrichetta di scatolame che produceva alici in salamoia. Questa esperienza è stata orribile, perché ci toccava lavorare per tutto il giorno con i piedi 70 M Y CM MY CY CMY K dentro delle vasche piene di alici e, anche se avevamo gli stivali, l’umidità ti entrava nelle ossa. Per non parlare dell’odore, che ti sentivi addosso anche se ti lavavi mille volte. Ho resistito solo tre mesi, perché la padrona era severissima, non ci lasciava riposare un attimo e, se rallentavamo un po’ il ritmo, passava e diceva: «E allora, stiamo dormendo in piedi qui?». Così me ne sono andata a lavorare in filanda da Andretta; facevo il “redevidè”, una tecnica di filatura per ridividere le matasse e produrre diversi tipi e qualità di filato. Elisa Marchiori - 87 anni Avevo tre anni e mi ricordo quando andavo a scuola. Ricordo il profumo della crema di cioccolata che facevano le suore. Io a casa mangiavo solo minestra e mi faceva una gola, allora la suora mi ha spalmato un fetta di pane con la crema di cioccolato! Abitavo a San Siro, a Bagnoli di Sopra. Della casa ricordo quando stavo vicino alla stufa con mia mamma che mi raccontava le favole. Mi ricordo che a scuola c’era un gran salone dove si faceva ricreazione. Era tutta ad un piano. Si riscaldava con stufa a legna fatta di cocci rossi a tre strati, veniva caricata dalla suora o dalla bambina più grande. Mi ricordo di aver imparato una poesia per l’arrivo del prete nuovo; io ero sul palco a recitare e abbiamo cantato col fiore in mano. C’erano anche i miei genitori a vedermi ed ero contenta. Della sagra del mio paese ricordo le giostre con i cavalli. C’erano bancarelle con zucchero filato, mandorle dolci e croccante, il banco della frutta e delle verdure. La prima domenica di ottobre era San Gabriele Arcangelo e c’era la processione. C Nell’esposizione mia madre comprava oche, galline… e ogni domenica e sabato si andava al cinema. Graziella Mattioli - 70 anni A Stanghella ci ho abitato da quando sono nata fino al 1955. Era un bel paese. Andavo dalle suore e ci stavo tutto il giorno, poi andavo in campagna con la mamma. Io non ho fatto tanti giochi, andavo a sbarbare le barbabietole. Ho cominciato da piccolissima a lavorare. Si può dire che non ho mai giocato. Frequentavo la mia chiesa, si chiamava di Santa Caterina. Era nella piazza principale del paese e attorno c’erano piante, panchine, il monumento ai caduti. C’era anche un’altra piazza, detta “la piazzetta”. Quando sono cresciuta sono andata a ballare a San Giovanni Battista. Andavo poco alla sagra perché non c’erano schei. Mi piacevano le mele caramellate ma non c’erano soldi per comprarle. Maria Miotto - 80 anni Sono nato il 13 aprile 1939 a Cittadella e ho vissuto a Tombolo. Per tirare avanti la famiglia sono andato anche io a lavorare da mio cugino barbiere, per imparare il mestiere. Poi sono partito per il militare e al mio rientro ho aperto un negozio mio, che ho tenuto per vent’anni. Sono molto conosciuto in paese e tutti quelli che vengono a trovarmi sono miei clienti. A molti che venivano facevo i capelli gratis, se sapevo che non avevano soldi. Sono molto legato alla vita del mio paese. Sono sempre stato benvoluto, perché ho sempre avuto creanza e ho aiutato in parrocchia. La mia vita complessivamente è stata faticosa, ma me la sono anche goduta. Ero cassiere della Pro Loco e, quando si organizzavano viaggi, io e mia moglie partecipavamo volentieri. Siamo stati in tanti posti: Francia, Germania, Spagna e Austria, e siamo andati a Roma M Y CM MY CY CMY K tante volte. Anche mia moglie Lucia era molto impegnata perché faceva parte del coro, e anche per questo qualche volta si andava in giro, perché lei doveva cantare con il coro. Lino Pontarolo - 75 anni Andavo al mercato nella piazza di Vò centro. Ogni giovedì c’era il mercato. Era una piazza grande con il monumento ai caduti. Nel mio tempo libero? Pulivo in casa e cavavo l’erba dall’orto e davanti casa, strappavo le erbacce! Quando ero piccola giocavo con la palla davanti casa mia o delle mie amiche. Si calciava per farla andare in un posto, se centravi avevi vinto. La palla era in cuoio, mia mamma le vendeva e io mi tenevo quella che mi piaceva di più. Io rubavo tutte le palle di gomma a mia madre e le davo ai bambini che mi dicevano: «Se non mi porti le palle dico a tutti che sei cattiva!». Poi mia mamma mi ha scoperto, ha parlato con la maestra e non mi hanno più preso in giro. A Vo’ Euganeo si festeggiava San Lorenzo, tra il nove e il dieci agosto. C’erano tutti i banchi con la sagra, i dolci e quello che volevano vendere. La strada era tutta illuminata. Arrivavano anche le giostre: cavallini, catene… Anche la chiesa era addobbata a festa. Ho iniziato a lavorare imparando a cucire con mia sorella, avevo sette o otto anni e andavo da una signora che abitava vicino a casa mia. Mio padre faceva il maniscalco e io lo aiutavo a battere il ferro. C’era il fuoco continuo. Bisognava essere molto attenti perché potevi farti molto male: se non battevi nel punto giusto, il ferro saltava in aria. Romilda Ravazzolo - 93 anni 71 C M Y CM MY CY CMY K C M Y CM MY CY CMY K Rovigo Al tempo della Seconda Guerra Mondiale ero giovane e andavo a Ca’ Cappellino, dove c’era il metano, con le secie, le secchie, ed “el basolo”, un attrezzo con due secchi alle estremità per trasportare l’acqua. Andavo a prendere l’acqua salata che serviva per cuocere, perché non avevamo il sale. Un giorno, mentre stavo ritornando a casa con i secchi pieni d’acqua, un aereo da guerra ha cominciato a sparare; per fortuna mi sono rifugiata nella casa vicina e mi sono salvata per miracolo. I secchi che avevo lasciato cadere a terra si erano completamente rotti. Lo stesso episodio mi è successo un altro giorno, mentre andavo a lavorare in campagna a Villaregia. Ero insieme alla mia nonna che, poverina, veniva anche lei a lavorare, ed eravamo sulla scala dell’argine vicino alla Madonnina, quando abbiamo sentito la rusa, il rombo dell’aereo da guerra. Per fortuna a ogni palo del telefono c’era un rifugio e ci siamo nascoste dentro. I rifugi erano delle specie di buche a forma di quadrato, dove ci si buttava per ripararsi dalle mitragliate degli aerei. Quel giorno le piante che avevo sopra la testa le ha spaccate tutte, stroncate. In campagna a Ca’ Cappellino andavo a barbabietole, a cavarle e a tagliarle. Quando sono rimasta vedova, sono andata a stare a Contarina, attuale Porto Viro, sotto al castello. Ho conosciuto mio marito proprio a Ca’ Cappellino, perché veniva a lavorare da Villaregia. Avevo dicias- sette anni e andavamo a ballare ai paioli. Un giorno ero andata a ballare con mio fratello più grande, Angelo, che si incontrava con i suoi amici tra i quali il mio futuro marito, che gli ha chiesto il permesso per invitarmi a ballare. Giuditta Antonioni - 87 anni La prima casa aveva pochi mobili e Marcello diceva che con uno spago si potevano legare tutti! Sotto il letto matrimoniale ci tenevamo quasi tutto: gli attrezzi per lavorare la terra, le patate e altra roba da mangiare. Pensa che sotto uno dei nostri cuscini sono nati i topi! Questa casa era in quartiere Portesin, più tardi siamo andati ad abitare a San Pasquale, dove c’era la porta che si apriva metà sopra e metà sotto come nel ponaro, il pollaio. Marcello mi diceva che ho la “porta cotola e blusa”, gonna e camicia. Quando ci siamo sposati sono andata nella sua casa di famiglia. Dove abitavo prima, avevo una buca al posto del bagno; loro, invece, avevano un gabinetto con le pietre e la porta. Ero diventata una signora sposando lui, la sua casina era bellissima, aveva un pezzo di terra e la lissiara. Andavamo tutti gli anni al mare per un mese. A Levante andavo con la barca, avevo una casetta tutta di legno. C’era una bottega sola, da Cavallari, una delle poche famiglie che abitavano là. Ricordo 73 C le cappe, conchiglie, sulla spiaggia. Alla sera mettevamo i materassi a terra e alla mattina li tiravamo su. Avevo la piccola che allattavo io stessa, un uomo mi avevo avvisato di non tenere il latte perché dai fossati venivano su le vipere, e si diceva che bevessero il latte senza toccare la bimba. Avevo tanta paura. Ho cominciato ad andare al Moro a Rosolina Mare, c’era solo un chiosco dove vendevano la mortadella e la marmellata. Poi hanno cominciato a costruire le case e i negozi. Andavamo sempre tutti gli anni con i nostri bambini. C’erano i soldati che sbarcavano, mia figlia Rossella aveva sette o otto anni. Li conosceva tutti e si faceva dare la cioccolata; erano ragazzi che facevano esercitazione militari dove adesso c’è il giardino botanico. Mio figlio Marco era sempre assieme ai militari, lo dovevo portare tutti i giorni sul groppone per vederli. Marcello ha lavorato anche per la Zecchi a Bologna come verniciatore, poi è andato in Sardegna a lavorare sul faro. In quel periodo è nata Rossella, era gennaio; al faro non arrivavano i telefoni, così gli ho scritto una lettera e ci ho messo dentro un nastrino rosa, la lettera gli è arrivata dopo un mese, quando l’asino è arrivato al faro. Lui portava a casa i giochi per i suoi figli, e loro giocavano con le sue ciabatte! Io gli raccontavo tutto quello che facevano e lui mi diceva che non portava rabbia. Marcello Baratella, 85 anni, con la moglie Teresa 74 M Y CM MY CY CMY K Abitavamo a Ca’ Morina, frazione di Porto Tolle. Lavoravo in campagna con il mio trattore, lavoravo la terra per conto terzi, per quelli che mi chiamavano. Sono andato anche a Rovigo perché il padrone aveva terra là, oltre che a Gnocca. Sono stato a Costa per quindici giorni e poi sono tornato a casa. Qualche volta sono andato in Barricata, era deserta; per arrivarci facevamo il giro per l’argine del Po con la macchina. La spiaggia era piena di sassi e uno ci aveva costruito un ristorante, si mangiava bene. Io ho visto di tutto. Vestivo sempre in giacca e cravatta, era la mia mania, il mio marchio di fabbrica, conquistavo le donne perché ero vestito bene, era il mio segreto, bravo ed educato! Sergio Bellan - 78 anni Sono nata a Contarina, in via Alberi o Collettore Destro, dove adesso ci fanno il mercato; quando ero bambina non lo facevano lì, è venuto in seguito. Mi ricordo la Fiera Mata: la facevano la prima settimana di novembre in piazza a Contarina. Dopo si è ingrandita e l’hanno fatta anche nelle vie, c’era il mercato da una parte e dell’altra c’era la mostra del bestiame. Io ci sono andata molto poco, avevo la mamma ammalata e dieci fratelli da accudire, visto che sono la più vecchia aiutavo mia mamma praticamente in tutto, facevo la domestica come una donna anche se ero bambina. A scuola ci sono andata, piangevo quando mi toccava restare a casa, quando mia mamma aveva tanto bisogno non poteva lasciarmi andare. Le elementari all’epoca erano in via Guglielmo Marconi, sull’alta per andare verso i carabinieri, nel Palason. Dopo hanno messo le scuole da Carrer, l’asilo era vicino a Mamante che vendeva la frutta e la verdura e noi prendevamo la mistoca o mincona, cioè il castagnaccio. Andavo anche a scuola dalle principine, ragazze che insegnavano un po’ di tutto, dalla religione al cucito; erano otto sorelle e fratelli, il loro papà faceva il falegname e anche loro abitavano sempre in via XI novembre e facevano lezione in casa. Le principine C erano distinte, volevano essere altolocate. Erano tutti istruiti, era una famiglia conosciuta e benestante; sono andata da loro che avevo cinque o sei anni e ho imparato a ricamare a dieci anni. A ballare ci sono andata davvero molto poco, un po’ perché c’era la guerra e un po’ per la situazione familiare. Si andava a ballare da Cecon a Contarina: era una vera sala da ballo, c’era tanta gente, un bel posto con la zona estiva e anche invernale, ma non mi ricordo bene perché ci sono andata poco! Al mare andavamo al Moro a Rosapineta; ci sono andata con mio marito perché aveva dei dolori. Là c’erano le cabine del Genio Civile, ci lavorava mio fratello che ci dava la possibilità di usare una cabina per spogliarsi. Tutte le mattine d’estate, io e mio marito ci andavamo con la nostra Vespa 150; poi la vespa l’ha data via senza volere un soldo. Gino, mio marito, andava anche a pescare in Cavana; era alla fine della nostra terra, uno scolo enorme di tre metri di larghezza, alimentato dall’acqua del collettore vicino. Mio marito andava a pescare i siluri, un pesce simile al pesce gatto. Una volta ne ha pure preso uno, ma era tanto brutto che gli ho detto: «Buttalo via, per carità!». Argentina Ferro - 93 anni Sono nato in via Alberi a Contarina, dove c’era un ponte in pietra che era carolà, sconnesso, caduto con l’alluvione del 1951 e rifatto in un secondo momento; lungo la via c’era anche la caserma dei carabinieri. La via andava fino al ponte delle Fornaci e costeggiava il canale che divide Contarina da Donada. Abitavo in una casetta vecchia e bassa. Mia mamma faceva la sarta in casa e si sceglieva le scolare a cui insegnare il lavoro. Era molto brava: riusciva a fare dieci braghe in giornata e io l’aiutavo a fare il “sorafilo”, cioè l’imbastitura. Mio papà si lamentava spesso con lei perché lo faceva aspettare di più rispetto agli altri, così un giorno mia mamma l’ha invitato ad andare a letto e all’indomani gli avrebbe fatto avere un paio di pantaloni nuovi. M Y CM MY CY CMY K Mio papà era un tipico brasiliano un po’ aggressivo e amava suonare il violino. Andava a scuola a Taglio di Po e con il gesso scriveva le note da suonare sulla tavola, perché io imparassi a leggere la musica. Sono andato a scuola fino alla quinta elementare alle scuole vecchie, lungo la via Alberi, in bicicletta o camminando. Quano ero più grande andavo a scuola di falegname da Luigi Tiozzo, che aveva in paese la bottega di generi alimentari. Era un vero maestro e con il legno sapeva fare di tutto, mobili e quant’altro. Di solito, quando c’era poco lavoro e aveva della legna da tagliare, mi diceva: «Carlin, vieni a tagliarmi un quintale di legna? Così ti viene fame!». Avevo diciotto anni quando ho lavorato in fornace: lungo il Po ce n’erano tre, una era la famosa SAME. Io ho lavorato in due di queste. Avevo il compito di descolmare, cioè di infornare e suddividere nelle varie bocchette i mattoni, che erano più in alto, e la roba più fina ossia i coppi, le tegole. Quando c’era il vento che tirava da Scirocco, tutto il calore ti veniva contro e ti bruciava… In fornace lo stipendio è guadagnato! Carlo Gazzignato - 88 anni Sono nata a Bonelli, la mia casina era vicino alla chiese e non era grande, ma io ero contenta lo stesso. Avevamo il camino e a quei tempi i nostri genitori, quando non andavano a lavorare, si prendevano qualche giorno in autunno per andare con 75 C la barca nelle valli a raccogliere le canne per bruciarle e fare fuoco. La legna non si poteva raccogliere liberamente, era dei padroni del bosco. Ero giovane, ma mia mamma mi aveva insegnato a fare i lavori di casa, avevo otto anni e mezzo. I miei genitori lavoravano la terra e in risaia a Bonelli; anche io qualche volta ci ho lavorato, a maggio si andava a seminare e poi si andava a pulire. Adesso è tutto diverso, non si fa fatica. Avevamo un piccolo orto, mio papà lo sistemava quando tornava a casa dopo il lavoro e io cercavo di aiutarlo. A me piacevano i fiori, mio papà mi preparava un pezzo di terra e io li piantavo e li curavo; lui mi aiutava e tutti guardavano il mio giardino! A scuola sono sempre andata a Bonelli. Non eravamo vestiti come adesso, adesso nessuno va a scuola con le scarpe rotte… Comunque a scuola ci si andava più che altro solo d’inverno, specialmente chi era grandicello e aveva dei fratellini piccoli, perché doveva aiutare i propri genitori che andavano in campagna o in risaia a lavorare. A ballare ci siamo andati ma poco, si andava a Scardovari; non era brutta, per carità, però una volta non è che ci fossero tante cose belle! Al mare siamo andati in Barricata, proprio dove adesso c’è il campeggio, ma lavoravamo tanto ed eravamo stanchi; al mare poi ci si portava tutto, non c’erano chioschi, non c’era niente. A Bonelli, dove c’è il ristorante Da Renata, c’era il traghetto per andare in Barricata. Una volta, andando a lavorare in barca la mattina presto, non mi ricordo se c’era vento o se andavamo troppo forte, ci siamo sporti un po’ troppo e siamo caduti in acqua! Eh, a quei tempi sorridevamo, non come adesso che per un po’ d’acqua ci si mette a piangere! 76 M Y CM MY CY CMY K Il marito Claudio racconta: A Donzella c’è ancora la sala da ballo dove ballano il liscio, al cinema andavamo a Scardovari, a quei tempi il cinema ce l’aveva mio zio; anche mio papà ci ha lavorato in biglietteria, poi è cresciuto mio fratello e ci è andato lui... Era difficile anche per i maestri all’epoca, di insegnanti non ne avevamo e quei pochi che c’erano venivano da lontano, non c’erano pullman o mezzi di trasporto per muoversi facilmente; dopo la guerra il Signor Fusetti, che aveva iniziato a occuparsi di trasporti, aveva comperato un camion degli americani, ci aveva messo delle panchine, l’aveva coperto e lo usava per portare avanti e indietro la gente che aveva bisogno di andare ad Adria o all’ospedale. Mio papà andava ad Adria in bicicletta, aveva due portapacchi e andava a prendersi i film da proiettare nel suo cinema per la settimana. Tolmina Marangon, 78 anni, e il marito Claudio Quando sono nata, abitavo in Portesin, in via Porticino di Contarina, in una casa di due piani con quattro camere. Davanti avevo l’aia, “el ponaro”, il pollaio, la “lisiara”, la casetta per gli attrezzi e il camino per cucinare, “el bosgato”, il maiale, “la cavra”, la capra, che mio papà mungeva per avere il latte. Io e i miei fratelli abbiamo sempre lavorato in campagna da Toffano, tra la Mea e la chiesa di Contarina, che è stato anche il nostro “santolo”, il padrino. Toffano era a sua volta in affitto dalla famiglia Carrer, una famiglia veneziana proprietaria del Palason, una villa che l’Argentina dice di aver sempre ammirato. La famiglia Carrer non l’abbiamo mai vista perché la casa era provvisoria, usata solo quelle poche volte che venivano di passaggio. Quando mi sono sposata mio marito è venuto a C stare con me nella mia casa a Portesin, avevamo la camera da letto per conto nostro e nel piano sotto mangiavamo tutti insieme alla mia famiglia. In quella casa sono nati i miei quattro figli. La mia vita l’ho trascorsa tra campagna, casa e “funsion”, le funzioni religiose. Ai miei tempi, nei pressi del cinema, c’era la polontona, cioè la signora Marangon che era titolare di un noto panificio che ora non c’è più. Era soprannominata polontona perché era molto grossa. Mio marito andava a Levante a pescare i rinati, le carpe, le barbone, cioè il pesce gatto, tanto buono tagliato a metà e fritto; ha il gusto simile al bisatto, l’anguilla. A quei tempi a Porto Levante c’era zero, niente, tutto deserto, sembra impossibile che adesso sia tutto cambiato. Qualche volta andavo al Moro, al mare, quando i miei figli venivano giù da Milano. Corina Milan - 93 anni Sono nata il 23 febbraio del 1931 a Contarina, in via Fiume. Abitavo con i miei genitori e il nonno. Mio nonno mi voleva tanto bene, ero la primogenita e mi chiamava Neffa. Mi chiedeva sempre di andare a fare un giro in bicicletta con lui, mi caricava sul palo e via! Il mio fidanzato abitava non lontano da casa mia e riuscivamo a vederci spesso. Quando mi sono sposata, sono andata a stare nella località di Fornaci, a Porto Viro, prima con i suoceri e poi, quando mio marito è tornato dal militare, per conto nostro. Nella via mi sono fatta tante amiche e ci incontravamo tutti i giorni per chiacchierare. C’era parecchia gente alle Fornaci, ai miei tempi. Ma già allora la gente cominciava a emigrare a Torino e a Milano. All’età di quarantasei anni sono andata Torino, con mio marito e mio figlio. Abitavo in città, in Corso Francia, in un appartamento di un grande edificio. Mi piaceva tanto stare a Torino, ma a mio marito no, a tal punto che quando per strada trovava una macchina targata Rovigo diventava M Y CM MY CY CMY K matto e mi diceva che ci sarebbe salito sopra per ritornare a Contarina. Mio marito lavorava alla Viberti, una fonderia, mentre io lavoravo nella catena alla Gallino, dove si lavoravano i cruscotti delle macchine. Ero molto brava e le altre non riuscivano a fare il lavoro che facevo io. Facevo otto ore, pagavano bene e a cottimo. Quando siamo ritornati a Porto Viro, siamo ritornati con il camion perché un tempo si facevano i traslochi in questo modo e si poteva dormire, visto che si dovevano percorrere tanti chilometri. Abbiamo cambiato casa e ce la siamo comprata a Contarina. Negli anni Ottanta e in dieci anni che sono stata via, il mio paese non era cambiato di molto. Anche la gente era sempre quella, sempre con la loro stessa idea, sempre la stessa tiritera. Quando siamo ritornati a Porto Viro, mio marito si è ammalato e non siamo più riusciti a andare da nessuna parte. Genoveffa Pozzato - 84 anni Sono nata a Pincara, una località in provincia di Rovigo, vicino a Fiesso Umbertiano. Era un paese in mezzo ai campi, c’erano poche case, l’asilo delle suore, la scuola e il municipio. C’era anche una chiesetta e una volta alla settimana veniva un prete per la Messa. Io ci andavo sempre, a piedi e distava qualche chilometro da casa mia. Da piccola ero in casa con gli zii; in famiglia eravamo ventuno, e i bambini giocavano in cortile, sul selese, che è l’aia. Solitamente saltavamo con la corda. In inverno giocavamo e ci scaldavamo nella stalla. A scuola avevamo le suore. Avevo il grembiulino a quadretti bianchi e rosa con il fiocchetto. Ci portavamo da casa il piatto, l’asciugamano, le mutandine di ricambio se ci bagnavamo, il cucchiaio. Andavamo a piedi con mio fratello, per tre chilometri e mezzo. Noi non siamo mai andati a ballare perché era peccato. I genitori erano severi: si doveva andare 77 C a Messa e alle funzioni. Gli appassionati di ballo di Rovigo andavano a Ferrara, così sfuggivano ai controlli dei preti. Ci andava anche mio fratello, ma io non ho mai fatto la spia con la mia mamma. Lucia Toffanin - 72 anni Vicenza Il luogo dove sono nato è un paese molto piccolo, tanto che si chiama “Peocio”, pidocchio; allora contava non più di cinquecento anime. Sono figlio di un papà molto buono di nome Arduino, che era un bravo tecnico meccanico. Il mio papà è stato il primo dei sette operai della Riello di Legnago che faceva bruciatori a benzina, poi sono passati ai bruciatori a gas. Il signor Riello ha fatto fortuna a Legnago, tanto che gli hanno fatto una statua di bronzo che hanno messo davanti a una sua fabbrica. Al tempo della guerra la fabbrica era stata occupata dai nazisti e mio papà, col fatto che era uno dei preferiti del signor Riello, non ha dovuto fare la guerra. Dei suoi amici nessuno è tornato vivo. Da Peocio sono poi andato a San Bonifacio, poi ci siamo trasferiti a Lonigo e mi sono diplomato perito meccanico a Vicenza. Sono stato con amici al mare, in montagna, ricordo soprattutto alcuni viaggi in un paese sul Sile dove siamo andati a vedere una rustica, interessante villa con parco. Resta il fatto che amici ne ho avuti tanti nella mia vita. L’amicizia è importante per sopravvivere. Silvano Darcosti - 66 anni Sono nata il 7 novembre 1920 a Enego, un piccolo comune dell’altopiano di Asiago. Sono la maggiore di quattro figli, l’unica femmina. La prima guerra mondiale aveva lasciato la mia famiglia senza un tetto, e per questo motivo ci siamo 78 M Y CM MY CY CMY K trasferiti a San Pietro di Rosà, in via Brega, dove il conte Dolfin aveva messo a disposizione una casa colonica in cui vivevamo noi, i quattro fratelli di mio padre e le loro famiglie. Io ho vissuto in questa casa finché mi sono sposata con Bertrando, e mi sono poi trasferita a Fontaniva, a casa di mio suocero. Poi ci siamo trasferiti nella nostra casa, a Laghi di Cittadella. Se avessi la possibilità di andare a vedere un posto della mia vita è lì che vorrei andare, in particolare mi piacerebbe rivedere la mia chiesa. Annita Guglielmi - 87 anni Ho conosciuto mio marito a Gallarate. Ero da mia zia, suo figlio era ingegnere. Lei mi aveva chiamato per chiedermi se andavo a farle compagnia, perché suo figlio era andato a lavorare in Africa. Sono andata da lei, e lei mi ha detto: «Ma vai a fare un giro, ogni tanto!». Così sono andata a fare un giretto e vicino a Gallarate c’è l’aeroporto di Malpensa. Ci sono tutti i piloti. Lì ho conosciuto mio marito, lui era un aviatore di Vicenza. Mi ha conosciuto e insomma… ci siamo visti, ogni tanto veniva a Gallarate e dopo ha detto: «Sposiamoci». Allora ci siamo sposati e sono andata a vivere a Vicenza. Vicenza è una bella città, è grande. Abitavamo in via Geronimo Salvi. E poi è nato Walter. Cecilia Riccardi - 97 anni C Verona Sono nato a Bussolengo, in vicolo Rivolti. La mia abitazione era modesta, come lo erano quelle del tempo, del resto. Sono nato in casa, c’era la levatrice, la comare che andava per le famiglie. A dieci mesi mi hanno portato dai nonni a Tricesimo, vicino a Udine, perché il papà era morto di polmonite e la mamma doveva lavorare. Il paese era piccolo e la gente un po’ chiusa. C’erano tante corti con tante famiglie imparentate. Si giocava con i cani e con i gatti all’aria aperta. Nel mese di maggio si andava al rosario la sera, e poi si prendevano le lucciole. D’inverno si cenava alle cinque e mezzo perché si seguiva la luce naturale. C’erano le lampade a petrolio e le candele. Si doveva per forza frequentare la parrocchia, ma poi potevamo fermarci sul sagrato della chiesa a giocare. Si andava al cinema dai preti a sedici anni. Quando sulla scena gli innamorati si baciavano, il prete oscurava l’immagine con le mani. Si proiettavano perlopiù film d’avventura e storie dei santi. A undici anni sono andato a imparare il lavoro di sarto, eravamo sette, otto allievi. Poi a Bussolengo sono andato sotto padrone per imparare. Il proprietario si chiamava Falconi, aveva un negozio per vestiti su misura e anche le stoffe. Ero bravo, facevo giacche e pantaloni da uomo, il padrone era contento. Dopo la guerra ho proseguito il corso di taglio a Verona e ho ottenuto il diploma. Lavoravo a casa e avevo anche degli aiutanti. Erano anni difficili, anche se avevo un mestiere, per questo poi sono andato in Svizzera. M Y CM MY CY CMY K usavano la scurietta per farli rientrare. Quando avevo sei anni, siamo andati ad abitare a Sommacampagna dove sono rimasta fino ai ventidue anni, età in cui mi sono sposata. Sono andata tante volte a ballare a Boscofontana, avevo quindici anni e andavo con mio fratello. Era molto bello, si cantava, si suonava, ci si divertiva. Si ballava a piedi nudi, altrimenti si consumavano le scarpe. Irma Vallenari - 96 anni Marano di Valpolicella è il mio paese. Si trova sulle colline veronesi. La mia casa era semplice. Noi siamo cresciuti con la mamma perché il papà era in Africa per lavoro. Marano era una contrada tranquilla, ci si conosceva tutti. Siamo rimasti lì fino a undici anni, poi ci siamo trasferiti a San Pietro Incariano. C’era una corte con attorno delle case. Raccoglievamo le viole per portarle a scuola alla maestra. Si giocava nella piazza della chiesa e il prete era contento di avere i bambini lì. Sono andata a scuola a Fane. Andavo a piedi con altri bambini: partivamo all’orario giusto e ci ritrovavamo davanti all’ingresso della scuola. Ognuno si sedeva al proprio posto e prima di iniziare la lezione si recitava la preghiera. Ricordo quando la maestra ci spiegava la storia della regina Elena e della figlia Maria Pia. Gemma Zampini - 84 anni Giulio Penna - 91 anni Sono nata a Sant’Anna d’Alfaedo. A Sant’Anna c’era la chiesa e la mia casa era lì vicina. Vivevo sotto il Corno d’Aquino, c’erano i prati ma anche le pietre della montagna. La mia casa era proprio l’ultima sotto il monte, vicino al Santuario della Madonna della Corona. In cortile c’erano le pietre per terra e ci si rincorreva. C’erano tanti bambini e si giocava insieme. Le mamme, quando chiamavano i bambini, 79 C Venezia Andavo tutte le sere a Sottomarina alla Taverna Europa. Avevo fatto amicizia con la proprietaria, lei conosceva tutte le signore che frequentavano il locale e mi informava su quelle che non erano sposate o separate e mi indicava con chi ballare. Ci andavo sempre da solo perché non c’erano tanti che avevano la libertà e i soldi che avevo io. Con il trattore guadagnavo cinquanta mila lire al giorno e tutte le sere avevo i soldi in tasca. Andavo anche in un altro locale vicino alla diga: mi sono divertito per tutta la vita, ho sempre fatto tutto alla luce del sole. Sono andato tre giorni in Inghilterra. Londra è il posto più bello del mondo, sanno usare tutte le loro risorse e la gente è sveglia. Ho visto tutto fuorché l’America, avrei voluto andarci ma non ci sono riuscito. Sergio Bellan - 85 anni M Y CM MY CY CMY K Mi ricordo che facevo la bambinaia ai tre bambini della contessa Amalia, che viveva tra Vescovana e Venezia. Dormivo insieme a loro tre; stavano sempre con me, tutto il giorno e la notte. Due femmine e un maschietto, Agostino. È stato un bel periodo della mia vita, prima di sposarmi. Avevano due ville bellissime. Erano ricchi, ma anche gentili e generosi. Mi piaceva abitare a Venezia, è una città unica. Antonia Savogin - 85 anni Belluno Il ricordo più bello è stato quello di quando ho scalato le Dolomiti per la prima volta: erano le Tre Cime di Lavaredo. Abbiamo scalato per tre ore e siamo arrivati in cima: era un sogno! Tutte le cime attorno erano dorate, ma alcune avevano la neve. Nel tempo ho scalato tantissime volte. Il silenzio che si sentiva in cima era fatto di un vento speciale, la caduta di piccole rocce era un rumore gioioso. Il rincasare era solo dispiacere, con la speranza e la certezza che ci sarei tornata. Lia Treviso Io sono nato a Vittorio Veneto e ci sono rimasto fino all’età di quindici anni. Quando mi sono trasferito mi è dispiaciuto lasciare i miei amici, con i quali andavamo in parrocchia o in Piazza Grande a giocare a nascondino e con la palla. Negli anni a venire non ci sono più tornato. Gaetano Livi - 99 anni 80 C M Y CM MY CY CMY K Piemonte Toscana Friuli Venezia Giulia 81 C M Y CM MY CY CMY K Torino Quando abitavo a Torino sono andata in tanti posti. Io e mio marito ci siamo sempre andati in gita con un’altra coppia, anche loro contarinanti. Giravamo sempre con il tram e andavamo dappertutto. Sono andata a vedere Superga, una bella collina; siamo andati a vedere il Po, il parco del Valentino dove c’erano tutte prostitute. Il Po era come qua da noi a Porto Viro, con gli argini dove si poteva camminare. Abbiamo fatto tanti pic-nic e qualche volta siamo andati a mangiare le lumache alla parigina: erano un “bocon tanto bon”, buone! A Torino c’erano tanti negozi, tante vetrine tutte attaccate l’una all’altra. Ricordo che mi piaceva andare in via Garibaldi a passeggiare, guardare i vestiti e fare commenti con la mia amica. Non andavamo a ballare; a Torino il mercato non l’ho mai visto, vai in via Garibaldi e c’è tutto. Quando siamo ritornati a Porto Viro siamo tornati con il camion perché un tempo si facevano i traslochi in questo modo e si poteva dormire visto che si dovevano percorrere tanti chilometri, sui cinquecento. Abbiamo cambiato casa e ce la siamo comprata a Contarina. Negli anni Ottanta e in dieci anni che sono stata via, il mio paese non era cambiato di molto. Anche la gente era sempre quella, sempre con la loro stessa idea, sempre la stessa tiritera. Quando siamo ritornati a Porto 82 Viro, mio marito si è ammalato e non siamo più riusciti a andare da nessuna parte. Genoveffa Pozzato - 84 anni Nel 1961, in occasione del centenario dell'Unità d'Italia, mi sono recato a Torino. Ho avuto modo di apprezzare molto la città, specialmente la Sinagoga e il Museo Egizio, e ricordo con tanto orgoglio la sfilata a cui ho partecipato in veste di artigliere. Ottavio Capelli - 75 anni Verbano-Cusio-Ossola Nel 1944 mi sono arruolato fra i partigiani e sono partito per le alture della Val d’Ossola. In montagna, presso la Brigata Carroccio, ho trascorso otto mesi della mia vita attendendo la fine della guerra. Un giorno stavo andando al lago di Garda a trovare delle amiche crocerossine, conosciute anni prima durante la mia residenza in loco. Era il periodo post-bellico dal 1947 al 1949, avevo trovato lavoro come autista di camion per trasporto merci a Merano. C Dopo la guerra sono tornato in montagna, in vacanza. D’estate, nel periodo di Ferragosto, andavo con la famiglia a passeggiare sulle alture del Monte Rosa. In particolare, si andava a Macugnaga dove c’era una succursale della parrocchia di San Domenico e dove il mio hobby preferito era la raccolta di castagne. Giuseppe Calvi - 89 anni Cuneo Il periodo più bello della mia vita è stato nella zona delle Langhe: è qui che puntualmente trascorrevo le mie vacanze estive lontano dai miei genitori e dalla loro disciplina e autoritarismo invasivo e fustigante. Si trattava di un paesino collocato sul cucuzzolo della montagna, a circa cinquecento metri di altezza, dove non c’era mai nebbia. Alla Morra ho trascorso un lungo periodo della mia vita, dai dieci ai diciotto anni. Era un luogo felice dove esistevano poche ma imprescindibili regole: mangiare insieme a mezzogiorno, e di sera rientrare entro le dieci. M Y CM MY CY CMY K Alessandria Nel 1958 la leggenda vuole che Bartali salvò l’Italia. Mi trovavo al mio paese di origine, Volpedo. I contadini si aggiravano armati di forcone, cercavano i proprietari terrieri per dargliele; poi venne la notizia della vittoria di Bartali. A Volpedo credo ci fosse solo una radio, quella del bar in piazza; insomma, la notizia suscitò in tutti una gioia incredibile. Bartali salvò l’Italia! Mi domando come sia cambiato il tempo; anche se ci fossero gli stessi campioni, non ci sarebbe più la stessa atmosfera… Carlo De Maestri - 83 anni Io sono di Morbello, in provincia di Alessandria. Sono nata nel 1917, sono dura a morire. Eravamo in sette fratelli. I grandi non volevano lavorare la campagna. Ci siamo trasferiti poi ad Acqui Terme. Teresa Barisone - 97 anni Luisa Mongini - 92 anni 83 C M Y CM MY CY CMY K C M Y CM MY CY CMY K Massa Carrara Sono originaria di Gragnana, un paesino sopra Carrara. Ho vissuto lì sino all’età di vent’anni. Gragnana era un paesino circondato da boschi di castagne e terrazzamenti coltivati, non c’era un granché. C’era la scuola sino alla quarta elementare, noi bambini si andava a giocare fuori, allora non c’erano pericoli. Per giocare al righetto al posto dei soldi usavamo i bottoni e li rubavamo dalle federe, perché non c’era nulla. Mio papà lavorava alle cave del famoso marmo bianco di Carrara. Allora il lavoro del cavatore era faticoso e pericoloso; i cavatori partivano all’alba e tornavano a casa la sera, sfidando i rischi della montagna per uno stipendio che spesso non bastava per mantenere la famiglia. Gli incidenti in cava erano frequenti e venivano comunicati mediante il suono di un corno. Non appena sentivano quel triste suono, le donne correvano verso la strada per le cave e aspettavano pregando, in attesa di sapere a chi fosse toccato. Io e la mia mamma ci occupavamo delle olive, allora facevano tutti una vita grama. A quei tempi si sudava davvero per un pezzo di pane. Mi ricordo che il lunedì andavamo al mercato a Carrara: a piedi, non dalla strada ma da una scorciatoia attraverso il bosco. Facevamo la spesa per tutta la settimana. In paese c’erano dei negozi, ma noi compravamo solo la verdura. Carrara era bellissima, c’era la discoteca e il cinema, invece a Gragnana non c’era niente. La domenica, qualche volta, con le amiche andavo a Carrara al cinema. A Sarzana ho cominciato a lavorare come domestica. Una mia vicina di casa di quando abitavo a Carrara aveva una rosticceria a Sarzana, che si chiamava “La Carrarina”, e così mi ha preso a lavorare con lei. Allora non c’era la lavastoviglie, si lavava tutto a mano e io usavo sempre la candeggina per disinfettare. Anche se era una rosticceria, spesso avevamo anche quaranta persone che si fermavano a pranzo da noi. Era molto impegnativo, ma che bei tempi! Ho lavorato in quella rosticceria per ventitré anni; quanta cacciagione ho cucinato! E quanta polenta! A forza di mescolare polenta mi era venuto il callo sulla mano. Le torte di verdura, ah, se ci penso mi viene l’acquolina in bocca: mettevamo gli erbi e il formaggio buono, avevano un sapore buonissimo! Infatti venivano da noi professori, medici, avvocati… Andreina Biselli - 93 anni Io sono dell’alta Lunigiana, sono cresciuto in un paesino nel comune di Casola, Vedriano: da lì si vede tutto il pisano, sopra di noi c’erano solo 85 C boschi di cerri. Quelli del mio paese venivano detti i Cerri; ogni paese aveva il suo soprannome, i Cerri era il nostro. Il mio era un piccolo paese di montagna, allora ci vivevano una quindicina di famiglie, oggi ne sono rimaste solo tre. Le case erano di pietra, così come la piccola chiesa dove la sera veniva recitato il vespro, invece la messa della domenica veniva celebrata nel paese vicino, Reosa. Mi ricordo che mi arrampicavo sul campanile per suonare le campane; da ragazzo non avevo paura di niente, camminavo scalzo nei boschi e la sera dovevo togliermi le spine dai piedi, pian piano, un po’ da solo e un po’ con l’aiuto di mia mamma. Nel mio paese la scuola non c’era, quindi andavamo nel paese vicino a piedi, con gli zoccoletti che a volte perdevo per strada; allora entravo a scuola cercando di non farmi vedere i piedi. A scuola, per scaldarci nei mesi invernali, avevamo una stufa; tutti portavamo un po’ di legna secca che prendevamo dalle siepi lungo il tragitto che ci portava a scuola. La scuola era una baracca di legno, costruita dopo il terremoto del 1920 che aveva devastato la Lunigiana e che aveva distrutto anche la scuola. Ermete Fantelli - 78 anni 86 M Y CM MY CY CMY K Io sono nata a Torsana, una piccola frazione di Comano. È sempre stato un bel paesino, si trova in cima al paese di Camporaghena. Per raccontare tutto ci vorrebbe un romanzo. La mattina andavo a scuola a piedi, a Camporaghena, il pomeriggio andavo a lavorare nei campi. I miei fratelli, in quanto maschi, hanno studiato; noi femmine no, a che serviva, bastava giusto un po’ di scuola, quel tanto per imparare a leggere e scrivere e a far di conto. Si lavorava nei campi e si viveva delle cose coltivate, senza troppe comodità. Ho cominciato a camminare con le pecore. Da piccola, insieme ad altri bambini, si portavano le pecore ai pascoli. Da noi c’erano molti cavalli, bellissimi. A Comano facevano anche la fiera dei cavalli. Nel mio paese non c’era niente, era isolato dal resto del mondo, sperduto tra le rocce, senza una strada, senza niente. All’epoca era proprio un mondo secondario. La prima corriera l’ho presa a diciassette anni per andare a trovare mia sorella che, già sposata, viveva a Santo Stefano Magra. Ma l’ultima fermata della corriera era proprio al paese di Comano, distante dal mio ben sette chilometri. Ovviamente li avevo fatti a piedi. Che tempi! Ricordo ancora la stanchezza provata, ma la gioia di aver rivisto mia sorella, dopo qualche tempo, è stata enorme. Al mio paesello facevano due feste: una per San Giacomo, il 25 luglio, e l’altra l’8 settembre per la Madonna delle Grazie, che era molto più importante e frequentata. Per l’occasione, mia madre mi faceva un bel vestitino e mi comprava un paio di scarpe, tutto questo mi doveva durate per tutto l’anno. Dopo le funzioni religiose si mangiava fuori tutti insieme, si cantava, si stava in compagnia. Non c’erano banchetti, il paese era impervio e non si raggiungeva con i mezzi. Adesso c’è la strada, ci vanno macchine, ma non c’è più nessuno, sono andati tutti via. Quando c’ero io eravamo diciotto famiglie, eravamo in parecchi, ma non c’era niente per mangiare; bisognava andare a Comano a comprarne. Però c’era la terra e con quella sapevano arrangiarsi. Ora è disabitato, C non c’è più nessuno, sono paesi abbandonati; il mio come tanti altri. Maria Giannarelli - 89 anni Andavo a scuola a Ponzanello nel comune di Fosdinovo. Avevo una cartella di cuoio scura, dentro avevo due quaderni a righe e a quadretti e un solo libro. Le classi erano tutte insieme, dalla prima alla quinta, tutti avevano il grembiule nero con il colletto bianco e il fiocco azzurro. I banchi erano di legno nero ed eravamo in due per banco. In ogni aula c’era il crocifisso e, appese al muro, le carte geografiche. Avevamo le pagelle dove venivano scritti i voti e consegnate ai genitori ogni tre mesi, per essere firmate. Ricordo la scuola come un periodo interessante della mia vita. Ricordo che la festa più grande del paese era quella di Ferragosto. Andavamo tutti a messa e poi a pranzo da mio fratello; dopo che era morta la mamma, era l’unico giorno in cui c’era anche l’antipasto. Nel pomeriggio con tutti i paesani andavamo alla funzione, c’era anche la processione, e portavamo la statua della Madonna per le vie del paese; noi, dietro, recitavamo il rosario e cantavamo l’Ave Maria. Festeggiavamo anche San Martino che ricorreva l’11 novembre, era il patrono di Ponzanello e in quella giornata le scuole rimanevano chiuse. M Y CM MY CY CMY K e temi per i bambini della scuola materna ed elementare ed esponevamo tutto nel palazzo della provincia. Per tutte queste attività mi hanno dato il diploma di “Angelo della strada”. Enrico Cerretti - 68 anni Io aiutavo la mamma nei lavori di casa, perché lei con il mio papà andava a fare la spesa per il bar. Facevo quello che potevo, perché non mangiavo molto ed ero piuttosto gracile. Quando chiedevo qualcosa ai miei genitori dovevo dire loro «posso» o «non posso». Non erano cattivi, ma un po’ severi e quando decidevano che una cosa non si poteva fare non si faceva. La festa più grande del nostro paese di Podenzana era la Madonna del Gaggio o Madonna della Neve, che si svolgeva il giorno di Ferragosto. In questa occasione si fa la processione che parte dalla chiesa fino al santuario del Gaggio, con la banda. Con quello che sarebbe diventato mio marito si andava ad Aulla con la macchina, in motorino a giocare a pallone, lui faceva parte di una squadra. Con lui mi divertivo, ed è stato il mio primo grande amore. Era un amore puro e rispettoso. Rita Baldassini - 76 anni Lidia Bertagnini - 66 anni Con il mio lavoro sono stato trasferito a Massa, che ho trovato una città accogliente e pronta alle iniziative proposte. Nel mio lavoro organizzavamo il rally che era molto seguito e le auto storiche. A Massa in quel periodo facevo tanti progetti di educazione stradale con l’organizzazione di percorsi per le scuole elementari e la produzione di videocassette e pubblicazioni. Abbiamo pubblicato anche un libro intitolato “Cento anni di storia sulle strade apuane”. Inoltre, facevamo un concorso di disegni 87 C M Y CM MY CY CMY K Lucca Io sono nato a Lucca. Le mura di Lucca tutte intere sono quattro chilometri e duecento metri. E poi sono, mi pare, tra i dieci e i quindici metri di altezza. Io ci facevo le passeggiate a piedi, ma sulle mura ci viaggiano anche le macchine. Le mura all’esterno sono tutte di mattoni e dietro ci sono strati di terra. Ci sono anche i baluardi. E lì la gente va a fare i pic-nic, a divertirsi. A Lucca le mura sono un’attrazione importante. La strada che le segue gira tutto intorno alla città e dietro, all’interno, c’è l’erba battuta e la terra. Sopra c’è la strada doppia che gira tutt’intorno a Lucca. Vengono i turisti a vederle. Venivano anche quando ero giovane, poi proseguivano verso Viareggio, che è vicino. Io non sono mai stato un signore che andava in giro a mangiare nei ristoranti. Oreste Caprara - 90 anni Il luogo che mi è rimasto impresso è senza dubbio la Toscana, ci ho passato parte della mia infanzia, ma era il paesaggio a essere bello, con gli alberi, la pineta, le castagne, il ruscello. Il ponte sembrava un quadro. Ci siamo trasferiti a Lucca con l’arrivo della guerra, perché mio papà lavorava con l’arsenale. Mi ricordo che vicino a casa nostra 88 c’erano tanti alberi di castagno e mia mamma cucinava la pattona, il castagnaccio, con le castagne e i pinoli. Le persone erano molto buone e ci ho vissuto bene. Vicino a casa nostra c’erano le pinete e spesso avevamo gente a cena. Vicino c’era un ruscello con un ponticello e il paesaggio sembrava un quadro. Bruna Ferrari - 82 anni Livorno Per dieci anni, in agosto, sono andata un mese all’Isola d’Elba e, finito il mese, anche le ferie erano finite. L’Isola d’Elba è bella, proprio bella da visitare. Andavo a Marina di Campo, a Lacona, a Porto Ferraio, ma a noi piaceva tanto andare per sentieri un po’ scomodi, che portavano a belle spiagge isolate dove c’erano scogli grandi su cui potevi sdraiarti a prendere il sole. Erano calette stupende. Partivo da sola, perché là avevo gli zii e i cugini, ci abitavano quattro fratelli di mia madre. Gabriella Canovi - 76 anni C M Y CM MY CY CMY K Pordenone Fino a diciannove anni sono cresciuta a Pordenone. Sono nata in via Revedole, dove c’era un grosso seminario e noi eravamo i mezzadri dei preti. Di terra ne avevamo giusta, né troppo né poco. Pordenone mi è rimasto nel cuore perché sono cresciuta lì, la mia città è sempre stata molto grande, importante, e dove sono cresciuta c’era un viale grandissimo, bellissimo e il seminario… è questa l’immagine che mi porto nel cuore. Emma Perissinotti - 85 anni 89 C M Y CM MY CY CMY K C M Y CM MY CY CMY K Lazio Sardegna Sicilia Campania 91 C M Y CM MY CY CMY K Roma Sono nata in un paesino del Lazio con 750 persone, 750 metri sopra il livello del mare; le case sono carine dentro ma fuori sono diroccate, non ci sono le strade asfaltate ma solo con il selciato. È rimasto tutto come allora. C’è una chiesa molto bella intitolata a San Pietro, nella quale c’è una statua del Bernini raffigurante il Santo a figura intera. Sono nata in tempo di guerra. Allora non c’erano corde per giocare, allora io prendevo la corda che la mia mamma usava per stendere e si andava in piazza con le amiche. Quando dovevo ritornare, papà mi chiamava con un fischio, ed era sufficiente! Si giocava a sassetto, a mosca cieca. Quando non c’era il bucato steso, usavamo la corda per saltare. Le occasioni di ballo erano in famiglia, in paese non avevo amiche. La mia mamma diceva che prima dovevo andare a messa, poi potevo giocare. Francesca Apolloni - 74 anni A Roma ho fatto il viaggio di nozze assieme a mio marito. Ho visitato tutte le cose più belle e importanti della città. Mio marito aveva degli amici che ci hanno fatto da guida. Ho visto il Colosseo, è bellissimo, immenso; piazza di Spagna, la fontana di Trevi e tanti monumenti. Poi sono tornata a Roma anche in seguito: mia figlia si è sposata e si è trasfe92 rita là con suo marito e i miei nipoti. Sono andata a trovarla tante volte. Purtroppo adesso non riesco a vederli spesso, ci vogliono tante ore per arrivarci. Dopo il matrimonio, mio marito affittava una casa a Fiumaretta. Io avevo smesso di lavorare, lui invece non era ancora andato in pensione. I nostri due bambini erano piccoli e io li portavo al mare. Mio marito ci raggiungeva la sera. Mi piaceva molto stare lì, avevamo la possibilità di farci una piccola vacanza. Io adoro il mare, se fossi più giovane ci tornerei subito! Giovanna Mori - 84 anni A vent’anni mi sono trasferita a Roma: sono entrata in convento per farmi suora, dalle figlie di San Paolo che facevano le Bibbie e i Vangeli. Mi piaceva l’idea di divulgare il Vangelo. In quel convento c’erano la tipografia e la legatoria, dove ho lavorato anch’io nel periodo in cui sono rimasta. Tra suore e novizie eravamo più di cinquanta. Le paoline erano così belle con il velo lungo, il colletto… Sono rimasta in convento per tre anni, poi la madre superiora mi ha detto che ero debole sia fisicamente che mentalmente e che non potevano tenermi in convento; mi hanno rimandato a casa. La vita in C convento era molto dura, sembrava di essere in caserma: sveglia alle cinque, studio, lavoro o preghiera sino alle dieci di sera. Io ho provato, ma non ci sono riuscita. Nonostante tutto, di Roma ho tanti ricordi belli, in estate ci portavano in giro a visitare le grandi chiese o ci portavano all’Eur a fare merenda sui prati. Quanto ho pianto, diventare suora era il mio sogno ma per i miei problemi di salute non mi hanno voluta. Ora però sono felice sono riuscita a prendere i voti qui in struttura, c’erano quattro preti, ho letto la formula... è stato molto commovente. M Y CM MY CY CMY K il 29 agosto si celebra la sagra del redentore e i fedeli salgono sul monte Ortobene ai piedi della statua per partecipare alla messa. La domenica prima, invece, c’è la sfilata dei costumi tradizionali alla quale prendono parte molti gruppi folkloristici provenienti da tutta la Barbagia. In provincia di Nuoro c’è il paese di Orgosolo, famoso per il banditismo; i banditi rubavano il bestiame nelle altre province della Sardegna o ai confini della nostra, lontano dalla città. Franceschino Virdis - 86 anni Maria De Maria - 76 anni Sardegna Sono originario di Nuoro, nel cuore della Sardegna. Vivevamo in città, ma in campagna avevamo un podere dove c’erano i mezzadri; il mio babbo era ferroviere e non aveva tempo, mio fratello più grande era sempre dietro alle ragazze, allora ero io che seguivo le donne che raccoglievano le olive e il trasporto al frantoio per ricavarne l’olio. Ho fatto i miei studi a Nuoro, invece l’università a Sassari perché tra Nuoro e Sassari c’è un’affinità, il centro della Sardegna non ha nulla a che fare con Cagliari, è proprio un’altra civiltà. Nuoro è una bella città nel cuore della Sardegna, rappresenta la Sardegna di una volta, con una cultura particolare. Cagliari è una città moderna, invece a Nuoro e a Sassari c’è proprio la tradizione sarda, un modo di vivere particolare: casa, famiglia e campagna sono i valori più importanti, non c’è famiglia che non abbia un podere. I mercati da noi fanno pochi affari perché le famiglie comprano l’essenziale, quello che non riescono a fare in casa. Il pane tradizionale sardo è il carasau, un pane molto sottile. Ogni tanto lo compro perché mi ricorda la mia terra. La statua del redentore sovrasta la città di Nuoro; Quando ero piccola, abitavo in Sardegna, a Villamar, un paese dove tutti lavoravano nelle campagne. Poi io e la mia famiglia ci siamo trasferiti a Carbonia, la città che era stata fatta costruire da Mussolini. C’era una miniera e tutti gli uomini lavoravano lì, tra cui mio padre. Per andare da Villamar a Carbonia, io e la mia famiglia abbiamo usato un carro trainato da un cavallo, come quelli che si vedono nei film western. Maria Porcedda - 79 anni 93 C M Y CM MY CY CMY K C M Y CM MY CY CMY K Sicilia Trapani Sono nato in provincia di Trapani nel 1921, a Custonaci. Mio padre aveva comprato una grande casa con dietro un po’ di terreno dove si coltivava frutta e verdura, avevamo anche la cantina. Nel mio paese c’era una chiesa grande, speciale, si trovava in piazza e venivano da tutte le parti per vederla. Quando c’erano gli sposalizi, avresti dovuto vedere! Il mio paese era vicino al mare e in estate ci andavo sempre a fare il bagno. Mia mamma non è che non volesse, ma solo per poco; invece io ci stavo tanto. C’erano i marinai, quando tornavano al molo dalla pesca portavano delle casse piene di pesce, uno spettacolo. Una volta mi hanno portato con loro in mare a pescare e mi ricordo che abbiamo preso tre grossi pesci spada. Che emozione! Il sabato sera si andava a ballare nella sala da ballo; a me è sempre piaciuta la musica, così sono andato a imparare a suonare la chitarra e poi accompagnavo il violino ai matrimoni o alle feste. A vent’anni sono venuto via dalla Sicilia, sono andato al militare ed è tutto finito. Ho iniziato a fumare durante il militare, mio babbo non voleva ma lì fumavano tutti. Mi sono arruolato nell’aeronautica militare e sono stato inviato all’aeroporto di Luni, Sarzana. In Sicilia avevo imparato il mestiere del calzolaio ed ero molto bravo a fare gli scarponi da roccia cuciti a mano con il triplo filo incrociato, stagni all’acqua, così spesso andavo in un negozio di scarpe e riparazioni di San Lazzaro per acquistare il materiale per riparare le scarpe degli ufficiali. Il proprietario del negozio aveva una figlia, Leda, ed è stato amore a prima vista; ci siamo sposati nel 1946, quando è finita la guerra. Da allora sono rimasto a Sarzana e ho cominciato a lavorare con mio suocero nel suo negozio di scarpe, che dopo la sua morte ho gestito da solo sino alla pensione. Giuseppe Savalli - 94 anni Messina Durante la guerra sono andato per un periodo in Sicilia, sullo Stretto di Messina, a “fare le fucilate”. Eravamo in guerra, mi ricordo che c’erano i fucili che cadevano in acqua, nel mare. Il posto della mia vita che mi rimarrà più impresso, infatti, è la nave; ricorderò sempre come buttavano giù i fucili, che cadevano addosso alla gente. Venerio Guidetti - 92 anni 95 C Ho fatto un viaggio, organizzato dalla parrocchia, in Sicilia. È stato il mio primo viaggio in aereo; il comandante l’ha saputo e mi ha scritto un attestato di primo volo. In questo viaggio ho visto tanti posti e tante cose, come il Duomo di Messina. E più di ogni altra cosa, ho fatto una scorpacciata di pasta alla norma! Salvatore Piazzolla - 84 anni Se penso a quello che ho visito, mi ricordo con affetto la Sicilia, la terra di mio marito. Siamo andati in vacanza in Sicilia per venticinque anni, a Tindari. La madonna del Tindari è molto bella. La Sicilia è stupenda, ci sono gli ibisco, le arance, i mandarini. Sarà per via di mio marito, ma la Sicilia mi è sempre piaciuta tantissimo, anche se il viaggio è molto lungo. Voi non ci crederete, ma una volta sono anche entrata in treno dal finestrino; mi hanno fatto entrare da lì per non farmi perdere il treno. Avevo vent’anni, dovevo partire per la Sicilia e non potevo perderlo. Sarj Malnis - 77 anni Catania Io sono siciliana, di Caltagirone. Ho preso l’aereo quattro o cinque volte per andare giù. La prima volta ho avuto un po’ paura, poi è diventata un’abitudine. Nel mese di luglio, a San Giacomo, a Caltagirone è festa: si illumina la scala in ceramica della piazza che ha ben centoquarantasette gradini ed è spettacolare. È la scalinata più bella d’Italia. Filippa Nicosia - 85 anni A causa del lavoro di mio marito ho vissuto diversi anni in Sicilia, luogo davvero splendido sia 96 M Y CM MY CY CMY K per il clima sia per la bellezza delle città. Mio padre mi ha accompagnata e il matrimonio è stato celebrato nella Chiesa di Santa Maria della Guardia il 4 luglio 1954. Ho vissuto a Catania per undici anni e mi sono sempre trovata bene; gli abitanti sono molto ospitali e comunicativi. Uscivo di casa per fare la spesa e sulla piazza principale trovavo tutti i negozi: pescheria, fruttivendolo, salumeria e panetteria. Alla domenica andavo con mio marito a fare la passeggiata sul lungomare, dove vedevo poche palme e molti bei condomini. Non ho mai frequentato la spiaggia, ribattezzata la playa dagli spagnoli, e non ho mai fatto il bagno, ma mi piaceva guardare il mare, il porto e i pescherecci che vedevo uscire ma mai rientrare. In Sicilia ho passato la mia gioventù, i miei giorni migliori e, se avessi potuto, sicuramente sarei rimasta a vivere lì. Giulia Castellaro - 85 anni Da tanti anni vivo a Milano ma la mia famiglia è siciliana, di Militello. Forse non tutti sanno che Militello è il paese natale del famosissimo Pippo Baudo. Quando avevo sette anni, mio padre possedeva il pastificio nella piazzetta di Militello. Proprio in questa piazzetta c’era una palazzina a due piani, al primo piano abitavano la mamma e il papà di Pippo Baudo. Mio padre era molto amico di suo padre e mio fratello lavorava presso gli agrumeti dei Baudo. Già da piccolo si capiva la sua predisposizione per il mondo dello spettacolo, fu scritturato da una compagnia teatrale per recitare in uno spettacolo. Questa compagnia cercava una bambina, ma la gente del paese era scettica e i papà non permettevano alle bambine di recitare. Il papà di Pippo invece era già aperto di vedute ed aveva spinto Pippo a proporsi. Nonostante fosse un maschietto era talmente bravo che bastò travestirlo da bambina per permettergli di partecipare allo spettacolo. C M Y CM MY CY CMY K Dopo qualche anno il mio papà chiuse il pastificio e si impiegò in un paese vicino chiamato Paragonia. Io non mi volevo trasferire perché amavo molto Militello, così papà mi diceva che Paragonia era bellissima e ci avrei trovato anche i tram. Io non ero molto convinto e ho chiesto proprio a Pippo di dirmi la verità sui tram, visto che lui andava spesso a Paragonia dalla nonna. Lui mi disse che non avrei trovato i tram, ma mi promise che ci saremmo visti spesso anche là. Sono passati tanti anni ma conservo un bel ricordo di quel ragazzino di Militello. Nicolò Mazzone - 91 anni Agrigento Ricordo con piacere la casa della mia infanzia, a Sciacca. È un paese grande e bello, si affaccia sul mare dalla parte di Agrigento, in Sicilia. La casa era grande, con quattro camere, la cucina e il bagno. Non avevamo il giardino e con gli altri bambini giocavamo in strada. Ricordo che avevamo tutto vicino: la scuola, la chiesa, i negozi di tessuti e il mare. Mi piaceva. Tanto. Mi piaceva nuotare, prendere il sole, passeggiare sulla spiaggia. Ricordo la sabbia bianca e le conchiglie. Gli scogli li raggiungevamo nuotando. Quando sono venuta al nord, la cosa che mi è mancata di più, è proprio il mare. Maria Cucchiara - 87 anni 97 C M Y CM MY CY CMY K Campania Quando avevo otto anni mio papà fu chiamato dalla ditta Cirio, era un meccanico specializzato e quindi ci siamo trasferiti in provincia di Caserta; mia mamma, poverina, piangeva sempre. Io ero ragazzina, eravamo in piena guerra; abitavamo vicino alla polveriera, per cui bombardavano sempre. I miei genitori avevano molta paura, così smisi di andare a scuola, mi fermai in seconda elementare. Lì siamo rimasti tanti anni, perché la Cirio ci mandava da mangiare: pane, latte, zucchero. Si parlava poco perché non conoscevamo la lingua. Mia mamma andò in negozio e chiese la “puina”, la ricotta, ma il negoziante che non capiva si è fatto un sacco di risate. Noi bambini abbiamo fatto amicizia con gli altri bambini e abbiamo imparato subito il loro dialetto, ma a mia mamma ci è voluto un po’. A Caserta siamo andati a visitare la Reggia, era bellissima; mi è rimasta impressa una pianta che, se la toccavi, si chiudeva e dopo si riapriva e se la ritoccavi si chiudeva di nuovo. Dopo Caserta ci siamo trasferiti a Castel Volturno, sempre in provincia di Caserta, perché mio papà si ammalò e dovette lasciare la Cirio. E lì c’era il mare, per me è stata la prima volta che ho visto il mare. Per andare a Castel Volturno si doveva prendere il traghetto per attraversare il fiume che si immetteva nel mare. Mi ricordo che in quel periodo andavo a ballare, ero ormai ragazzina e mio padre 98 era invitato a suonare la fisarmonica alle feste; noi figli andavamo con lui e lì ho incontrato Luigi. Maria Valente - 82 anni C M Y CM MY CY CMY K Paesi esteri 99 C M Y CM MY CY CMY K C M Y CM MY CY CMY K Africa Un luogo che sicuramente mi è rimasto nel cuore è il Kenya, dove sono andato a fare un safari con mia moglie e mia figlia una ventina di anni fa. Ho potuto vedere tutte le qualità di animali, una bertuccia mi si è avvicinata mentre stavo mangiando una banana e voleva rubarmela a tutti i costi. Per farla andare via le ho dovuto dare una pedata! Per fare una foto a un ippopotamo immerso nell’acqua con solo il naso fuori, mi sono avvicinato a un laghetto. A un certo punto ho visto che lì vicino a me, a una spanna di distanza, c’era un coccodrillo che mi si stava avvicinando: l’ho scampata per un pelo! Le persone che vivono in Kenya sono coperte di stracci ma sono pulite e sempre serene perché si accontentano della vita così com’è e vivono alla giornata: io non sarei capace di vivere così, non riesco a stare con le mani in mano, devo sempre creare qualcosa. Gabriele Marangoni - 73 anni 101 C M Y CM MY CY CMY K C A fine di gennaio 2005 sono partita dall’aeroporto di Milano con mia figlia Giuliana e alcuni amici per andare a trovare i miei fratelli che vivono in America, in California. Il viaggio di andata è durato quattordici ore: abbiamo fatto scalo a Parigi e sull’aereo continuavano a dirmi «Bonjour Madame». All’inizio non volevo prendere l’aereo perché avevo paura ma poi mi è piaciuto, anzi, l’ho preferito al pendolino, che ti sbatacchia di qua e di là e non ti lascia dormire: sull’aereo sono riuscita a dormire come nel mio letto! Siamo arrivati in America a mezzogiorno. L’aeroporto era enorme e c’erano scale mobili ovunque. Io non le volevo prendere perché una volta mi si è incastrato il piede e mi sono fatta male. Siamo arrivati da mio fratello a Los Angeles alle cinque del pomeriggio. La via dove abita mio fratello è molto bella, ci girano sempre dei film. Los Angeles è un set a cielo aperto! La casa di mio fratello è meravigliosa, con le tende, la moquette, ha almeno quindici finestre e un balconcino al primo piano che è proprio come quello delle case che si vedono in televisione. Quella sera mio fratello mi ha portata a mangiare al ristorante. Il giorno dopo siamo stati a fare compere in uno store grande come quattro o cinque dei nostri centri commerciali. Sono stata anche a visitare un museo dove c’erano tantissimi gioielli bellissimi. Il successivo fine settimana mi hanno portato al Casinò di Las Vegas. É bellissimo, ci sono tutte le macchinette per giocare e anche tutti i tavoli da gioco. Quando giochi con le macchinette e vinci si sente un suono di campanello. Meno male che c’era mio fratello che è venuto e mi ha detto: «Nina, hai vinto!». Avevo messo cento dollari e nel cassettino della macchinetta ne ho trovati trecento! Ho guardato mentre gli altri giocavano a carte, a Black Jack, alla roulette e ai dadi. Al bar del Casinò abbiamo preso un caffè: non era male ma era molto amaro. È stato un viaggio che mi è piaciuto moltissimo! Nina De Cesare - 84 anni M Y CM MY CY CMY K America Mia sorella si è trasferita in America e ha trovato lavoro come poliziotta, ora è in pensione e con i soldi che guadagnava è riuscita a costruirsi una bella villetta su due piani. Si sta bene là, gli stipendi erano buoni. Quando siamo andati a trovarla ci ha trattato molto bene, ci ha ospitati in casa sua e ci ha portato a visitare diversi posti: abbiamo visto il ponte di Brooklyn e la Statua della Libertà, abbiamo girato per diverse città e siamo andati a mangiare in ristoranti buonissimi. In America molte case hanno i giardini e sono tutti ben tenuti, con l’erba tagliata e curata e diversi fiori. Anche a me piace avere cura del giardino, ho sempre coltivato un piccolo orto, da quando sono andato in pensione. Abbiamo dei limoni giganteschi! Luigi Panigli - 88 anni Quando mio marito è andato in pensione mi ha fatto girare il mondo, siamo stati in tanti posti, anche a Parigi e a New York. L’inglese non lo so, però qualche parola in francese me la ricordo ancora. Quando ho preso l’aereo è stata una scoperta, mi sembrava di essere in paradiso! Dal finestrino guardavo le case e i paesi. Mara Toracca - 93 anni 103 C M Y CM MY CY CMY K C M Y CM MY CY CMY K Asia Io ho viaggiato molto e secondo me il luogo più bello al mondo è Petra, un importante sito archeologico della Giordania: sembra di essere in Palestina ai tempi di Gesù. Si entra da un canyon scavato nella roccia, la città è colorata di rosso e rosa, passano di continuo cammelli e cavalli, sembra di essere tornati indietro nel tempo. La prima volta dalla cima della collina ho visto la città e le tombe, perché Petra è costituita prevalentemente da sepolcri. Nelle ricorrenze si ritrovano sulle tombe scavate nella roccia ed è loro usanza allestire dei banchetti funebri. Sulla cima della collina ho incontrato una ragazza che vendeva collane, ci siamo parlati con gli occhi, mi ha offerto la collana… sembrava una visione antica. La cosa unica di Petra sono i colori, è conservata intatta e alcune grotte sono ancora abitate con gli animali e le pecore nel cortile. La seconda volta che sono stato a Petra non c’era nessuno, perché doveva venire in visita Tony Blair; era ancora più bella, sembrava di essere ai tempi dei Nabatei, la popolazione che viveva a Petra. Petra è stata inserita nelle sette meraviglie del mondo moderno. In Giordania ho fatto il bagno nel Mar Morto con i famosi fanghi dalle proprietà benefiche per la pelle. Si esce dall’acqua tutti neri, la salinità dell’acqua è tale che si galleggia senza neppure nuotare. In Asia centrale ho visitato l’Uzbekistan, il paese di Gengis Khan, il grande condottiero mongolo. Le ragazze hanno gli occhi a mandorla e sono bellissime… In Uzbekistan ci sono le suggestioni simili alla Mongolia, tanto deserto dove le persone vestono con i loro costumi tradizionali molto colorati. Una volta ci siamo trovati in una cerimonia famigliare e le signore del nostro gruppo hanno socializzato con le donne del posto, molto socievoli. La mattina dopo ci hanno invitato a casa a mangiare il pane. Il padrone di casa che stava facendo il pane, quando ha saputo che eravamo italiani, ha esclamato: «Campioni del mondo!». Il pane veniva cotto nel forno a legna, non appoggiato sul piano del forno ma alle pareti, e cadeva una volta cotto. Quello che mi aveva colpito era che in quella casa, sebbene semplice, regnava l’ordine e la pulizia. Alle sette del mattino sulla tavola c’era un vaso con dei fiorellini. Enrico Cerretti - 68 anni 105 C M Y CM MY CY CMY K C M Y CM MY CY CMY K Inghilterra Il mio viaggio all’estero è stato in Inghilterra. Mio figlio ha ricevuto dei soldi per i risultati scolastici. Ha deciso di utilizzarli per imparare l’inglese, trasferendosi a Londra. Noi l’abbiamo raggiunto due volte. Ricordo il gran freddo, le file per salire sul bus, perfette; le cabine telefoniche rosse e la guida al contrario. Mio marito si legava il fazzoletto al polso destro per ricordarsi e non sbagliare. Giuseppina Boldissoni - 93 anni La città che ho amato di più è stata Londra, non saprei dire il perché ma io mi sentivo in pace e rimanevo incantata ad ammirare le sue bellezze. Forse mi attraeva un po’ anche il clima di modernità che si respirava già allora. Se chiudo gli occhi ricordo ancora quel lungo viale che conduceva a Buckingham Palace. Sono originaria di Borgo Priolo e vengo da una famiglia umile e onesta. Tutti si aspettavano che io mi sposassi e avessi dei bambini, come le altre ragazze. Io ho novantun’anni e, a quei tempi, le donne avevano il destino segnato: mogli e mamme. Ho iniziato a lavorare come cameriera negli hotel di lusso, e ho capito subito che la mia vita sarebbe stata diversa. Ho conosciuto tante persone, ho imparato molto e mi sono divertita. Non mi sono mai sposata ma sono stata legata tutta la vita ad un uomo, un direttore di crociera. Grazie a lui ho potuto lavorare in giro per il mondo e imparare tantissimo. Oggi la convivenza non è più una scelta anticonformista, ma allora faceva scandalo. Noi non ce ne siamo mai preoccupati, ci volevamo bene e avevamo un appartamento a South Kensington dove ci incontravamo nelle pause di lavoro. Ho un ricordo meraviglioso di questi anni. Se mi guardo intorno sono soddisfatta e felice della vita che ho vissuto perché non mi sono fatta condizionare dalle regole e dalle tradizioni, ho sempre scelto per me stessa e non mi pento di nessuna scelta fatta. Alessandra Defilippi - 91 anni 107 C M Y CM MY CY CMY K C Nella mia vita ho viaggiato moltissimo insieme alla mia compagna. Il luogo che mi è rimasto nel cuore è il Sud America, Cuba in particolare. Ho una vera e propria passione per Che Guevara e Cuba è stata la mia meta privilegiata: ci sono stato sei volte! La piazza dell’Havana, Piazza della Rivoluzione, è bellissima. Al centro c’è un monumento su cui si dice abbia messo le mani Che Guevara, un’effige in ferro del Che incollata alla parete di un palazzo e un sacco di murales con l’immagine del Che e la scritta ‘Hasta la victoria, siempre!’. Oltre che dalla bellezza dell’Havana, patrimonio dell’Unesco, sono rimasto colpito dalla gente che ci vive. La loro carnagione è molto scura e si tingono i capelli di biondo anche se di biondi naturali non ce ne sono. Una grande fonte di reddito è la lavorazione della canna da zucchero, da cui si ricava il rum. C’è la grande fabbrica della Bacardi che produce il rum, ma ci sono anche tanti artigiani. Non si riesce a trovare il vino, perché a Cuba non ne producono, ne importano una piccola parte dalla California e una bottiglia può arrivare a costare persino cento dollari. Importante anche la produzione dei sigari Havana: le foglie selezionate e il clima li rendono i migliori al mondo. Infatti li fumano i più grandi personaggi al mondo. Una scatola di sigari può arrivare a costare anche mille dollari! Un altro viaggio che mi è piaciuto molto è il viaggio in Messico nel gennaio 1991. Sono stato a Cancún, che è stata ritrovo dei pirati. Cancún ha una parte vecchia che sembra uscita da un film western, e una parte nuova, caratterizzata dalla discoteca più bella del mondo e da un centro commerciale faraonico. A Cancún ho fatto la pesca d’altura: sono andato in alto mare con una barca con le canne fisse d’acciaio e c’è la paura a novanta perché ci sono onde alte cinque metri. Ho fatto alcune escursioni in corriera: a circa quaranta chilometri da Cancún sono stato a Chichén Itzá e a Tulum, due siti archeologici, con piramidi a gradoni tipiche delle civiltà precolombiane. Ho avuto modo di visitare anche le Gran Cayman, paradisi fiscali dove i ricchi di tutto il mondo portano i soldi. Ho visto macchine grosse con i vetri scuri. M Y CM MY CY CMY K Messico e Cuba La cosa che mi ha colpito maggiormente è il silenzio assoluto che regnava per le strade e che per trovare una bottiglietta d’acqua che costasse meno di cinque dollari ho dovuto girare mezz’ora! Alla fine sono riuscito a trovare un negozio dove l’ho pagata due dollari. Vittorio Poggi - 76 anni Io sono stata due volte in Messico, mio marito lo adorava. È bellissima la Madonna di Guadalupa. In Messico sono molto religiosi e si usciva dalla parte opposta, perché non si giravano le spalle alla Madonna. I fedeli cantavano Adios Maria; c’era un ragazzo così assorto nella preghiera che mio marito per rispetto non ha fotografato. Ho visto anche le piramidi. Hanno i gradini verticali e piccoli, è faticoso salire. Mi viene da pensare che i messicani avessero i piedi piccolissimi, non me lo spiego altrimenti. Per fortuna ai lati ci sono i cordoni per aiutarsi, perché al centro si fa una fatica! Poi le ragazze hanno le trecce. La lunghezza dei capelli indica lo stato civile. Chi ha la treccia lunga per esempio cerca marito. La seconda volta in Messico è stata per i miei venticinque anni di matrimonio. Il Messico è floreale; ti dà quella sensazione particolare, man mano che la senti vorresti sentirla ancora di più. I viaggi sono stati i momenti più belli della mia vita. Irene Amori - 89 anni 109 C M Y CM MY CY CMY K C M Y CM MY CY CMY K Svizzera A ventidue anni mi sono sposata. Nell’immediato dopoguerra, io e mio marito ci siamo trasferiti in Svizzera perché qui non c’era lavoro. Abbiamo vissuto nella Svizzera francese, in un paese che si chiama Bex. Lì ho fatto di tutto: la cuoca, stiravo… Nel mese di luglio accompagnavo i bambini in montagna, in colonia sulle Alpi svizzere. Erano una ventina ogni quindici giorni, poi se ne andavano e ne arrivava un altro gruppo. Venivano dalle città vicine, Ginevra e Losanna. Mi piaceva molto come lavoro, i bambini danno soddisfazione. Un bambino, per ringraziarmi, mi aveva donato il suo dessert dicendomi che era tutto buono. La montagna mi è sempre piaciuta tanto. Da giovane, prima di sposarmi, ho trascorso sei mesi a Milano. Tutte le sere, appena andavo a letto, iniziavo a piangere. Mi atterriva trovarmi in un posto dove vedevi solo cemento e cielo, solo case e cielo: non si vedeva altro. Elda Giampellegrini - 91 anni spesso vedevamo le marmotte. In quel periodo ero andato a fare un’escursione nei ghiacciai, avevo sottovalutato la pericolosità di quei luoghi, non avevo pensato che, con il vento, i crepacci potevano essere ricoperti da una lastra sottile di ghiaccio e che sarei potuto precipitare. Quando me ne sono reso conto sono tornato indietro e da allora non sono più andato sui ghiacciai. Ginevra è una città grande internazionale, si incontravano i Capi di Stato. A me piaceva andare all’aeroporto a vedere decollare gli aerei; io non ci sono mai salito, ma una volta ho fatto un volo su un elicottero da turismo, si pagavano quindici franchi, siamo passati sopra a Montreux che si trova sul lago di Ginevra ed è famosa per il festival del jazz. Avevo imparato bene il francese, pensavo in francese, sognavo in francese e quando si sogna in francese significa che si conosce bene quella lingua. Ermete Fantelli - 78 anni Negli anni Sessanta sono andato a lavorare in Svizzera e ci sono rimasto per vent’anni. In Svizzera ho vissuto in tanti posti diversi, perché la ditta per cui lavoravo ci trasferiva ogni sei mesi senza alcun preavviso a seguito del cantiere. Uno dei cantieri si trovava a 2200 metri d’altezza in montagna; durante il lavoro 111 C M Y CM MY CY CMY K C Sono nata a Guglieri il 15 settembre 1920. Fino ai trent’anni sono rimasta a casa a curare i miei vecchi, poi ho lavorato per tre anni in Piemonte e vent’anni in Francia, a Parigi. A Parigi sono stata sempre nella stessa famiglia, facevo le pulizie e curavo i bambini, ero molto legata a quella famiglia. Inizialmente, quando dovevo portare i bambini a scuola, mi accompagnava uno dei due genitori perché non ero esperta della città e non volevo che succedesse qualcosa. Poi però ho imparato e giravo da sola. Ho visto la Tour Eiffel, la basilica del Sacro Cuore, l’Arc du Triomphe e poi tante altre cattedrali e musei. Fortunata Villa - 95 anni Sono stato a Parigi dove facevo l’idraulico. Sono partito a quindici anni con un amico. Mi ricordo l’indirizzo: Avenue de Glicine, in un appartamento grande. Non mi piaceva, eravamo in sei per appartamento, tutti uomini. Non mi trovavo bene con le persone, così sono scappato in Italia. Mi sono sposato con una bergamasca. Mi ricordo di Pigalle, del Moulin Rouge: il luogo più bello di Parigi! C’era la metro e ho contribuito anch’io a costruirla. Ho girato tanto: Francia, Spagna poi di nuovo Francia. Luigi Gasparetto - 83 anni Non ho viaggiato molto nella vita, ma il viaggio che ho fatto a Lourdes in compagnia di una mia amica mi è rimasto nel cuore. Durato una settimana, è stato organizzato molto bene dai Paolini. Siamo partiti in treno da Piacenza alla mattina presto e siamo arrivati a Lourdes a notte fonda. Appena arrivati siamo andati in albergo: alloggiavano vicini a noi un gruppetto di seminaristi che avevano sempre fame. Visto che per noi il cibo che ci davano era troppo abbondante, davamo quello che non riuscivamo a mangiare a questi ragazzi. Durante la nostra permanenza abbiamo visitato tutto il paese. Mi sembrava di essere in un altro mondo, persino il cielo sembrava diverso da quello di casa. Insieme alla mia amica mi sono immersa in una vasca di cemento contenente l’acqua che dicono venga direttamente da sotto i piedi della Madonna della M Y CM MY CY CMY K Francia Grotta. L’acqua era talmente fredda che la mia amica è stata male; io, invece, stavo benissimo, anche se quando mi hanno fatto spogliare mi vergognavo un po’. Il viaggio è filato liscio, tutti siamo stati contenti, a parte tre signore di Brescia che dicevano «Be’, tutto qui? Ma che cosa ci sarà mai da vedere?». Mi veniva da rispondere «Cosa vi aspettavate di vedere, dei ragazzi nudi?!». Evelina Bernardelli - 88 anni A diciotto anni sono andata a Parigi. Abitavo a Rue Royale, vicino all’obelisco, alla Tour Eiffel e al museo del Louvre. L’ho visitato, c’era la Monna Lisa! Ci sono stata per sei mesi, facevo la cameriera personale di una signora. Questa famiglia aveva una casa anche a quindici chilometri da Parigi e abitavamo là per la maggior parte del tempo. Aiutavo anche a tenere la contabilità. Andavo spesso a Parigi con un’altra ragazza, anche lei a servizio presso una famiglia. Mi piaceva tanto Parigi: le Prinptemps era un grande magazzino dove ho comprato souvenir. Il Royale era il posto che mi piaceva di più perché alloggiavano molte persone famose che andavano anche a farsi i vestiti, c’è andato pure Fernandel. Ai miei diciotto anni la famiglia in cui ero di servizio mi ha regalato due vestiti nuovi. Ero trattata bene, ma avevo nostalgia di casa… Parigi come città era bella, ma non mi piaceva la confusione, e neanche il modo di vivere, perché le donne cambiavano moroso un po’ come si cambiano le scarpe. La famiglia presso cui lavoravo si occupava di pubblicità, erano facoltosi. La figlia della famiglia scriveva al Figaro. Ho imparato molte cose, anche a servire a tavola. Graziella Mattioli - 70 anni 113 C M Y CM MY CY CMY K C M Y CM MY CY CMY K Croazia Sono nata in Dalmazia a Spalato, ma ricordo poco di quei posti. Tanti anni fa mia sorella mi mostrò alcune fotografie della mia città natale, così ho potuto vedere com’era. A tre anni sono scappata a Fiume perché sono arrivati i croati. Lì mio papà cominciò a lavorare. Gli operai del cantiere dove lavorava mi hanno regalato un agnellino, poi quando ci siamo trasferiti l’abbiamo regalato. A Fiume abbiamo cambiato tre appartamenti. Nel 1930 la mia casa aveva già l’ascensore, perché nella zona c’era già comodità. Il papà parlava ben cinque lingue. Frequentavo la parrocchia a Fiume, non era tanto lontana da casa. Andavo con un’amica. Andavo anche a catechismo e non bisognava perderlo altrimenti il parroco ci sgridava. Mi sono anche sposata in quella parrocchia lì. Dora Rizzardi - 86 anni 115 C M Y CM MY CY CMY K Argentina Germania Sono nata a Vallà di Riese Pio X. I luoghi che più ricordo sono la mia casa e la chiesa. Me la ricordo bene la chiesa perché è lì che i ragazzi ci incontravano, ed era emozionante andare a messa. Se a un ragazzo piacevi, ti portava la sedia e si accomodava vicino a te. Questo ovviamente ti rendeva felice, ma attirava molte invidie. A diciassette anni sono partita con la mia famiglia. Mio padre non ce la faceva più e decise di portarci via tutti. Ricordo il viaggio, lungo e pieno di disagi. Ci siamo trasferiti a Pergamino, una piccola cittadina dell’Argentina. Eravamo più italiani che argentini a Pergamino, e noi frequentavamo soprattutto italiani. E infatti anche mio marito era un italiano trasferitosi lì. Anche le nostre abitudini erano italiane, anche se poi con il tempo ci siamo adattati. A Monaco sono stato tre volte all’Oktoberfest, grandissima festa della birra. La parte più interessante è l’inaugurazione: sfilano i carri delle aziende produttrici della birra e ognuno è vestito alla tirolese. Le persone vanno lì a mangiare e a bere e tutti sono ubriachi, ma non c’è neppure una rissa, sono tutti amici. Ho mangiato lo stinco di maiale e vitello. A mio parere la migliore produttrice di birra è la Paulaner. Lucia Vigo - 83 anni Austria A causa della guerra il lavoro alle fornaci si era fermato, così sono andato a lavorare in Austria. Ci ero andato anche prima, e una volta anche fino a Bolzano, e in un ufficio mi hanno dato diversi indirizzi ai quali ho inviato una lettera di richiesta. Mi hanno risposto dandomi tutti i connotati. Così ho fatto il sacco e me ne sono andato, anche se mio papà non voleva. In questo paese austriaco era stata bombardata la stazione ferroviaria e io avevo il compito di smantellarla con il piccone e la mazza, tirando giù il tetto. Ci sono stato due mesi, poi sono ritornato a Contarina per lavorare alle fornaci. Carlo Gazzignato - 88 anni Gabriele Marangoni - 73 anni Olanda Quello che mi è rimasto più impresso è una cosa che ho visto in Olanda. Ero andata là quattro giorni per fare i denti e ho visto il mare ghiacciato; non ci crede nessuno se lo racconto, ma c’era il ghiaccio spesso fin sulla riva. Io non l’avevo mai visto, ma mi ricordo bene che era un fenomeno che faceva impressione, non ho mai visto un lavoro del genere. C’era un cimitero a picco sul mare, in alto, e anche l’aeroporto, che io non avevo mai visto, sembrava sommerso. Questo è un posto che se anche non ha ricordi affettivi, mi è rimasto e voglio raccontare; perché per me è un ricordo e perché sono andata all’estero e perché nessuno qui lo ha mai visto. Olga Martini - 93 anni Spagna Mi è rimasto impresso il viaggio che ho fatto a Barcellona, perché ero già vedova da un pezzo e l’ho fatto con un mio amico. La città è molto bella, ha dei palazzi alti, lavorati. La sera andavamo a 116 C ballare, perché vicino c’era un ballabile, e ballavamo tanto... Chi l’avrebbe detto che le gambe mi avrebbero abbandonato! Erano bei tempi, non avevamo le comodità negli spostamenti ma sapevamo apprezzare le piccole cose, e secondo me eravamo anche più felici. Ricordo che facevamo delle escursioni nei posti vicini; il mare, il sole e la brezza rendevano i momenti unici. Mi sembra ancora di vederli. I momenti più belli sono quelli che passano subito e che però ritornano e sembra di viverli ancora. Pierina Repetti - 79 anni M Y CM MY CY CMY K Kenya. Mi è molto piaciuta l’esperienza del safari. Ho fatto anche qualche crociera. Ma preferivo viaggiare in aereo, mi sentivo più sicura. Ho deciso di non sposarmi, nonostante avessi i corteggiatori, ero bella da giovane. Insomma non ho nulla da aggiungere di più della mia vita che, se posso dirlo, è stata abbastanza interessante e travolgente. Non mi sono privata di nulla! Adesso sono vecchia e non mi dispiace per l’età, ma per le condizioni e restrizioni che questo comporta e limita il mio spirito libero. Andreina Merlo - 86 anni Viaggi di nozze e altri viaggi In viaggio di nozze sono stata a Firenze e a Roma. Siamo partiti con il treno e siamo arrivati a Firenze dove siamo rimasti per un giorno. Abbiamo visitato gli Uffizi e Piazza della Signoria. Dopo siamo arrivati a Roma, dove ci siamo fermati per sette giorni. Abbiamo visitato il Colosseo, Piazza di Spagna, la Fontana di Trevi. Siamo andati dal Papa che ci ha dato una corona e abbiamo fatto la Scalinata Santa in ginocchio. Sono stata molto contenta di questo viaggio, solo che, quando siamo ritornati a casa, abbiamo trovato allagato dappertutto perché mentre eravamo via era piovuto molto e l’acqua era entrata in casa da un buco nel tetto! Anna Lambertini - 77 anni Mi piaceva molto viaggiare, ero un’anima libera. Ho conosciuto quasi tutta l’Italia e l’Europa. Mi è piaciuta soprattutto la Francia, in particolare Parigi e il paesino dove c’erano i Castelli della Loira, dove sono ritornata parecchie volte. Sono andata in America, in Russia, in Africa, in 117 C M Y CM MY CY CMY K Ringraziamenti Si ringraziano le strutture che hanno partecipato alla pubblicazione: C.R.A. “Villa delle Ginestre”, Castelnovo ne’ Monti (RE); C.P. e C.D. “Correggio”, Correggio (RE); C.P. “Villa Minozzo”, Villa Minozzo (RE); R.S.A. “Luisa Guidotti”, Fabbrico (RE); R.S.A. “Al Parco”, Scandiano (RE); “I Ronchi”, Castelnovo ne’ Monti (RE); C.R.A. “Ellenio Silva”, Bobbio (PC); C.R.A. “Alta Val Nure”, Farini (PC); C.P. “Villa Verde”, Ancarano di Rivergaro (PC); C.P. “Norge”, Roccabianca (PR); Residenza “Al parco”, Monticelli Terme (PR); C.P. “San Camillo”, Piacenza; “Villa Teruzzi”, Concorezzo (MB); R.S.A. “Il Poggio”, Casteggio (PV); R.S.A. “Mons. Luigi Novarese”, Palestro (PV); R.S.A. “Lainate”, Lainate (MI); R.S.A. Baroni Milano; R.S.A. “Quarenghi”, Milano; R.S.A. “Via Ornato”, Milano; R.S.A. “Dott. Mario Leone”, Mesero (MI); R.S.A. “Villa Elvira”, Santa Maria della Versa (PV); C.S.A. “Villa Imperiale”, Galliera Veneta (PD); C.S. “Villa Tamerici”, Porto Viro (RO); C.S.A. “Valgrande”, Sant’Urbano (PD); Centro Polifunzionale “Papa Giovanni Paolo II”, Lugagnano (VR); R.S.A. “Felicia”, La Spezia; R.S.A. “Sabbadini”, Sarzana (SP); “Residence degli Ulivi”, Podenzana (MS). 118 C M Y CM MY CY CMY K Un ringraziamento speciale agli anziani che hanno donato le loro storie e in particolare: Eleonora Borlenghi, Stefania Pogliani, Rosalina Saccani, Uber Cavalletti, Vanda Lavezzi, Ida Alberici, Giuseppe Allievi, Irene Amori, Giuditta Antonioni, Francesca Apolloni, Angela Aramini, Adriana Ariobelli, Emilio Bacci, Mario Bagnoli, Luisa Baldassini, Rita Baldassini, Marcello Baratella con la moglie Teresa, Adele Baria, Teresa Barisone, Anna Barna, Bruno Battini, Sergio Bellan, Gina Bellutti, Evelina Bernardelli, Dirce Bernardi, Lidia Bertagnini, Aldina Biagioni, Andreina Biselli, Alessandro Boaretto, Iride Bognetti, Angela Boioli, Giuseppina Boldissoni, Bruna Bologna, Lidia Bonanni, Giulio Botti, Crimene Businaro, Carlo Buzzini, Giuseppe Calvi, Vittorina Campi, Luigia Canevari, Giovanni Canola, Gabriella Canovi, Ida Canovi, Ottavio Capelli, Oreste Caprara, Sorisa Capuzzo, Gabriella Carini, Elena Cariolato, Paolo Carnevali, Valeria Carnovali, Armando Casari, Maria Casella, Giulia Castellaro, Natalina Castelli, Rina Castello, Maria Castenedoli, Maria Cattivelli, Angela Cattoni, Paolo Ceragioli, Enrico Cerretti, Giuseppe Cervetti, Piera Chiappini, Cesare Citterio, Alide Coli, Lina Colombo, Rosa Colombo, Antonina Comasri, Lia, Angela Conte, Clite Corghi, Nora Corsini, Anna Covini, Maria Cucchiara, Aldo Dabusti, Silvano Darcosti, Rina Davoli, Nina De Cesare, Maria De Maria, Francesco De Nittis, Alessandra Defilippi, Riccardo Del Monte, Giovanna Didonè, Sergia Duranti, Edda Fabbricotti, Luigi Faccini, Ida Faccioli, Ermete Fantelli, Bruna Ferrari, Carmen Ferrari, Severino Ferrari, Elio Ferretti, Nice Ferretti, Olga Ferri, Argentina Ferro, Luigina Ferruda, Alessandro Francescon, Mafalda Fresco, Angela Frigerio, Alfredo Fugazza, Rosanna Foroni, Lorenzina Fumagalli, Teresa Gambarini, Gina Gardellini, Luigi Gasparetto, Carlo Gazzignato, Lidia Ghelfi, Giovanna Carrara, Luigi Giacopazzi, Elda Giampellegrini, Letizia Gianesin, Maria Giannarelli, Antonio Giorgino, Miranda Giovanacci, Annita Guglielmi, Venerio Guidetti, Bruno Iemmi, Pierina Levani, Anna Lambertini, Gaetano Livi, Robi, Carla Locardi, Giuseppina Lombardi, Emma Lusuardi, Laura Mastini, Carlo De Maestri, Maria Magnani, Giulia Maini, Gabriele Maioglio, Sarj Malnis, Mario Manenti, Tolmina Marangon con il marito Claudio, Gabriele Marangoni, Elisa Marchiori, Olga Martini, Rosa Maschi, Margherita Massenza, Graziella Mattioli, Nicolò Mazzone, Loreta Menichetti, Tersilla Mercati, Ermanno Meriggi, Andreina Merlo, Angelina Meroni, Corina Milan, Maria Miotto, Fausto Molla, Laura Mongelli, Luisa Mongini, Bruna Montanarini, Giovanna Mori, Angela Morisi, Andrea Moroni, Marco Nazarri, Filippa Nicosia, Andreina Olivieri, Laura Orlandini, Carla Maria Paini, Esite Palazzoni, Luigi Panigli, Rita Parmigiani, Giulio Penna, Claudia Perini, Mauro Perioli, Emma Perissinotti, Salvatore Piazzolla, Giuseppe Picchiò, Vittorio Poggi, Lino Pontarolo, Giuseppina (Geppa) Ponti, Maria Porcedda, Genoveffa Pozzato, Giovanni Prisciandaro, Don Olimpio Raggi, Maria Ratti, Romilda Ravazzolo, Ferdinanda Rebolini, Don Rebuffi, Angela Redaelli, Nataly Redaelli, Pierina Repetti, Lina Reposi, Cecilia Riccardi, Dora Rizzardi, Beatrice Sacchi, Maria Saggio, Graziella Salterini, Giuseppe Savalli, Antonia Savogin, Lina Scaglia, Giuseppina Scapini, Loredana Schiavi, Livia Schieppati, Margherita Sibillini, Ester Soglio, Egle Stabellini, Lucia Toffanin, Mario Tomaselli, Mara Toracca, Maria Valente, Enrico Valla, Irma Vallenari, Lorena Vascelli, Clarice Venturi, Giovanni Vercesi, Franca Verzè, Lucia Vigo, Fortunata Villa, Franceschino Virdis, Carla Virpo, Bruna Zenezini, Vittorio Zambonini, Gemma Zampini, Francesca Zannellotti. Si ringraziano inoltre tutti gli animatori, educatori e i referenti di Area dell’Animazione e Terapia Occupazionale per la raccolta delle testimonianze. Progetto a cura di Dina Bonicelli, Direttore Tecnico Area Assistenziale Coopselios. 119 C M Y CM MY CY CMY K © Copyright_Coopselios Titolo, metodo, contenuto e diritti sono riservati. È vietata ogni forma di riproduzione, anche parziale, o diffusione non autorizzata da Coopselios. L’insieme delle informazioni ivi contenute sono da considerarsi confidenziali, riservate e segrete, ai sensi e per gli effetti di legge. Progetto grafico e impaginazione: Alias Finito di stampare in dicembre 2015 42124 Reggio Emilia • Via A. Gramsci, 54/S Tel. 0522.378610 • Fax 0522.323658 [email protected] • www.coopselios.com