Rassegna stampa 16 Ottobre 2016

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Rassegna stampa 16 Ottobre 2016
USTICA LINES
Domenica, 16 ottobre 2016
USTICA LINES
Domenica, 16 ottobre 2016
Autorità portuali
16/10/2016 Gazzetta del Sud Pagina 27
ALESSANDRO TUMINO
Sabbia negli approdi, risuona l' ennesimo campanello d' allarme
16/10/2016 Gazzetta del Sud Pagina 31
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Beni culturali, la nostra "miniera"
16/10/2016 Gazzetta del Sud Pagina 37
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GIOVANNI PETRUNGARO
Possibile passaggio ai Comuni
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Cantieristica navale
16/10/2016 Avvenire (Diocesane) Pagina 67
7
«Misericordiæ Vultus», una mostra per far riflettere
16/10/2016 Il Fatto Quotidiano Pagina 14
LUCIO MUSOLINO
Guerra tra poveri nel porto fantasma di Gioia Tauro
16/10/2016 L'Espresso Pagina 44
LUCA PIANA
L' industria non c' è più
16/10/2016 L'Espresso Pagina 50
LUCA PIANA
L' industria non c' è più
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Demanio marittimo
16/10/2016 La Sicilia Pagina 4
GIUSEPPE CELLURA
Crocetta a Licata "gelido" col sindaco «Non abbiamo paura pronti a...
16/10/2016 La Sicilia Pagina 40
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Due settimane di sedute per il Consiglio comunale
Trasporti marittimi
15/10/2016 GiornaleDiLipari
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Ripresi i collegamenti marittimi in nave
16/10/2016 L'Osservatore Romano Pagina 2
25
Sempre meno distanza tra Cuba e Stati Uniti
15/10/2016 Messina Oggi
26
Eolie, ripresi i collegamenti della Siremar
15/10/2016 TP24
27
Meteo Trapani Marsala. Fine settimana stabile e poco nuvoloso. Temperatura...
Porti
15/10/2016 Agrigento Oggi
STAFF ONLINE
Rogo all' ex Hotel Africa di Porto Empedocle ­
16/10/2016 Gazzetta del Sud Pagina 27
30
Surfista in crisi a Tremestieri salvato dalla Guardia costiera
16/10/2016 Gazzetta del Sud (ed. Reggio Calabria) Pagina 33
31
«Non scaricare la crisi sui lavoratori»
16/10/2016 Gazzetta del Sud (ed. Reggio Calabria) Pagina 33
32
Pedà: «Non è colpa di Oliverio Nessun Governo ha fatto...
16/10/2016 Gazzetta del Sud (ed. Reggio Calabria) Pagina 34
ARISTIDE BAVA
La Calcementi torna in mano ai D' Agostino
16/10/2016 Giornale di Sicilia (ed. Agrigento) Pagina 25
16/10/2016 Giornale di Sicilia (ed. Messina­Catania) Pagina 30
37
«Considerata una bestia, così sono fuggita dall'...
16/10/2016 Giornale di Sicilia (ed. Siracusa­Ragusa) Pagina 22
39
Scafisti, maxi condanna da 166 milioni di euro
16/10/2016 Giornale di Sicilia (ed. Siracusa­Ragusa) Pagina 27
40
«È lo scafista»: fermato senegalese
16/10/2016 Giornale di Sicilia (ed. Trapani) Pagina 5
41
Servizio di pediatria a Lampedusa Intesa con la Fondazione...
16/10/2016 Giornale di Sicilia (ed. Trapani) Pagina 18
42
È stata recuperata e curata, Penelope ora è libera
15/10/2016 IlDiarioMetropolitano
45
I rifiuti di Milazzo finiscono in Bulgaria. A2A pronta per il...
16/10/2016 La Sicilia (ed. Enna) Pagina 40
47
segnalazioni al numero fax 095 253495 e­mail [email protected]
16/10/2016 La Sicilia (ed. Messina) Pagina 32
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All' àncora per tre giorni il panfilo "Guilty" a bordo decine di...
16/10/2016 La Sicilia (ed. Messina) Pagina 32
50
in breve
Arte antica in cambio di armi Affari d' oro in Italia per l' asse fra Isis...
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La «Adriatica» ha lasciato il porto
16/10/2016 La Stampa Pagina 8
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DOMENICO QUIRICO
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Gazzetta del Sud
Autorità portuali
Lo scirocco ha portato 6.000 metri cubi, il piccolo porto resta agibile
Sabbia negli approdi, risuona l' ennesimo
campanello d' allarme
Si rischia di perdere l' uso di un molo, e l' iter del porto procede lento
Alessandro Tumino Un' altra sequela di giorni
di scirocco come quella attuale, o peggio una
violenta sciroccata, e la conseguenza
pressocché certa sarà la parziale chiusura
degli approdi di Tremestieri.
Accadrà, in tal caso, che la striscia sabbiosa
apparsa con tutta evidenza ieri mattina,
diverrà la solita "spiaggetta" da incubo che
dimezza lo smaltimento dei tir nel piccolo
porto d' emergenza.
"Cronaca di un insabbiamento annunciato",
per parziale che sia, così potrebbe intitolarsi l'
ennesima telenovela autunnale degli approdi
d' emergenza. Un copione che chiunque
saprebbe riscrivere: la solita striscia sabbiosa
che si produce all' interno del bacino, attaccata
alla diga, il dragaggio preventivo non
autorizzato dalla Regione e non eseguito dall'
Autorità portuale, ed alla seconda o alla terza
"mazzata" inferta dallo scirocco, prevedibile
pure da un bambino, ecco centinaia di Tir
torneranno ogni giorno sul viale Boccetta. E il
coro dei sospettosi leverà la sua voce, ed
affermerà che nulla di tutto ciò ai piani alti è
casuale, e che questi approdi ­ per quanto
fragili e malnati ­ proprio non li si vuole fare
funzionare bene.
Lasciando perdere la dietrologia, appare certo
che non v' è più nulla di oscuro, d' imprevedibile. Tutto ormai è certificato, calcolato, anticipato al meglio
grazie alla collaborazione scientifica che l' Autorità portuale e il Comune hanno attivato con la grande
società danese Dhi in merito al calcolo matematico delle correnti e del trasporto dei sedimenti. Che sul l'
attuale "contenuto" insabbiamento ha già definito le quantità quasi al grammo. Sono 6.000 metri cubi. L'
insufficienza della diga protettiva degli approdi rispetto al moto ondoso sprigionato dallo scirocco (e
meno male che fu allungata di 50 metri con variante in corso d' opera!
) è ormai una certezza su cui potrebbero farsi tesi di laurea. Solo che, anche stavolta, a Tremestieri, si
rischia d' arrivare in ritardo.
Il caso potrebbe essere ancora disinnescato visto che l' Authority diversi mesi fa ha già aggiudicato una
gara per un dragaggio preventivo di 60.000 metri cubi (120.000 euro) e visto che l' assessore regionale
messinese Maurizio Croce ha dato più volte rassicurazioni per una celere procedura da parte degli
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Autorità portuali
uffici. Impegno che ogni volta deve misurarsi con i tempi delle analisi delle solite sabbie sempre uguali
e delle varie burocrazie. Ma adesso serve che tutti giochino d' anticipo.4.
ALESSANDRO TUMINO
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Autorità portuali
Se ne è discusso durante la "due giorni" promossa dall' Università di Messina
Beni culturali, la nostra "miniera"
Gli interventi del presidente dell' Ars Ardizzone e dell' assessore Vermiglio
Rachele Gerace I beni culturali costituiscono
ancora oggi una risorsa poco valorizzata. Le
strategie e le politiche d' intervento nel settore
culturale messe in atto finora in Italia non sono
state in grado di garantire una reale ricaduta
economica. È indispensabile, pertanto una
progettualità che metta a sistema competenze
e forze istituzionali. Questo quanto è emerso
dal convegno di studi su "Patrimonio culturale,
modelli organizzativi e sviluppo territoriale",
tenutosi nei locali del Rettorato, che s'
inquadra nell' ambito delle attività del Master
di I livello in Management turistico ­culturale,
diretto dal professor Francesco Astone. Un'
idea nata dalla collaborazione dei dipartimenti
universitari di Giuriprudenza e Scienze
politiche, diretti dai professori Giancarlo De
Vero e Giovanni Moschella.
In apertura di convegno, venerdì mattina, sono
intervenuti l' on. Giovanni Ardizzone,
presidente dell' Ars e l' avv. Carlo Vermiglio,
assessore regionale ai Beni culturali.
Ardizzone ha richiamato l' esigenza primaria
che la Sicilia ha di intercettare il flusso
turistico, creando una rete che includa tutti gli
elementi patrimoniali territoriali e culturali che
la regione possiede. Per quanto riguarda
Messina, nonostante alcune peculiarità
culturali come i due dipinti di Caravaggio al Museo regiona le, ha sottolineato la mancanza di un
attrattore turistico primario che, in un futuro prossimo, potrebbe essere rappresentato dal polo eco ­
culturale d' eccellenza della penisola di S. Raine rie dalla Cittadella della cultura che sorgerà nel sito
dell' ex ospedale Margherita. In sintonia d' intenti, l' assessore Vermiglio ha definito la Sicilia "porto
sicuro per i turisti", rimarcando l' unicità del territorio siciliano per la posizione geografica e gli aspetti
climatici, ma soprattutto per il patrimonio culturale invidiato in tutto il mondo.
Il processo d' industrializzazione culturale in Italia ha avuto una dinamica diversa rispetto al resto del
mondo. La perce zione delle nuove forme di consumo di tipo esperienziale, rimanda al concetto di un
mercato legato alla fruizione del singolo bene più che alla sua essenza. Un tema affrontato nel dibattito
tenutosi sabato mattina e moderato dal professore Marco Centorrino, con la presenza di diversi soggetti
istituzionali. L' ingegnere Francesco Di Sarcina, segretario generale dell' Autorità portuale ha parlato dei
nodi legati al turismo crocieristico e alla percezione "mordi e fuggi" generata dalla mancanza di un'
esatta messa a punto dei modelli di offerta turistica. In Sicilia, infatti, c' è un' offerta frammentata e auto
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Autorità portuali
referenziale: manca un model lo di governance di sistema che leghi gli eventi ai territori, ha detto Filippo
Grasso, delegato dell' Assessorato regionale al turismo. Sinergia e competenza, dunque, sono alla
base di un servizio da rendere alla collettività per incentivare la fruizione dei beni culturali visti come
risorsa e non come onere: questo è il parere del direttore del Polo regionale di Messina per i siti
culturali, Caterina Di Giacomo.
Una politica culturale di successo, attenta al territorio e ai singoli soggetti, dunque, necessita di
investimenti per ottenere quella pluralità di competenze che fino ad oggi l' Italia non ha avuto, ha
concluso la professoressa Daniela Rupo.3.
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Autorità portuali
Strada Asi di Giammoro: il vertice tra Autorità portuale, ex Provincia e Amministrazioni
Possibile passaggio ai Comuni
L' Irsap non può assicurare la manutenzione; condizioni di estremo pericolo
Giovanni Petrungaro PACE DEL MELA
Passerà da una conferenza di servizi il futuro
della strada Asi di Giammoro. È quanto
emerso a conclusione dell' incontro promosso
dall' Autorità portuale con i rappresentanti
della Città metropolitana e gli amministratori
del comprensorio. Ancora una volta assente l'
Irsap che ha la competenza sull' arteria e che
nelle scorse settimane, denunciando le
condizioni di potenziale pericolo per la
pubblica incolumità dovuto alle precarie
condizioni strutturali e igieni co ­sanitarie in cui
versa l' Asse viario, ha comunicato a tutte le
Amministrazioni l' intendimento di valutare l'
opportunità dell' eventuale interdizione al
transito delle vie di comunicazione in esame.
Nell' evidenziare la gravità di queste
affermazioni, il commissario straordinario De
Simone, ha sottolineato come già da tempo
fosse intendimento dell' Authority porre in
essere i necessari interventi di messa in
sicurezza del tratto stradale di competenza
dell' ente. «Ciononostante ­ ha detto ­ in
conseguenza della impossibilità di giungere
ad una soluzione condivisa con l' Irsap, l'
Autorità portuale non è stata messa nelle
condizioni di poter disporre l' avvio delle
procedure di gara finalizzate all' affidamento
degli interventi. Abbiamo comunque informato il prefetto».
Il sindaco di Pace del Mela, Pippo Sciotto ha manifestato «ampia disponibilità» a sostenere l'
iniziativapromossa dal commissario straordinario De Simone «per giungere finalmente all' effettiva
realizzazione degli interventi programmati, quantomeno in riferimento al tratto stradale di competenza
dell' Autorità portuale. Sulla stessa linea il pensiero dell' assessore di Milazzo, Damiano Maisano.
Quindi è toccato all' ing. Mobilia dell' Autorità portuale illustrare la tipologia di lavori previsti; interventi di
messa in sicurezza dell' area mediante la realizzazione di segnaletica stradale orizzontale e verticale, l'
installazione dì guardrail, l' esecuzione dì lavori di scerbatura. Non sarà invece prevista la realizzazione
dell' auspicato impianto di illuminazione. Il sindaco pacese ha anche rappresentato la disponibilità del
Comune ad acquisire, mediante concessione rilasciata dall' Autorità portuale, il tratto di strada in esame
una volta che l' Irsap ribadirà l' insussistenza di alcun interesse al mantenimento della gestione della
struttura viaria. Il commissario De Simone ha condiviso e sottolineato che tale procedura può avviarsi
attraverso una conferenza di servizi, al fine di risolvere in via definitiva la questione delle attività
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Autorità portuali
manutentive relative all' intero Asse viario. Un ruolo di coordinamento in tale processo potrebbe essere
assunto ­ è stato detto ­ dal prefetto e dalla Città metropolitana, trattandosi di un tratto stradale che
attraversa il territorio di più Comuni. Una proposta che l' ing. Chiofalo ha detto percorribile dando
disponibilità ad avviare ogni interlocuzione finalizzata alla sinergica gestione dell' intero Asse viario,
rappresentando, però, che un concreto impegno potrà essere assunto solo in seguito alla formazione
del nuovo bilancio dell' ente.3.
GIOVANNI PETRUNGARO
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Avvenire (Diocesane)
Cantieristica navale
«Misericordiæ Vultus», una mostra per far riflettere
DI LUCA ANELLI * Cani ovunque: per strada,
in taverna, in carcere, persino in chiesa e all'
ospedale. Un dettaglio che colpisce i visitatori
della mostra «Misericordiæ Vultus», al Museo
diocesano di Lodi, è la presenza costante di
cani in ogni scena. Quasi un elemento
unificante al pari ­ ovviamente ­ dei bisognosi,
veri protagonisti nelle sette tele delle opere di
misericordia, dipinte da Cornelis De Wael nel
1630. Forse è semplice descrizione: molti i
cani randagi che si aggiravano per città e
villaggi, specialmente nei tempi duri delle
pestilenze come quella degli anni in cui il
pittore fiammingo dipingeva.
Se nobili e borghesi ne ospitavano volentieri
nelle loro dimore, un gran numero di cani
vagabondava per le strade, in cerca di cibo
più che di affetto. L' aspetto descrittivo sembra
preponderante: nel «Dar da bere agli
assetati», eleganti cani da caccia
accompagnano i padroni accaldati che
nemmeno scendono da cavallo per ricevere un
po' d' acqua offerta dai frati di un convento.
E in «Alloggiare i pellegrini»: i cani, attratti da
qualche delizioso profumo, cercano ospitalità
in un' affollata locanda.
Le sette opere di misericordia sembrano utilizzare anche in senso simbolico la presenza degli animali: il
cane accovacciato accanto al collettore di offerte in «Visitare gli infermi» suggerisce la tipica fedeltà del
migliore amico dell' uomo, come pure la vigilanza del cagnetto che abbaia ai questuanti in «Vestire gli
ignudi». Peraltro, in questa tela, nessun cane si mette in fila per essere rivestito E poi si richiama il tema
biblico della povertà e del bisogno, le pennellate degli evangelisti che descrivono il povero Lazzaro alla
porta del ricco: «Erano i cani che venivano a leccare le sue piaghe» (Lc 16,21), e l' insistenza della
donna straniera che invoca la guarigione della figlia: «Eppure i cagnolini mangiano le briciole che
cadono dalla tavola dei loro padroni» (Mt 15,27).
Le letture «trasversali» delle tele sono molte: vi si potrebbe studiare l' abbigliamento di poveri e ricchi, o
l' architettura, manifestamente ispirata a costruzioni genovesi dell' epoca o, ancora, i ruoli sociali, con i
numerosi pellegrini di Santiago di Compostela o le ispirazioni artistiche che hanno guidato l' autore. In
ogni caso, i dipinti esaltano la carità cristiana, descritta fin dalla prima opera, «Dar da mangiare agli
affamati», ove la statua emblematica si invera nel gesto della donna che allatta il suo bambino: la
misericordia non è solo dare qualcosa, ma offrire se stessi per incontrare e soccorrere l' altro in
necessità.
Le opere messe a disposizione dal Banco Popolare rappresentano un mondo, Genova nel XVII secolo,
dove De Wael ebbe grande fortuna come pittore delle famiglie altolocate: cantieri navali, battaglie per
mare, porti gremiti di genti d' ogni provenienza, scene cittadine che inquadrano edifici gentilizi o scorci
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Avvenire (Diocesane)
Cantieristica navale
ove il popolino si accalca, in cerca di pane o in visita ai malati; ogni scena unisce poveri e ricchi nella
necessità e nel compiere opere buone. Il felice recupero al piacere dei visitatori di una delle poche serie
integre delle opere di misericordia offre un approccio peculiare al tema del Giubileo.
Insieme alle quattro tele sulla Parabola del Figliol prodigo si possono vedere, fino al 30 ottobre, al
Museo diocesano, sistemato e riaperto per l' occasione.
* direttore del Museo diocesano Al Museo diocesano, sistemato e riaperto per l' occasione, fino al 30
ottobre Alloggiare i pellegrini, uno dei dipinti della mostra.
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Il Fatto Quotidiano
Cantieristica navale
La protesta
Guerra tra poveri nel porto fantasma di Gioia Tauro
Dopo l' annuncio dei 442 esuberi dalla Mct, i lavoratori hanno scioperato per 50 ore
bloccando le navi container contro l' azienda che esternalizza. Governo assente
Cinquanta ore di blocco.
Più di 400 lavoratori che rischiano di essere
licenziati entro dicembre. Usato per decenni
come strumento clientelare della politica e
come "depandance della 'ndrangheta" (scrive
la Direzione nazionale antimafia, ndr), in questi
giorni il porto di Gioia Tauro fa da sfondo a
una delle bombe sociali più pericolose della
Calabria. Ieri notte il blocco è stato sospeso, i
portuali hanno ripreso a lavorare e le navi
container hanno ricominciato ad attraccare di
nuovo nel porto commerciale più importante
del Mediterraneo.
L' ennesima riunione tra i sindacati e i vertici
del terminalista Medcenter (Mct) ha partorito
uno striminzito verbale secondo cui l' azienda
"si impegna a effettuare un approfondito
riesame della situazione considerando gli
aspetti del lavoro sulla base dei volumi di
traffico".
Questo ha raffreddato gli animi dopo la
minaccia di avviare la procedura di mobilità
per 442 dipendenti. Comunque è troppo poco
per scongiurare il licenziamento dei portuali
con buona pace degli impegni che Mct aveva
assunto a luglio con i sindacati, la Regione
Calabria e i ministeri del Tesoro e delle
Infrastrutture.
Il servizio è ripreso dopo due giorni di paralisi
totale dello scalo.
Non senza difficoltà per Cgil, Cisl, Uil e Sul. Per molti, infatti, è l' ennesima dimostrazione di come il
terminalista in Calabria sembra fare il bello e il cattivo tempo.
L' ufficio stampa dell' azienda fa sapere che non intende commentare la situazione che la stessa Mct ha
contribuito a creare assumendo nel 2011, in piena crisi, circa 300 dipendenti prima a tempo determinato
e poi con contratti definitivi, in seguito alla decisione del giudice del lavoro di Palmi.
Oggi quegli stessi dipendenti rischiano di essere licenziati mentre buona parte del lavoro che
potrebbero svolgere all' interno del porto di Gioia Tauro negli anni è stato esternalizzato dalla
Medcenter e affidato ad altre aziende che, a loro volta, hanno assunto personale.
Fare un passo indietro, a questo punto, significherebbe che saranno le ditte che lavorano con Mct ad
avviare i licenziamenti: una guerra tra poveri in una delle Regioni con il più alto tasso di disoccupazione.
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Il Fatto Quotidiano
Cantieristica navale
E intanto politici regionali e nazionali stanno dimostrando tutta la loro incapacità non riuscendo neanche
a trattare alla pari con la Medcenter che, da oltre 5 anni, ha fatto ricorso alla cassa integrazione "a
rotazione" per far fronte alla crisi che, dal 2008 a oggi, ha visto una riduzione del volume dei container in
transito da Gioia Tauro.
L' accordo di programma quadro prevede l' istituzione di un' Agenzia del lavoro, dove i portuali in
esubero saranno "parcheggiati" in attesa di essere formati e riconvertiti in altre attività funzionali allo
scalo, come la cantieristica navale (con la realizzazione del bacino di carenaggio), il gateway ferroviario
(l' appalto è stato già assegnato ma dei lavori ancora neanche l' ombra) e tutta una serie di iniziative che
possono nascere con un piano di utilizzo del retroporto. L' accordo però, al momento, è solo sulla carta.
Per i lavoratori, infatti, "l' Agenzia è l' anticamera del licenziamento. Come facciamo a credere a chi ha
promesso mari e monti per una zona industriale del porto di Gioia Tauro che di fatto non esiste?".
Nella migliore delle ipotesi i sindacati riescono a convincere l' azienda a ridurre gli esuberi.
Ma i licenziamenti saranno, comunque, qualche centinaio. E qui si consuma l' altro capitolo della guerra
tra poveri. "Siamo noi ­ si sfoga un giovane operaio assunto nel 2011 ­ che spostiamo i container e non
possiamo essere considerati esuberi. Pretendiamo meritocrazia nella scelta di chi licenziare. Siamo noi
la forza produttiva e se andiamo via il porto si ferma".
"La mancanza di occupazione è dovuta al fatto che dietro il porto non c' è una zona industriale o un
sistema di logistica come avviene da altre parti. ­ aggiunge il segretario generale della Cgil Nino
Costantino ­. Questo è il deficit di chi ha governato in questi 10 anni il Paese e la Regione Calabria".
Un dipendente di Mct sbotta: "Dov' è la politica qui? Avete visto un ministro che protesta con noi?".
Nell' estate del 2014 era venuto il ministro dell' Ambiente Gianluca Galletti, ma all' epoca serviva a
tenere buoni gli operai per il trasbordo delle armi chimiche provenienti della Siria. Una visita
accompagnata da un tweet del premier Matteo Renzi: "Reggio Calabria. Tribunale, porto di Gioia Tauro,
mantenimento posti di lavoro Finmeccanica, cantieri in dissesto e scuole. #italiariparte".
LUCIO MUSOLINO
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16 ottobre 2016
Pagina 44
L'Espresso
Cantieristica navale
L' industria non c' è più
la data clou non è ancora fissata ma a Cassino, nello
stabilimento Fiat che un tempo sfornava modelli popolari
come la 131 o la Ritmo, se l' aspettano per fine novembre.
In gergo lo chiamano "Job One": è l' esemplare numero
uno che uscirà dalla catena di montaggio del primo Suv
nella storia dell' Alfa Romeo, nome in codice Stelvio, nome
definitivo chissà. I lavoratori trattengono il fiato, perché il
rilancio della casa del biscione da parte del gruppo Fiat­
Chrysler (Fca) è un passo fondamentale per far tornare
stabilmente l' Italia nel mondo dei produttori di auto,
scongiurando l' ennesimo tracollo del sistema produttivo.
«Se tutto va bene, con l' avvio del secondo turno di lavoro
sulla nuova Giulia e l' inizio della produzione del Suv, da
gennaio a Cassino finalmente sarà riassorbita la
solidarietà. Un buon segnale, che conferma i progressi
degli ultimi tempi», dice Ferdinando Uliano, segretario
nazionale dei metalmeccanici Cisl. L' obiettivo che Uliano
ha in testa è questo: nel 2016, se i ritmi attuali terranno fino
a dicembre, la produzione di veicoli in Italia dovrebbe
tornare sopra la soglia di un milione l' anno.
È tanto, è poco. Tanto perché non accadeva dal 2008, l'
ultima volta sopra quota un milione. E anche perché nell'
anno più buio per l' automobile made in Italy ­ il 2013 ­ il
conteggio si fermò addirittura a 595 mila unità, un dramma.
Allo stesso tempo è poco. Perché la ripresa, e la strategia
di Fca di costruire qui vetture di fascia alta come Alfa, Jeep
e Maserati, che possono generare un valore aggiunto più
elevato, non appare sufficiente a cambiare il segno di un
fenomeno preoccupante: l' industria italiana, quella delle
fabbriche e delle tute blu, non crea più lavoro. Basta
guardare i dati pubblicati in queste pagine per toccare con
mano uno dei motivi per cui l' anno scorso altri 39 mila
giovani ­ molti laureati, tanti dalle regioni del Nord ­ hanno
deciso di lasciare l' Italia, come racconta l' ultimo rapporto
della Fondazione Migrantes. Un quarto di secolo fa il
principale gruppo metalmeccanico nazionale, la Fiat, dava
lavoro in patria a 237 mila persone, su un totale di 303 mila
nel mondo. Nel 2015 il numero complessivo è identico,
sempre 303 mila, ma lo è soltanto grazie alle acquisizioni
all' estero, a cominciare dall' americana Chrysler. Oggi le attività industriali della famiglia Agnelli, le
auto, i camion, i trattori, raggruppate sotto la holding Exor, contano 100 mila addetti in Nord America, 53
mila in America Latina, 84 mila in Italia e il resto in giro per il mondo.
In venticinque anni, dunque, in Italia solo la Fiat ha visto svanire oltre 152 mila posti di lavoro,
aumentandoli invece enormemente all' estero. Merita ancora un' occhiata la tabella qui sotto: l' azienda
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16 ottobre 2016
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L'Espresso
Cantieristica navale
con il maggior numero di dipendenti, oggi, sono le Poste Italiane. Che puntano tutto sui risparmi
depositati dai clienti al BancoPosta e probabilmente non sono più la fabbrica di poltrone sognata dai
fanatici del posto fisso "a prescindere", come il personaggio di Checco Zalone nel film "Quo vado?".
Ma certamente restano ancora lontane dal diventare il motore della digitalizzazione del Paese, com' è
avvenuto altrove.
La scomparsa delle manifatture non è un fenomeno solo italiano ma colpisce tutto l' Occidente. Uno dei
simboli è certamente Detroit, la capitale dell' auto americana, che con la crisi vissuta nei primi anni
Duemila ha visto la popolazione dimezzarsi, le scuole professionali che un tempo sfornavano i tecnici
per General Motors, Ford, Chrysler, ridursi a scheletri di cemento, le villette dei sobborghi finire
soffocate dalle erbacce, il municipio dichiarare bancarotta. Anche nelle città italiane, però, la chiusura
degli stabilimenti ha lasciato ovunque ferite più o meno estese, al punto che nemmeno Milano, la più
dinamica fra le nostre metropoli, dove la mutazione verso il commercio e i servizi è iniziata prima, è
riuscita a rimarginarle del tutto. Un po' di numeri: nel 1990 l' industria dava lavoro a 5,8 milioni di italiani;
dieci anni più tardi era scesa a 5,1 milioni. Con l' inizio del nuovo millennio le cifre hanno ballato su e giù
per un po', mostrando addirittura un lieve aumento nel biennio precedente la crisi del 2008. Con la
recessione, però, è arrivato un nuovo collasso, ancora più profondo: nel 2014 gli addetti dell' industria
erano scesi ormai a 4,5 milioni, un numero rimasto fermo anche nel 2015, quando nell' intero Paese l'
occupazione è tornata a crescere. Nei primi sei mesi del 2016 la musica non è cambiata, anzi: il numero
degli occupati nell' industria è sceso ­ anche se di pochissimo ­ sotto la soglia dei 4,5 milioni, mentre nel
complesso dell' economia i posti di lavoro rilevati dall' Istat sono aumentati di 222 mila unità. Difficile
che le cose possano cambiare molto entro la fine dell' anno, nonostante l' aumento registrato in agosto
dalla produzione industriale (+4,1 per cento su base annua).
più commessi che operai Giuseppe Berta, uno dei più noti storici dell' industria nonché collaboratore de
"l' Espresso", ha pubblicato pochi giorni fa il saggio "Che fine ha fatto il capitalismo italiano?" (il Mulino).
Alla domanda del titolo, nel libro Berta risponde in modo articolato e complesso. Tuttavia, ammette lui
stesso in un passaggio, guardando «l' architettura storica del sistema delle imprese» la conclusione più
immediata sarebbe dire che, semplicemente, il capitalismo italiano «non esiste più». La stessa
suggestione si può trarre mettendo a confronto i dati elaborati nelle due classifiche qui sotto, che
riportano la "Top ten" delle imprese con più occupati in Italia, com' era nel 1990 e com' è diventata un
quarto di secolo più tardi, nel 2015. L' effetto è dirompente.
Detto della Fiat, nelle prime posizioni ci sono le Poste e le Ferrovie dello Stato, che nel 1990 non erano
nemmeno società per azioni e che ancora oggi restano saldamente nelle mani dello Stato. Sono
scomparsi quasi del tutto due colossi industriali privati com' erano Olivetti e Montedison, ma sono
scivolati fuori classifica anche altri operatori che un tempo davano lavoro a decine di migliaia di
persone, Ilva, Alitalia, Fincantieri.
La prima, passata per la privatizzazione e la gestione della famiglia Riva, è ora commissariata per i
danni ambientali causati a Taranto, aggrappata a una vendita che slitta di volta in volta. Alitalia fatica a
trovare un rilancio nonostante sia stata radicalmente ridimensionata e abbia accolto in plancia di
comando gli emiri di Etihad. Fincantieri è sempre controllata dallo Stato, attraverso la Cassa depositi e
prestiti, e conserva il baricentro in Italia, ma agli otto cantieri navali sul territorio nazionale ne affianca
ormai cinque in Norvegia, tre negli Stati Uniti, due in Romania, altrettanti in Brasile e uno in Vietnam.
Risultato: fra il 1990 e il 2015 i dipendenti sono cresciuti un po', da 20.623 a 21.120. Prima però erano
tutti in Italia; ora ne è rimasto appena uno su tre.
Per una nazione che ha costruito ogni slancio sull' export, non è un bel segnale nemmeno la pochissima
industria che c' è tra le new entry. Hanno fatto il loro ingresso i supermercati, con il gigante del sistema
cooperativo ­ la Coop ­ che è ormai il quarto datore di lavoro tricolore, seguito in nona posizione dall'
Esselunga dei Caprotti. Ed è entrata la famiglia Benetton, con la holding Edizione. Anche qui, però, c'
entrano poco i maglioncini che avevano proiettato Luciano e i suoi fratelli al vertice dell' industria tessile
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e dell' abbigliamento mondiale. Il grosso dei dipendenti, oltre 40 mila su un totale di quasi 65 mila, il
gruppo Edizione li conta infatti nel settore della ristorazione, dove i Benetton hanno debuttato
acquistando dallo Stato l' Autogrill, per allargarsi in tutto il globo con 250 marchi diversi, dalla cucina
asiatica dei ristoranti Pei Wei alle birrerie Gordon Biersch.
Poi seguono le concessioni autostradali e aeroportuali, anche quelle acquisite via privatizzazione, con
14.600 dipendenti.
Ultimo arriva l' abbigliamento, che occupa 9.164 persone. Nel complesso, però, i lavoratori italiani sono
poco più di uno su tre, sul totale dei 65 mila nel mondo. Mentre i Benetton si muovono sempre più da
investitori finanziari, puntando su settori meno rischiosi, lontani dalle frontiere dell' industria.
quei giganti smantellati dalle lobby Italia, abbiamo un problema, verrebbe dunque da dire. I motivi dell'
arretramento dei posti di lavoro creati dal sistema manifatturiero sono vari. Alcuni toccano noi come gli
altri Paesi.
Fulvio Coltorti, a lungo direttore dell' Area Studi di Mediobanca e oggi professore di Storia economica
all' Università Cattolica di Milano, indica tra gli altri il progresso delle tecnologie, l'
internazionalizzazione, la frantumazione delle fasi produttive che un tempo venivano realizzate all'
interno della stessa fabbrica, e che oggi sono affidate a terzi, magari in Paesi dove la manodopera
costa meno. A questi affianca però problemi più caratteristici del nostro sistema, come ad esempio «l'
incapacità italiana di gestire le grandi imprese e i metodi di governo societario che richiedono». Gli
esempi possibili sono potenzialmente infiniti, dalla crisi dell' Alitalia allo smembramento della
Montedison post Ferruzzi, causato dalla scalata favorita dalla Fiat per scopi puramente speculativi,
mentre un caso particolare è quello dell' industria pubblica che un tempo faceva capo all' Iri, sul quale
concentrano la loro attenzione sia Coltorti che Berta.
Scorrendo le due "top ten", quella del 1990 e quella del 2015, balza infatti agli occhi un altro fattore
cruciale. Tra i big italiani, infatti, l' industria di Stato resta dominante oggi come allora. In termini di
occupati, però, tutti i gruppi hanno fatto marcia indietro. C' è il progresso tecnologico, e c' è la ricerca di
maggiore efficienza indotta dal fatto che molte aziende sono state aperte a capitali terzi, attraverso la
quotazione in Borsa. «Ma conta anche il dimagrimento imposto dalle lobby private, che puntavano a
occupare spazi di mercato e spingevano perché i gruppi statali cedessero parte delle loro attività», dice
Coltorti. Con il paradosso che poi, quando l' uscita dello Stato è avvenuta, come nel caso di Telecom
Italia, le famiglie del capitalismo italiano non sono state in grado di assumerne la gestione, e i gioielli
dell' Iri sono finiti in mani straniere. Anche Berta indica nella progressiva uscita di scena dello Stato­
padrone il punto di non ritorno per molti dei giganti che un tempo assorbivano più manodopera: «I dati
dimostrano che, in Italia, gli investimenti più massicci sono sempre stati fatti dalla mano pubblica.
Quando il duopolio fra l' industria di Stato e le grandi famiglie è venuto meno, perché la prima è andata
dissolvendosi e le seconde hanno venduto le loro attività, il nostro modello produttivo ­ che
rappresentava un vero e proprio sistema di economia mista ­ è stato definitivamente disarticolato, senza
che fosse pronto un modello alternativo», spiega lo storico.
Un fatto importante, sottolineato ancora da Coltorti. La perdita di occupati che ha colpito quasi tutti i big
italiani, considerando sia i posti in patria che quelli all' estero, non è un dato scontato. In diversi gruppi
stranieri, infatti, la storia si è mossa in maniera opposta. Coltorti vi aveva dedicato uno studio qualche
anno fa, quindi i numeri possono essere un po' vecchiotti. Ma il senso non cambia. La tedesca
Volkswagen nel 1993 aveva 260 mila dipendenti, che nel 2009 erano saliti a 376 mila. La Siemens nello
stesso periodo aveva tenuto botta, restando sempre sopra la soglia dei 400 mila. Un altro gigante
tedesco della componentistica, Bosch, era salito da 165 a 271 mila, mentre gli pneumatici Continental
avevano più che raddoppiato, salendo da 50 a 133 mila addetti. Il colosso alimentare svizzero Nestlé
era passato da 214 a 278 mila, la multinazionale francese del vetro Saint Gobain da 96 a 199 mila.
il padrone? a formentera Certamente molti altri gruppi, anche esteri, hanno ridotto le loro dimensioni
com' è avvenuto qui. Ma quello che colpisce, in Italia, è soprattutto il fatto che dal basso non sia emerso
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nessun attore industriale di peso, capace di occupare gli spazi liberati dai big in disarmo o di sfruttare le
occasioni offerte dallo sviluppo di molti nuovi mercati , un tempo inesistenti. Le patologie dei "top ten" di
un tempo, dunque, erano presenti anche nei gruppi di taglia inferiore. Marco Tronchetti Provera ha
venduto il controllo della Pirelli al gruppo statale cinese Chemchina, la famiglia Pesenti l' Italcementi alla
tedesca HeidelbergCement e gli eredi Merloni la storica Indesit all' americana Whirlpool, facendo
scomparire l' ultimo grande produttore italiano di elettrodomestici, un comparto che un tempo pullulava
di dinastie imprenditoriali, da Zoppas a Zanussi.
«Sono centinaia i casi di crisi del capitalismo di seconda generazione, dove i figli dei fondatori non sono
stati in grado di portare avanti le aziende dei padri», dice il segretario generale dei metalmeccanici
della Cisl, Marco Bentivogli. Ne racconta uno, emblematico: «Mi ricordo il momento durissimo di un'
acciaieria del Nord Italia, seguito alla scomparsa del proprietario. Mi creda, per portare il figlio al tavolo
delle trattative siamo andati a prenderlo in spiaggia a Formentera».
In un suo recente libro, intitolato "Abbiamo rovinato l' Italia?" (Castelvecchi editore), Bentivogli cita i dati
di uno degli indicatori più importanti della salute generale dell' industria, la domanda mondiale d'
acciaio, messi a confronto con i profitti che gli imprenditori si sono distribuiti sotto forma di dividendi:
«Ebbene, negli anni che vanno da 2005 al 2007, quando l' economia tirava ma si stavano per
manifestare gli effetti più duri della globalizzazione, gli imprenditori italiani invece d' investire per
fronteggiare la concorrenza hanno pensato soprattutto al benessere delle proprie famiglie», spiega il
sindacalista, che rintraccia in fenomeni come questo il motivo della crisi di produttività delle imprese
italiane. Dice: «Si parla sempre dei salari, che però in media pesano soltanto per il 15 per cento sull'
indicatore che misura la produttività, il costo del lavoro per unità di prodotto. Quello che è mancato
davvero, in Italia, sono stati gli investimenti, la capacità di dare alle imprese una migliore
organizzazione, la formazione del personale. Guardi la Fiat di Cassino: soltanto l' adozione di un'
organizzazione in linea con i principi della "World class manufacturing" ha reso possibile l' utilizzo di
tecnologie che hanno richiesto forti investimenti, dando un futuro allo stabilimento».
il trionfo della classe media Torniamo alla classifica, e guardiamo sotto la decima posizione. Quando c'
è da citare un esempio di successo di un' azienda che da piccola si è fatta grande, il primo caso che
viene in mente è quasi sempre quello della Luxottica di Leonardo Del Vecchio. Nel 1990 aveva 2.605
dipendenti, oggi ne conta 78.933. Mica male, verrebbe da dire. Studiando i numeri da vicino, si può
però osservare che questa crescita esponenziale ha toccato in misura marginale l' Italia. Ben 42.313 dei
suoi addetti, l' azienda specializzata nella produzione e nella vendita di occhiali li ha infatti in Nord
America, 18.31 in Asia e nel Pacifico. Perché? Il motivo è che nello stabilimento bellunese di Agordo e
negli altri cinque impianti italiani Luxottica produce, mentre al di là dell' Atlantico e in Oriente vende
attraverso una serie di negozi che ha acquisito o sviluppato nel tempo, 4.458 dei quali in Nord America,
330 in Cina e a Hong Kong, 878 tra l' Asia e il Pacifico, soprattutto in Australia e Nuova Zelanda.
Benissimo per le fabbriche italiane e per quelle straniere (in Cina, in India, in Brasile, negli Stati Uniti)
ma è chiaro che, dal punto di vista occupazionale, l' impatto sulla patria d' origine resta piuttosto
limitato. Molto interessante anche un altro esempio, quello della veronese Calzedonia, un gruppo nato
nel 1986, soltanto quattro anni prima della nostra top ten di un quarto di secolo fa. Ebbene, pochi sanno
che l' azienda presieduta da Sandro Veronesi, proprietaria anche di marchi come Intimissimi e Tezenis,
ha ormai 32.382 dipendenti, 1.677 assunti nell' anno dell' ultimo bilancio disponibile, relativi al 2015. Il
gruppo produce i suoi capi di abbigliamento ­ biancheria, lingerie, costumi da bagno ­ all' estero, in
particolare in Sri Lanka, Croazia e Serbia, poi li vende nei negozi monomarca, diffusi in mezzo mondo.
Così in Italia, la patria d' origine, i dipendenti sono solo una fettina del totale, circa 3.300.
Se Luxottica e Calzedonia sono ormai nomi conosciuti, va detto che molte delle medie aziende che
costituiscono l' ossatura dell' industria italiana non hanno nemmeno l' interesse di aumentare in maniera
radicale le loro dimensioni di scala. «Essendo molto specializzate, se escono dal business che
conoscono meglio rischiano di perdere la loro presenza sul mercato», spiega il professor Berta,
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sottolineando che in questa "tara dimensionale" pesa molto anche la scarsa propensione delle famiglie
proprietarie e dei manager a condurre aggregazioni. I nomi di questi gioielli imprenditoriali sono
numerosi: ci sono i freni Brembo, i collanti della Mapei, i macchinari della Ima, solo per limitarsi ai più
citati. Eppure, anche se non hanno mai smesso di crescere, dal punto di vista dell' occupazione non
possono essere poche eccellenze a dare le risposte che servono all' Italia.
Un po' di speranza, piuttosto, potrebbe venire dalla rivoluzione chiamata Industria 4.0. È un processo di
digitalizzazione della produzione, che porta i macchinari a interagire direttamente fra loro e con le altre
funzioni dell' azienda, dal marketing alla forza vendite, nel nome di una flessibilità estrema delle diverse
fasi produttive. Il lato positivo è che i vantaggi di scala delle grandi fabbriche e del basso costo del
lavoro vengono meno, e che questo potrebbe favorire il rientro in Italia di molte produzioni in passato
delocalizzate nei Paesi più poveri. Ma ci sono molte incognite, a cominciare dal fatto che bisogna
investire in centri ricerca, competenze professionali, reti digitali e quant' altro. il governo si è mosso, con
un piano ad hoc proposto dal ministro dello Sviluppo Economico, Carlo Calenda. Ma la sfida è
colossale, perché l' industria cambierà in maniera molto profonda nel giro di pochi anni. Guai a
muoversi in ritardo. n Inchiesta Addio al lavoro Negli ultimi 25 anni Fiat, Eni e Telecom hanno perso due
terzi dei dipendenti in Italia. Come loro, tutti gli altri big. E dopo è rimasto solo il vuoto I maggiori datori
di lavoro in Italia nel 2015...
LUCA PIANA
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L' industria non c' è più
la data clou non è ancora fissata ma a Cassino, nello
stabilimento Fiat che un tempo sfornava modelli popolari
come la 131 o la Ritmo, se l' aspettano per fine novembre.
In gergo lo chiamano "Job One": è l' esemplare numero
uno che uscirà dalla catena di montaggio del primo Suv
nella storia dell' Alfa Romeo, nome in codice Stelvio, nome
definitivo chissà. I lavoratori trattengono il fiato, perché il
rilancio della casa del biscione da parte del gruppo Fiat­
Chrysler (Fca) è un passo fondamentale per far tornare
stabilmente l' Italia nel mondo dei produttori di auto,
scongiurando l' ennesimo tracollo del sistema produttivo.
«Se tutto va bene, con l' avvio del secondo turno di lavoro
sulla nuova Giulia e l' inizio della produzione del Suv, da
gennaio a Cassino finalmente sarà riassorbita la
solidarietà. Un buon segnale, che conferma i progressi
degli ultimi tempi», dice Ferdinando Uliano, segretario
nazionale dei metalmeccanici Cisl. L' obiettivo che Uliano
ha in testa è questo: nel 2016, se i ritmi attuali terranno fino
a dicembre, la produzione di veicoli in Italia dovrebbe
tornare sopra la soglia di un milione l' anno.
È tanto, è poco. Tanto perché non accadeva dal 2008, l'
ultima volta sopra quota un milione. E anche perché nell'
anno più buio per l' automobile made in Italy ­ il 2013 ­ il
conteggio si fermò addirittura a 595 mila unità, un dramma.
Allo stesso tempo è poco. Perché la ripresa, e la strategia
di Fca di costruire qui vetture di fascia alta come Alfa, Jeep
e Maserati, che possono generare un valore aggiunto più
elevato, non appare sufficiente a cambiare il segno di un
fenomeno preoccupante: l' industria italiana, quella delle
fabbriche e delle tute blu, non crea più lavoro. Basta
guardare i dati pubblicati in queste pagine per toccare con
mano uno dei motivi per cui l' anno scorso altri 39 mila
giovani ­ molti laureati, tanti dalle regioni del Nord ­ hanno
deciso di lasciare l' Italia, come racconta l' ultimo rapporto
della Fondazione Migrantes. Un quarto di secolo fa il
principale gruppo metalmeccanico nazionale, la Fiat, dava
lavoro in patria a 237 mila persone, su un totale di 303 mila
nel mondo. Nel 2015 il numero complessivo è identico,
sempre 303 mila, ma lo è soltanto grazie alle acquisizioni
all' estero, a cominciare dall' americana Chrysler. Oggi le attività industriali della famiglia Agnelli, le
auto, i camion, i trattori, raggruppate sotto la holding Exor, contano 100 mila addetti in Nord America, 53
mila in America Latina, 84 mila in Italia e il resto in giro per il mondo.
In venticinque anni, dunque, in Italia solo la Fiat ha visto svanire oltre 152 mila posti di lavoro,
aumentandoli invece enormemente all' estero. Merita ancora un' occhiata la tabella qui sotto: l' azienda
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con il maggior numero di dipendenti, oggi, sono le Poste Italiane. Che puntano tutto sui risparmi
depositati dai clienti al BancoPosta e probabilmente non sono più la fabbrica di poltrone sognata dai
fanatici del posto fisso "a prescindere", come il personaggio di Checco Zalone nel film "Quo vado?".
Ma certamente restano ancora lontane dal diventare il motore della digitalizzazione del Paese, com' è
avvenuto altrove.
La scomparsa delle manifatture non è un fenomeno solo italiano ma colpisce tutto l' Occidente. Uno dei
simboli è certamente Detroit, la capitale dell' auto americana, che con la crisi vissuta nei primi anni
Duemila ha visto la popolazione dimezzarsi, le scuole professionali che un tempo sfornavano i tecnici
per General Motors, Ford, Chrysler, ridursi a scheletri di cemento, le villette dei sobborghi finire
soffocate dalle erbacce, il municipio dichiarare bancarotta. Anche nelle città italiane, però, la chiusura
degli stabilimenti ha lasciato ovunque ferite più o meno estese, al punto che nemmeno Milano, la più
dinamica fra le nostre metropoli, dove la mutazione verso il commercio e i servizi è iniziata prima, è
riuscita a rimarginarle del tutto. Un po' di numeri: nel 1990 l' industria dava lavoro a 5,8 milioni di italiani;
dieci anni più tardi era scesa a 5,1 milioni. Con l' inizio del nuovo millennio le cifre hanno ballato su e giù
per un po', mostrando addirittura un lieve aumento nel biennio precedente la crisi del 2008. Con la
recessione, però, è arrivato un nuovo collasso, ancora più profondo: nel 2014 gli addetti dell' industria
erano scesi ormai a 4,5 milioni, un numero rimasto fermo anche nel 2015, quando nell' intero Paese l'
occupazione è tornata a crescere. Nei primi sei mesi del 2016 la musica non è cambiata, anzi: il numero
degli occupati nell' industria è sceso ­ anche se di pochissimo ­ sotto la soglia dei 4,5 milioni, mentre nel
complesso dell' economia i posti di lavoro rilevati dall' Istat sono aumentati di 222 mila unità. Difficile
che le cose possano cambiare molto entro la fine dell' anno, nonostante l' aumento registrato in agosto
dalla produzione industriale (+4,1 per cento su base annua).
più commessi che operai Giuseppe Berta, uno dei più noti storici dell' industria nonché collaboratore de
"l' Espresso", ha pubblicato pochi giorni fa il saggio "Che fine ha fatto il capitalismo italiano?" (il Mulino).
Alla domanda del titolo, nel libro Berta risponde in modo articolato e complesso. Tuttavia, ammette lui
stesso in un passaggio, guardando «l' architettura storica del sistema delle imprese» la conclusione più
immediata sarebbe dire che, semplicemente, il capitalismo italiano «non esiste più». La stessa
suggestione si può trarre mettendo a confronto i dati elaborati nelle due classifiche qui sotto, che
riportano la "Top ten" delle imprese con più occupati in Italia, com' era nel 1990 e com' è diventata un
quarto di secolo più tardi, nel 2015. L' effetto è dirompente.
Detto della Fiat, nelle prime posizioni ci sono le Poste e le Ferrovie dello Stato, che nel 1990 non erano
nemmeno società per azioni e che ancora oggi restano saldamente nelle mani dello Stato. Sono
scomparsi quasi del tutto due colossi industriali privati com' erano Olivetti e Montedison, ma sono
scivolati fuori classifica anche altri operatori che un tempo davano lavoro a decine di migliaia di
persone, Ilva, Alitalia, Fincantieri.
La prima, passata per la privatizzazione e la gestione della famiglia Riva, è ora commissariata per i
danni ambientali causati a Taranto, aggrappata a una vendita che slitta di volta in volta. Alitalia fatica a
trovare un rilancio nonostante sia stata radicalmente ridimensionata e abbia accolto in plancia di
comando gli emiri di Etihad. Fincantieri è sempre controllata dallo Stato, attraverso la Cassa depositi e
prestiti, e conserva il baricentro in Italia, ma agli otto cantieri navali sul territorio nazionale ne affianca
ormai cinque in Norvegia, tre negli Stati Uniti, due in Romania, altrettanti in Brasile e uno in Vietnam.
Risultato: fra il 1990 e il 2015 i dipendenti sono cresciuti un po', da 20.623 a 21.120. Prima però erano
tutti in Italia; ora ne è rimasto appena uno su tre.
Per una nazione che ha costruito ogni slancio sull' export, non è un bel segnale nemmeno la pochissima
industria che c' è tra le new entry. Hanno fatto il loro ingresso i supermercati, con il gigante del sistema
cooperativo ­ la Coop ­ che è ormai il quarto datore di lavoro tricolore, seguito in nona posizione dall'
Esselunga dei Caprotti. Ed è entrata la famiglia Benetton, con la holding Edizione. Anche qui, però, c'
entrano poco i maglioncini che avevano proiettato Luciano e i suoi fratelli al vertice dell' industria tessile
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e dell' abbigliamento mondiale. Il grosso dei dipendenti, oltre 40 mila su un totale di quasi 65 mila, il
gruppo Edizione li conta infatti nel settore della ristorazione, dove i Benetton hanno debuttato
acquistando dallo Stato l' Autogrill, per allargarsi in tutto il globo con 250 marchi diversi, dalla cucina
asiatica dei ristoranti Pei Wei alle birrerie Gordon Biersch.
Poi seguono le concessioni autostradali e aeroportuali, anche quelle acquisite via privatizzazione, con
14.600 dipendenti.
Ultimo arriva l' abbigliamento, che occupa 9.164 persone. Nel complesso, però, i lavoratori italiani sono
poco più di uno su tre, sul totale dei 65 mila nel mondo. Mentre i Benetton si muovono sempre più da
investitori finanziari, puntando su settori meno rischiosi, lontani dalle frontiere dell' industria.
quei giganti smantellati dalle lobby Italia, abbiamo un problema, verrebbe dunque da dire. I motivi dell'
arretramento dei posti di lavoro creati dal sistema manifatturiero sono vari. Alcuni toccano noi come gli
altri Paesi.
Fulvio Coltorti, a lungo direttore dell' Area Studi di Mediobanca e oggi professore di Storia economica
all' Università Cattolica di Milano, indica tra gli altri il progresso delle tecnologie, l'
internazionalizzazione, la frantumazione delle fasi produttive che un tempo venivano realizzate all'
interno della stessa fabbrica, e che oggi sono affidate a terzi, magari in Paesi dove la manodopera
costa meno. A questi affianca però problemi più caratteristici del nostro sistema, come ad esempio «l'
incapacità italiana di gestire le grandi imprese e i metodi di governo societario che richiedono». Gli
esempi possibili sono potenzialmente infiniti, dalla crisi dell' Alitalia allo smembramento della
Montedison post Ferruzzi, causato dalla scalata favorita dalla Fiat per scopi puramente speculativi,
mentre un caso particolare è quello dell' industria pubblica che un tempo faceva capo all' Iri, sul quale
concentrano la loro attenzione sia Coltorti che Berta.
Scorrendo le due "top ten", quella del 1990 e quella del 2015, balza infatti agli occhi un altro fattore
cruciale. Tra i big italiani, infatti, l' industria di Stato resta dominante oggi come allora. In termini di
occupati, però, tutti i gruppi hanno fatto marcia indietro. C' è il progresso tecnologico, e c' è la ricerca di
maggiore efficienza indotta dal fatto che molte aziende sono state aperte a capitali terzi, attraverso la
quotazione in Borsa. «Ma conta anche il dimagrimento imposto dalle lobby private, che puntavano a
occupare spazi di mercato e spingevano perché i gruppi statali cedessero parte delle loro attività», dice
Coltorti. Con il paradosso che poi, quando l' uscita dello Stato è avvenuta, come nel caso di Telecom
Italia, le famiglie del capitalismo italiano non sono state in grado di assumerne la gestione, e i gioielli
dell' Iri sono finiti in mani straniere. Anche Berta indica nella progressiva uscita di scena dello Stato­
padrone il punto di non ritorno per molti dei giganti che un tempo assorbivano più manodopera: «I dati
dimostrano che, in Italia, gli investimenti più massicci sono sempre stati fatti dalla mano pubblica.
Quando il duopolio fra l' industria di Stato e le grandi famiglie è venuto meno, perché la prima è andata
dissolvendosi e le seconde hanno venduto le loro attività, il nostro modello produttivo ­ che
rappresentava un vero e proprio sistema di economia mista ­ è stato definitivamente disarticolato, senza
che fosse pronto un modello alternativo», spiega lo storico.
Un fatto importante, sottolineato ancora da Coltorti. La perdita di occupati che ha colpito quasi tutti i big
italiani, considerando sia i posti in patria che quelli all' estero, non è un dato scontato. In diversi gruppi
stranieri, infatti, la storia si è mossa in maniera opposta. Coltorti vi aveva dedicato uno studio qualche
anno fa, quindi i numeri possono essere un po' vecchiotti. Ma il senso non cambia. La tedesca
Volkswagen nel 1993 aveva 260 mila dipendenti, che nel 2009 erano saliti a 376 mila. La Siemens nello
stesso periodo aveva tenuto botta, restando sempre sopra la soglia dei 400 mila. Un altro gigante
tedesco della componentistica, Bosch, era salito da 165 a 271 mila, mentre gli pneumatici Continental
avevano più che raddoppiato, salendo da 50 a 133 mila addetti. Il colosso alimentare svizzero Nestlé
era passato da 214 a 278 mila, la multinazionale francese del vetro Saint Gobain da 96 a 199 mila.
il padrone? a formentera Certamente molti altri gruppi, anche esteri, hanno ridotto le loro dimensioni
com' è avvenuto qui. Ma quello che colpisce, in Italia, è soprattutto il fatto che dal basso non sia emerso
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Cantieristica navale
nessun attore industriale di peso, capace di occupare gli spazi liberati dai big in disarmo o di sfruttare le
occasioni offerte dallo sviluppo di molti nuovi mercati , un tempo inesistenti. Le patologie dei "top ten" di
un tempo, dunque, erano presenti anche nei gruppi di taglia inferiore. Marco Tronchetti Provera ha
venduto il controllo della Pirelli al gruppo statale cinese Chemchina, la famiglia Pesenti l' Italcementi alla
tedesca HeidelbergCement e gli eredi Merloni la storica Indesit all' americana Whirlpool, facendo
scomparire l' ultimo grande produttore italiano di elettrodomestici, un comparto che un tempo pullulava
di dinastie imprenditoriali, da Zoppas a Zanussi.
«Sono centinaia i casi di crisi del capitalismo di seconda generazione, dove i figli dei fondatori non sono
stati in grado di portare avanti le aziende dei padri», dice il segretario generale dei metalmeccanici
della Cisl, Marco Bentivogli. Ne racconta uno, emblematico: «Mi ricordo il momento durissimo di un'
acciaieria del Nord Italia, seguito alla scomparsa del proprietario. Mi creda, per portare il figlio al tavolo
delle trattative siamo andati a prenderlo in spiaggia a Formentera».
In un suo recente libro, intitolato "Abbiamo rovinato l' Italia?" (Castelvecchi editore), Bentivogli cita i dati
di uno degli indicatori più importanti della salute generale dell' industria, la domanda mondiale d'
acciaio, messi a confronto con i profitti che gli imprenditori si sono distribuiti sotto forma di dividendi:
«Ebbene, negli anni che vanno da 2005 al 2007, quando l' economia tirava ma si stavano per
manifestare gli effetti più duri della globalizzazione, gli imprenditori italiani invece d' investire per
fronteggiare la concorrenza hanno pensato soprattutto al benessere delle proprie famiglie», spiega il
sindacalista, che rintraccia in fenomeni come questo il motivo della crisi di produttività delle imprese
italiane. Dice: «Si parla sempre dei salari, che però in media pesano soltanto per il 15 per cento sull'
indicatore che misura la produttività, il costo del lavoro per unità di prodotto. Quello che è mancato
davvero, in Italia, sono stati gli investimenti, la capacità di dare alle imprese una migliore
organizzazione, la formazione del personale. Guardi la Fiat di Cassino: soltanto l' adozione di un'
organizzazione in linea con i principi della "World class manufacturing" ha reso possibile l' utilizzo di
tecnologie che hanno richiesto forti investimenti, dando un futuro allo stabilimento».
il trionfo della classe media Torniamo alla classifica, e guardiamo sotto la decima posizione. Quando c'
è da citare un esempio di successo di un' azienda che da piccola si è fatta grande, il primo caso che
viene in mente è quasi sempre quello della Luxottica di Leonardo Del Vecchio. Nel 1990 aveva 2.605
dipendenti, oggi ne conta 78.933. Mica male, verrebbe da dire. Studiando i numeri da vicino, si può
però osservare che questa crescita esponenziale ha toccato in misura marginale l' Italia. Ben 42.313 dei
suoi addetti, l' azienda specializzata nella produzione e nella vendita di occhiali li ha infatti in Nord
America, 18.31 in Asia e nel Pacifico. Perché? Il motivo è che nello stabilimento bellunese di Agordo e
negli altri cinque impianti italiani Luxottica produce, mentre al di là dell' Atlantico e in Oriente vende
attraverso una serie di negozi che ha acquisito o sviluppato nel tempo, 4.458 dei quali in Nord America,
330 in Cina e a Hong Kong, 878 tra l' Asia e il Pacifico, soprattutto in Australia e Nuova Zelanda.
Benissimo per le fabbriche italiane e per quelle straniere (in Cina, in India, in Brasile, negli Stati Uniti)
ma è chiaro che, dal punto di vista occupazionale, l' impatto sulla patria d' origine resta piuttosto
limitato. Molto interessante anche un altro esempio, quello della veronese Calzedonia, un gruppo nato
nel 1986, soltanto quattro anni prima della nostra top ten di un quarto di secolo fa. Ebbene, pochi sanno
che l' azienda presieduta da Sandro Veronesi, proprietaria anche di marchi come Intimissimi e Tezenis,
ha ormai 32.382 dipendenti, 1.677 assunti nell' anno dell' ultimo bilancio disponibile, relativi al 2015. Il
gruppo produce i suoi capi di abbigliamento ­ biancheria, lingerie, costumi da bagno ­ all' estero, in
particolare in Sri Lanka, Croazia e Serbia, poi li vende nei negozi monomarca, diffusi in mezzo mondo.
Così in Italia, la patria d' origine, i dipendenti sono solo una fettina del totale, circa 3.300.
Se Luxottica e Calzedonia sono ormai nomi conosciuti, va detto che molte delle medie aziende che
costituiscono l' ossatura dell' industria italiana non hanno nemmeno l' interesse di aumentare in maniera
radicale le loro dimensioni di scala. «Essendo molto specializzate, se escono dal business che
conoscono meglio rischiano di perdere la loro presenza sul mercato», spiega il professor Berta,
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L'Espresso
Cantieristica navale
sottolineando che in questa "tara dimensionale" pesa molto anche la scarsa propensione delle famiglie
proprietarie e dei manager a condurre aggregazioni. I nomi di questi gioielli imprenditoriali sono
numerosi: ci sono i freni Brembo, i collanti della Mapei, i macchinari della Ima, solo per limitarsi ai più
citati. Eppure, anche se non hanno mai smesso di crescere, dal punto di vista dell' occupazione non
possono essere poche eccellenze a dare le risposte che servono all' Italia.
Un po' di speranza, piuttosto, potrebbe venire dalla rivoluzione chiamata Industria 4.0. È un processo di
digitalizzazione della produzione, che porta i macchinari a interagire direttamente fra loro e con le altre
funzioni dell' azienda, dal marketing alla forza vendite, nel nome di una flessibilità estrema delle diverse
fasi produttive. Il lato positivo è che i vantaggi di scala delle grandi fabbriche e del basso costo del
lavoro vengono meno, e che questo potrebbe favorire il rientro in Italia di molte produzioni in passato
delocalizzate nei Paesi più poveri. Ma ci sono molte incognite, a cominciare dal fatto che bisogna
investire in centri ricerca, competenze professionali, reti digitali e quant' altro. il governo si è mosso, con
un piano ad hoc proposto dal ministro dello Sviluppo Economico, Carlo Calenda. Ma la sfida è
colossale, perché l' industria cambierà in maniera molto profonda nel giro di pochi anni. Guai a
muoversi in ritardo. n Inchiesta Addio al lavoro Addio al lavoro Mentre i gruppi maggiori declinano o
vanno all' estero, non emerge nessun nuovo attore a sostituirli nel 2016 gli addetti sono scesi sotto i 4,5
milioni, mentre negli altri settori l' occupazione è salita i profitti realizzati negli anni buoni non sono stati
reinvestiti. ma distribuiti come dividendi l' Internet delle cose può riattivare le produzioni. ma la sfida è
enorme Negli ultimi 25 anni Fiat, Eni e Telecom hanno perso due terzi dei dipendenti in Italia. Come
loro, tutti gli altri big. E dopo è rimasto solo il vuoto.
LUCA PIANA
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La Sicilia
Demanio marittimo
Crocetta a Licata "gelido" col sindaco «Non abbiamo
paura pronti a intervenire»
LICATA. «Se il sindaco di Licata non se la
sente di portare avanti le demolizioni, ce lo
dica e interverremo noi in via sostitutiva. Noi
non abbiamo paura di nessuno e siamo pronti
ad intervenire fin da subito». Parole e musica
del Governatore Rosario Crocetta, ieri mattina
a Licata dove ha tenuto un' accesa conferenza
stampa all' interno del museo archeologico di
via Dante.
Crocetta sperava di incontrare il sindaco
Angelo Cambiano, cui ha chiesto «di andare
avanti nel suo man dato e di rinunciare ai
propositi di dimissioni» ma il primo cittadino
licatese aveva già assunto l' impegno con il
ministro dell' Interno Angelino Alfa no,
incontrato a Taormina. Crocetta è stato
comunque un fiume in piena sul tema delle
demolizioni. «La colpa è dei Comuni, non mia.
Sono i Comuni che avrebbero gli strumenti per
dichiarare gli immobili di pubblica utilità ed
evitare di demolire. Altre città l' hanno fatto per
tempo». Crocetta ha precisato ad alcuni
consiglieri ed ex proprietari di immobili abusivi
che «la Regio ne non ha alcun poter sull' iter
deciso dalla Magistratura per le demolizioni.
La legge attribuisce il potere al sindaco, noi ­
ha continuato ­ interveniamo solo nel caso in
cui il sindaco si rifiuta o non è in condizione di eseguire le demolizioni. Non possiamo chiedere alla
magistratura di avviare le demolizioni in altri Comuni perché non ce lo consente la legge».
Crocetta ha inoltre rivendicato come «i soldi in bilancio per avviare le demolizioni sono stati messi dal
commissario straordinario che ha preceduto questa amministrazione». Accanto a Crocetta l' assessore
al Territorio e Ambiente Maurizio Croce, la vicepresidente Mariella Lo Bello e Maria Grazia Brandara, ex
commissario straordinario del Comune di Licata.
Da Croce è arrivato l' unico spiraglio possibile per dipanare una matassa che a Licata si sta
ingarbugliando. «Altri Comuni­ ha spiegato Croce­ hanno redatto un piano di utilizzo del demanio
marittimo destinando quanto all' interno della fascia costiera a strutture collegate alla balneazione». In
questo caso ­ ma l' aspetto non è stato chiarito fino in fondo ­ si otterrebbe una moratoria di un anno.
Proprio ieri, il Comune di Licata ha intanto ricevuto dalla Procura di Agrigento un nuovo elenco di case
da abbattere: 12 immobili realizzati all' interno della fascia in cui vige il vincolo di inedificabilità assoluta,
che vanno ad aggiungersi alla serie di abbattimenti comunicati nei mesi scorsi.
GIUSEPPE CELLURA.
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16 ottobre 2016
Pagina 4
La Sicilia
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Demanio marittimo
GIUSEPPE CELLURA
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22
16 ottobre 2016
Pagina 40
La Sicilia
Demanio marittimo
ACIREALE
Due settimane di sedute per il Consiglio comunale
Dopo l' approvazione del conto consuntivo
2015, avvenuta in Consiglio agli inizi del mese
in corso, il civico consesso riprende adesso a
pieno regime la propria attività.
Per le prossime due settimane, le ultime del
mese, il presidente del Consiglio, Rosario
Raneri, di concerto con i capigruppo consiliari,
ha infatti calendarizzato ben quattro sedute, al
ritmo abituale di due la settimana. Si comincia
dopodomani, martedi, e si continua giovedi e
poi ancora martedi 25 e giovedi 27 ottobre,
sempre con orario di prima convocazione alle
19.
Dieci, in totale, i punti inseriti nell' ordine del
giorno, considerando anche la canonica
approvazione dei verbali delle sedute
precedenti. Ma tra gli argomenti più
interessanti, troviamo l' affidamento in
concessione per tre anni del servizio di pulizia
della sede stradale (con aspirazione dei liquidi
inquinanti sversati e recupero dei detriti e dei
materiali dispersi) a seguito di incidenti con
ripristino delle condizioni di sicurezza stradale
e ambientale, l' approvazione del regolamento
per l' utilizzo delle strutture sportive comunali,
l' affidamento del servizio di tesoreria
comunale, il regolamento comunale sull'
assegnazione e gestione degli orti urbani.
Completano il quadro, le problematiche riguardanti le Terme di Acireale e le possibili soluzioni, le
tematiche riguardanti il Piano del demanio marittimo e una tornata questa abitualmente con cadenza
mensile ­ di interrogazioni, interpellanze e mozioni con risposta immediata in aula dei rappresentanti
dell' Amministrazione.
A. G.
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15 ottobre 2016
GiornaleDiLipari
Trasporti marittimi
Ripresi i collegamenti marittimi in nave
Ott 15, 2016 Lipari­ Ripresi questa mattina i
collegamenti marittimi in nave da Milazzo.
Partita alle 7,00 la " Isola di Stromboli" per
Vulcano, Lipari, S.M. Salina, Rinella, Filicudi,
Alicudi e alle 9,00 la " Isola di Vulcano " per
Vulcano, Lipari, Rinella, S.M. Salina. Aliscafi
regolari. I comandanti dei mezzi veloci
tenteranno di collegare anche Stromboli.
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16 ottobre 2016
Pagina 2
L'Osservatore Romano
Trasporti marittimi
Obama facilita ulteriormente commerci e viaggi
Sempre meno distanza tra Cuba e Stati Uniti
Washington, 15. L' amministrazione del
presidente Barack Obama ha annunciato una
nuova serie di azioni esecutive per un ulteriore
allentamento delle restrizioni commerciali,
finanziarie e nei viaggi tra Stati Uniti e Cuba. È
quanto ha reso noto la Casa Bianca.
Le nuove regole renderanno più facile per le
compagnie statunitensi importare prodotti
farmaceutici cubani, per le società agricole
statunitensi vendere i loro prodotti nell' isola
caraibica e per i cubani acquistare merci
statunitensi online.
Ad esempio, gli statunitensi potranno
acquistare a Cuba rum e sigari senza il tetto
dei 100 dollari.
Annunciando le nuove direttive, il presidente
Obama ha sottolineato che tra Stati Uniti e
Cuba restano grandi differenze, per poi
aggiungere che «il disgelo è il modo migliore
per affrontarle».
Nella dichiarazione di Obama sulle nuove
direttive per allentare ulteriormente le
restrizioni tra i due paesi, precisamente si
legge: «Restano alcune sfide, e tra i governi
persistono differenze molto reali, ma credo
che l' impegno sia il modo migliore per
affrontare queste differenze e fare progressi in
nome dei nostri interessi e dei nostri valori».
Secondo Obama, «il progresso di questi ultimi due anni, rafforzato dall' azione di oggi, dovrebbe
ricordare al mondo quello che è possibile quando si guarda al futuro insieme».
Le relazioni diplomatiche tra Stati Uniti e Cuba sono riprese nel 2014. E a marzo di quest' anno Barack
Obama è stato il primo presidente degli Stati Uniti a mettere piede sull' isola dal 1928. La ripresa dei
voli commerciali, a fine agosto, ha fatto seguito a quella delle navi da crociera, a primavera. L' embargo
tuttavia non è stato ancora rimosso del tutto. Restano limiti, ad esempio, anche per gli statunitensi che
volessero visitare da turisti l' isola.
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15 ottobre 2016
Messina Oggi
Trasporti marittimi
Miglioramento
Eolie, ripresi i collegamenti della Siremar
Dopo i disagi registrati ieri hanno ripreso le navi della compagnia di navigazione a
garantire le corse da e per le Isole
Riprendono i collegamenti con le Isole minori,
dopo i disagi di ieri. La Siremar, attaverso una
nota stampa, comunica che sono garantiti i
collegamenti Milazzo­Eolie, Palermo­Ustica,
Trapani­Egadi. Il vento è calato soprattutto nel
versante tirrenico della provincia di Messina,
dove ieri si sono registrati notevoli disagi per i
collegamenti da e per le isole Eolie. Oggi la
compagnia d i navigazione sta garantendo i
collegamenti.
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15 ottobre 2016
TP24
Trasporti marittimi
Meteo Trapani Marsala. Fine settimana stabile e
poco nuvoloso. Temperatura tra 19 e 24°
Il meteo del fine settimana a Marsala e Trapani
. E' terminato da qualche ora lo scirocco che
ha creato non pochi disagi ai collegamenti
verso le isole Egadi e sul territorio trapanese,
causando problemi alla cittadinanza e agli
esercenti, costretti a mettere in sicurezza
suppellettili e strutture. A Trapani, le ville
comunali sono state chiuse per precauzione e
anche a Marsala è stata chiusa Villa Cavallotti.
Sempre a Trapani all' incrocio di viale Ilio, nei
pressi della rotonda, è caduta una grossa
palma, per fortuna senza causare danni a cose
o persone e uno specchio parabolico stradale
posizionato nell' incrocio tra via Osorio e via
XXX gennaio. A Marsala sono stati
danneggiati alcuni alberi della via Amendola.
Ma vediamo il meteo di questo fine settimana
e dei prossimi giorni. Oggi poco nuvoloso con
venti moderati da nord. Domani, leggera
nuvolosità di passaggio e vento moderato da
nord­est con la temperatura che rimane alta
sia nei valori minimi che in quelli massimi.
Sabato 15 Ottobre : generali condizioni di cielo
poco nuvoloso o velato, temperatura minima di
19°C e massima di 24°C. In particolare
avremo nubi sparse di passaggio al mattino,
cielo poco nuvoloso o velato al pomeriggio,
cielo sereno alla sera. Durante la giornata di
oggi si registrerà una temperatura massima di 24°C alle ore 14, mentre la minima alle ore 23 sarà di
19°C. I venti saranno al mattino moderati provenienti da Nord­Nord­Ovest con intensità di circa 20km/h,
moderati da Nord per il resto della giornata con intensità di circa 22km/h. L' intensità solare più alta sarà
alle ore 13 con un valore UV di 4.9, corrispondente a 735W/mq. Domenica 16 Ottobre : giornata
caratterizzata da nuvolosità di passaggio, temperatura minima 18°C, massima 24°C. Entrando nel
dettaglio, avremo cielo poco nuvoloso o velato al mattino, qualche nube sparsa durante il resto della
giornata. Durante la giornata di domani la temperatura massima verrà registrata alle ore 14 e sarà di
24°C, la minima di 18°C alle ore 5. I venti saranno moderati da Nord­Est al mattino con intensità di circa
26km/h, al pomeriggio moderati da Nord­Nord­Est con intensità tra 26km/h e 31km/h, alla sera moderati
da Nord­Est con intensità tra 21km/h e 27km/h. L' intensità solare più alta sarà alle ore 13 con un valore
UV di 5, corrispondente a 743W/mq. Lunedì 17 Ottobre : giornata caratterizzata da generali condizioni
di cielo parzialmente nuvoloso, temperature comprese tra 17 e 24°C. Entrando nel dettaglio, avremo
poche nubi al mattino, nuvolosità innocua al pomeriggio, cielo sereno alla sera. Durante la giornata la
temperatura massima verrà registrata alle ore 14 e sarà di 24°C, la minima di 17°C alle ore 7. I venti
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15 ottobre 2016
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TP24
Trasporti marittimi
saranno al mattino moderati provenienti da Nord­Est con intensità di circa 14km/h, al pomeriggio
moderati provenienti da Nord con intensità di circa 12km/h, alla sera moderati provenienti da Nord­Est
con intensità di circa 13km/h. L' intensità solare più alta sarà alle ore 13 con un valore UV di 4.4,
corrispondente a 693W/mq. Martedì 18 Ottobre : giornata caratterizzata da cielo sereno o poco
nuvoloso, temperature comprese tra 15 e 22°C. Nel dettaglio: cielo poco nuvoloso al mattino, assenza
di nubi al pomeriggio e alla sera. Durante la giornata la temperatura massima verrà registrata alle ore
14 e sarà di 22°C, la minima di 15°C alle ore 7. I venti saranno al mattino deboli provenienti da Sud­
Sud­Est con intensità di circa 7km/h, deboli da Sud­Ovest al pomeriggio con intensità di circa 7km/h,
deboli da Sud­Sud­Est alla sera con intensità di circa 4km/h. L' intensità solare più alta sarà alle ore 13
con un valore UV di 5, corrispondente a 738W/mq.
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15 ottobre 2016
Agrigento Oggi
Porti
Rogo all' ex Hotel Africa di Porto Empedocle ­
AgrigentoOggi
Google+0 Vandali in azione la scorsa notte a
Porto Empedocle. Ad essere preso di mira l'
ex Hotel Alfrica. Ignoti sono penetrati dentro la
struttura e, probabilmente, secondo quanto
riporta Grandangolo, utilizzando liquido
infiammabile, hanno appiccato il fuoco. Sul
posto sono giunti i vigili del fuoco di Agrigento
che hanno lavorato nella notte per spegnere il
rogo che ha distrutto alcune suppellettili
presenti all' interno. Commenti.
STAFF ONLINE
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16 ottobre 2016
Pagina 27
Gazzetta del Sud
Porti
Brutta disavventura per un 36enne catanese
Surfista in crisi a Tremestieri salvato dalla Guardia
costiera
Immediato l' allarme lanciato da una nave e dai terminalisti Comet
È stata una disavventura da brivido, durata
oltre mezzora sino al lieto fine, con minuti di
grande paura: protagonista un uomo alla
deriva con il suo surf, in prossimità dell'
imbocco degli approdi di Tremestieri. Momenti
di apprensione generale e di professionalità
nei soccorsi. Alla fine, può dirsi che è andata
bene perché il pericolo corso è stato notevole.
Era da poco trascorso mezzogiorno quando il
surfista già in difficoltà per il moto ondoso da
scirocco, un catanese di 36 anni, è stato notato
dal comandante della nave Fata Morgana in
uscita dagli approdi. La segnalazione è stata
raccolta dal capo scalo di turno nel piccolo
porto d' emergenza, Antonino Zagami, uno dei
35 terminalisti in forza alla Comet che da
quest' anno gestisce i servizi d' imbarco­
sbarco e immediatamente trasmessa alla
Guardia costiera con richiesta di immediato
soccorso. Il trentaseienne si teneva
aggrappato alla sua tavola da surf ed a causa
della corrente non riusciva più a tornare verso
la riva di contrada Veglia, protetta dalla
barriera lavica, anzi veniva via via sospinto
verso il largo. La Capitaneria di Messina, sotto
il coordinamento del suo comandante,
Nazzareno Laganà, ha fatto accorrere a
Tremestieri l' equipaggio della motovedetta
"Cp 852" guidato da Francesco Panzera. L' operazione di soccorso, da compiere a diverse miglia dal
porto centrale, ha richiesto interminabili minuti in cui lo sportivo catanese, immerso nell' acqua fredda
ma rassicurato da riva, si è fatto forza nell' attesa di essere tratto in salvo. Probabilmente, però, i
momenti peggiori della sua disavventura sono stati quelli iniziali, quando il surfista è stato paralizzato
dallo scirocco e dalle correnti del mare di Tremestieri, e s' è reso conto della sua vicinanza all' imbocco
portuale, e quindi del rischio legato al passaggio delle navi cariche di Tir.4(a.t.
)
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16 ottobre 2016
Pagina 33
Gazzetta del Sud (ed.
Reggio Calabria)
Porti
«Non scaricare la crisi sui lavoratori»
«La crisi del porto d i Gioia Tauro non può
essere scaricata sulle spalle dei lavoratori».
Ad affermarlo è Michele Galimi, coordinatore
dei circoli del Pd nella Piana di Gioia Tauro.
«L' arroganza di MCT ­ aggiunge ­ deve
essere ridimensionata richiamando l' azienda
alle sue responsabilità e ricordando che i
successi aziendali del passato sono da
intestare alla professionalità, alla disponibilità
ed al sa crificio delle maestranze». Al
capogruppo Pd in Consiglio regionale Sebi
Romeo e al presidente Mario Oliverio l' invito
affinché «si faccia comprendere al Governo
che il Porto è strategico per l' Italia e l' Europa
e che il suo rilancio non è più rinviabile».
Era stata l' on. Federica Dieni (M5S) l' ultima a
chiamare in causa il presidente della Regione:
«Renzi e Oliverio la smettano di siglare
accordi con l' inchiostro simpatico e si
preoccupino, piuttosto, di dare risposte
concrete ai lavoratori di Gioia Tauro c h e
stanno per essere mandati a casa da Mct.
Viene da chiedersi quanto valga la parola di
Oliverio e se la sua Giunta, che schiera anche
un assessore al Porto, sia in grado di dare le
risposte che servono».3(a.s.
)
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16 ottobre 2016
Pagina 33
Gazzetta del Sud (ed.
Reggio Calabria)
Porti
Porto di Gioia Tauro, la conferma degli oltre 400 esuberi
Pedà: «Non è colpa di Oliverio Nessun Governo ha
fatto nulla»
E Piccolo se la prende con i sindacati: «La vergogna di questa terra»
D o m e n i c o L a t i n o GIOIA TAURO E r a
praticamente inevitabile che l' incontro di ieri
sera alle "Cisterne" per spiegare le ragioni del
No al referendum, alla presenza del deputato
di FI Roberto Occhiuto, diventasse occasione
per affrontare le due delicatissime questioni
che tengono con il fiato sospeso la città: la
vertenza esuberi al porto, con ben 442 padri di
famiglia in attesa di conoscere il proprio
destino, e la crisi politica di maggioranza che
potrebbe far ripiombare il centro tirrenico nel
baratro del commissariamento.
Seduti al tavolo dei relatori anche il sindaco
Pedà, l' assessore della "discordia" Toscano, il
presidente del consiglio comunale Santo
Bagalà e il giornalista Mario Meliadò. Tra
ilpubblico, molti consiglieri d' opposizione, i
movimenti oggi vicini al primo cittadino "IXG" e
"Gioia città vivibile", rappresentanti della
società civile, il sindaco di Seminara, Piccolo;
per la maggioranza "dissidente" si sono invece
visti Parrello e Guerrisi.
È un fiume in piena Pedà. L' ex presidente
delle Ferrovie della Calabria inizia proprio
dalla crisi inarrestabile che ha colpito uno degli
scali più importanti del Mediterraneo: «A
incidere suivolumi­esordisce­non è solo l'
infrastrutturazione, ma soprattutto le tasse di
ancoraggio: 13 milioni di euro che però bloccano risorse per centinaia di mi lioni perché le navi madri
preferiscono andare altrove. Sono vicino al presidente Oliverio, il porto esiste dal '94 e tutti i governi,
regionali e nazionali, che si sono succeduti non sono mai riusciti a varare provvedimenti per il rilancio».
Pedà rivolge quindi un appello alla deputazione calabrese: «Non è tempo di divisioni politiche,
capiremo poi di chi sono le colpe. C' è un monopolista che ha cambiato sei manager in sei mesi e ha la
più grande infrastruttura italiana in concessione per 90 anni, ma non dà conto di ciò che succede. La
nostra proposta rimane la nazionalizzazione, solo con l' intervento dello Stato si può andare avanti».
Occhiuto si è reso disponibile a presentare un emendamento alla legge di bilancio il mese prossimo:
«Sono qui per assumere questo impegno insieme al mio gruppo parlamentare ­ dichiara ­ spero che
alle nostre firme si aggiungano quelle di altri deputati calabresi. Mi piacerebbe ragionare convoi su unte
sto che imponga al Governo di assumere impegni concreti».
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16 ottobre 2016
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Gazzetta del Sud (ed.
Reggio Calabria)
Porti
Anche Piccolo non le manda a dire: «Abbiamo una megastruttura regalata in monopolio a un privato­
dice­che continuiamo a riverire per un misero posto di lavoro. Gli esuberi ci sono perché lo decide il
terminalista. Per non parlare dei sindacati, la vergogna di questa terra. Gioia non è il porto delle fantasie
ma uno scalo con potenzialità enormi, va solo dato un input».3.
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16 ottobre 2016
Pagina 34
Gazzetta del Sud (ed.
Reggio Calabria)
Porti
Siderno, la storica azienda
La Calcementi torna in mano ai D' Agostino
Francesco, fratello del fondatore, l' ha rilevata dalla Heidelberg
Aristide Bava SIDERNO La Calcementi Jonici
torna di proprietà della famiglia D' Agostino. Il
gruppo Italcementi, la cui maggioranza è stata
recentemente rilevata dai tedeschi dell'
Heidelberg, nei giorni scorsi, ha venduto l'
attuale struttura della Calcementi Jonici srl a
una nuova società rappresentata, appunto,
dall' imprenditore Francesco D' Agostino,
fratello del compianto Vincenzo, colui che
aveva fondato l' importante stabilimento di via
Nazionale, in contrada Pantanizzi. Si tratta, in
effetti, di un ritorno per Francesco D' Agostino,
a suo tempo uno dei primi collaboratori del
fratello Vincenzo.
Nel1992 Vincenzo D' Agostino cedette l'
azienda di laterizi ereditata dal padre, e che
da piccola fabbrica aveva trasformato in una
delle più importanti e floride attività
economiche del Sud Italia.
Un uomo, il vecchio imprenditore, che grazie
alla sua capacità era riuscito a creare un'
azienda di grande respiro che dava un lavoro
serio eben retribuito a centinaia di persone.
Intuì per primo e lanciò sul mercato un
innovativo prodotto edilizio, e avviò così un'
imponente attività di insacchettamento di
cemento pozzolanico (di ottima qualità)
proveniente dalla Grecia che arrivava a
Siderno tra sportato da capienti navi mercantili che attraccavano continuamente al porto privato dell'
azienda, nella zona nord del lungomare (comunicante col suo stabilimento di lavorazione grazie a un
costosissimo sistema di aspirazione che di fatto gli consentiva però di abbattere i ben superiori costi di
lavorazione e di trasporto) proponendolo sul mercato a prezzi nettamente inferiori rispetto a quelli della
concorrenza.
Grazie alla produzione di laterizi di prima qualità (tavelloni, mattoni forati, blocchi porizzati, cotto) la
Calcementi Jonici srl ha conquistato im portanti fette di mercato, sia nazionale che internazionale,
arrivando anche a competere con realtà aziendali del Nord ed europee sicuramente meglio attrezzate
sul piano finanziario. Dopo la lunga parentesi della Calcementi durata ben 25 anni, adesso torna alla
guida dello stabilimento il fratello Franco D' Agostino. Ovviamente l' auspicio è che l' azienda sidernese
torni ai fasti di un tempo. Il passaggio è stato comunicato venerdì nella sede reggina di Confindustria
dal management di Calcementi Jonici ai rapprsentanti dei lavoratori.4.
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16 ottobre 2016
Pagina 34
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Gazzetta del Sud (ed.
Reggio Calabria)
Porti
ARISTIDE BAVA
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16 ottobre 2016
Pagina 25
Giornale di Sicilia (ed.
Agrigento)
Porti
O Porto Empedocle
La «Adriatica» ha lasciato il porto
OOO La nave "Adriatica" lascia lo scalo di
Porto Empedocle. Dopo tre lunghi anni, è stato
finalmente trovato il tanto ricercato acquirente.
E' servita un' asta per acquistare l' Adriatica,
che oggi si chiama Galaxy. La nave è stata
acquista tae batte bandiera Panamense. In
questi anni è successo di tutto, unavicenda
che non si dimenticherà facilmente. Abbandoni
da parte del personale e sequestri, ma anche
rischi. Infatti, l' Adriatica rischiò anche di
affondare, magra zie al pronto intervento, della
Guardia Costiera e dei Vigili del fuoco il
peggio è stato evitato. Dilemmi e vicissitudini
per un traghetto noleggiato dalla Sire mar. L'
idea era quella di utilizzare il "bestione marino"
per"coprire" la tratta di Porto Empedocle con
Lampedusa e Linosa. Ma l' Adriatica, oggi
Galaxy, non partì mai, restando nello scalo
empedoclino. I disagi creati sono stati notevoli.
La nave, ha lasciato la banchina del porto nel
pomeriggio di ieri, mettendo la parola fine ad
una storia lunga treanni. Del nuovo
proprietario non si conosce l' identità. Il
traghetto ha preso il largo e lo scalo è stato
liberato. (*FEBA*)
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36
16 ottobre 2016
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Giornale di Sicilia (ed.
Messina­Catania)
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LA TESTIMONIANZA. La storia di riscatto di Osas, giunta dall' Africa in Italia e obbligata a
vendersi. Oggi ha due figli e dedica il suo tempo a chi vive ancora nel terrore
«Considerata una bestia, così sono fuggita dall'
inferno»
OOO «Pensavo di trovare un lavoro, costruirmi
un futuro migliore. Vedevo che tante ragazze
tornavano dall' Italia in Nigeria e stavano bene,
portavano tante cose». E poi? E poi Osas
Egbon, 35 anni, ti guarda, gli occhi le si velano
e nel suo silenzio ci sono risposte terribili.
«Arrivata a Palermo, avevo 20 anni ­ racconta
­ sono finita sulla strada. Una mia amica mi
aveva detto che questo era il modo migliore
per fare soldi e anche per vivere bene... Ma io
ho capito subito quanto fosse invece
pericoloso, con i clienti che mi
minacciavano...». Un cliente «umano» dice di
non averlo mai incontrato, «mi trattavano come
una bestia», calpestando non solo la sua
dignità di donna, ma quella di essere umano.
La storia di Osas Egbon è però una storia di
riscatto: «Sono rimasta poco sulla strada ­
spiega ­ una sera un gruppo di volontari mi ha
avvicinata e mi ha chiesto se volevo lavorare,
liberarmi, e io ho subito accettato».
Sono passati quindici anni da allora e la
donna, che oggi ha due figli e vive stabilmente
a Palermo, ha deciso di dedicare il suo tempo
a salvare altre donne: «Non devono esserci
più ragazze che patiscono questo inferno»,
dice con forza.
La sua storia è meno cruenta di altre, perché
Osas Egbon in Nigeria era una poliziotta. Decise di lasciare il suo Paese per le turbolenze politiche che
lo sconquassavano. Non c' erano ricatti o riti voodoo, ma «una volta in Europa ­ ricorda ­ sono arrivata a
Genova nascosta in un cargo». Lì un' amica che già si era trasferita in città la esortò a seguirla.
E a vendersi per strada.
Secondo uno studio di Save the children, l' adescamento delle giovani da destinare alla prostituzione
avviene proprio attraverso amiche, compagne di scuola, vicini di casa, comunque conoscenti. Molte di
queste donne provengono da contesti molto periferici e rurali, da fa miglie numerose o disgregate.
Spesso hanno subito abusi già in Nigeria, tra le mura domestiche.
Prima di partire spesso giurano con il rito voodoo o dello juju che, con la minaccia della morte,
pagheranno il loro sfruttatore una volta giunte in Italia. Il corridoio preferenziale per l' ingresso in Europa
è l' attraversamento del Mediterraneo e lo sbarco in Sicilia, dopo aver peregrinato tra Niger e Libia, tra
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Messina­Catania)
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violenze e minacce.
La storia di Lovet, 17 anni, ricalca perfettamente i dati che emergono dallo studio. «Ho deciso di partire
perché una volta trasferitami da mio padre a Benin City, ho avuto gravi problemi con la mia matrigna,
che mi picchiava lasciandomi cicatrici sul corpo. Così ho deciso di partire per l' Europa. Questa
possibilità mi è stata offerta da un' amica che mi ha messo in contatto con una signora chiamata
Mamma G.
, che era sorella di un uomo che viveva in Italia e che mi avrebbe pagato il viaggio. Mamma G. mi ha
raccontato della possibilità di lavorare, ma non avevo idea che avrei dovuto prostituirmi. Poi ­ racconta
la ragazza ­ abbiamo siglato l' accordo con il rituale voodoo: ho promesso che avrei restituito 30 mila
euro una volta in Italia altrimenti sarei morta». Il viaggio di Lovet si snoda tra vari Paesi africani, un
deserto e poi si ferma per tre mesi al confine con la Libia: «Qui i soldati hanno abusato di noi. Sono
arrivata al porto di Palermo nel 2015 e sono stata accolta da una struttura. Ho deciso di non rispettare il
patto perché non volevo prostituirmi. Sono entrata nel programma di protezione e ora.
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Siracusa­Ragusa)
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SBARCHI AD AUGUSTA. La sentenza del gip per 21 egiziani: dovranno scontare
complessivamente 188 anni di carcere
Scafisti, maxi condanna da 166 milioni di euro
Augusta
OOO Centottantotto anni, 48 mesi di
reclusione e 166 milioni e 667 mila euro di
multa per associazione finalizzata al
favoreggiamento dell' immigrazione
clandestina. È la maxi condanna inflitta dal Gip
del tribunale di Catania, Giovanni Cariolo a 21
egiziani, tutti già rinchiusi al carcere di
Cavadonna, a Siracusa accusati di fare parte
di un' organizzazione che dall' Egitto
organizzava i viaggi della speranza dei
migranti, tra cui i 478 arrivati ad ottobre 2015
al porto di Augusta. La pena più alta, 11 anni e
8 mesi di reclusione, oltre al paga mento di
una multa di 10 milioni di euro, è stata
comminata a Mahomud Aghmed El Aaied,
ritenuto il comandante del grosso
peschereccio in ferro che prese a bordo i
migranti, tra cui donne e bambini, trasbordati
da un altro natante che poi tornò indietro. Dieci
anni e 10 milioni di euro a testa ad altri dieci
egiziani, già noti al Gicic per altri sbarchi:
Moustafa Ibrahim Moustafa, Ahmed Mohamed
Ahmed, Mohamed Eldib Mohamed, Tuoha
Antar Saad, Moahmed El Quadi Mohamed,
Sanad Ibhraim Ibrahim, Ahmed El Saied
Roshdi, Ahmed Risq El Baulauan, Mohmaed
Ahmed Mohamed Ahmed, Ibrahim El Daied
Mahmoud, Khaled Ahmed El Qadi, Farag
Gaber Hassan e El Shanat Hassan Hassan. Otto anni e quattro mesi, più 10 milioni di euro di multa, per
Nagi Iseyed, sei anni e otto mesi più 10 milioni di euro ciascuno per Mohamed Chaban, Ahmed Said
Essayed, Asheraf Gomoa, Ahmed Mohamed e Ahmed Arafe, infine la pena più bassa (4 anni e sei mesi
e 6.667.000 di multa, per Othman Abdelgane . Le indagini furono condotte dal Gicic della Procura di
Siracusa, coordinato dal sostituto commissario Carlo Parini che prima individuò 7 presunti scafisti tra i
migranti arrivati ad Augusta. Dalle loro dichiarazioni si decise di tenere sott' occhio il peschereccio
lasciato in mare, che fu raggiunto da un altro natante con 17 presunti scafisti. Scattò così un' operazione
congiunta, che ebbe il plauso anche del ministro della Difesa, Roberta Pinotti, portata a termine dagli
incursori e dai fucilieri della Brigata San Marco presenti su nave Fasan e su nave Durand De La Pen si
capì di essere di fronte ad un' organizzazione criminale internazionale e l' inchiesta passò alla Direzione
distrettuale antimafia di Catania. (*CESA*) Augusta.
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Siracusa­Ragusa)
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Pozzallo
«È lo scafista»: fermato senegalese
OOO La polizia giudiziaria di Ragusa ha
fermato, a Pozzallo, il presunto scafista
accusato di avere condotto in Italia 117
m i g r a n t i , s b a r c a t i n e l porto d a l l a nave
«Phoenix» della Croce Rossa, e della morte,
come conseguenza del delitto di
favoreggiamento dell' immigrazione
clandestina, di 18 migranti caduti in mare
durante la traversata. Si tratta del senegalese
di 20 anni, Seydi Koutoubo. Tra i testimoni
ascoltati anche la madre del bimbo di 3 anni
scomparso tra le onde, caduto in acqua con un
giubbotto salvagente troppo grande per lui. I
migranti sopravvissuti hanno raccontato che
mentre tutti si aiutavano tra loro nel tentativo di
non cadere in mare quando un tubolare del
gommone si è afflosciato, lo scafista ha invece
preso un bidone di plastica per usarlo come
galleggiante e si è gettato in acqua in attesa
dei soccorsi. La Squadra mobile della
Questura di Ragusa ha ascoltato i testimoni
con l' ausilio di una psicologa, considerato il
forte stress emotivo dei superstiti. (*SM*)
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Trapani)
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IMMIGRAZIONE. Visite con specialisti fiorentini. A Ragusa fermato scafista
Servizio di pediatria a Lampedusa Intesa con la
Fondazione «Mayer»
OOO Sanità senza confini e barriere.
È l' obiettivo dell' accordo di cooperazione
sottoscritto dall' Asp di Palermo e dall' Azienda
Ospedaliero ­ Universitaria Meyer di Firenze,
Ospedale pediatrico di alta specializzazione e
centro di riferimento nazionale per l' elevata
complessità pediatrica.
La collaborazione nasce per "favorire il
reciproco scambio di conoscenze ed in
particolare per consentire la formazione dei
medici specializzandi e dei pediatri nel campo
della medicina delle migrazioni".
«L' Asp mette a disposizione l' esperienza
maturata in venticinque anni di assistenza agli
sbarchi ­ ha spiegato il direttore generale dell'
Azienda sanitaria provinciale del capoluogo
siciliano, Antonio Candela ­ abbiamo
sottoscritto l' accordo a Lampedusa perché il
nostro Poliambulatorio di Contrada Grecale è
stato e continua ad essere il primo Presidio di
salute che moltissimi migranti conoscono non
appena approdati in Italia».
Gli specializzandi ed i pediatri del Meyer
saranno presenti periodicamente nell'
ambulatorio materno infantile del
Poliambulatorio di Lampedusa garantendo
attività di consulenza ma anche di supporto ai
servizi offerti dall' Asp nelle Pelage. «L'
accordo ­ ha detto il respon sabile del Poliambulatorio Pietro Bartolo ­ ci inorgoglisce e rappresenta per
noi una occasione di arricchimento professionale e scientifico. Per noi è, davvero, una giornata storica».
A Ragusa, intanto, la polizia ha fermato, a Pozzallo, il presunto scafista accusato di avere condotto in
Italia 117 migranti, sbarcati nel porto del Ragusano su nave Phoenix della Croce rossa, e della morte di
circa 18 migranti caduti in mare durante la traversata. Tra i testimoni ascoltati anche la madre del
bambino di 3 anni scomparso tra le onde, caduto in acqua con un giubbotto salvagente troppo grande
per lui.
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AREA MARINA PROTETTA ISOLE EGADI SONO GIÀ SEI GLI ESEMPLARI DI TARTARUGA
RIMESSI IN MARE DOPO LE CURE DELLO STAFF DEL CENTRO DI PRIMO SOCCORSO
È stata recuperata e curata, Penelope ora è libera
Il sindaco Pagoto: «Nel primo anno di attività ci sono stati buoni risultati, adesso
puntiamo al potenziamento»
La plastica che è nel mare, che si trova negli
stomaci delle tartarughe marine, anche alle
Egadi, viaggia in realtà in mare anche da
migliaia di chilometri. È un problema a livello
del Mediterraneo Luigi Todaro OOO Penelope,
la Caretta caretta dal nome mitologico, è
tornata in libertà. Recuperata non distante dall'
isola di Marettimo, il 30 luglio scorso, e
trasportata al centro di primo soccorso per
tartarughe dell' Area marina protetta "Isole
Egadi", l' esemplare, dopo essere stato curato
è stato rimesso nelle acque al largo della costa
a Sud di Favignana.
Penelope, nome scelto con un sondaggio su
Facebook, presentava una ferita importante
sul piastrone, verosimilmente causata da un
trauma da schiacciamento e penetrazione.
Durante la degenza ha evacuato anche
plastica, probabilmente ingerita nel tempo
durante l' alimentazione in mare. E la plastica
è il nemico dei mari. Stefano Donati direttore
dell' Amp sostiene che bisogna fare bene la
raccolta differenziata ed evitare il rilascio in
mare di rifiuti plastici. La plastica che è nel
mare, che si trova negli stomaci delle
tartarughe marine, anche alle Egadi, viaggia in
realtà in mare anche da migliaia di chilometri.
È un problema a livello di bacino del
Mediterraneo, di catti L' INTERVISTA Il direttore della Riserva marina protetta "Isole Egadi", Stefano
Donati, ripercorre le tappe del Centro di primo soccorso per tartarughe marine realizzato a Favignana.
O OO Come è nato il progetto?
«L' idea è nata con il rilancio dell' Amp, nel 2011, quando abbiamo preso atto che nell' area si
verificavano numerose segnalazioni di esemplari in difficoltà. Da allora abbiamo lavorato intensamente,
fino al 2015, anno in cui il Centro di Primo Soccorso per tartarughe marine è stato inaugurato dai
presidenti nazionali di Legambiente e WWF, insieme con il presidente dell' Amp e sindaco del Comune
di Favignana, Giuseppe Pagoto. Abbiamo raccolto finanziamenti dal ministero per l' Ambiente, dal
Comune e dall' Amp stessa, da Feder parchi e soprattutto dallo sponsor Riomare. Inoltre, godiamo dei
finanziamenti della CE per il Progetto Tartalife, di cui l' Amp Egadi è partner. Le autorizzazioni ottenute
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Giornale di Sicilia (ed.
Trapani)
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dal Ministero, dall' Asp e dalla Ripartizione faunistico venatoria della Regione e i lavori di
ristrutturazione e adeguamento del piano cantinato del prestigioso Palazzo Florio hanno richiesto molti
mesi».
O OO Come è strutturato il Centro e quali figure professionali vi operano?
«Il Centro ha un responsabile che è il Direttore dell' Amp. Ha poi un responsabile Sanitario, il veterinario
Paolo Arena e un responsabile operativo, la biologa Giorgia Comparetto, entrambi con decennale
esperienza in altri Centri siciliani.
Presso il centro operano stabilmente altre 2 risorse umane dell' Amp, con compiti di gestione operativa
(manutenzione vasche, somministrazione terapie) e di accoglienza degli utenti. Il Centro è cogestito da
Legambiente e WWF che vi convogliano i propri volon va gestione dei rifiuti a livello internazionale. La
via per contenere il problema è ridurre ovunque nel mondo l' uso della plastica, e ricorrere alle nuove
plastiche biodegradabili.
Per circa due mesi la tartaruga Penelope è stata assistita dal personale e sottoposta alle cure mediche
dello staff veterinario, mediante medicazioni ripetute con curettage della ferita. Prima della liberazione è
stata effettuata una resinatura a protezione del tessuto cicatriziale. Penelope è stata rilasciata in mare
da un gommone dell' Amp per mano di due tirocinanti dell' area marina che aveva OOO Quante
tartarughe sono state soccorse finora?
«Quest' anno abbiamo effettuato 14 recuperi, prevalentemente da Marettimo e Favignana, e da Marsala,
Mazara e Trapani. Per questi recuperi godiamo del supporto delle Capitanerie di porto, con cui
abbiamo un rapporto eccezionale in tutte le sedi che ho citato. Anzi, colgo l' occasione per ringraziarli.
Di queste 14, 6 sono state già rilasciate in mare, avendo recuperato tutte le funzioni ed essendosi
pienamente ristabilite, e 3 sono at no prestato attività di volontariato presso il Centro tartarughe.
«A circa un anno dal riconoscimento effettivo del Centro e dalla sua apertura ­ dichiara il presidente dell'
Amp e sindaco del Comune di Favignana, Giuseppe Pagoto ­, sono già sei gli esemplari di tartaruga
marina che hanno ritrovato il mare dopo le cure al Centro di Primo Soccorso; un buon risultato per il
primo anno di attività, che serve da incentivo positivo, anche in previsione di raggiungere l' obiettivo del
rafforzamento a Centro di Recupero, attraverso il progetto LIFE +12 TartaLife, finanziato dalla Com
missione europea». Presso il Centro restano ospitati, in terapia, altri tre esemplari di Caretta caretta che
dopo le cure saranno rimesse in libertà.
Per segnalazioni o comunicazioni, è sempre attivo il numero dedicato "SOS Tarta" 328.3155313, H24,
oltre che l' indirizzo di posta elettronica [email protected] . Il Centro è aperto tutti i giorni e
visitabile su prenotazionei.
Frattanto, nei giorni scorsi era tornato a nuotare nelle acque antistanti l' isola di Marettimo,
Achille, un altro esemplare di tar O OO Voi vi occupate anche di ambiente, ossia di tutela dell'
ambiente, qual è oggi nelle Egadi il rapporto tra ambiente e pescatori?
«Molto migliore che in passato, non ci sono più le barricate o lo steccato culturale tra pescatori e
"difensori dell' ambiente". Tra i pescatori c' è molta più consapevolezza del fatto che la risorsa va
salvaguardata, e anche che l' Amp fa molto bene al turismo, con cui la maggior parte dei pescatori
integra il proprio reddito. Anche gli abusi e le violazioni sono diminuite tantissimo, segno di una
maturazione culturale della categoria. Poi, ovviamente, il settore vive una crisi strutturale e quindi i
pescatori non se la passano proprio bene, però l' Amp non centra, anzi, noi lavoriamo con e per i
pescatori».
taruga Caretta caretta, curato e pienamente ristabilitosi presso il centro di primo soccorso. Era stato
recuperato da alcuni diportisti, nel canale che separa Marettimo dal resto dell' Arcipelago, a poche
miglia dalla costa, in grave difficoltà. L' equipe di veterinari, biologi e operatori dell' Area marina protetta
l' ha curato fino alla perfetta guarigione. Durante la degenza, Achille ha eliminato con le feci una quantità
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Giornale di Sicilia (ed.
Trapani)
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impressionante di plastica, che aveva ingerito accidentalmente scambiandola per cibo (meduse). E in
attesa della liberazione di Achille, gli operatori dell' Amp hanno svolto per i bambini dell' isola un evento
"Tartaworld", attività di comunicazione ed educazione ambientale sulle tartarughe marine e sulle
minacce di cui sono vittime, nell' ambito del progetto Tartalife, contribuendo a creare un clima di
particolare attesa per Achille, giunto sull' isola a bordo di un aliscafo proveniente proprio da Favignana.
I bambini più piccoli hanno realizzato disegni e cartelli di benvenuto dando il bentornato ad Achille, che
era stato battezzato dopo un sondaggio sulla pagina facebook dell' Amp. La liberazione è avvenuta
qualche giorno fa da un gommone dell' AMP, da parte di due operatori nativi dell' isola, con il supporto
della Capitaneria di Porto e di alcuni operatori dell' isola.
O OO E il rapporto tra giovani e ambiente?
«Eccezionale. Le nuove generazioni, dai più piccoli ai giovani, hanno una sensibilità e una
predisposizione verso i problemi dell' ambiente che alle generazioni precedenti mancava. Per questo
motivo noi cerchiamo di fare educazione ambientale in ogni occasione».
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IlDiarioMetropolitano
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I rifiuti di Milazzo finiscono in Bulgaria. A2A pronta
per il Termovalorizzatore.
Milazzo ­ cronaca I rifiuti di Milazzo finiscono in
Bulgaria. A2A pronta per il
Termovalorizzatore. Scritto da Pippo Midili il
15 Ottobre 2016 . Ai piedi delle Alpi sono più
svegli che in Sicilia. La stampa torinese, intesa
come "La Stampa", dedica oggi una pagina al
business dei rifiuti siciliani ed in particolare a
quelli partiti nella notte del 26 Agosto dal Porto
di Augusta per la Bulgaria. In quel lembo est
dell' Europa esistono i forni del cementificio
Plovdiv gestito da una società Svizzera. In
quei forni si bruciano rifiuti urbani
biostabilizzati e che hanno un alto potere
calorifero. Sulla qualità del prodotto inviato
dalla Sicilia dipenderà il prosieguo del
rapporto. I rifiuti inviati dalla società Sicula
Trasporti provengono dalla discarica di Grotte.
Esattamente quella che ospita i rifiuti del
C o m u n e d i Milazzo su disposizione della
Regione. Proprio la Regione ha avallato, con
un atteggiamento neutro, il viaggio della Nave
B l u S t a r I d a Augusta alla Bulgaria. Ma il
business, quello vero, sta tutto nel prezzo dell'
operazione. I rifiuti arrivano nella discarica di
Grotte dove il Comune di Milazzo paga, così
come altri Comuni Siciliani, dai 110 ai 130
euro a tonnellate. Tra trattamento e spedizione
in Bulgaria, il costo per la Sicula Trasporti è di
appena 30 euro. Insomma, se si pensa che il primo viaggio ha trasportato in Bulgaria 5 mila tonnellate
di rifiuti, fate un po' voi i conti. La prima spedizione non rimarrà un caso isolato. Anzi, la Regione
sembrerebbe intenzionata ad usufruire direttamente del servizio con un costo annuo stimato in 9 milioni
di euro. Che chiaramente la Regione Sicilia farà gravare sulle tasche dei Siciliani. Il business andrà
avanti fino a quando non partiranno i Termovalorizzatori. Che " La Stampa" individua ormai prossimi all'
apertura. Primo di tutti quello di Milazzo. Scrive La Stampa: "Oltre ai viaggi all' estero, la Regione per
prendere tempo sta autorizzando impianti di trattamento mobili, puntualmente criticati sia dal Ministero
dell' Ambiente che dall' Arpa, mentre gli unici impianti a lavoro sono stati fino a oggi, oltre alle
discariche, quelli di tritovagliatura e TMB, mentre sullo sfondo si agita lo spettro (per i cittadini) dei
termovalorizzatori (non si sa ancora se se ne costruiranno due oppure cinque o sei o otto); al momento
l' unico certo appare quello proposto dal colosso A2A a Milazzo, giusto in faccia alla mega Raffineria e
in sostituzione dei vecchi impianti della centrale termoelettrica, nella già martoriata Valle del Mela, uno
dei Siti di interesse nazionale di bonifica (Sin). Tanto lì l' aria è già un morbo, ci sarà altro lavoro per i
ricercatori dell' Istituto superiore di Sanità." Questo il futuro ormai prossimo.
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IlDiarioMetropolitano
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La Sicilia (ed. Enna)
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segnalazioni al numero fax 095 253495 e­mail
[email protected]
chiacchierano cordialmente intorno al
gabbiotto posto in prossimità dell' area arrivi,
consigliando di far attivare il colore rosso per
evitare agli utenti un' inutile perdita di tempo;
mi sento rispondere che devo parlare con l'
Azienda (sic!) , che l' andazzo è questo e che
se volevo cambiare il colore della luce avrei
potuto armarmi di vernice e pennello!
SALVO ANDÒ Abbiamo apprezzato l' invito
dell' amministrazione a partecipare, insieme ai
rappresentanti di categoria dei commercianti
(Confcommercio, Confesercenti, Fipet), all'
incontro che si è svolto il 12 ottobre all'
assessorato alla Mobilità, per un confronto sul
progetto "Porta Uzeda Liberata".
Siamo convinti che l' istituzione di tavoli di
discussione nei quali siano chiamate a
partecipare, anche in contraddittorio, le parti
interessate, costituisca esercizio di
partecipazione democratica e consenta la
formazione di provvedimenti amministrativi
equilibrati che tengano conto delle esigenze di
tutti i soggetti coinvolti. In questo senso
significativa è stata la partecipazione degli
esercenti di bar e ristoranti ubicati proprio in
via Dusmet che si sono detti entusiasti della
pedonalizzazione che, a loro dire li
"libererebbe" dall' imbarazzo di giustificare ai loro clienti, soprattutto stranieri, il degrado che
attualmente coinvolge la zona.
Siamo felici che, in conclusione, l' amministrazione comunale, senti ti i rilievi di tutti, si stia orientando
verso la pedonalizzazione dell' area, ritenendo altresì che, in ottica di miglioramento della qualità della
vita e della reputazione della città, porto, via Dusmet e Villa Pacini costituiranno un unico elemento
urbano che rappresenterà la nuova "porta della Catania Storico ­Monumentale". Comprendiamo la
preoccupazione espressa dagli operatori del mercato storico del pesce che chiedono di accompagnare
il provvedimento ad azioni che non facciano temere ripercussioni sugli esercenti (legittimi) dell' area
della "Pescheria" e che siano volte ad agevolare la viabilità ed a fronteggiare l' abusivismo. Registriamo
gli impegni presi in questo senso dall' amministrazione che raccolgono il nostro pieno sostegno: navette
elettriche gratuite nell' area Porto ­Pescheria ­Mazzini; potenziamento degli autobus (dalle 2 linee attuali
a sei con intervalli di 10/15 minuti l' una dall' altra); ulteriore razionalizzazione del posteggio Alcalà (la
sosta che con la tariffa incrementale consentirà di moltiplicare i 108 posti fino a oltre 500 utilizzatori nella
mattinata prevede che la prima mezz' ora sia gratuita, 50 centesimi la prima ora, 1 euro le ore
successive, 1 euro per tutta la notte); destinazione di area bus turistici; valutazione di una nuova area di
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La Sicilia (ed. Enna)
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sosta presso la zona del Porto antistante la Capitaneria e l' area sbarchi auto con bisarca; decisi
interventi contro il commercio e la sosta abusiva, anche attraverso la istallazione di un presidio fisso dei
Vigili Urbani che effettueranno ronde e verifiche quotidiane. Riteniamo, comunque, che l' intera cittadi
nanza debba affiancarsi ai commercianti per vigilare sull' attuazione di queste misure affinché la
liberazione della Porta Uzeda rappresenti un progresso non solo per chi abitualmente fruisce della
zona, ma anche per le stesse categorie professionali interessate. Così come riteniamo che il mercato
del pesce, in forte crisi per come dichiarato dai suoi rappresentanti, possa finalmente trarre linfa vitale
dall' attenzione della amministrazione e di tutta la città come indiscutibile positivo effetto della
rigenerazione di tutto il quartiere che comincia, e non finisce, con la pedonalizzazione. Anzi da parte
nostra ci impegneremo per primi e invitiamo tutti a dare forza e sostegno, anche attraverso gli acquisti,
alla Pescheria. Ricordandoci, con gratitudine, che questa ci restituisce ogni giorno il favore attraverso l'
accoglienza, sincera e verace, riservata ai numerosi turisti che, da tutte le parti del mondo giungendo a
Catania, non si fanno mancare la visita al nostro allegro, colorato e caratteristico "Mercato Storico del
Pesce".
MOBILITÀ SOSTENIBILE CATANIA, CITTÀ INSIEME, CENTROCONTEMPORANEO, LIPU, RIFIUTI
ZERO CATANIA, FACCIAMO CENTRO, SICILIA ANTICA, ASSOCIAZIONE QULTURALE DANTES,
ASS. CULTURALE DOULCE MEMOIRE, GUERRILLA GARDENING CATANIA, RIPULIAMO CATANIA,
ASSOCIAZIONE ITALIANA GUIDE AMBIENTALI ESCURSIONISTICHE, FIAB CATANIAMONTAINBIKE
SICILIA, ASSOCIAZIONE GUIDE TURISTICHE CATANIA, COMITATO TERME DELL' INDIRIZZO,
MOBILITA CATANIA, OFFICINA GAMMAZ, COMITATO ANTICO CORSO, GAR.
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La Sicilia (ed. Messina)
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All' àncora per tre giorni il panfilo "Guilty" a bordo
decine di capolavori della pop art
Pop art sul mare, sempre in giro per il mondo:
è stato l' artista statunitense Jeff Koons,
principe assoluto di un neo ­pop sospeso tra
ironia di concetto, kitsch con eredità artistica di
Andy Wharol, l' autore della livrea
multicolorata, dall' aspetto insolito, del mega
yacht "Guilty", lungo 35 metri, che da venerdì
pomeriggio fino all' alba di oggi, è stato
ormeggiato nel porto turistico "Marina di
Riposto". Il panfilo, costruito nel 2008, è di
proprietà dell' industriale greco ­cipriota Dakis
Joannou, uno dei maggiori collezionisti d' arte
contemporanea al mondo, che nel 2013 si
aggiudicò da Christie uno dei Ballon Dog dell'
artista che ha firmato la livrea del «Guilty».
Le decorazioni interne dello yacht sono sta
realizzate dalla designer milanese Ivana
Porfiri. Per dipingere lo scafo multicolore del
panfilo Jeff Koons si è ispirato al modello di
camuffamento delle navi inglesi della prima
guerra mondiale. L' interno del "Guilty" si
presenta come una tela bianca che consente
di ammirare le opere d' arte che si trovano a
bordo: sculture di Anish Kapoor, interventi di
David Shrigley, video di Nathalie Djurberg. La
camera da letto è arricchita da una tela di
Sarah Morris con la parola "Guilty" a lettere
giganti colorate di rosso. Lo yacht ormeggiato nel marine ripostese (l' assistenza è assicurata dalla
locale agenzia marittima Luise Associates Sicily) nei tre giorni a Riposto ha attirato lo sguardo di
centinaia di passanti.
S. S.
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in breve
GIARRE La Cri in piazza Duomo m.g.l.) Oggi
in piazza Duomo, dalle 9.30 alle 13 la Croce
Rossa allestisce un banchetto informativo su
corretta alimentazione e igiene personale.
RIPOSTO Appuntamenti sul lungomare sa.se.)
Oggi il gruppo Fai di Giarre­Riposto,
organizza visite giuidate dalle 16 alle 18, in
alcuni siti del lungomare: Chiesa Madonna
della Sacra Lettera, piazza del Commercio.
Mercato storico del pesce, Itn "Luigi Rizzo",
vecchia casa di pescatori dei "Mastrazzi", il
porto vecchio (molo foraneo) e gli orologi
solari.
Anfora medievale al «Rizzo» sa. se.) Dalle 16
alle 18, nell' istituto nautico "Luigi Rizzo" sarà
un' anfora medievale recuperata alcuni anni fa
dagli studenti nei fondali di Giardini ­ Naxos,
risalente al Medioevo.
Il ritrovamento avvenne nel contesto di un
progetto di archeologia marina promosso dal
"Gruppo Sommozzatori Riposto" in sinergia
con la Soprintendenza del Mare.
MASCALI Si presenta «Come la Terra» a.d.f)
Oggi, alle 18.30, nell' oratorio Don Bosco di via
Dei Giurati, il geologo e scrittore Sergio
Mangiameli presenterà il suo ultimo libro:
«Come la Terra».
FARMACIE DI TURNO CALATABIANO (Pasteria) ­ Gerola ­ piazza Sac. Dominici; FIUMEFREDDO ­
Caniglia sas ­ Via Umberto, 54; GIARRE ­ Rapisarda ­ Via Callipoli, 240; RIPOSTO ­ Buscemi sas ­ Via
Roma, 55/A.
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Porti
Reportage
Arte antica in cambio di armi Affari d' oro in Italia per
l' asse fra Isis e 'ndrangheta
È a Gioia Tauro la base di smistamento dei reperti saccheggiati La testa di una statua
razziata in Libia costa 60 mila euro
A Vietri sul Mare dove inizia l' autostrada Napoli­Reggio: l'
appuntamento con l' emissario che arriva dalla Calabria è, a
metà pomeriggio, all' albergo Lloyd. Un posto «sicuro» che lui
stesso ha indicato. Sono qui per comprare reperti archeologici
arrivati da Sirte, bastione degli indemoniati dell' Isis, al porto di
Gioia Tauro. Sì, non è un errore: Gioia Tauro. Sono stati
saccheggiati con metodo nelle terre controllate dal Califfato
islamico, Libia e vicino Oriente. Gli islamisti li scambiano con
armi (kalashnikov e Rpg anticarro).
Le armi arrivano dalla Moldavia e dall' Ucraina attraverso la
mafia russa. Mediatori e venditori appartengono alle famiglie
della 'ndrangheta di Lamezia. E alla camorra campana. Il
trasporto è assicurato dalla criminalità cinese con le loro
innumerevoli navi e container.
Adesso che l' ora dell' appuntamento si avvicina mi sento a
disagio. Eccomi qua a ingannare il tempo, in questa parte d'
Italia dove i gruppi criminali sono così parte integrante della vita
urbana che i loro scontri, le loro divisioni incessanti, i loro
compromessi sono più importanti della vicissitudini della
politica. Un uomo della reception si avvicina, sistema dei
cuscini e chiede se abbiamo bisogno di qualcosa. L' uomo che
mi ha procurato il contatto sembra anche lui di colpo più
nervoso, e ha uno strano modo di non guardarmi, ora, mentre
mi parla.
«Non illuderti, forse tutto filerà liscio ma ci sono mille possibili
impicci: che il venditore ti abbia visto una volta in televisione, e
ti riconosca per esempio che abbiano fatto controlli preventivi...
Bisogna fare attenzione... sono dappertutto anche questo, dove
siamo adesso, in città, è terreno loro​». L' uomo è puntualissimo.
Sembra un ragazzone un po' invecchiato, una certa flaccidezza
nei lineamenti. Eppure, una sorta di voracità nella bocca,
qualcosa di torbido nello sguardo come una vibrazione fredda
che incute paura. Una mia impressione?
L' albergo era solo un punto di riferimento: non va bene per
vedere i reperti e trattare il prezzo. Dobbiamo spostarci in un
luogo meno frequentato.
Percorriamo una strada secondaria, angusta, piccole Madonne
spuntano a ogni punto più minaccioso della roccia. Il mare così
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lussuoso, così ricco di inafferrabile dolcezza, di esaltato gusto
di vivere qui non si vede più. Questa è una terra dove la Storia ha passato mille volte l' aratro, grattando
il suolo con il puntone dei tombaroli si potrebbe sentire il vuoto di una tomba greca o romana. Su un
muricciolo stanno seduti alcuni uomini dallo sguardo impenetrabile, come uccelli sul filo della luce. Ci
guardano passare.
La macelleria Ecco, siamo arrivati: una costruzione stranamente nuova, totalmente isolata, dove la
strada asfaltata finisce. Arriva un' auto, due ragazzi scendono, aprono un portone. L' ultimo controllo. L'
auto del trafficante si infila a marcia indietro. È un laboratorio di macelleria.
Un odore intenso, che stordisce, ci investe, di sangue, di carne macellata. Appesi ai ganci pendono
salumi già lavorati e quarti di animale che attendono ancora il coltello del beccaio. Dal bagaglio dell'
auto avvolto in un telo bianco esce il mio possibile acquisto. L' imperatore mi fissa, deposto sulla lastra
di metallo del tavolo del macellaio, con il suo eterno sguardo di marmo, il naso leggermente abraso, la
barba e i capelli magnificamente incisi dal bulino dello scultore del secondo secolo dopo Cristo, pieno
di rigonfia e marmorea romanità. Dal collo spunta, reciso, il perno di bronzo che lo teneva collegato alla
statua. Mi fa un po' senso: come se l' avessero appena decapitato, lì, per mostrarmelo nel suo
cimiteriale splendore.
Il trafficante mi spiega che era in un' altra Neapolis, quella libica, la romana Leptis Magna. Con Cirene e
Sabrata sono i luoghi di provenienza di tutti tesori che mi mostrerà.
Luoghi che jihadisti controllano o hanno controllato. Ma, rifletto, anche gli islamisti «moderati» di
Misurata, quelli legati ai Fratelli Musulmani a cui sembra riconosciamo un ruolo di alleati affidabili nella
lotta ai cattivi del Califfato.
È il momento di parlare di denaro. Trattiamo. Sessantamila euro per l' imperatore.
Molto meno per un delizioso cammeo con la testa di Augusto. L' emissario della Famiglia calabrese
parla con proprietà di epoche storiche classiche, di marchi di scultori e di vasai. È abile, mescola agli
oggetti libici anche altri reperti prelevati clandestinamente in necropoli greche in Italia, svela, racconta,
ma parla di oggetti di «due anni fa»: in modo di poter negare, se necessario, le circostanze più gravi. E
al massimo rischierà un accusa di ricettazione: tre anni.
«Da dove viene questa testa? Questa viene dalla Libia.
Armi in cambio di statue, anfore, urne: funziona così Il materiale arriva a Gioia Tauro, una volta era qui a
Napoli, poi qualcosa è cambiato. Adesso ci sono problemi, tanti problemi con questi migranti di merda,
il mare della Libia è pieno di flotte, controlli, polizie. Volete reperti del Medio Oriente? Ci sono anche
quelli ma i prezzi sono molto molto più cari e dovreste andare a trattare direttamente a Gioia Tauro E
non ve lo consiglio». L' incredibile alleanza Ancora Isis e 'ndrangheta, 'ndrangheta e Isis: a ogni passo la
loro traccia visibile, la loro incredibile alleanza. Anche qui davanti a questo trafficante che mi lancia
occhiate furbe.
Fino a poco tempo fa gli acquirenti erano americani, musei e privati. Quando hanno scoperto che i soldi
servivano a comprare armi per l' Isis gli americani hanno bloccato tutto. Ora i clienti sono in Russia,
Cina, Giappone, Emirati.
Per lui sono un ricco collezionista torinese che cerca oggetti delle colonie greche e romane d' Africa. Mi
fingo insoddisfatto, chiedo cose ancor più rare: non ho problemi di prezzo se vale.
Allora il trafficante mi mostra alcune foto: una ciclopica testa di una divinità greca.
«Un metro e dieci e un peso di undici quintali. Guardi, dottore, questo colore sopra la testa: portava una
corona che poi si è consumata, non so se era di bronzo o di rame, viene dalla Libia, ma stiamo parlando
di un' altra storia. Il prezzo è trattabile, per questa mi hanno chiesto un milione di euro ma se mi fa una
proposta di 800.000 euro va bene. In più c' è da pagare il trasporto, deve venire con una persona che ne
capisce un archeologo. Le dico la verità, non è mia, sto facendo le trattative per conto di altri, dottore
Questa deve andare a un museo non a un privato. C' è un mercato di cui non avete la più pallida idea
ma ora abbiamo dei problemi come le ho detto per la guerra.
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Stavo trattando con una persona mandata da un attore americano famoso, alla fine per 50.000 euro non
ci siamo trovati. Questa o prende la strada di un museo o va negli Emirati arabi o va in Russia, queste
sono le destinazioni».
La testa dell' imperatore Dico di essere molto tentato dalla testa dell' imperatore, ma come posso
essere sicuro che non sono falsi? E poi non giro certo con centomila euro in tasca. «Prenda tutto,
dottore, lo tiene quindici giorni, non uno di più! Fa tutte le verifiche che vuole, archeologi tutto... poi mi fa
avere i soldi e noi non ci siamo mai conosciuti. Problemi a esporre la testa? Suvvia! Lo metta in salotto,
bene in vista, se qualcuno gli fa domande dica che l' ha comprata a un mercato delle pulci per
cinquanta euro e che è una bella copia».
Rinuncio all' offerta, dico che entro tre giorni gli darò una risposta. Ci allontaniamo.
Lungo la stradina gli uomini sono sempre seduti sul muricciolo. Ci seguono con il loro sguardo
enigmatico.
La pista del Kgb Racconto il mio incontro a due consulenti internazionali in materia di sicurezza, Shawn
Winter, militare proveniente dalle forze armate degli Stati Uniti e l' italiano Mario Scaramella. Che mi
propongono una pista che porta a un burattinaio ancor più sconcertante: il traffico dei reperti sarebbe in
realtà diretto dai Servizi russi, eredi del Kgb. Un altro indizio che si legherebbe, nell' organigramma del
crimine, a quelli dei ceceni e degli uzbechi di cui ci sono prove siano passati per campi di
addestramento russi, diventati poi comandanti di formazioni jihadiste. O la presenza tra i fondatori dell'
Isis di alti ufficiali del dissolto esercito di Saddam Hussein addestrati dai sovietici.
L' Isis ha la possibilità di piegare e usare formazioni criminali come camorra e 'ndrangheta per semplici
ruoli gregari? E di montare una organizzazione internazionale in grado si superare controlli e
repressione del traffico su scala internazionale affidati a corpi di grande valore e esperienza come i
carabinieri italiani? Di entrare su un mercato, quello dei reperti archeologici, con gerarchie e
meccanismi e regole molto rigide e consolidate? Solo uno Stato, una superpotenza è in grado di
muovere un traffico così sofisticato, ramificato e «colto», non certo terroristi impegnati in una guerra
senza quartiere.
Mi mostrano un documento, inedito finora: il verbale originale degli interrogatori, nel 2005, del colonnello
del Kgb Alexandr Litvinienko, grande custode dei segreti russi. Litvinienko spiegò a Scaramella come il
Kgb rifornisse un museo segreto nel centro di Mosca, non lontano dal Boradinskaya Panorama, dove
erano riuniti reperti di incalcolabile valore razziati in Medio Oriente e pagati con armi ai palestinesi. Un
museo che non poteva organizzare visite e mostre perché i proprietari avrebbero riconosciuto i loro
oggetti. Era riservato alla nomenklatura sovietica. Qualche oggetto ogni tanto veniva prelevato: un
regalo alle mogli dei dirigenti supremi.
BY NC ND ALCUNI DIRITTI RISERVATI.
DOMENICO QUIRICO
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