Riflessioni per una corretta cultura del debito famigliare

Transcript

Riflessioni per una corretta cultura del debito famigliare
Riflessioni per una corretta cultura del debito famigliare
Alberto Lanzavecchia - Lucia Poletti - Giulio Tagliavini
Dipartimento di Economia,
Università di Parma
Via Kennedy 6, I-43100 Parma, Italy
WP EF01/2008
Serie: Economia degli intermediari finanziari
Giugno 2008
Saggi in onore di Tancredi Bianchi
Riflessioni per una corretta cultura del debito famigliare
Alberto Lanzavecchia - Lucia Poletti - Giulio Tagliavinii
(Università di Parma, Dipartimento di economia)
1. Premessa
Già da diversi anni in Italia, con una particolare accentuazione nell’ultimo periodo, si è rafforzato il
comparto dei finanziamenti rivolti alle famiglie, con riguardo sia al finanziamento dell’investimento
immobiliare sia con riguardo al sostegno del consumo. Per alcuni questo elemento è da considerare
positivamente, come segnale di sviluppo e ammodernamento del mercato finanziario; per altri
questo elemento ha un prevalente connotato negativo, come segnale di indebolimento delle
condizioni finanziarie e della capacità di risparmio dei mutuatari o come una prevalente e diffusa
mancanza di consapevolezza e attenzione verso un attento comportamento di spesa. Tante vicende
finanziarie hanno un significato ambivalente. Anche il profilo dello sviluppo del debito delle
famiglie ha un connotato ambivalente e questa nota vuole proporre alcune riflessioni al riguardo.
La situazione che si è definita viene puoi giudicata estremamente pericolosa in relazione alle
possibili conseguenze di comportamenti superficiali di indebitamento in un contesto di instabilità
finanziaria. La disponibilità di finanziamenti supportati da approcci aggressivi di mercato, in una
condizione di assai limitata consapevolezza finanziaria, può infatti indurre sempre più persone
verso condizioni di sovraindebitamento e, conseguentemente, di accentuata sofferenza personale.
Diversi interlocutori sociali hanno messo in evidenza la pericolosità di una incerta cultura del debito
e di una evoluzione antropologica assai disattenta verso la corretta considerazione delle proprie
capacità di spesa, in un contesto di generale caduta del potere di acquisto.
La prassi nel mercato del credito o alcuni interventi normativi sono soliti individuare il livello di
indebitamento sostenibile in una porzione del reddito mensile. In tale contesto, il valore assoluto (in
termini monetari e reali) del reddito, dei flussi finanziari e del risparmio netto mensile non sono
altrettanto valutati. Invero, né il contesto sociale né la morfologia famigliare del prenditore di fondi
sono oggetto di valutazione nelle pratiche di fido.
Il nostro contributo vuole fornire nuovi elementi di riflessione a questo dibattito. Per acquisire un
grado maggiore di consapevolezza su questo tema, proponiamo alcune valutazioni basate su scambi
di opinione con persone che sono ricorse all’assistenza della Caritas in conseguenza di errate
decisioni di indebitamento, o in conseguenza di proprie circostanze personali peggiorate
significativamente da errate decisioni di indebitamento, integrate da osservazioni raccolte tra gli
operatori che si sono prestati ad aiutare e supportare situazioni di questo genere. La nostra
conclusione è che ci sono diversi segnali che inducono a ritenere assai pericolosa una evoluzione
poco attenta alle conseguenze di un debito assunto senza consapevolezza.
Un intervento legislativo, peraltro latente in Parlamento dal 2007 (DDL n. 3015 depositato alla
Camera dei Deputati), è divenuto ormai di urgente attualità. A tal fine, il recepimento della direttiva
europea sul credito al consumo, di recente emanazione, è un'occasione che il Legislatore italiano
dovrebbe cogliere per introdurre, come parametro di riferimento per la definizione del livello di
indebitamento sostenibile, non più una porzione del reddito netto mensile, bensì una soglia, in
termini monetari reali, di saldo finanziario netto mensile minimo.
2. La situazione del settore del finanziamento alle famiglie
Il mercato dei finanziamenti alle famiglie è in costante crescita, in tutta l'area dell'Unione Europea,
ancorché a partire dal terzo trimestre del 2007 siano in atto manovre di restrizione del credito alle
famiglie ii. Varie analisi hanno messo a fuoco le ragioni di questo trend e le strategie competitive
seguite dai principali operatori. Queste dinamiche sono differenziate per il comparto del supporto
finanziario all’acquisto di immobili, di autoveicoli, di altri beni di inferiore valore unitario. Un
profilo che di recente ha avuto un certo rilievo, e che è stato ripetutamente ripreso nella cronaca
finanziaria, concerne gli effetti della relativa facilità con cui si riesce a stipulare un prestito,
dell’allargamento dei casi in cui questa operazione viene presa in considerazione dai finanziatori,
dell’arricchimento tecnico delle forme di prestito, sulle condizioni di sopportabilità del debito sul
bilancio familiare. L’ipotesi presa in considerazione è che un allargamento non sufficientemente
attento del mercato del credito al consumo, unito a condizioni di pricing penalizzanti o comunque
severe, unito a condizioni di quadro economico che peggiorano le condizioni medie dei bilanci
familiari, unito a formulazioni tecniche più aggressive (con ampliamento della quota di prezzo che
risulta finanziata) produca un pericolo sociale in un quadro di insufficiente cultura e consapevolezza
finanziaria dei prenditori. L’ipotesi alternativa, che esalta il connotato di modernità di un efficiente
mercato del credito alle famiglie, deve forse essere rivista in considerazione dell’ipotesi prima
descritta e del modo in cui tale ipotesi viene progressivamente sentita come fondata.
3. L’evoluzione del settore del credito alle famiglie
La letteratura sul settore del credito alle famiglie è ampia ed approfonditaiii. I dati relativi
all’evoluzione del credito alle famiglie sono assai articolati e, naturalmente, consentono di
effettuare considerazioni di particolare dettaglio. Ai nostri fini, è sufficiente ricordare alcuni tratti di
particolare rilievoiv:
-
I mutui per l’acquisto dell’abitazione sono cresciuti in Italia, a partire dal 2003, a causa
dell’abbassarsi dei tassi di interesse, ad un ritmo annuale medio superiore al 15%.
-
Le dimensioni assolute del mercato del credito finalizzato all’acquisto o alla ristrutturazione
di un immobile sono ancora relativamente contenute, pari a circa la metà delle dimensioni
rilevate mediamente negli altri paesi europei.
-
Circa il 20% delle famiglie nella classe d’età 30-40 anni ha stipulato un mutuo immobiliare;
la percentuale scende al 18% per la classe d’età che si riferisce al decennio superiore. Le
famiglie che hanno stipulato un mutuo immobiliare sono in misura relativamente accentuata
residenti nel nord del paese.
-
L’incidenza delle famiglie proprietarie della propria abitazione è significativamente
superiore in Italia (80%) rispetto ad altri paesi (ad esempio 56% in Francia e 42% in
Germania). I mutui immobiliari sono sempre meno stipulati a fini di acquisto della prima
abitazione ma, in proporzione progressiva, a fini di sostituzione e miglioramento della
propria soluzione abitativa, di ripristino, di restauro, di acquisto di una abitazione
secondaria.
-
In Italia ricorrono al mutuo immobiliare prevalentemente famiglie a reddito relativamente
elevato e la quota finanziata è significativamente più bassa, rispetto al valore dell’immobile,
rispetto a quanto si riscontra in altri contesti geografici (50% contro 70-80%).
-
Anche nel comparto del credito al consumo, il mercato Italiano è relativamente meno
sviluppato, assumendo una incidenza percentuale di circa il 3,5% del PIL, mentre in diversi
paesi europei il dato si avvicina e supera il 10%.
-
L’importo medio di un prestito personale è passato in pochi anni da circa 8500 euro a oltre
17.000 euro; con ripercussioni notevoli sul totale del mercato e sulla durata media della
singola operazione, passata in una quota notevole su durate superiori a 8 anni.
-
La fascia d’età interessata maggiormente al credito al consumo è più giovane rispetto al
comparto immobiliare, anche se l’interesse per questo prodotto non scompare certo per le
classi d’età più elevata.
-
Il sottosettore del prestito immobiliare è relativamente robusto nel nord del paese; il
sottosettore dei prestiti personali è invece più sviluppato nel sud, territorio dove si riscontra
una notevolissima accelerazione dell’operatività a partire dal 2005. I volumi allocati al sud
sono praticamente raddoppiati a partire dal 2000.
4. L’operatività basata sulla cessione del quinto dello stipendio
Sotto un profilo tecnico, è utile sottolineare che il mercato italiano ha visto tra l’altro irrobustire
considerevolmente le operazioni della classe “cessione del quinto dello stipendio”. Su questo
versante si sono riscontrati comportamenti innovativi, attraverso la riscoperta e la messa a punto di
nuove soluzioni riferite ad uno schema contrattuale non certo innovativo.
Come è noto, si tratta di una operatività con radici assai antiche. I DPR istitutivi di questa
operatività (n. 180 e n. 895) sono stati emanati nel 1950. La normativa di origine si riferiva alla
possibilità di finanziare in questo modo i dipendenti pubblici. Questa operatività è stata estesa con
la legge 80/2005 4 con il D.M. 313 del 2006 con riferimento alla Cessione del Quinto della
Pensione e con riferimento ai dipendenti di imprese private (non solo con riferimento ai dipendenti
pubblici, come precedentemente previsto). L’evoluzione della normativa ha portato ad un
considerevole allargamento dello spazio di mercato. Prima delle citate innovazioni normative, la
cessione del quinto poteva riguardare circa 4 milioni di dipendenti pubblici. A questa base di
riferimento si è aggiunto uno spazio di mercato relativo a 15 milioni di dipendenti privati e un
ulteriore spazio di mercato di 16 milioni di pensionati. Il comparto della cessione del quinto ha una
incidenza attuale di circa il 7% dell’intero mercato del credito alle famiglie (di carattere non
immobiliare), è in forte irrobustimento ed ha attirato l’interesse di importanti operatori finanziari.
Questa operatività si basa sull’idea che stipulare un debito dedicando al suo servizio al massimo un
quinto (20%) dello stipendio non sia poi particolarmente rischioso. Dedicare il 20% dello stipendio
al pagamento di una rata di rimborso non comprime significativamente la capacità di spesa di una
famiglia e non incide sulla sua capacità di affrontare le spese correnti. Il disegno normativo a suo
tempo architettato si poneva l’obiettivo di favorire il debitore, creando uno spazio giuridico di tutela
delle ragioni del creditore che, in questo modo, poteva essere attratto dal mercato del credito al
consumo, anche per prenditori che fossero, in astratto, mediamente rischiosi. La cessione del quinto
dello stipendio era una strumentazione finanziaria che da un lato preservava le ragioni della
istituzione finanziaria erogante e dall’altra limitava i pericoli, per una famiglia, di trovarsi a
dedicare al servizio del debito una quota eccessiva dello stipendio periodico.
Le ragioni di tutela del soggetto finanziario erogante si basano su alcuni meccanismi molto efficaci.
In primo luogo il versamento del quinto dello stipendio a favore del creditore viene operato
direttamente dal datore di lavoro, senza alcuna possibilità del dipendente di revocare il mandato in
questo senso conferito nella fase di stipula. In secondo luogo, le ragioni del creditore sono tutelate
dalla possibilità di rivalersi nella quota corrispondente al debito residuo sul trattamento di fine
rapporto accantonato a favore del dipendente – debitore. In terzo luogo, le ragioni del creditore sono
tutelate in ragione della polizza assicurativa obbligatoriamente stipulata a suo vantaggio (e
addebitata al dipendente mutuatario). Questo tipo di operatività realizza dunque un livello alto di
tutela delle ragioni del creditore. Eppure, a fronte di una classe di impiego caratterizzata da un
rischio contenuto, è applicato dai finanziatori un tasso di interesse mediamente elevato.
La documentazione ufficiale di alcune società specializzate in questo settore testimonia che in
proporzione al montante lordo delle rate addebitate al cliente, appunto corrispondenti al 20% dello
stipendio, le commissioni commerciali corrispondono al 15%, la componente interessi al 19%, il
premio assicurativo all’8% e che l’importo erogato corrisponde al solo 58% del montante. Questo
modo di presentare i dati circa questa operatività, che spesso appunto fa riferimento al montante e
non alla somma erogata, non è chiarissimo. Prendendo come riferimento la somma erogata, anziché
il montante delle rate, si riscontra al contrario una incidenza circa doppia delle spese assicurative sul
capitale (il 15% anziché l’8%), analogamente alle altre componenti. Queste operazioni sono molto
spesso negoziate a livelli di tasso non eccessivamente inferiori ai limiti antiusura, anche se il rischio
sembra essere, come detto, alquanto limitato. Questa operatività facilita dunque notevolmente il
ricorso al debito di famiglie con limitata o limitatissima disponibilità finanziaria, ma a condizioni di
mercato sbilanciate a favore del finanziatore: il maggior rischio di credito è più che compensato
dalle protezioni giuridiche poste in essere dalla norma. Delle due, l'una: o si rimuovono le
protezioni obbligatorie a favore del finanziatore (il costo assicurativo a carico del prenditore in
primis) e si mantengono i tassi attuali, o si mantiene l'impianto giuridico attuale, ma il tasso soglia
di queste operazioni deve essere ridefinito.
5. I segnali di acuta preoccupazione
Alcune indagini di cronaca giornalistica e alcune rilevazioni di operatori che si dedicano
volontaristicamente all’assistenza di persone in difficoltà, e in modo principale della Caritas, che ha
messo in opera 264 centri di ascolto, mettono in evidenza i seguenti punti.
-
Diverse famiglie sono messe in difficoltà dal fatto di sommare, a causa di disattenzione o a
causa di elementi di urgenza che si sommano nel tempo, piccoli prestiti, che poi finiscono
per determinare numerose piccole rate da pagare ogni mese. Questa situazione in diversi casi
provoca estremo disagio e la necessità di rivolgersi ad istituzioni di assistenza caritatevole v
nei momenti in cui si somma una ulteriore esigenza finanziaria urgente e indifferibile. In
questi episodi, si consiglia di intervenire con un piano di risanamento assai cauto, protratto
nel tempo, inevitabilmente doloroso. Un numero significativo di casi di questo genere è
generato non tanto da difficoltà di ordine lavorativo o da altre disavventure famigliari, ma
proprio da una precedente superficiale gestione finanziaria.
-
Il Rapporto dell’Istat sulla povertà nel nostro Paese relativo al 2007 indica che sono in stato
di povertà 2.623.000 famiglie, corrispondenti a 7.537.000 persone, cioè il 12,9% della
popolazione, di cui i due terzi vivono al Sud. Il Rapporto Caritas Fondazione Zancan
sottolinea l’aumento numerico non di famiglie povere, ma di famiglie non computabili come
povere solo perché le loro risorse finanziarie sono appena sopra la linea della povertà, ossia
la superano per una somma esigua che va da 10 a 50 euro al mese. L’Istat calcola che queste
famiglie “a rischio di povertà” siano oltre 900 mila. Esse arrivano con difficoltà alla fine del
mese, e sono costrette a indebitarsi e a ricorrere ai centri assistenziali, nonostante abbiano un
lavoro e un reddito. L’impiego di una linea standard per stimare chi è povero e chi non lo è
semplifica molto i confronti, ma non evidenzia i confini mobili del fenomeno e
l’ampliamento dell’insieme delle famiglie in posizione vulnerabile. La situazione di povertà
è di particolare rilievo in quanto strettamente connessa al tema dell’esclusione socialevi.
-
Diversi casi di cronaca finanziaria testimoniano situazioni di estrema sofferenza, fino ad
arrivare ad atti autolesionistici a cui la stampa fornisce ampio rilievo, in conseguenza della
stipula di mutui e prestiti che non sono in pratica rimborsabili data la situazione finanziaria
del debitore. E’ utile sottolineare che ogni decisione di concessione di un prestito quando
non vi sono le ragionevoli condizioni di rimborsabilità produce non solo una conseguenza, il
più delle volte non più che sgradevole, sul bilancio del mutuante, ma soprattutto produce
conseguenze veramente forti o addirittura drammatiche sulla vita del mutuatario. È evidente
che la presenza di un debito, in assenza di adeguate coperture alternative, finanziarie o
sociali, accentua la vulnerabilità del prenditore agli eventi esterni, sia che si tratti di spese
improvvise (per esempio spese mediche), sia che si tratti di interruzione, anche temporanea,
dei flussi di reddito. La concessione di un prestito solo in condizioni di rimborsabilità dello
stesso, e senza che tali condizioni di rimborsabilità producano grave danno alla dignitosa
sopravvivenza del debitore, corrisponde pertanto ad un comportamento socialmente
responsabile.
-
Una intera classe sociale che alcuni anni fa poteva essere considerata certamente non povera
in quanto titolare di un rapporto di lavoro stabile, nei tempi recenti si è avvicinata alla soglia
della povertà, e in diversi casi l’ha superata, in conseguenza della rigidità dei nuovi modelli
di consumo, in conseguenza dell’evoluzione negativa del ciclo economico, in conseguenza
del maggior peso dei costi correnti e non comprimibili. I centri di ascolto della Caritas
registrano non solo un rafforzamento numerico delle persone bisognose di attenzione e
assistenza, ma anche una evoluzione qualitativa delle persone in cerca di aiuto, con un
irrobustimento della componente composta da famiglie che godono di un reddito, sia pure
limitato, che si dimostra insufficiente alle esigenze e la cui insufficienza viene accentuata
dalla decisione di percorrere la strada dell’indebitamento. Questa nuova area di povertà, che
raggiunge disponibilità economiche di pochissimo superiori a quelle che definiscono la
povertà in senso tecnico, in cui ritroviamo famiglie monoreddito, specialmente con figli e
anziani a carico, è in forte allargamento e questo fenomeno allarma moltissimo gli operatori
umanitari, che citano sempre, come concausa delle criticità rilevate, la possibilità di
accedere al debito.
-
La sensibilità qui richiamata, ampiamente condivisa dalle persone e dalle istituzioni che
forniscono assistenza, sottolinea l’incongruità di tutti i messaggi che tendono a sfumare la
rilevanza della decisione di accendere un debito. “Tasso zero”, “prestito immediato”, “prima
rata tra un anno”, “carta di credito gratuita”, sono tutte espressioni che dissimulano in modo
controproducente la rilevanza di una decisione che amplifica considerevolmente l’effetto di
un eventuale evento negativo. Ma occorre sottolineare che le critiche di questi operatori
umanitari non si dirigono solo verso le modalità con cui vengono comunicate le possibilità
di stipulare un debito, ma si dirigono proprio su alcune particolarità tecniche recentemente
diffuse nell’operatività di banche e società finanziarie. L’innalzamento della quota del
prezzo che può essere finanziata è un fattore che innalza considerevolmente il rischio in
capo al debitore. L’allungamento dei termini di rimborso agisce nella stessa direzione.
Sarebbe facilmente dimostrabile che alcune attuali formule di vendita di autoveicoli
supportati dal credito (ad esempio pagamento immediato di metà del prezzo con rateazione a
tasso zero dell’altra metà e con clausola di restituzione o riscatto ad una certa data
dell’usato) finiscono, tenendo conto dell’incasso del controvalore di un autoveicolo usato,
per realizzare la sostituzione dell’auto con un esborso immediato bassissimo ma finiscono
per delineare una operatività la cui vera convenienza e sopportabilità potrebbe essere
valutata da un vero esperto.
-
In un contesto di questo genere, con numerosi nuclei famigliari in una zona grigia tra
povertà e benessere appena sufficiente, ne deriva che ogni evento negativo (perdita del
lavoro, malattia, disgregazione della famiglia, ecc.) produce uno spostamento netto e
difficilmente reversibile della situazione verso l’indigenza. E tra gli eventi negativi che
possono verificarsi molto spesso, che sia a ragione o che sia senza effettivo fondamento, si
cita un errore nella stipula di un prestito. E questi errori sono difficili da riconoscere per
persone che inevitabilmente sentono da un lato la pressione di esigenze da soddisfare e
dall’altro una assai limitata sensibilità per giudicare la convenienza e la sostenibilità di una
operazione finanziaria.
-
Il fenomeno di peggioramento della solvibilità delle famiglie è ora testimoniato anche dai
dati di sistema forniti dalla Banca d’Italia. A partire dai dati forniti a fine 2007, che si
riferiscono al precedente ottobre, si riscontra un appesantimento delle sofferenze
riconducibili a questo segmento di mercato.
-
Occorre poi ricordare, anche se è ovvio agli operatori professionali, che ogni esecuzione
immobiliare finalizzata al recupero di un credito in sofferenza comporta quasi
inevitabilmente la dissipazione del capitale risparmiato fino a quella data dalla famiglia
escussa. I costi procedurali e i termini di prezzo effettivamente realizzabili non consentono
infatti di recuperare la quota capitale versata fino a quel momento al creditore e la quota del
prezzo di acquisto originariamente non finanziata. A partire da quel momento, la gestione
finanziaria della famiglia escussa “riparte da zero” e in diversi casi non si trovava, pur non
riuscendo a pagare le successive rate, al punto zero. La regolamentazione italiana riferita
all’insolvenza di una persona fisica non imprenditore o di una famiglia è straordinariamente
arretrata rispetto a quanto esistente in altri paesi sviluppativii.
-
A fronte di questa situazione, si diffondo iniziative nel campo del “microcredito”. Come è
noto, una idea precisa del microcredito fa sì riferimento alla limitatezza quantitativa della
somma mutuata, ma anche all’intento di avviare un’attività produttiva di un reddito, o di
ottimizzarne una già esistente, e richiede la prospettiva di rimborso del prestito. Come è
noto, il microcredito non corrisponde alla formula “microcredito al consumo”, a meno di un
utilizzo improprio della terminologia con significato tecnico. Si sta invece diffondendo
quello che viene definito “microcredito di emergenza” come forma di prestito erogato a
famiglie in temporanea difficoltà finanziaria, anche in conseguenza di spese di natura non
ricorrente (spese dentistiche, libri scolastici, spese legali). Si tratta comunque di una
ulteriore forma di indebitamento, seppure rivolta al superamento di una situazione di
momentanea difficoltà, che dovrebbe essere assunta, almeno in linea di principio, in
presenza di flussi familiari che garantiscano il rimborso del debito. Nella realtà, tuttavia,
anche il microcredito di emergenza, come altre forme di prestito destinate a soggetti in
difficoltà finanziaria, è spesso erogato a fronte di fondi di garanzia forniti da enti pubblici,
non profit o ecclesiastici. L’erogazione dei prestiti, in questi casi, avviene a tassi fortemente
agevolati e i tassi di rimborso sono molto bassiviii. Lo strumento può servire a migliorare le
condizioni economiche dei prenditori solo se viene da questi considerato come una forma di
finanziamento da attivare in situazioni eccezionali, affiancato da un processo di
pianificazione finanziaria individuale o familiare. In presenza di un settore fortemente
frammentato e caratterizzato da operatori di estrazione estremamente differente, il termine
“microcredito” è spesso usato impropriamente per indicare interventi assai prossimi alla
beneficienza, per i quali le possibilità di rimborso sono praticamente assenti, e talvolta
rivolti a tamponare situazioni familiari compromesse da debiti contratti per l’acquisto di
beni di consumo.
6. Occorre sostenere una corretta cultura del debito
La tradizione dell’analisi aziendalistica italiana testimonia la piena consapevolezza sul fatto che le
modalità con cui viene erogato il credito alle famiglie producono rilevanti conseguenze sulla
situazione finanziaria dei singoli finanziati e che vi possono essere motivi di inopportunità che
possono spingere ad introdurre misure di regolamentazione ad hoc. Giordano Dell’Amore (1964)
sviluppò considerazioni assolutamente attuali in tema di opportunità di sviluppo del credito alle
famiglie in relazione all’ambiente sociale di riferimento, prefigurando situazioni di disfunzionalità.
Pier Luigi Fabrizi (1975) analizzò invece gli obiettivi di fondo della regolamentazione del settore e
identificò esigenze di sistema, in evidenza il controllo dell’inflazione e l’incentivazione della
propensione al risparmio, ed esigenze di governo della situazione finanziaria della clientela. A tale
secondo fine furono sostenute misure di esplicitazione del costo e delle caratteristiche tecniche delle
diverse forme di finanziamento e furono discusse misure, sperimentate anche in tempi lontani, in
Italia e all’estero, di definizione di un valore minimo all’acconto pagato all’atto dell’acquisto (quota
quindi non finanziabile) e di durata massima del periodi rateizzazione. Tancredi Bianchi, con
riferimento ai fattori di successo dell’attività bancaria, sottolinea che “l’obiettivo è quello di mettere
a fuoco, per accertarle con nitidezza, le occorrenze del cliente e di adattare a esse le scelte
imprenditoriali, al fine di appagare quei bisogni in condizioni di eccellenza”, sottolineando la
necessità di assumere decisioni “nell’interesse finale del cliente”. Ricorda che “la rivoluzione
multimediale ha ampliato gli spazi economici” e sottolinea l’importanza di guidare il prenditore di
fondi verso scelte consapevoliix. Tutta questa riflessione, che adesso percepiamo come di assoluta
attualità, è risultata eccessivamente trascurata sia nelle elaborazioni teoriche successive, sia nella
riflessione di base alla preparazione degli interventi normativi, sia, e la cosa risulta più
comprensibile, con riferimento alla definizione delle strategie degli operatori del settore.
Fino a qualche tempo fa, il punto di vista predominante suggeriva la sola necessità di trasparenza
contrattuale e la necessità di un indicatore di costo sintetico e significativo anche per un
interlocutore non esperto di questioni finanziari. La nostra impressione è che il tema richieda una
nuova e più attenta considerazione. L’esplicitazione sintetica del costo del finanziamento non è
sufficiente, di per sé, ad indurre meccanismi efficaci di autoregolazione del cliente; le altre regole di
trasparenza, sia pure doverose, non hanno l’effetto di indurre comportamenti responsabilmente
fondati su un accettabile logica finanziaria ed espongono la famiglia all’amplificazione degli effetti
dei possibili eventi traumatici. L’allungamento del periodo di rimborso ha un ruolo nell’abbassare
l’ammontare della rata periodica e quindi ha un effetto di disinibizione a favore di comportamenti di
indebitamento irresponsabili. L’ampliamento della quota finanziabile del prezzo del bene concorre a
rinforzare i rischi delle operazioni stipulate. Il pricing severo concorre a rendere pericolosa la
situazione. Ma la riflessione che assegna alla trasparenza un ruolo sì di rilievo, ma non
conclusivamente risolutivo al fine di attivare corretti meccanismi di mercato, è ampia e
progressivamente condivisa. A nessuno viene in mente che sia opportuno consentire l’effettuazione
di un prestito al tasso del 70%, anche se fossero assolutamente trasparenti le relative clausole di
contratto. Su certi problemi, in certe situazioni in cui si affrontano posizioni negoziali assai
asimmetriche, in contesti in cui le competenze del cliente sono praticamente sempre inadeguate, il
legislatore introduce meccanismi di tutela del contrante debole molto più incisivi rispetto alla
clausola di trasparenza.
L’analisi aziendalistica italiana ha bene messo anche in evidenza le radici del progressivo e radicato
rafforzamento della propensione all’indebitamento. Marco Di Antonio (1994) propose una analisi
assai articolata basata sui seguenti punti principali: maggiore (anche se non tuttora piena)
legittimazione sociale all’indebitamento famigliare; allentamento dei legami famigliari, soprattutto
tra nuove famiglie e nuclei originari; mobilità geografica delle famiglie rispetto ai nuclei di origine;
attenuazione dei vincoli di solidarietà all’interno della comunità locale. A ciò si aggiunge una più
recente trasformazione antropologica basata su modelli di consumo emulativi e sulla progressiva
difficoltà nei confronti della compressione dei consumi rispetto agli standard socialmente ritenuti
irrinunciabili. Un aggiornamento di questa analisi vien proposta da Umberto Filotto (1999). Questo
rafforzamento ha raggiunto livelli eccessivi e deve trovare modalità di limitazione in congrui
programmi di educazione finanziaria.
La nostra impressione è che un approccio di regolamentazione basato su trasparenza e indice
sintetico di costo, sostenuto prima dalla letteratura sul tema e poi attuato dal legislatore, sia ora
incongruo in conseguenza della nuova antropologia del debitore, che non può più fare leva
(purtroppo) su meccanismi di autoregolazione basati su autocontrollo, cautela, propensione al
risparmio. In questo contesto ci pare augurabile l’introduzione di qualche forma di
regolamentazione più incisiva e finanche invasiva rispetto ai meccanismi di libero mercato.
Il tema affrontato è di rilevante attualità e discusso a livello globale nel recente episodio della
difficoltà del mercato dei mutui subprime. Utilizzando l’espressione “etica dell’indebitamento”,
alcuni commentatori si sono posti il seguente quesito: nel caso di diffuse difficoltà di rimborso di
prestiti concessi dal sistema bancario è corretto individuare le responsabilità sul lato delle banche
(che avrebbero proposto contratti complessi, costosi e rischiosi) o occorre individuare le
responsabilità sul lato dei debitori (che avrebbero realizzato operazioni di investimento a rischio
elevato ma con un potenziale ritorno assolutamente interessante e, in ipotesi di evoluzione negativo
del quadro generale, da non affrontare con risorse pubbliche, anche in ipotesi di situazioni personali
di sofferenza assai gravi)?
Un ulteriore spunto di riflessione nasce dalla necessità di contemperare gli interessi dei diversi
stakeholders, tra i quali gli azionisti giocano un ruolo di rilievo. Con riferimento all’attività
bancaria, è convincimento di Tancredi Bianchi che “nessun stakeholder debba o possa essere
vincolante per, o condizionato da, le scelte in ambito aziendale; quindi, che non sia né fattore
limitativo per quelle opzioni né fattore costretto dalle stesse. La strada da percorrere al proposito è
ancora molto lunga e malagevole; la rende scoscesa l’ansia di porre come prioritaria la tutela degli
interessi degli azionisti, soprattutto se solo di una parte di essi”x.
La situazione è ambivalente e può essere interpretata sensatamente sulla base di diverse sensibilità.
Da un lato è evidente che un comportamento aggressivo delle banche (per forme contrattuali, per
criteri di valutazione del rischio, per complessità e determinazione della proposta commerciale,
sostenuta da forti incentivi monetari al conseguimento degli obiettivi di vendita) comporta come
conseguenza, in ipotesi negativa, un addebito professionale, l’imputazione della disfunzionalità del
meccanismo di intermediazione finanziaria e, in definitiva, l’accusa di un atteggiamento eticamente
censurabile xi. Da un altro lato, è pure evidente che i debitori che realizzano schemi ad alto rischio e
potenzialmente ad alto ritorno, se è a loro concesso in una certa fase del mercato o a partire da una
certa fase del mercato, devono sopportarne le conseguenze e non possono impunemente difendersi
sulla base della sola idea di essere un contraente debole, e addebitare sui terzi i danni da loro
creatixii.
Le testimonianze con cui ci siamo confrontati nella valutazione del problema che qui abbiamo
presentato confermano che le conseguenze personali degli atti finanziari sono talvolta assai dolorose
e che, di conseguenza, è opportuno approcciare il tema con cautela e consapevolezza che il livello
di razionalità delle scelte è, troppo spesso, non inaspettatamente, ma in congruamente rispetto alla
teoria economica, drammaticamente insufficiente. Quindi, se la razionalità delle scelte da parte del
debitore non è sufficiente in un numero significativo di casi, ne deriva l’esigenza, che noi
avvertiamo, di definire un intervento pubblico di governo del problema o un comportamento assai
responsabile da parte del banchiere.
E’ di rilievo sottolineare che le riflessioni su questi aspetti che risultano più attente e comprensive di
reali circostanze di sofferenza sono individuabili nel mondo del volontariato. Alcune iniziative si
concentrano esattamente sulle situazioni sopra descrittexiii.
7. Conclusioni
Sotto un profilo generale ci sono effettivamente diverse considerazioni che spingono a ritenere non
pericolosa, sotto un profilo sistemico e sociale, l’evoluzione attuale del mercato del credito alle
famiglie con riguardo all’Italia. Le famiglie italiane, in effetti, non sono eccessivamente indebitate
nel loro complesso, i mercati esteri sono effettivamente caratterizzati da un maggior debito delle
famiglie, i prodotti proposti non hanno le caratteristiche aggressive che in altri luoghi hanno creato
disfunzionalità pericolose, i prezzi degli immobili non scontano un effetto nettissimo di bolla
speculativa, i finanziati appartengono a classi di reddito che lasciano presumere effettivi rimborsi e
conseguenze favorevoli nell’evoluzione del mercato. Ma non esiste solo questo profilo generale
dell’analisi.
Esiste infatti anche il profilo corrispondente ad una operatività aggressiva verso debitori con
limitata o limitatissima capacità di rimborso. La componente aggressiva è a nostro avviso
individuabile nel pricing penalizzante e nella convenienza a concludere il finanziamento sulla base
di uno schema contrattuale che avvantaggia oltremodo il finanziatore, messo nelle condizioni di
conseguire extra profitti su classi di impiego caratterizzate contemporaneamente (da qui l'anomalia)
da un rischio contrattuale contenuto e da tassi di interesse applicati elevati. Può essere vero che nel
contesto antropologico degli anni cinquanta lo stipendio fosse effettivamente comprimibile del 20%
senza grandi conseguenze. Ancor più se si considera che la norma di allora si limitava al pubblico
impiego, ove la certezza nella continuità del rapporto e la protezione del potere d'acquisto degli
stipendi erano assicurati. Ma nel contesto antropologico attuale, allargato ai pensionati e ai
dipendenti privati, abbiamo l’impressione che una compressione del 20% di quei redditi già di per
sé incapaci di assicurare un saldo finanziario netto mensile positivo, comporti un sacrificio in
pratica non sopportabile. E soprattutto in un contesto dove si riscontra che a fronte della rinuncia al
20% del reddito non si ottenga un capitale erogato equamente corrispondente. E soprattutto in un
contesto in cui il debitore possa essere stato precedentemente indotto ad anticipare acquisti, rispetto
alla sua possibilità di spesa, con altre strumentazioni di prestito finalizzato, carte di credito o forme
di prestito revolving. La persona fortemente indebitata riesce in ogni caso a stipulare un ulteriore
debito attraverso "la cessione del quinto dello stipendio", in qualsiasi momento lo ritenga utile. Tale
operazione infatti prescinde dal valore mensile dello stipendio e dalla quota del reddito già
impegnata per il rimborso di altre forme di indebitamento. Se la necessità di raccogliere risorse
liquide diventa impellente, e se è possibile farlo cedendo il quinto di uno stipendio, ne deriva che
l’operazione vien poi fatta senza alcun elemento di ulteriore limitazione.
In un contesto di cultura finanziaria molto debole, e di sottovalutazione delle conseguenze di un
livello eccessivo di indebitamento, strumenti di questo tipo potenziano lo scadimento della
valutazione dell’opportunità dell’operazione e rendono più difficile, più lungo e più sofferto il
percorso di uscita dalla situazione di difficoltà.
Questa è la ragione per cui riteniamo che l’operatività attraverso la cessione del quinto dello
stipendio, nella nuova antropologia del consumatore, nella non adeguata sollecitazione della
sensibilità valutativa del concedente, e in un contesto di forte asimmetria nella ripartizione dei
valori economici in gioco, precostituisca uno degli elementi di fondo a situazioni di personale
sofferenza e, per questo, debba essere scoraggiata.
L'approccio sistematico al tema dell'indebitamento sostenibile delle famiglie da noi proposto
richiama inevitabilmente i concetti basilari dell'analisi dell'economia aziendale per i fidi bancari:
tanto quanto è fuorviante e pericoloso mettere in relazione il livello di indebitamento finanziario
con il fatturato dell'azienda, per gli stessi motivi occorre abbandonare la prassi (e la norma) basata
su una frazione del reddito mensile. Il saldo finanziario netto disponibile del prenditore è il vero
parametro utile per misurare la sua capacità di indebitamento sostenibile. Alcuni livelli di reddito
(pensioni incluse) oggi presenti in Italia già non producono un saldo finanziario attivo a fine
periodo (mese o anno). Per questi redditi, la cessione del quinto dello stipendio penalizza due volte
il prenditore di fondi: perché aumenterebbe il suo livello di povertà effettiva (sbilancio
entrate/uscite); perché, a parità di importo della rata, il capitale erogato sarebbe di gran lunga
inferiore a quello ottenibile con altre forme di indebitamento (effetto tassi applicati e assicurazione
a carico del prenditore).
Il recepimento della direttiva comunitaria sul credito al consumo è un'occasione unica per
riformulare radicalmente il mercato del credito alle persone fisiche, introducendo così il nuovo
profilo del "reddito netto disponibile per il rimborso del credito" sopra esposto.
Il tema qui sommariamente commentato merita una maggiore attenzione da parte degli studiosi dei
comportamenti finanziari e la messa in opera di rilevazioni specifiche e di precise rilevazioni dei
comportamenti disfunzionali, sia dei debitori sia dei creditori. Questa necessaria attenzione era già
stata sottolineata con lungimiranza da Roberto Ruozi nel 1990xiv e occorre riprendere questa
prospettiva di analisi. Tancredi Bianchi, evidenziando i fattori di successo dell’attività bancaria,
sottolinea che le nuove vie di un’attività customer oriented suggeriscono una speranza: “il nuovo
rilievo di un’attenzione per l’uomo, in quanto richiedente e utilizzatore finale di beni e servizi
economici”xv.
i
Corresponding author, Dipartimento di economia, Università degli Studi di Parma, via Kennedy 6, 43100 Parma,
[email protected], fax. 0521.032201. Questo contributo presenta il risultato dell’integrazione delle riflessioni
delineate dai tre autori e sviluppate in una direzione coordinata. I paragrafi 1, 2 e 3 corrispondono allo specifico apporto
elaborativo e di stesura di Giulio Tagliavini; i paragrafi 4 e 5 di Alberto Lanzavecchia; i paragrafi 6 e 7 di Lucia Poletti.
ii
Cfr. BCE, The Euro area lending survey, January 2008, pag. 25.
iii
Si veda: Giordano dell’Amore, Il credito al consumo, Milano, Giuffré, 1964; Tancredi Bianchi, I fidi bancari, Torino,
Utet; Pier Luigi Fabrizi, Il credito al consumo, Milano, Giuffré, 1975; Roberto Ruozi, Alcuni pericoli del credito al
consumo, Banche e Banchieri, n. 11, novembre 1990; Luisa Anderloni, Credito al consumo e sovraindebitamento delle
famiglie: aggiornamenti su alcune esperienze estere, Banche e Banchieri, n.2, 1993; Marco Di Antonio, Il credito al
consumo, Milano, EGEA, 1994; Roberto Bottiglia, Il mercato del credito fondiario, Milano, Egea, 1995; Umberto
Filotto (ed), Manuale del credito al consumo, Milano, Egea, 1999; Umberto Filotto, Mito e realtà del credito al
consumo (e qualche ipotesi per il domani), Bancaria, n. 9, 2002.
iv
Per considerazioni più dettagliate si veda Carlo Milani, Un’analisi macro e micro del mercato italiano, Abi MK,
gennaio – febbraio 2008.
v
Vedi Caritas – Diocesi Bolzano Bressanone, Rapporto annuale 2006 del Servizio Consulenza Debitori; vedi anche
Sesto Rapporto sulle Povertà nella Diocesi di Milano, Caritas Ambrosiana, 2007.
vi
Sul Concetto di esclusione sociale e sulle conseguenze che ne derivano si veda il VII rapporto sulla povertà e
l’esclusione sociale, “Rassegnarsi alla povertà?” della Fondazione Zancan, Padova, 2008
vii
Su questo aspetto si veda Luisa Anderloni, Sovraindebitamento delle famiglie e politiche di prevenzione: alcune
esperienze estere e prospettive in Italia, in Donato Masciandaro – Angelo Porta, L’usura in Italia, Egea, 1997.
viii
Da un’indagine condotta sul settore del microcredito in Europa, quindi relativa alla situazione generale e non al
credito di emergenza in particolare, risulta che il 27% dei 110 operatori indagati presenta un tasso di rimborso tra il 75%
e l’85%, il 42% presenta un tasso di rimborso tra l’86% e il 95%, mentre il 31% presenta un tasso di rimborso tra il 96%
e il 100%. Risulta anche che circa un quarto degli operatori presenta un tasso di cancellazione dei prestiti superiore al
10%. Per approfondimenti sulla situazione del microcredito in Europa si vedano European Microfinance Network,
Overview of the microcredit sector in Europe 2004-2005 e Laura Viganò, Microfinanza in Europa, Giuffrè, 2004.
ix
Vedi Tancredi Bianchi, Nuovi fattori di successo dell’attività bancaria, Banche e Banchieri, n. 1, 1997.
x
Tancredi Bianchi, Ultima Lezione, lezione tenuta all’Università Bocconi il 19 maggio 2000, pubblicata con Banche e
Banchieri, n. 3, 2000.
xi
Questo punto di vista è efficacemente sintetizzato da Paul Krugman, Banks Gone Wild, New York Times, November
23, 2007.
xii
Questo punto di
vista
è efficacemente sintetizzato da
Alberto Bisin,
L’etica
dell’indebitamento,
noiseFromAmerica.org, 14 dicembre 2007 e, dello stesso autore, La middle class è indebitata. Bene o male ?,
noiseFromAmerica.org, 15 dicembre 2006.
xiii
La fondazione lombarda San Berdardino Onlus, ad esempio, ha “lo scopo di assistere e sostenere chiunque versi in
stato di bisogno, in particolare nelle situazioni di indebitamento, per prevenire il ricorso all'usura.
A tal fine intende: sviluppare un’azione preventiva ed educativa volta a creare una cultura di “debito responsabile”
attraverso convegni, gruppi di studio e di ricerca, dibattiti e conferenze affinché le persone siano portate a riflettere e ad
agire responsabilmente rispetto alla necessità di ricorrere alle varie forme di finanziamento; proporre forme di sostegno,
sotto forma di consulenza e di accompagnamento, per la definizione della situazione debitoria; fornire, in determinati
casi accuratamente vagliati dagli organi preposti, idonee garanzie alle banche convenzionate, così da permettere ai
soggetti in difficoltà di accedere al credito bancario”. Si veda http://www.fondazionesanbernardino.it
xiv
Vedi Roberto Ruozi, Alcuni pericoli del credito al consumo, Banche e Banchieri, n. 2, 1990.
xv
Vedi Tancredi Bianchi, Nuovi fattori di successo dell’attività bancaria, Banche e Banchieri, n. 1, 1997.