La persona ha bisogno di cibo. Il paziente ha bisogno di cibo. Come
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La persona ha bisogno di cibo. Il paziente ha bisogno di cibo. Come
La persona ha bisogno di cibo. Il paziente ha bisogno di cibo. Come e con cosa nutriamo i nostri pazienti? Qual è il significato del cibo? Molti lavori scientifici parlano del corretto apporto nutrizionale, del corretto approccio al paziente con disfagia e delle molteplici attenzioni tecniche che si devono, doverosamente, attuare nei confronti delle persone che assistiamo. Anch’io nella quotidianità mi nutro normalmente in mensa in ospedale. La mia attenzione nella scelta dei cibi del self-service è più legata agli aspetti calorici che non al gusto. L’aspetto del cibo. Quando scendo in mensa (dell’ospedale) sulle scale sento il “profumo” dei cibi e cerco di indovinare ciò che vi sarà nel menù. Quando si è innanzi alla vetrina del sel-servive non sempre è facile distinguere quando le carni sono “stufate” con contorni di vario genere e colore. Quando qualche collega sceglie alcuni spezzatini commento scherzosamente...temerario! Lo so che vi sono specifiche leggi che regolamentano i servizi alimentari e che il mio è un pregiudizio, tuttavia l’occhio vuole la sua parte. L’esporre il cibo in modo adeguato migliora l’appetibilità del cibo. I giapponesi hanno addirittura una specifica “disciplina” (Ikebana) che studia il modo di esporre (vale per i piatti della cucina, per i fiori, per il giardino, per le vetrine, per le esposizioni). I profumi. Chi di noi non ricorda il profumo del piatto che meglio riusciva a nostra madre? Chi di noi non riconosce il soffritto che si iniziava a sentire in estate quando alcune rare finestre aperte dei piani bassi lasciavano uscire talvolta un fine aroma di cipolla soffritta? Chi di noi non ricorda il profumo del pollo arrosto della rosticceria all’angolo quello del pollaiolo ambulante del mercato? Come non ricordare con questi profumi le molte persone che si incontrano al mercato, i molti colori, i molti suoni? Il gusto e la palatabilità è poi fondamentale. Il gusto ed il profumo, in particolare vengono associati, dal nostro cervello, alle emozioni del mangiare, al contesto del nutrirsi, agli affetti che questi comportano. Ad esempio quella volta che sei uscito per la prima volta con la fidanzata oppure quella volta che hai avuto un pranzo di lavoro importante (in questi casi non ricordi il cibo ma la tensione). Tutto questo sembra svanire con il tempo. Tutto sembra diventare solo biochimica e pura necessità alimentare. Tutto molto più povero. Eppure anche quando sei in ospedale il momento del pranzo rappresenta un momento di contatto con la normalità, con la quotidianità. Spessissimo i pazienti anche molto gravi o preterminali ti dicono..beh ma oggi non ho mangiato, i parenti, cui hai magari appena finito di parlare della terminalità e della brevità della prognosi, come se non avessero colto la gravità della situazione ti dicono: ma oggi può mangiare la carne che gli dà sostegno…ma quando viene a casa cosa può mangiare? Tu gli rispondi…tutto quello che vuole e loro ribattono… ma il colesterolo?! Questo solo per dire quanto il cibo sia un elemento ancestrale e centrale nella nostra esistenza, il secondo bisogno primario dopo respirare. Come rappresenti nella nostra cultura l’Elemento del sostegno della persona (sacco vuoto non sta in piedi!) e come questo sia un mezzo del sostegno relazionale fra persone (vieni a mangiare da me…sei mio ospite…mangiamo insieme…). Insomma il sedersi insieme a tavola è condividere, nel bene e nel male, la vita. Questo momento viene anche usato come termine di paragone per indicare famigliarità (…io e lui eravamo sempre alla stessa tavola…abbiamo bevuto lo stesso latte) o estraneità (..io e quella persona non abbiamo mai mangiato insieme…). Da sempre la raffinatezza del cibo è indice del grado di cultura e di ricchezza di una società. Ancora oggi se si osservano le popolazioni povere si vede come i loro cibi siano molto poco elaborati, per assenza di tecnologia. Il gusto apre nuovi orizzonti alla nostra mente e si scoprono nuovi aromi, fragranze. I profumi del cibo ci possono far cambiare il gusto per il vivere. I profumi attraversano la parte più antica della corteccia cerebrale che si è sviluppata enormemente nelle età preistoriche nelle quali l’olfatto guidava l’uomo nella cacciagione e lo aiutava a sopravvivere. (Non è un caso che moltissime persone provino un che di antico nel sentire il profumo della carne cotta specialmente se alla brace come si usava nei primi villaggi dell’alba dell’uomo). L’olfatto purtroppo è uno dei primi sensi che si perdono nella malattie degenerative del sistema nervoso. I sapori, tuttavia resistono a lungo in quanto utilizzano vie nervose più complesse e articolate. Si tende a perdere il gusto nelle fasi avanzate delle malattie. Gli occhi sono in grado di percepire i colori molto a lungo. Allora, forse, dovremmo considerare di poter permettere a quei pochi ospiti che possono, di aumentare la partecipazione al momento della scelta dei cibi e forse “arricchire” i colori del nostro carrello in modo da poter scegliere almeno il tipo di sugo della pasta. Avevamo fatto una piccola sperimentazione tempo fa. Potrebbe essere una idea cercare di riproporre tale esperienza. Il fare la dispensa è una cosa un po’ noiosa ma dobbiamo ricordarci che è uno dei pochi momenti di totale “normalità” dei nostri pazienti. Forse potremmo pensare, con un piccolo sforzo di originalità di pensare se sia possibile un menù più colorato o più ricco di aromi per quei pazienti che hanno difficoltà mnesiche o corticali in generale. In fondo il cibo continua ad essere una forma di piacere e di comunicazione. Talvolta in ambulatorio mi capita di vedere persone che vivono sole e che sono un poco “sovrappeso”. Cerco di far capire loro che dovrebbero ridurre l’apporto alimentare ma loro, invariabilmente, mi guardano con compatimento e mi dicono… dottore ma nella mia condizione l’unico piacere della vita rimasto è il mangiare, se mi leva quello? Solitamente sorrido e cerco di dargliela vinta cercando di ricordar loro che il piacere è maggiore se il cibo viene assaporato e centellinato. Che il senso della vita non necessariamente stà nella quantità. Tuttavia non riesco a non pensare che mentre vi scrivo di cibo fra circa un paio d’ore sarò a tavola con i miei famigliari a degustare il mitico “risutìn” del sabato, straordinario esercizio di stile culinario della suocera. Non posso non ricordare come sia bello trovarsi a tavola a parlare e, a volte a confrontarsi pur essendo in disaccordo. Non posso non considerare che, in fondo, lo stare a tavola a parlare e chiacchierare è uno dei momenti importanti della nostra vita ed, in fondo, proprio lo stare a tavola è una metafora della vita stessa. Ora, che penso di avermi “stufato” abbastanza, che la vostra “cottura” sia adeguata, finite le mie considerazioni “di contorno” non posso che sussurarvi in modo “caldo” e “dolce”… buon appetito!