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Il mio
posto nel
pianeta
Laboratorio di Educazione
al consumo consapevole
KITCHENTOOLS
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Kitchen: il mio posto nel pianeta è un progetto di Educazione al consumo consapevole
che nasce dallo stimolo e dalle regole suggerite dalla collaborazione di Coop Adriatica
con Start, il laboratorio delle scienze creative della Fondazione Marino Golinelli.
La necessità di adattarsi ad un nuovo spazio, fisico e culturale ha contribuito
a rinnovare profondamente i contenuti e la metodologia “storica e collaudatissima”
delle animazioni di Coop a punto vendita, che rimangono un vivace e utile
appuntamento educativo delle classi con i prodotti e la comunicazione
delle merci sugli scaffali.
La prospettiva della tavola come luogo di incontro delle conoscenze,
dei comportamenti e delle coscienze dei cittadini può integrare l’esperienza
dell’educazione al consumo consapevole. Perché arricchisce il punto di vista
dei ragazzi e favorisce la creazione di nuovi dialoghi tra pari per raccontare
di spreco, di benessere, di desideri e di bellezza.
L’uso della tecnologia per le proiezioni affiancata alle immagini di dipinti antichi
e prestigiosi rende più coinvolgente la lettura del privato quotidiano e apre riflessioni
originali sulla consapevolezza individuale nel rapporto con il cibo e con il sistema mondo.
All’istallazione permanente di Kitchen a Start, si affiancano le strutture itineranti
con soluzioni tecniche leggere e strumenti didattici adeguati, progettate
per raggiungere i ragazzi e le scuole di altre città del territorio.
Elio Gasperoni
Direttore Soci Coop Adriatica
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KITCHENTOOLS
Pensieri per domani
Piero Sacchetto Filosofo dell’educazione e formatore
Sui due tavoli i bambini hanno completato un puzzle di grandi dimensioni con la
riproduzione di un dipinto del Botticelli celebrativo di un banchetto di nozze.
Dame e cavalieri siedono a due lunghe tavole, in un teatro di preziose suppellettili e
cibi ricercati, elaborati anche scenograficamente, per celebrare potere e abbondanza. I servitori si muovono con la dovuta grazia, attenzione e deferenza. Insomma, un
banchetto come si deve!
Il puzzle è quello che, di visibile, resta dell’animazione laboratorio che ha proposto
ai bambini il gesto quotidiano di sedersi a tavola e assaporare il cibo, per ripensarlo
soffermandosi non tanto e non solo sulle qualità degli alimenti, ma piuttosto sui
diversi significati che quel gesto quotidiano può assumere.
Quanto dei pensieri e dei discorsi scaturiti dagli scambi comunicativi con l’animatrice e tra di loro sia rimasto lo si può soltanto intuire o immaginare rileggendo sguardi, movimenti, gesti che li hanno accompagnati. Ma ci sono buone probabilità che
il discorso non finisca qui, che i bambini possano riprenderlo e ripensarlo insieme
alle loro insegnanti.
Sono proprio loro, al termine del laboratorio, a manifestare vivo interesse per il tema
e il modo di presentarlo e condividerlo e l’intenzione di tornarci sopra. Interesse,
intenzione, ma anche qualche timore di perdersi o disperdersi in un territorio tan-
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to esteso. Ramificato in direzioni anche non familiari, che approdano a geografie
umane complesse, a dimensioni simboliche che suggeriscono percorsi nel tempo,
a pratiche culturali, individuali e collettive, che gesti e rituali interpretano con consapevolezze, fedeltà interpretativa, intenzioni, in relazione ai diversi contesti ed ai
loro significati comunicativi.
Di qui l’opportunità di ricevere qualche indicazione che aiuti a scegliere, a privilegiare taluni percorsi e qualche suggerimento, per procedere in continuità grazie
all’aiuto di materiali orientati a mantenere vivi i processi di interrogazione piuttosto
che a fornire risposte conclusive.
Fra tutte queste indicazioni relative a possibili declinazioni di approfondimento tematico dei contenuti più confacenti all’interesse dei bambini e del loro insegnante
ci può stare un rispettoso consiglio di ordine più generale relativo al modo di procedere: non trascurare una costante attenzione al tempo, al rischio del “troppo
pieno”. Questo tipo di attenzione contribuisce in maniera significativa all’efficacia
dei contenuti e dei messaggi che ci interessa comunicare e condividere: misurare
con cura il tempo necessario per dire, per ascoltare, per accogliere e raccogliere in
silenzio i pensieri, per esprimere quelli impertinenti ma non per questo meno utili e
stimolanti, per poter “uscire dal discorso” senza sentirsi troppo sazi e magari con
un pochino di appetito.
Le note che seguono nascono quindi dalle sollecitazioni ricevute a non sparecchiare
la tavola, a non ridurre i posti dei commensali, a far gustare indirettamente altri menù
di piatti curati con la medesima passione e forza comunicativa di quella incontrata.
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Un passo indietro
Ma prima, un passo indietro. Una sorta di flash back sull’animazione-laboratorio
Kitchen. Il mio posto nel pianeta, sulla sua anima, sui suoi contenuti e sul modo di
porli e proporli. Insomma, riarrotoliamo il nastro, lasciando il banchetto dipinto, per
posizionarci all’inizio, quando i bambini hanno il loro primo incontro: una cucina.
è una cucina in attività, con pentole, fuoco, strumenti, suoni, gesti, colori… Si inizia
con una full immersion nell’officina del cibo. Qui avvengono le trasformazioni che
potremo trovare sulle nostre tavole: sapienti giochi di coltello per ricavare le parti
migliori, acque di temperature diverse, vapori, fuochi più o meno diretti e aggressivi,
tempi, addensamenti ed espansioni… In alcuni casi le trasformazioni lasciano ai
diversi cibi la loro faccia, in altri li rendono davvero irriconoscibili.
Ma non ci interessa insistere su questi numeri di magia. Nelle immagini che abbracciano una parte di muro e di pavimento si affacciano con sempre maggiore
insistenza alcuni peperoni di foggia e colori diversi fino a prendere a poco a poco,
con i loro movimenti a cascata, tutta la scena.
Peperoni sì, e per un motivo preciso: sarà proprio un peperone a suggerire ai bambini e all’animatore il passo successivo.
Intanto il peperone ha delle cose da dirci: da dove viene, se conosce altri come lui,
oppure un po’ diversi, con un altro colore, un’altra forma, un’altra dimensione. Se ne
parla soffermandoci su una cosa che ci sta molto a cuore e che viene solitamente
espressa con una parola non subito familiare, biodiversità. In un modo un po’ meno
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difficile si potrebbe parlare di varietà della vita presente sul pianeta, per dire che gli
esseri viventi che popolano l’intero mondo hanno delle caratteristiche specifiche
che li rendono ad un tempo unici, diversi e fondamentali per l’equilibrio complessivo
dell’insieme del sistema vivente. Non solo le parole sono difficili, è il concetto ad
essere complesso, soprattutto se si vuole entrare nel dettaglio degli effetti complessivi della biodiversità. Abbiamo soltanto socchiuso una finestra, ma entra aria e luce
abbastanza per aver desiderio, voglia e tempo di aprirla di più.
Ma torniamo al peperone, confezionato appositamente per noi da un artista, maestro della cartapesta. Alto com’è, circa due metri, è un peperone davvero inusuale,
ma lo è anche perché, aprendosi è in grado, grazie ad alcuni oggetti che contiene,
di proporre piste di lavoro e di riflessione.
Usciti dall’officina-cucina si tratterà di provare, a nostra volta, a cucinare pensieri,
raccontandoci le nostre esperienze abituali a proposito del cibo, fatte certamente
di abitudini, ma anche di gusti, disgusti, desideri, trasgressioni e attenzioni. Ma,
non dimentichiamolo, anche di movimenti, di gesti, di rituali, di momenti conviviali
a casa e fuori, occupando il nostro posto, sedendoci a tavola per mangiare e, se ne
abbiamo voglia e possibilità, parlare.
Siamo abituati a mangiare di fretta, siamo fan del fast food ma non ci dispiace, in
qualche occasione particolare, essere serviti ad un tavolo del ristorante.
Un nuovo gioco di immagini ci accompagna in questa fase laboratoriale dove non
costruiamo oggetti ma pensieri, non ci occupiamo di cose ma del nostro rapporto
con le cose. Ci sediamo davvero a tavola e sul piano, grazie all’effetto stop motion,
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si apparecchia gradualmente un pranzo consumato a un fast food e successivamente al ristorante. Cambiano anche le caratteristiche sonore del contesto. Ora le
immagini di vassoi, piatti, bicchieri, posate lasciano il posto ai commenti, ai racconti, alle considerazioni sulle differenze tra pranzi con rituali, tempi e significati
differenti. Non si tratta di un prendere o lasciare, di scegliere una volta per tutte
o… oppure… ma piuttosto di essere più coscienti di ciò che nelle diverse situazioni
perdiamo o guadagniamo, prendiamo o lasciamo, di quanto la varietà dei contesti
produca (ma a guardarci bene “induca”) comportamenti e atteggiamenti di un tipo
piuttosto che di un altro. Nei riguardi del cibo e nei riguardi di chi è con noi, nei modi
di occupare il nostro posto a tavola: quella specifica a cui ci sediamo e quella più
estesa che il nostro pianeta, con la sua biodiversità, rappresenta e apparecchia.
Ma ci aspetta ancora un passo all’indietro nella storia, di qualche centinaia di anni.
Ora le immagini sul piano dei tavoli stanno cambiando, c’è una musica che sa
di antico, portate di carni gigantesche con animali quasi interi. Le brocche sono
lucenti e così i bicchieri, le posate preziose e i commensali vestono abiti ricchi di
ornamenti che quasi parlano per loro. Il cuoco ha fatto del suo meglio, aiutato dagli
specialisti nel taglio della carne, e guidato dalle indicazioni dei maestri della spettacolarizzazione del cibo. Eccellenze… a tavola! Il banchetto è servito. L’animatrice
racconta, commenta, chiede e con le sue parole socchiude a poco a poco un’altra
finestra che lascia intravedere un’immagine diversa di convivialità, un altro modo
di consumare il cibo, altre forme, altri suoni, altri gesti. è l’apoteosi del cibo spettacolarizzato, la celebrazione di chi può permetterselo e offrirlo e la deferenza e il
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ruolo sociale di chi ha meritato l’invito. Una sorpresa sposta su di sé l’attenzione dei
bambini: sul tavolo, proprio come in un banchetto, compare un trionfo con cacciagione e ornamenti di uva e melagrane. La conversazione può continuare parlando
di queste vere e proprie opere d’arte effimere e concedersi qualche accenno sugli
artefici di questo spettacolo del cibo, della sua presentazione e dei gesti sapienti e
competenti di cui è costellato: lo scalco (il maestro di cerimonia), il trinciante che si
occupa del taglio delle carni, il credenziere che cura l’apparecchiatura della tavola
e l’imbandigione dei piatti freddi e il coppiere. Certo, sarebbe imperdonabile dimenticare di nominare il cuoco, ma il suo lavoro è più concentrato sui piaceri del palato
che non sulla meraviglia degli occhi.
Lo spettacolo non è finito perché in un banchetto che si rispetti entra i campo il
pasticciere con le sue architetture di zucchero, i suoi trionfi dolci. E il gioco della
sorpresa si replica quando compare sul tavolo un originale e bianco trionfo di panna
e meringhe: una torta di nozze, di compleanno, di celebrazione di un’amicizia…?
Una torta che non si può mangiare ma aiuta a proseguire con le ultime battute del
racconto. Possiamo dire che se le immagini e i trionfi artistici realizzati in cartapesta a metà tra la filologia e il piacere inventivo aiutano l’immaginazione a comporre
mentalmente contesti di ieri, suggeriscono confronti con situazioni contemporanee
e quotidiane: sono i modi, le forme, le scenografie, gli attori a trasformarsi, e la
dimensione non solo individuale ma sociale e culturale dell’esperienza alimentare
attraversa il tempo, le geografie, i linguaggi simbolici della più generale e complessa
esperienza umana in continuo movimento più lento o più accelerato che sia.
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Affidiamo a Botticelli e al suo dipinto del banchetto nuziale il saluto finale ai bambini
e alla loro insegnante. Vi abbiamo visto rappresentati molti dei pensieri che ci piaceva condividere con i nostri ospiti, le diverse tessere paiono suggerirli e sollecitare la
loro ricomposizione per occupare oggi il nostro posto a tavola con un po’ di gusto,
di consapevolezza e curiosità in più.
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Kitchen. Il mio posto nel pianeta
Laboratorio 2
Per i ragazzi della scuola superiore abbiamo predisposto un’animazione-laboratorio
che, pur facendo riferimento alle medesime intenzioni di fondo previste per l’incontro con la scuola primaria, si propone di orientare più sensibilmente il discorso
sulla rappresentazione estetica del cibo, oggi davvero pervasiva. Oggi è pressoché
inevitabile, in un normale zapping televisivo alla ricerca di qualche programma di
nostro interesse, imbattersi in uno chef, quasi chef, chef per una sera. che mostrano
i loro giochi col cibo. Cucino dunque sono (in televisione!). Aggiungere qualche spot
pubblicitario che esalta questa o quella qualità di un determinato prodotto alimentare particolare, mescolare, crederci q.b. e buon appetito!
Il diffuso discorso alimentare nelle sue variegate morfologie mediatiche pare integrare sapientemente nella rappresentazione del cibo, potremmo dire, più in generale, dell’esperienza alimentare, due aspetti o dimensioni: quella salutistica e quella estetica. è come se l’estetica del corpo e quella del cibo fossero strettamente
collegate. Detto in altre parole la caratteristica estetica e cioè la presentazione e
l’autopresentazione del corpo e del cibo, il loro presentarsi e apparire paiono avere
qualche parentela.
Corpo e cibo non è certo un tema recente, ma non per questo risulta del tutto inutile pensarci un po’ su. Soprattutto se pensiamo che anche il cibo che compriamo
e mangiamo, sia come materia prima che già trasformato, viene sottoposto per
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la sua presentazione a un sofisticato maquillage. è della necessità di un giudizio,
di una scelta da operare che vorremmo parlare? Certamente no. Abbiamo usato
volutamente un’espressione del linguaggio quotidiano che non ha alcuna pretesa
etica. La scelta semmai viene dopo il pensiero che la orienta e la sostiene; per ora
ci piacerebbe trovare un passo meno frettoloso che ci consentisse di camminare
fianco a fianco e di parlarci.
Ma veniamo alle tappe dell’animazione-laboratorio: il primo impatto, lo si sa, è importante, ci si gioca molto.
Ci affidiamo anche in questo caso alle immagini, con un montaggio che, sostenuto
da un ritmo piuttosto accelerato, propone accostamenti di rappresentazioni di cibi
e di corpi, di prodotti esteticamente seduttivi come i corpi che li accompagnano o
più o meno esplicitamente evocano. Si tratta, ci pare, di quel flusso comunicativo in
cui volenti o nolenti, con maggiore attenzione o più distrattamente siamo quotidianamente immersi. Rimbalzi di estetiche, di azioni utili a cifrare la nostra presenza,
di modelli di identità, di suggerimenti comportamentali, di rappresentazioni della
bellezza della vita e della nostra.
Niente di nuovo, certamente, ma non soltanto del nuovo si può e bisogna parlare;
c’è una quotidianità vissuta che pesa almeno come il futuro desiderato e immaginato e, oggi, forse, di più. E non è una questione esclusivamente privata, riguarda
certamente ciascuno di noi ma in rapporto agli altri. Il chi sono io per me e chi vorrei
diventare interloquisce piacevolmente o con difficoltà e fatica con il chi sono io per
gli altri. Due dimensioni di identità che producono movimento, slancio, intrapren-
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denza, talvolta anche timore, sospensione, arresto.
Di questo si proverà a parlare trovando il nostro posto ai tavoli dopo che il grande
e rosso peperone ci avrà accompagnati a sedere con alcune proposte di lavoro. Ai
due tavoli si lavorerà, ancora una volta con il supporto di proiezioni e con scambi
di commenti e di racconti, intorno a due piccole valigette che proporranno concretamente, con gli oggetti che contengono e con le funzioni che competono loro, il
possibile rapporto tra l’estetica del cibo e l’estetica del copro. Si aprirà uno sguardo
sul food-design, su un set di fotografia dove il cibo è preparato per apparire, sulle
trasformazioni che l’occhio del destinatario di fronte a questa perfezione di bellezza
non potrà cogliere. Colori, forme, luminosità, accentuazione di particolari… Siamo
davvero così lontani dalla cura estetica di un viso, dal piacere di piacersi al meglio,
di presentarsi al meglio? Pare di no anche se qualsiasi frettolosa sovrapposizione o
semplificazione sarebbe fuorviante.
Anche in questo caso è del posto che occupiamo e che vorremmo occupare che
stiamo in fondo parlando, che riguarda il nostro essere e il nostro apparire, il nostro
rapporto con il pianeta e le sue risorse non infinite. Forse che la consapevolezza fa
male alla bellezza o, più semplicemente, la cerca, l’apprezza, la gusta, senza riverire
incessantemente la sua presunta onnipotenza?
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Perché i laboratori
Non è certamente una novità che Coop Adriatica si occupi di educazione al consumo consapevole. Il suo rapporto con le scuole attraverso proposte di animazioni e
laboratori tematici dura da circa trent’anni, nel corso dei quali le proposte si sono
via via concentrate su target specifici, a cavallo tra l’educazione alimentare e l’educazione al consumo: la qualità del cibo, la trasparenza rispetto alla sua produzione
e ai procedimenti di lavorazione, l’identità dichiarata dei prodotti proposti sugli scaffali, il rispetto e l’attenzione all’ambiente, al consumo, per citarne soltanto alcuni.
La novità potrebbe essere rappresentata dal tentativo di ripensare non tanto il ventaglio tematico da proporre quanto piuttosto i modi e i linguaggi per farlo. Un primo
elemento che ci piace segnalare è la cornice meno circoscritta in cui gli argomenticontenuti di animazioni e laboratori vengono collocati. I confini, comunque utili a
definire ciò di cui si parla, le ragioni per le quali lo si fa, gli approdi conoscitivi e comportamentali che vengono previsti, si propongono come permeabili per evitare che,
con eccessiva semplificazione, finiscano per essere riduttivi pensati come perimetri
disciplinari. Quasi che la consapevolezza del nostro stare al mondo, entrandoci
anziché passeggiarci distrattamente e impersonalmente in superficie, della possibilità di consumarlo servirsene rispettosamente anziché consumarlo avidamente e
voracemente, fosse una materia scolastica da introdurre nei curricola.
Confini più permeabili per essere attraversati, con movimenti di uscita e di ritorno al
loro interno, in funzione delle sollecitazioni incontrate durante il laboratorio a guar-
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dare oltre una causalità semplificata e lineare. A cercare collegamenti, a scoprire e
praticare con un pensiero in movimento delle connessioni capaci di dilatare i contorni del tema-fenomeno per conferirgli forme meno rigide e meno statiche.
è una sorta di invito all’esercizio di un pensiero flessibile e complesso che non si
accontenta di informazioni ma è interessato a spingersi più in là, alla ricerca delle
ragioni che supportano le loro formulazioni e i loro effetti, delle costruzioni di senso
e di comportamento che producono.
Con altre parole potremmo dire che questo processo non si arresta ad un punto
di arrivo conclusivo, una sorta di punto a capo; preferisce un punto e virgola che
mentre contribuisce alla strutturazione di una proposizione che, appunto, è in condizione di proporsi e proporre, le consente di trovar posto in logiche di problematizzazione (per esempio del senso comune) in pensieri e discorsi che ne rivelano
aspetti ed effetti pragmatici capaci di mostrarne forza e debolezza.
Suggerire questa strada e queste motivazioni a percorrerla chiede, o meglio potremmo dire impone, modalità di incontro che consenta a chi è coinvolto di vivere
il laboratorio come un contesto dove può “star comodo”. Non certo per chiamarsi
fuori dal gioco relazionale e di riflessione che viene proposto, ma piuttosto per sedersi a un tavolo che è collocato lì dov’è per essere apparecchiato, per accogliere
cioè “cibi” già cucinati da consumare o almeno assaggiare ma anche cibi dai sapori
conosciuti, dai sapori preferiti, ormai parte della quotidianità. Se di cibo, di risorse
del pianeta, di questioni ed esperienze che, con percorsi e ragioni da conoscere
e capire, vanno dall’intimità del privato a interventi macroeconomici e politici che
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abbracciano e riguardano ampie porzioni di mondo anche se non sempre e con effetto immediato l’intero ecosistema, è importante che la dimensione micro e quella
macro, l’esperienza privata di ciascuno e quella pubblica di tanti possano trovare
posto sul medesimo tavolo.
Sappiamo già che il tavolo non sarà grande abbastanza per accogliere tutta la ricchezza delle esperienze di chi vi è seduto intorno, né le informazioni sulla vita del
pianeta, le sue condizioni di salute e le nostre responsabilità e non varrà la pena
di insistere per riempirlo. Se tutto lo spazio è occupato non ne resterà alcuno o
addirittura nessuno per muoversi intorno alle cose e guardarle intorno, sopra, sotto
e dentro, intorno ai pensieri, ai racconti, per cambiare posto, per conservare come
importanti gli spazi vuoti del silenzio.
La scelta perciò è quella di ridurre la quantità di informazioni che ci interessa mettere sul tavolo (anche l’animatore partecipa ovviamente al gioco oltre che curarne
lo svolgimento) a vantaggio di una maggior circolazione di pensieri, di racconti, di
riflessioni portate da chi partecipa al laboratorio. L’animatore si limita a proporre
sollecitazioni con l’aiuto di strumenti pensati per l’occasione: elementi informativi,
possibili cornici in cui provare a collocarli, immagini, oggetti… e a facilitare la comunicazione tra chi partecipa al laboratorio.
Gli strumenti previsti vengono giocati su più registri linguistici e comunicativi con
attori fisici e virtuali: il grande peperone rosso in cartapesta che accoglie i partecipanti, creato dalle mani di un artista, così come i due trionfi per il banchetto imbandito sui tavoli nel primo laboratorio, le due valigette per il trucco di volti e cibi,
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i montaggi-provocazione di immagini all’ingresso del laboratorio e durante al lavoro
ai tavoli, il puzzle da comporre come conclusione.
Detto in altro modo, l’arte, i messaggi visivi, le parole, i toni di voce, gli oggetti che
aiutano a produrre e apparecchiare pensieri si sono rivelati strumenti preziosi. Ce
l’hanno mostrato e confermato i bambini, passando con grande tranquillità e disinvoltura dal piano della finzione a quello della realtà, dalle parole ai gesti, dall’oggi
all’altro ieri e più indietro ancora, dalla molteplicità delle identità altrui, mostrate e
raccontate, alla propria.
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Un discorso che può continuare
foto di Paolo Righi di Meridiana Immagini
a cura di Erica Cameran e Luisella Michieli Educatrici senior dell’educazione
al consumo consapevole di VoliGroup per Coop Adriatica.
Nell’esperienza di questi primi mesi del laboratorio Kitchen rivolto a classi di scuola
primaria alcune tematiche sono state segnalate dai ragazzi e dai loro insegnanti
come particolarmente interessanti e meritevoli di essere ripresi e approfonditi. Per
questo ci è stata chiesta qualche indicazione utile ad accompagnare un proseguimento del laboratorio in classe, sviluppato in autonomia.
Come non si faticherà a convenire, l’esperienza alimentare nelle sue diverse dimensioni e sfaccettature si presta ad essere analizzata a più livelli e da più punti di vista,
disciplinari e sociali: tante possibili finestre che ci fanno guardare al di là di noi,
delle nostre abitudini, dei nostri gusti e gesti quotidiani. Davvero tante direzioni per
orientare e muovere i nostri pensieri; troppe, potremmo dire, per essere affrontate
di fretta e tutte insieme.
Proprio per questo le piste di lavoro che suggeriamo sono una prima risposta, volutamente circoscritta ai temi segnalati, con l’intenzione di ampliarla e declinarla
maggiormente nel corso delle esperienze laboratoriali che continueremo a vivere e
a proporre anche a ragazzi della scuola secondaria.
Sarà possibile conoscere gli aggiornamenti di questi strumenti consultando il sito
della Coop Adriatica: www.adriatica.e-coop.it.
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B come Biodiversità
Esistono ben 46 tipi di peperoni diversi, classificati in base al colore, alla forma, alla
dolcezza ed alla piccantezza. La biodiversità è una ricchezza meravigliosa, molto
più preziosa dell’oro. è possibile scoprirla ed esplorarla a fondo, senza andare tanto
lontano, partendo dal frigorifero e dalla dispensa. E scoprire dove vi porta la sua
ricerca. Da dove viene il mais? E di che colore è? Ci è capitato di mangiare mais
bianco, viola e blu? Perché il pomodoro si chiama così, dal momento che è rosso?
Potrebbe capitare di mangiare delle patate al forno di color viola?
Leggere la biodiversità di alimenti quotidiani e ben conosciuti è l’inizio di un viaggio
per il mondo, con la sue storie, maiuscole e minuscole.
C come Cibo fast e cibo slow
Dimmi come mangi, ti dirò chi sei, recita il vecchio adagio. Vale la pena di pensarci
un po’ su, considerare il nostro modo di mangiare, la nostra preferenza per un pasto
veloce o un pasto gustato con calma.
G come Globalizzazione dell’alimentazione
La globalizzazione è un fenomeno che riguarda tutti gli aspetti della vita umana,
quindi anche l’alimentazione e la cultura del cibo.
C’è un’espressione oggi diffusa che ce lo dice in maniera sintetica: Mcdonaldizzazione del mondo. Se andiamo a mangiare un hamburger a Tokyo o a Buenos Aires
sarà preparato in modo praticamente uguale a quello che abbiamo assaggiato nel
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luogo in cui viviamo, avrà quasi lo stesso sapore e sarà reperibile in un fast food
praticamente identico a quello che si trova vicino casa nostra.
Ma la parola globalizzazione vuol dire molte altre cose che hanno a che vedere non
solo con la qualità del cibo ma anche con il modo di vivere delle persone, la qualità
della loro vita, la comunicazione, l’organizzazione del tempo, delle città. C’è davvero molto di interessante e importante da conoscere e capire. Buon lavoro!
S come Sviluppo sostenibile
Impronta ecologica, risorse naturali, giustizia sociale. Qual è il modello di sviluppo
economico e sociale che l’essere umano sta portando avanti nel pianeta? Quanto
è sostenibile, cioè, quanto ha cura della terra e delle sue risorse in modo che le
generazioni a venire possano continuare a vivere?
La risposta a queste domande difficili ma importanti ci porterà inevitabilmente a
parlare di comportamenti, di quello che è o sarebbe più giusto e vantaggioso per il
maggior numero di persone di oggi e di domani. Una finestra sul mondo che merita
di essere splancata.
T come Tavola, tavola come abitudini e cultura di generazioni
Vale la pena, seguendo questa pista, di risalire un po’ indietro nel tempo e cercare di
sapere se si è sempre mangiato nello stesso modo, se a tavola tutti i posti hanno il
medesimo significato, se, oggi a tavola si parla, e di che cosa. Se anche la TV siede
a tavola con noi e quanto e quale posto prendono i suoi discorsi.
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E com’è la tavola della festa, per esempio del compleanno o come, per esempio,
sono apparecchiate le tavole di un matrimonio. è un bel viaggio nel tempo, nelle
abitudini, nei significati che il cibo e la cucina hanno assunto e assumono nelle epoche, nelle storie individuali, nei ricordi, nei desideri…
F come Fine
Le piste finiscono qui, per ora, e già non sono poche. Abbiamo detto che il discorso
continua, no?
Il laboratorio Kitchen è il risultato di diverse professionalità e competenze che hanno trovato una fruttuosa integrazione grazie alla consulenza e supervisione di Piero
Sacchetto.
Luisella Michieli ed Erica Cameran hanno dato forma all’animazione – laboratorio
e ai suoi linguaggi, Paolo Arnò artista, ha dato vita a “oggetti di scena” originali,
Antonio Magro e Omar Macchione hanno curato la selezione e il montaggio delle
immagini e dei suoni.
Ideazione e coordinamento: Marisa Strozzi Responsabile progetti educativi ed
educazione al Consumo Consapevole Coop Adriatica.
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