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Corriere della Sera Venerdì 3 Marzo 2017
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Risponde Aldo Cazzullo
ALTERNANZA SCUOLA LAVORO
UN’ESPERIENZA PREZIOSA
 Visti da lontano
di Massimo Gaggi
L’effetto Trump
sulla stampa liberal
LO DICO
AL CORRIERE
ITALIAN SOUNDING
Cosa vuol dire
e cosa ci fa perdere
Caro Aldo, la storia dell’Italian
Sounding mi ha sempre fatto
un po’ ridere, non tanto perché
non esiste, ma perché spesso è
totalmente esagerata.
Graziano Innocenti, Firenze
Le lettere firmate
con nome, cognome
e città e le foto vanno
inviate a
«Lo dico al Corriere»
Corriere della Sera
via Solferino, 28
20121 Milano
Fax: 02-62827579
Lei parla di Italian Sounding,
ma che dovrebbero dire gli
statunitensi dell’American
Sounding? Quanti
cheeseburger, quanti hot dog,
quante stelle e strisce, quanti
richiami all’American Dream
nei nostri locali?
Andrea Mangia, Milano
[email protected]
letterealdocazzullo
@corriere.it
Il caffè Verona fa Italian
Sounding, d’accordo. E il
parmesan è una schifezza. Per
«par condicio», parliamo delle
gomme da masticare Brooklyn,
degli abiti Henry Cotton’s,
delle scarpe Tod’s e dei mille
altri marchi (italianissimi)
con nomi in lingue straniere.
Antonio Massarutto, Udine
@corriere
Ma tutta questa polemica su
Starbucks..., quando Nescafé
ha promosso il lancio dei
brunch nei locali di Milano con
e unico sponsor, dove eravate?
A fare un brunch?
Daniela Robba
[email protected]
Cari lettori, ho ricevuto centinaia di messaggi sul caso Starbucks. Scelgo di rispondere a
quelli che riguardano l’Italian
Sounding. Che non vuol dire
usare parole italiane o che sembrano italiane. Vuol dire far passare per italiano un prodotto che
non lo è. In alcuni casi è una truffa, che ci costa 60 miliardi di euro l’anno soltanto nell’alimentare, per tacere della moda e del
design; il consorzio del parmigiano reggiano, per fare un solo
esempio, ha fatto giustamente
migliaia di cause a produttori di
«parmesan», «parmeso», «parmetta». In altri casi si tratta più
semplicemente di scorrettezze,
sul piano morale non legale. A
mio giudizio, ad esempio, vendere con il marchio «caffè Verona» un caffè «made in Seattle»,
come fa Starbucks, non è corretto. Ma cosa dico? Certo il riferimento è alle Verona che ci sono
in America, come mi ha scritto
un altro lettore. E sui siti qualcuno mi dà del razzista — insulto
molto più infamante delle parolacce — per essermi chiesto
quanti dei 350 posti di lavoro
promessi andranno a giovani
italiani. Questo in un Paese che
ha tre milioni di disoccupati, il
38% di disoccupazione giovanile,
il record tra i grandi Stati europei
di ragazzi che non studiano, non
si formano e non lavorano.
Aldo Cazzullo - «Lo
dico al Corriere»
«Lo dico al Corriere»
Caro Aldo,
sono mamma di tre figli, tutti
studenti. L’ultima frequenta il
liceo artistico Weil di Treviglio
e quest’anno ci hanno
spiegato la continuità scuola
lavoro. È stato chiesto ai
genitori se ci sono contatti da
girare alla scuola. Ho chiesto
ad amici restauratori, a
direttori di musei, a
funzionari dei Beni artistici,
alla sovrintendenza…
Nessuno è disposto o ha
tempo ed energie da dedicare
a un’esperienza formativa
necessaria ai ragazzi, al loro
curriculum. Come mai?
Cecilia Corradi
[email protected]
Cara Cecilia,
alternanza scuola lavoro è stata accolta
con ostilità, sia da
parte della scuola
(con le consuete eccezioni che
confermano la regola), sia da
parte del mondo del lavoro.
Considerata una seccatura, è
L’
invece un’ottima cosa. Quando
facevamo il liceo, delle aziende e delle istituzioni non sapevamo nulla; e quando sono entrato per la prima volta nella
redazione di un giornale come
stagista, non sapevo appunto
fare nulla (anche per questo
considero normale che uno
stagista non sia pagato; il discorso cambia quando si chiama stage lo sfruttamento, ma
questo dovrebbe essere ovvio).
Ho sotto gli occhi l’esperienza di mia figlia e dei suoi compagni di scuola. A volte si sono
trovati in musei e altre istituzioni pubbliche dove venivano
più che altro sopportati. Quest’anno invece, grazie al liceo,
hanno fatto un’esperienza di
lavoro vero, in una casa editrice specializzata nella traduzione di testi latini, e ne sono
usciti entusiasti.
Mi pare occorra un cambiamento sia nella mentalità delle
scuole e degli scolari, sia in
quella degli imprenditori e dei
Caro Aldo, i giocatori e i tifosi
del Napoli dovrebbero prendere
atto della superiorità della
Juve. E per competere alla pari
con i bianconeri e con la Roma,
De Laurentiis e C. non litighino
con l’allenatore, Sarri. Gli
accenni ai «gombloddi», il
vittimismo e gli attacchi ai
media non contribuiscono
all’ascesa del Napoli nel calcio.
In tutti i settori, non solo nel
pallone, è preferibile, per i
campani e per i meridionali,
rimboccarsi le maniche e fare il
proprio dovere tenendo la
schiena dritta e senza
postulare con il cappello in
mano; e archiviando il
meridionalismo piagnone.
Manfredi Rocca, Roma
Tutto vero; però se l’arbitro
dà il rigore al Napoli la partita
finisce 2 a 2.
A proposito
del dibattito
su uomini e
animali, invio
una foto
scattata a
Torino.
Eugenio
(Inviate le foto,
ovviamente
scattate da voi,
a questi
indirizzi:
lettere@
corriere.it e su
Instagram
@corriere)
DIRETTORE RESPONSABILE
PRESIDENTE E AMMINISTRATORE DELEGATO
Luciano Fontana
Urbano Cairo
CONSIGLIERI
VICEDIRETTORE VICARIO
Barbara Stefanelli
VICEDIRETTORI
Daniele Manca
Antonio Polito (ROMA)
Venanzio Postiglione
Giampaolo Tucci
Marilù Capparelli, Carlo Cimbri,
Alessandra Dalmonte, Diego Della Valle,
Veronica Gava, Gaetano Miccichè,
Stefania Petruccioli, Marco Pompignoli,
Stefano Simontacchi, Marco Tronchetti Provera
DIRETTORE GENERALE NEWS
Alessandro Bompieri
T
rump promette di demolire
«ObamaCare», la riforma sanitaria di
Obama. Arriverà una «TrumpCare»?
Come funzionerà? In attesa di saperlo
giornali e reti tv già possono contare sulla
«PressCare» della Casa Bianca: un vero e
proprio ricostituente per i «media»
tradizionali in crisi. Investiti anche loro da un
malessere sociale che scuote tutte le
istituzioni, gli organi d’informazione
tradizionali da anni sono sotto la pressione di
chi non riconosce più il valore del
giornalismo professionale, preferendo
affidarsi all’informazione meno verificata e ai
dibattiti sovraeccitati del web.
Consapevole del calo di popolarità della
stampa, Trump ha cercato di assestargli il
colpo di grazia. Prima ribaltando sui «media»
l’accusa, rivota a lui, di diffondere falsità. Poi
etichettando giornali e reti tv come «nemici
del popolo». Per ora ha ottenuto risultati
opposti: dal giorno della sua elezione gli
abbonamenti ai giornali e ai siti «liberal», dal
New York Times al Washington Post, si sono
impennati. Al Times crescono, per la prima
volta dopo anni, anche quelli all’edizione di
carta, mentre dopo ogni tweet presidenziale
o ogni dichiarazione pubblica di «The
Donald» contro i «giornali falliti», i «call
center» degli ufficio abbonamenti delle
principali testate vanno in tilt.
Inizialmente preoccupati, gli esclusi da un
briefing del portavoce della Casa Bianca
adesso esibiscono l’episodio come una
medaglia, suscitando l’invidia di chi non è
stato discriminato da Sean Spicer. Media che
vivono coi costi ridotti all’osso, adesso fanno
pubblicità in tv (gli spot Times nella notte
degli Oscar), rivendicando il ruolo essenziale
recuperato dalla stampa professionale nella
società: l’unico strumento capace di scavare
in profondità e con le spalle abbastanza forti
per resistere alle pressioni del potere politico.
Una patente di autorevolezza ricevuta proprio
da Trump: il potere con la P maiuscola ignora
le punture di spillo dei siti e del citizen
journalism, mentre è scatenato contro il
Times, il Post o la Cnn, corazzate del
giornalismo tradizionale. Paradossale? Solo
fino a un certo punto: Trump sarà pure il re
dei tweet incendiari, ma soffre di una
dipendenza quasi patologica dai giornali: li
detesta ma non può vivere senza. Da qualche
giorno, però, «The Donald» è meno
aggressivo, scaglia meno fulmini via Twitter.
E la stampa, che lo voleva più presidenziale,
ora teme l’esaurimento di una fonte della
giovinezza appena scoperta.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
L’amore
«Caro Rosario, vuoi un figlio da me?»
C
iao signor Bellino. Qualche giorno fa stavo pensando a come
alcune cose non siano assolutamente cambiate dopo 5 anni
di vita insieme. Tutti dicono che l’innamoramento passa, e lascia
il posto a un sentimento diverso. Dicono che le farfalle nello
stomaco a un certo punto volino via… Le mie farfalle sono
sempre qui, e svolazzano impazzite ogni volta che ti vedo. Ogni
volta che sento la tua voce da lontano, e non vedo l’ora di
avvicinarmi. Ogni volta che mi abbracci prima di andare al
lavoro. Ogni volta che usciamo insieme, e io sono così orgogliosa
di averti al mio fianco. Ogni giorno che passa sono sempre più
convinta: tu sei la mia persona.
RCS MEDIAGROUP S.P.A.
CONSIGLIO DI AMMINISTRAZIONE
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EGEMONIA DELLA JUVE
Il piagnisteo
e il rigore del 2 a 2
LA
VOSTRA
FOTO
FONDATO NEL 1876
manager italiani. Non sempre
le aziende sono a caccia di talenti; spesso sono più preoccupate di liberarsi dal personale, oppure di mantenere la
pace sociale contrattando le
assunzioni con il sindacato o
con il politico di turno. Dare
l’opportunità ai ragazzi di fare
un’esperienza, e cominciare a
tenerli d’occhio, a valutarli, a
seguirne la crescita, a indirizzarne la formazione, è esaltante.
L’industria culturale italiana
è asfittica, e ha bisogno di
aprirsi ai giovani. È chiaro che
un liceale può fare poco; ma
bisognerà pure cominciare.
Sarebbe importante che offrissero la propria disponibilità le
aziende aperte ai mercati esteri: rispetto alla mia generazione, oggi i ragazzi sanno meglio
l’inglese, sono tecnologicamente più evoluti, hanno più
opportunità, non meno. Serve
solo più fiducia reciproca tra i
giovani e gli imprenditori.
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Tu sei il famoso amore della vita… Sei tu. Perché non vorrei
nessun altro accanto a me. Perché quando incontro un altro
uomo, per quanto possa essere interessante, colto,
affascinante… Inevitabilmente finisco per paragonarlo a te.
E nessuno vince mai il confronto. Mi piace pensare che
invecchieremo insieme, io e te. Questo è il mio sogno: diventare
grande insieme a te. Mio amato Rosario, tramite il Corriere della
Sera ti faccio una domanda che trattengo da troppo: vorresti un
figlio da me?
Con tutto l’amore di cui sono capace,
tua Ilaria
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