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Lettera di Paolo Isotta al Tempo Caro Direttore, il bellissimo articolo di Luigi Bisignani sul mio nuovo libro Altri canti di Marte è accompagnato da un “boxino” volto a illustrare la mia modesta persona. Si parla anche del fatto che ho lasciato il “Corriere della Sera” dopo trentacinque anni, caso rarissimo di un editorialista che, andando in pensione, non viene officiato di una collaborazione. Le cose sono andate così. A ottobre compivo sessantacinque anni: la legge mi dava la facoltà di non esser collocato in pensione e lavorare ancora purché vi fosse il consenso del datore di lavoro. Tale consenso venne negato. E lo capisco: il nuovo direttore Luciano Fontana aveva imbarazzo ad avere un dipendente quale sono io: le persone scadenti si circondano di loro simili. Questo, tuttavia, è stato per me una fortuna. Sono entrato al “Corriere” con un grande come Franco Di Bella e ho avuto direttori del calibro di Piero Ostellino, Ugo Stille, Paolo Mieli, Stefano Folli, Ferruccio de Bortoli. Tutti mi hanno lasciato totale libertà pur se vi fosse dissenso. Con un direttore quale Fontana avrei avuto un triste crepuscolo: onde, se non mi avesse mandato via lui, me ne sarei andato io. Quindi siamo contenti in due. Io fui solo una parentesi, durata anche troppo, ch’era necessità chiudere. Adesso ho un avvenire di scrittore; il “Corriere”, almeno per la musica, ha un avvenire di marchette. Un affettuoso abbraccio. Paolo Isotta