Circolare permessi legge 104

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Circolare permessi legge 104
PROT. N. 2593/A40
BOVALINO 21/05/2015
AL PERSONALE DOCENTE
AL PERSONALE ATA
SEDE
OGGETTO: AGEVOLAZIONI LEGGE 104/92- ORIENTAMENTI GIURISPRUDENZIALI PER UNA
CORRETTA FRUIZIONE DEI BENEFICI.
Ai fini di una corretta e responsabile fruizione dei benefici di cui alla Legge citata in oggetto, si
invitano le SS.LL. ad un'attenta lettura di alcuni orientamenti giurisprudenziali di seguito riportati,
prestando particolare attenzione al paragrafo "ABUSI":
La l. n. 104/1992 (e successive modificazioni) è la principale normativa in Italia a mettere a punto
una serie di misure che consentono al lavoratore di usufruire di determinate tutele per poter far
fronte alle esigenze dei familiari in possesso di disabilità grave.
Oltre a tutta una serie di agevolazioni fiscali, provvidenze economiche, detrazioni e sussidi (sanitari,
tecnici ed informatici), previste per i soggetti in possesso della certificazione di handicap con
connotazione di gravità, la legge interviene anche in ambito lavorativo, con diverse tutele dettate
sia per i disabili lavoratori che per coloro che devono assisterli, tra le quali rilevano in particolare il
diritto di scelta della sede di lavoro e la fruizione dei permessi retribuiti di cui all’art. 33 della legge
104.
Si tratta di tutele rispondenti alla ratio non già di assegnare benefici ai soggetti che hanno un parente
portatore di handicap, bensì di garantire a quest’ultimo un’assistenza (Cons. St. n. 3237/2010).Essi,
quindi, non rappresentano diritti assoluti, ma agevolazioni che vanno contemperate sia con le
esigenze organizzative ed economiche del datore di lavoro che con quelle di evitare gli usi illegittimi
che hanno richiesto, più volte nel tempo, l’intervento interpretativo della giurisprudenza.
Vediamo,dunque, gli ultimi orientamenti giurisprudenziali in materia:
Diritto alla scelta della sede
In particolare, sull’art. 33, il quale prevede al comma 5 che il lavoratore possa scegliere, la sede di
lavoro più vicina al domicilio della persona da assistere, è pacifico nella giurisprudenza, sia ordinaria
che amministrativa chiamata all’interpretazione della ratio legis, che tale facoltà “non costituisce un
diritto incondizionato del dipendente, ma piuttosto una valutazione discrezionale
dell’amministrazione”, un “semplice interesse legittimo” (Cons. St. n. 1828/2012), per cui la P.A. può
legittimamente respingere l’istanza di trasferimento presentata, giacché le condizioni personali e
familiari del dipendente “recedono di fronte all’interesse pubblico, alla tutela del buon
funzionamento degli uffici e del prestigio dell’amministrazione” (Cons. Stato 4200/2014; n.
1073/2014; n. 1677/2014).
Del resto è lo stesso legislatore a prevedere un limite a tale posizione giuridica di vantaggio, dato
l’inserimento nella disposizione dell’inciso “ove possibile” (Cass. n. 28320/2013), il che significa che
l’amministrazione deve considerare i bisogni, personali e familiari, dei propri dipendenti, ma “non
può subordinare ad essi la realizzazione dei propri compiti istituzionali, ai quali nel bilanciamento
degli interessi, deve riconoscersi priorità” (Cons. St.. n. 5725/2011).
La richiesta di trasferimento del dipendente al fine di provvedere al familiare portatore di handicap,
inoltre, deve essere valutata sulla base della disponibilità nella dotazione di organico della P.A. di
destinazione (Cons. St. n. 4085/2014), alla luce del carattere “effettivo” e non solo “morale”
dell’assistenza prestata e del contesto familiare (Cons. St. n. 3303/2014).
Il divieto di trasferimento
Quanto al divieto, previsto dal comma 5 dell’art. 33 della l. n. 104/92, per il datore di lavoro di
trasferire, senza consenso, il lavoratore che assiste con continuità un familiare disabile convivente, lo
stesso, per la recente giurisprudenza, va interpretato “in termini costituzionalmente orientati, alla
luce dell’art.3, comma 2 Cost., dell’art. 26 della Carta di Nizza e della Convenzione delle Nazioni
Unite del 13.12.2006 sui diritti dei disabili (ratificata con legge n. 18/2009) in funzione della tutela
della persona disabile” (Cass. n. 9201/2012).
Pertanto, il trasferimento deve intendersi vietato anche laddove la disabilità del familiare che il
lavoratore assiste, “non si configuri come grave, a meno che il datore di lavoro, a fronte della
natura e del grado di infermità psico-fisica del familiare, provi la sussistenza di esigenze aziendali
effettive ed urgenti, insuscettibili di essere altrimenti soddisfatte” (Cass. n. 9201/2012).
I permessi retribuiti
La disposizione di cui al comma 3 dell’art. 33 della l. n. 104/1992 che prevede, per il dipendente
pubblico e privato che assiste soggetto handicappato in situazione di gravità, il diritto di fruire di tre
giorni di permesso mensile, anche continuativo, a condizione che la persona assistita non si trovi
ricoverata a tempo pieno (leggi "La legge 104: i permessi retribuiti. Ecco un breve vademecum"),
spetta oltre al coniuge, ai parenti o affini entro il secondo grado (o il terzo qualora i genitori o il
coniuge della persona con handicap abbiano compiuto i 65 anni di età o siano affetti da patologie
invalidanti, deceduti o mancanti), anche ai genitori adottivi del soggetto disabile, quando i genitori
non siano entrambi lavoratori (Cass. n. 16460/2012) e altresì in caso di presenza in famiglia “di altra
persona che sia tenuta o che possa provvedere all’assistenza del parente”, giacchè in caso contrario
si frustrerebbe lo scopo perseguito dalla legge (Cass. n. 27232/2014, nella specie, la Corte ha
riconosciuto il diritto ai tre giorni di permesso ex art. 33 legge 104 in presenza di una colf).
Non è necessario, inoltre, in seguito alla novella legislativa del 2010 (l. n. 183/2010 che ha
modificato l’art. 33 della l. 104/1992) per la concessione dei benefici dei permessi da parte del
datore di lavoro che il lavoratore presti assistenza continuativa ed esclusiva al congiunto portatore
di handicap, la quale rimane, dunque, assoggettata soltanto alle esigenze organizzative e/o
operative dell’azienda datrice e all’effettiva necessità del beneficio da parte del lavoratore onde
evitare un uso strumentale dello stesso (Cons. St. n. 4200/2014).
Infine, è fuori discussione per la giurisprudenza che i permessi retribuiti concessi dall’art. 33 della l.
n. 104/1992, non si computano “ai fini delle ferie e della tredicesima”, salvo che essi si cumulino con
i congedi parentali ordinari e con i congedi per la malattia del figlio (Cass. n. 15435/2014).
L’abuso
L’abuso dei benefici concessi dalla l. n. 104/1992, oltre ad essere suscettibile di rilevanza penale,
legittima il datore di lavoro a procedere con attività di controllo del dipendente, anche tramite
investigatore privato, purché la stessa venga effettuata “al di fuori dell’orario di lavoro ed in fase di
sospensione dell’obbligazione principale di rendere la prestazione lavorativa” (Cass. n. 4984/2014).
In tal caso, infatti, per la giurisprudenza, ricadendo al di fuori dell’attività lavorativa propriamente
intesa e riguardando non già l’esatto adempimento lavorativo bensì l’affidabilità o meno del
dipendente, il controllo non può ritenersi precluso ai sensi degli artt. 2 e 3 dello Statuto dei
lavoratori.
Resta inteso che per ricorrere alle indagini investigative, il datore di lavoro debba avere il fondato
sospetto che il dipendente non fruisca in modo corretto dei permessi concessi dalla legge 104 e,
laddove dalle stesse risulti l’uso improprio dei benefici, il datore di lavoro è legittimato a procedere
al licenziamento per giusta causa, posto che l’abuso perpetrato dal lavoratore fa venire meno il
rapporto di fiducia che sta alla base dello stesso contratto di lavoro (cfr., conforme Cass. n.
21967/2010).
In tale ottica,legittimo è il licenziamento del lavoratore che usufruisce dei permessi ex legge 104 ma
che invece di prestare assistenza al familiare disabile se ne va ad una serata danzante.
Lo afferma la Corte di Cassazione (sentenza 8784/15) evidenziando che non ha alcun rilievo il tipo
di assistenza che il lavoratore deve prestare in concreto. Nella fattispecie è risultato pacifico che il
giorno del permesso retribuito era stato richiesto per soddisfare esigenze che non hanno nulla a che
vedere con l'assistenza.
Il lavoratore, a sua discolpa, aveva sostenuto che alcune ore del permesso retribuito erano state
effettivamente utilizzate per assistere la madre. Questo però, secondo i Giudici, non cambia i termini
della questione dato che comunque il permesso è stato utilizzato per scopi diversi da quelli per i
quali era stato riconosciuto.
La Cassazione sottolinea il particolare disvalore sociale di tale condotta che finisce con il porre a
carico della collettività dei costi per soddisfare esigenze personali. I permessi ex legge 104 sono
infatti retribuiti in anticipo dal datore di lavoro ma poi è sull'ente previdenziale che i relativi costi
vanno a gravare.
Inoltre, rimarca la Corte, un simile comportamento costringe il datore di lavoro a dover
riorganizzare il lavoro costringendo altri dipendenti (che devono sostituire il lavoratore assente) a
un maggiore impegno nella prestazione lavorativa
In ogni caso ciò che maggiormente rileva ai fini del licenziamento è che tale condotta va a
compromettere il rapporto di fiducia con il datore di lavoro ponendo in dubbio la futura
correttezza dell’adempimento della prestazione lavorativa.
Non configura invece reato (nella specie, falso ideologico in atto pubblico e truffa), la condotta del
dipendente che al fine di usufruire dei permessi per assistere il familiare affetto da handicap, ometta
di dichiarare che lo stesso si trovi ricoverato in una casa di riposo, “posto che quest'ultima non può
essere equiparata ad una struttura di ‘ricovero a tempo pieno’, evenienza nella quale la legge
esclude espressamente la spettanza del beneficio” (Cass. pen. n. 8435/2013).
LA DIRIGENTE SCOLASTICA
Dott.ssa Caterina Autelitano
Firma autografa sostituita a mezzo stampa
ai sensi dell'art. 3, comma 2 del D. L.vo n. 39/93