abuso permessi L. 104

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abuso permessi L. 104
Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca
Istituto Comprensivo “San Giovanni Bosco”
Via Cavolecchia, 4 - 71043 Manfredonia (FG)
Cod.Mecc.FGIC872002
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Repetita iuvant
Manfredonia, 25/03/2016
Legittimo licenziare chi usa impropriamente i permessi lavorativi ex Legge 104
Dopo la sentenza 4984/2014, ancora una volta linea dura della Cassazione contro gli abusi, da parte dei
dipendenti, dei permessi concessi dalla L. 104/1992: chi dice di assistere il parente disabile e poi, invece,
viene beccato a fare la spesa, la gita fuoriporta o a passeggiare con gli amici, può essere licenziato in
tronco.
La Corte di Cassazione, quindi, ha riaffermato la legittimità del licenziamento di un lavoratore che ha usato
per attività ricreative il permesso per assistere il familiare disabile
Quello dei permessi da legge 104 per assistere un familiare disabile è sempre un tema molto caldo, poiché
rappresenta una delle tutele alle quali si fa più ricorso, tra quelle riconosciute dal nostro ordinamento.
Licenziamento per giusta causa e truffa per chi abusa dei permessi
Che si tratti di un comportamento deplorevole è evidente a tutti, ma sulla questione dell’abuso dei permessi
lavorativi per assistere un familiare disabile si è espressa recentemente anche la Corte di Cassazione, con
la Sentenza n. 8784 del 30 aprile 2015, dichiarando pienamente legittimo il licenziamento disciplinare del
dipendente che non usi le ore concesse ex Legge 104 in maniera opportuna, ma andando a fare la spesa,
divertirsi, ballare. Il licenziamento, afferma la Cassazione, è legittimo dal momento che viene a essere leso
il rapporto di fiducia tra datore di lavoro e lavoratore. Nello specifico della sentenza, il caso in questione si
riferiva a una persona che era stata licenziata per aver “partecipato a una serata danzante” durante la
fruizione del permesso per assistere la madre disabile grave.
In passato la Suprema Corte aveva addirittura ritenuto legittimo il comportamento dell’azienda che mette un
investigatore privato alle calcagna del dipendente per scoprire se davvero questi stia a casa oppure se ne
vada in giro per altre faccende. Oggi gli stessi giudici tornano sul tema con una nuova sentenza che non
piacerà a chi usa i permessi per scopi personali.
In questi casi, è legittimo il licenziamento disciplinare del lavoratore che non adempie alle finalità
assistenziali previste dalla legge. Chiedere un giorno di permesso retribuito per dedicarsi a “qualcosa che
nulla ha a che vedere con l’assistenza” costituisce un “odioso abuso del diritto”. Una locuzione molto forte,
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quella usata dalla Cassazione, che ben fa intendere l’orientamento severo ormai assunto dalla
giurisprudenza sul tema.
Il costo della svogliataggine del singolo ricade sulla collettività
Chi abusa dei permessi della 104 fa ricadere i costi della propria pigrizia sulla collettività. I permessi, infatti,
sono retribuiti in via anticipata dal datore di lavoro, il quale poi viene rimborsato dall’Inps del relativo onere
anche ai fini contributivi. Inoltre, tale comportamento costringe il datore di lavoro ad organizzare
diversamente, a ogni permesso, il lavoro in azienda e i propri compagni di lavoro che lo devono sostituire, a
una maggiore penosità della prestazione lavorativa. Il comportamento non lascia presagire nulla di buono La
Cassazione termina giustificando il licenziamento del dipendente per via del fatto che il suo illecito è
“particolarmente odioso e grave”, rompe il rapporto di fiducia con il datore di lavoro.
Nell’episodio oggetto della sentenza, siamo di fronte a una condotta che implica tra l’altro un disvalore
sociale, poiché questi permessi vengono pagati anticipatamente dal datore di lavoro, poi sollevato dall’ente
previdenziale del relativo onere anche ai fini contributivi. In sostanza: paghiamo tutti noi, cittadini, quelle
ore che dovrebbero essere spese per aiutare una persona non autosufficiente. Inoltre, si legge nella
sentenza, questa esigenza costringe il datore di lavoro ad organizzare ad ogni permesso diversamente il
lavoro in azienda e i propri compagni di lavoro, che lo devono sostituire, a una maggiore penosità della
prestazione lavorativa. Il peso sulle spalle della collettività, insomma, non è solo economico. Infatti, nella
scuola il permesso per assistere i congiunti rappresenta anche un costo ulteriore poiché oltre alla
retribuzione del dipendente che fruisce del permesso grava sull’amministrazione anche il costo del supplente
necessario alla sua sostituzione.
Abuso della legge 104 e sanzioni dell’INPS
Nel caso di illegittimo utilizzo dei giorni di permesso della legge 104, non c’è solo la sanzione disciplinare
(eventualmente il licenziamento) del datore di lavoro, ma l’INPS provvede anche a:
–
revocare i permessi retribuiti dal momento in cui sia accertata la decadenza;
–
recuperare le prestazioni erogate prima di tale accertamento.
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Come funzionano i permessi lavorativi ex legge 104/92
Le agevolazioni per i lavoratori che assistono il familiare con handicap (o lo stesso lavoratore disabile), sono
stabilite dall’articolo 33 della legge 104/92. I permessi possono consistere in tre giorni al mese di permesso
retribuito. I parenti della persona con handicap certificato (articolo 3, comma 3 della Legge 104/1992) che
possono usufruire dei tre giorni mensili di permesso retribuito sono: il genitore, il coniuge, il parente o affine
entro il secondo grado (nonni, fratelli, etc) o entro il terzo grado nel caso in cui i genitori o il coniuge siano
deceduti o affetti da patologia invalidante (o con più di 65 anni). Se ad essere in possesso di attestazione di
handicap con gravità è il lavoratore stesso, può richiedere per sé un permesso di due ore al giorno o tre
giorni al mese.
Come provare l’inadempienza del dipendente?
La sussistenza dell’inadempienza da parte del dipendente titolare dei benefici della legge 104 può
essere provata in diversi modi: o tramite fotografie appositamente scattate da un collega di lavoro, oppure
dalla relazione di un investigatore privato, o ancora dalla dichiarazione di un soggetto terzo che possa
testimoniare di aver visto il dipendente in questione prestare attività diverse dall’assistenza, a fini personali o
ricreativi. Ovviamente, in caso sussista una dimostrazione comprovante la necessità oggettiva da parte
del dipendente di uscire di casa (ad esempio, per comprare i medicinali necessari al familiare disabile o
malato) il giudice, a condizione che la circostanza sia adeguatamente provata, non potrà fare a meno di
considerarla una ragione valida e ammissibile a giustificare l’assenza.
Cass. sent. n. 4984/2014.
Cass. sent. n. 8784/2014.
Trib. Pisa sent. n. 258/2011.
Cass. sent. n. 13789/2011; n. 3590/2011; n. 19053/2005; n. 10313/1998.
Cass. sent. n. 8388/2002.
Cass. sent. n. 25674/2014; n. 1423/2012.
Mess. INPS 25 gennaio 2011 n. 1740.
Risp. Interpello Min. Lav. 9 agosto 2011 n. 32.
Risp. Interpello Min. Lav. 17 giugno 2011 n. 24.
Cass. sent. n. 27232/2014.
Risp. Interpello Min. Lav. 20 febbraio 2009 n. 13.
Circ. INPS 3 dicembre 2010 n. 155.
II Dirigente Scolastico
Filippo Quitadamo
Firma autografa sostituita a mezzo stampa
ai sensi dell’art. 3, comma 2 del D.Lgs. n. 39/1993
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