L`obbligo di mantenimento del Segreto Professionale
Transcript
L`obbligo di mantenimento del Segreto Professionale
12-03-2007 14:58 Pagina 103 L’obbligo di mantenimento del Segreto Professionale Laura Lamberti Per le professioni sanitarie, tra le quali si annovera quella medico-veterinaria, assume fondamentale importanza il mantenimento del segreto professionale, stante la natura specifica del rapporto che si crea tra l’operatore sanitario e chi a lui si rivolge nell’ambito della sua attività. Il principio di riservatezza viene specificatamente disciplinato da una norma del codice penale posta a tutela della libertà del singolo individuo: l’art. 622 c.p., di cui si riportano i commi che qui interessano, cioè il primo ed il terzo: “chiunque, avendo notizia, per ragione del proprio stato o ufficio, o della proprie professione o arte, di un segreto, lo rivela, senza giusta causa, ovvero lo impiega a proprio od altrui profitto, è punito, se dal fatto può derivare nocumento, con la reclusione fino ad un anno o con la multa da euro 30 ad euro 516. (…) Il delitto è punibile a querela della persona offesa”. I requisiti richiesti, quindi, dalla norma giuridica citata per la sussistenza del reato sono, in primis, il fatto che la notizia da non divulgare sia stata appresa nell’esercizio della propria attività professionale; poi, la circostanza che non sussista una giusta causa tale da giustificare la rivelazione del segreto ed, infine, il requisito del potenziale nocumento che dalla rivelazione può derivare. Ora, è principio comune ad ogni campo del diritto che nel concetto di nocumento non vi sia soltanto l’aspetto soggettivo, nel senso di danno (o pericolo di danno) ad un soggetto, ma anche quello obiettivo che il danno medesimo sia ingiusto, cioè contrario al diritto (così, per esempio, non è “danno” in senso giuridico lo stato di detenzione del condannato in espiazione di pena e non costituisce reato la minaccia di far valere un proprio diritto). Perciò, vi è una stretta correlazione nell’ipotesi prevista dall’art. 622 codice penale tra la “giusta causa” della rivelazione del segreto e la possibilità del “nocumento”: quando sussiste la prima, il nocumento non è ingiusto e quindi non è “nocumento” in senso giuridico e viceversa, ogni volta che il nocumento è giusto, vi è giusta causa della rivelazione (Cass. Pen., sez. II, 15/12/1961). Pertanto, in via esemplificativa, non risponde del reato in esame il medico che riferisce a una società di assicurazione l’esistenza in persona assicurata di una malattia che egli ha precedentemente accertato come medico privato e di fiducia della personale medesima, in tal modo impedendo a quest’ultima di percepire un indennizzo non dovuto. Mentre nel caso citato della medicina umana si presenta, quindi, la delicata questione della privacy e dell’onorabilità dell’utente (il quale all’atto della richiesta dell’intervento professionale instaura con il sanitario un rapporto contrattuale che, oltre all’esecuzione della prestazione prevede implicitamente anche il vincolo del segreto), nell’esercizio della professione del veterinario si ha, in genere, come conseguenza del reato, un danno sotto il profilo patrimoniale: si può pensare, a titolo esemplificativo, al danno che possa derivare ad un noto allegamento a causa della rivelazione di uno stato sanitario accertato. Oltre al danno patrimoniale, anche in quest’ultimo caso, bisogna inoltre considerare il danno “morale”, che si identifica nel “discredito recato alla dignità ed all’onore personale” di chi viene coinvolto a causa della rivelazione del sanitario. Per la sussistenza del reato, poi, l’art. 622 codice penale ritiene sufficiente la potenzialità del danno della condotta del reo, non richiedendo specificatamente che il danno sia reale. Tuttavia, in tema di danno, se la rivelazione del segreto posto in essere dal veterinario non costituisce reato, diverse sono le conseguenze in diritto civile, in quanto l’art. 2043 codice civile dispone l’obbligo di risarcimento in seguito a qualunque fatto anche colposo che cagiona un danno ingiusto a terzi; se quindi penalmente il comportamento illecito può essere conseguente solo ad una condotta volontaria e quindi di dolo del professionista, civilisticamente invece basta per far nascere l’obbligo al risarcimento una condotta colposa, imprudente o negligente. Infine, l’ultimo aspetto da segnalare dell’articolo esaminato è la condizione di perseguibilità del reato: il terzo comma dell’art. 622 codice penale richiede infatti la querela della persona offesa. Diversa dal caso esaminato ma comunque inerente il tema del segreto professionale a cui è vincolato il sanitario è l’ipotesi che quest’ultimo venga citato come teste per riferire in ordine ad un fatto appresso per “ragioni d’ufficio”. In tale circostanza, egli, anche qualora rivelasse fatti riservati, potrebbe invocare a suo discarico l’art. 51 co3 / 103 dice penale, che esclude la punibilità nel caso di adempimento di un dovere imposto da una norma giuridica o da un ordine legittimo della pubblica autorità. Avvalendosi del dettato di tale articolo, il veterinario può quindi riferire al magistrato anche una notizia di cui sia venuto a conoscenza sotto il vincolo del segreto professionale. Anzi, ai sensi dell’art. 365 codice penale, il sanitario che, avendo prestato assistenza nell’esercizio della sua professione in casi che possano presentare i caratteri di un delitto perseguibile di ufficio, omette o ritarda di riferirne all’Autorità Giudiziaria è punibile con una multa, tranne nel caso che il riferirlo esponga la persona assistita a procedimento penale (II comma art. 365 codice penale). D’altra parte, in relazione a quest’ultimo comma citato anche l’art. 200 codice procedura penale esclude la possibilità - a pena di nullità - di obbligare, in particolare medici e chirurghi, farmacisti, ostetriche ed ogni altro esercente una professione sanitaria, a deporre su ciò che fu loro confidato o pervenne a loro conoscenza per ragioni professionali, salvi i casi nei quali la legge impone appunto l’obbligo di informare l’autorità: nell’ipotesi in cui il sanitario, poi, manifesti la sua volontà di esimersi dal deporre, sarà l’autorità procedente che esaminerà la dichiarazione fornita dal teste e nel caso non la ritenga fondata ordinerà comunque la disposizione. Nell’ambito specifico della professione veterinaria, infine, il Testo Unico delle leggi sanitarie ed il Regolamento di Polizia Veterinaria, prevedono l’obbligo per i professionisti di denunciare immediatamente al Sindaco del luogo dove si verifica qualunque caso di malattia infettiva e diffusiva o del bestiame, accertata o sospetta, e qualunque causa di morte improvvisa di animale non riferibile a malattia comune già accertata. In questi casi, quindi, in cui è evidente l’importanza per la collettività della segnalazione di queste malattie, che se non denunciate in tempo possono facilmente prorogarsi, si ravvisa quella “giusta causa” che non solo esime il sanitario da qualsiasi responsabilità di tipo penale e civile nel caso di rivelazione del segreto professionale, ma anzi obbliga lo stesso alla segnalazione presso le autorità competenti. Veterinari e Diritto 03_marzo_2007.qxp