Nota del curatore Matteo Belfiore Vorrei iniziare
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Nota del curatore Matteo Belfiore Vorrei iniziare
Copyright © 2010 CLEAN via Diodato Lioy 19, 80134 Napoli telefax 0815524419-5514309 www.cleanedizioni.it [email protected] Tutti i diritti riservati E’ vietata ogni riproduzione ISBN 978-88-8497-121-0 Editing Anna Maria Cafiero Cosenza Grafica Costanzo Marciano Referenze fotografiche Tadao Ando Architects & Associates, pp. 10-15, 18a, 20, 22, 26-27, 32a, 33a, 34-35, 36, 53b, 55, 56, 57, 60, 61, 62-63 Mitsuo Matusuoka, pp. 18b, 19, 21, 23, 28-29, 32b, 33b, 37, 38-39, 42, 43, 44, 45, 49, 52, 53 Tomio Ohashi, p. 54 CA-GROUP, p. 6 in copertina: 21_21 Design Sight, Tokyo, Japan, 2004-2007 (foto di Mitsuo Matusuoka) in retrocopertina: Contemporary Arts Museum, Venezia, 2008-2009 Nota del curatore Matteo Belfiore Vorrei iniziare dalla conclusione di questo libro: “il ruolo dell’architettura è quello di dare risposte e soluzioni intelligenti ai problemi della nostra società”. In questa frase Tadao Ando condensa il senso ultimo di un lavoro complesso e ricco di sfumature. La poetica degli opposti è uno dei temi prediletti da questo architetto giapponese la cui opera rappresenta un ponte tra Oriente e Occidente. Incontrare di persona un uomo considerato a pieno titolo una leggenda vivente ha rappresentato una pietra miliare nella mia formazione di architetto. Mi auguro che l’approccio diretto e informale che caratterizza questo lavoro possa offrire un diverso punto di vista su uno dei più grandi maestri contemporanei. Ringrazio Tadao Ando per averci accolto e ospitato a Osaka con grande cortesia. Ringrazio Yumiko Ando, Kaori Soneda, Antoine Müller Moriya e Salvator John Liotta - traduttore dal giapponese - il cui prezioso contributo è stato essenziale alla realizzazione di questo libro. Dedico questo libro a Valentina. Matteo Belfiore (1979) è dottore di ricerca in Progettazione Architettonica e Urbana e dal 2010 Postdoc Researcher presso il laboratorio di Kengo Kuma all’Università di Tokyo. Alla pratica professionale affianca una costante attività di ricerca sui temi dell’architettura contemporanea. 5 Lei è convinto della superiorità del regionalismo e delle identità locali. Eppure la società va nella direzione opposta, quella della globalizzazione. La sua architettura si pone come azione di resistenza. Ma perché resistere? Oggi viviamo nell’epoca della globalizzazione e ciò ha influenzato la società nel suo complesso. La disciplina dell’architettura non fa eccezione e gli architetti sono molto influenzati dall’economia globale, dai media, dal mercato, etc... Alcuni architetti navigano in quella che potremmo definire una “tendenza globale”. Proprio per questo motivo ritengo che oggi trovare la propria identità sia di fondamentale importanza. Io cerco ardentemente la mia identità e il suo significato in architettura. Dal momento che tutto è in movimento, questa 7 mia ricerca è permanente e le risposte non sono mai completamente soddisfacenti. La sua architettura potrebbe essere paragonata ai film del regista Yasujiro Ozu, perché entrambi mostrano l’autenticità della cultura giapponese senza filtri occidentali… I giapponesi hanno sempre vissuto in stretto contatto con la natura e hanno un forte senso di responsabilità verso l’ambiente. Questa sensibilità è alla base della cultura giapponese e credo che sia presente anche nei film di Ozu. Durante il periodo Edo il Giappone è rimasto completamente isolato dal mondo esterno. Poi nel 1868, con l’inizio dell’epoca Meiji, il Giappone ha aperto le sue porte al mondo. A questo punto i giapponesi hanno iniziato a interessarsi attivamente alla cultura dell’Occidente e in particolare all’architettura. Durante questa prima fase eravamo particolarmente interessati alla cultura architettonica inglese, tedesca e francese. Da quel momento è diventata importante la capacità di saper prendere in prestito dal mondo esterno e sviluppare nuove idee sovrapponendole alla cultura locale. Forse il Giappone all’inizio non è stato molto abile a sviluppare una propria originalità. Di contro, però, abbiamo avuto una meravigliosa capacità di fondere la 8 conoscenza orientale e occidentale e sviluppare così una nostra modernità specifica. Questo attributo che caratterizza la cultura architettonica giapponese si ritrova anche in figure importanti come Kenzo Tange e Kiyonori Kikutake che hanno lanciato il Giappone a livello internazionale. Cosa è accaduto alla cultura giapponese dopo l’influenza occidentale? Dopo la sua apertura all’occidente, durante i periodi Meiji e Taisho, il Giappone ha concentrato ogni interesse sui valori moderni provenienti dall’esterno, disinteressandosi della propria cultura tradizionale. Solo grazie all’interesse mostrato dagli occidentali i giapponesi hanno iniziato a riscoprire le proprie radici culturali. Ad esempio gli studiosi giapponesi si sono interessati alla Villa Imperiale di Katsura solo grazie all’articolo che Bruno Taut ha scritto su di essa. Come considera il suo lavoro in relazione al panorama architettonico internazionale? Credo che il mio lavoro possa fare da tramite tra la conoscenza contemporanea e quella tradizionale (non solo la loro forma tangibile), allo stesso tempo riscoprendo la storia e gli aspetti caratteristici del luogo in cui vado a operare. 9 in queste pagine e nelle successive Row House, Sumiyoshi, Osaka, Japan 1975-1976 10 11 12 13 Questa idea di collegare il passato al presente è molto frequente in Giappone. Qual è il ruolo della storia nei suoi progetti? In architettura vi sono molte strade e approcci possibili. Ciascun architetto ha il proprio modo di progettare e di progredire attraverso il suo lavoro. Credo che dovremmo guardare avanti, ricercare nuovi spazi e nuovi habitat in cui vivere. Ma allo stesso tempo non dobbiamo dimenticare la storia. Con il mio lavoro provo a creare un ponte tra il futuro e il passato. …e il ruolo dell’architettura tradizionale? Sin da quando ero giovane non ho studiato in dettaglio l’architettura tradizionale giapponese al fine di costruire le mie opere. Ma dal momento che sono nato e cresciuto a Osaka, tra Kyoto e Nara, mi sono trovato spesso a percorrere queste zone osservando molti edifici tradizionali giapponesi. Così questi mi hanno inconsciamente influenzato profondamente a livello spirituale e culturale. Al tempo stesso, quando ho visitato questi edifici, ho sempre cercato dentro di me il modo migliore per esprimere me stesso, per costruire le mie opere. In tal modo ho maturato progressivamente un modo di concepire l’architettura che è unicamente mio. 16 Quali sono i principali temi del suo lavoro? Ho sempre cercato di creare un’architettura d’impatto, in grado di trasmettere qualcosa alla società. Così quando progetto il mio scopo è quello di realizzare spazi che sappiano dialogare con chi li fruisce. Un altro obiettivo che mi propongo è quello di collegare l’interno e l’esterno dell’edificio in maniera ottimale. Provo a concepire il dentro e il fuori come un’entità unica. Legare queste due parti è come unire l’uomo alla natura. Lo stesso concetto si ritrova nell’architettura tradizionale del Giappone. Forse ciò deriva dallo stile di vita giapponese, intimamente legato alla natura. In uno dei miei primi lavori, la Row House di Sumiyoshi, il tema principale del progetto è proprio quello dell’ingresso e dell’uscita. Anche nel Museo d’Arte Chichu mi sono focalizzato su questo punto. L’idea è di collegare queste due parti in un’unica soluzione. Si tratta di un traguardo molto impegnativo, ma intendo proseguire la mia ricerca su questo tema. “L’amore è una funzione dell’assenza”. In questa frase è condensata la sua filosofia di vita e di progetto. Sulla tomba di Ozu a Kita Kamakura è inciso solo un ideogramma al posto del nome: Mu, il vuoto. Può spiegarci il senso dell’assenza nella cultura orientale? 17 in queste pagine e nelle successive Church of the Light, Ibaraki, Osaka, Japan 1987-1989 18