Prof. Antonella Maria Sciarrone Alibrandi
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Prof. Antonella Maria Sciarrone Alibrandi
Decisione N. 642 del 02 marzo 2012 IL COLLEGIO DI MILANO composto dai signori: - Prof. Avv. Antonio Gambaro Presidente - Prof. Antonella Maria Sciarrone Alibrandi Membro designato dalla Banca d'Italia - Prof. Avv. Emanuele Cesare Lucchini Guastalla Membro designato dalla Banca d'Italia - Dott. Dario Purcaro Membro designato dal Conciliatore Bancario e Finanziario (Estensore) - Prof. Avv. Alberto Monti Membro designato da Confindustria di concerto con Confcommercio, Confagricoltura e Confartigianato nella seduta del 24 gennaio 2012 dopo aver esaminato x il ricorso e la documentazione allegata; x le controdeduzioni dell’intermediario e la relativa documentazione; x la relazione istruttoria della Segreteria Tecnica. FATTO Con “modulo contestazione carte di pagamento” consegnato in data 11/04/2011 la cliente ha comunicato alla propria banca il disconoscimento di n. 2 operazioni di prelievo di contante, di importo di 500 Euro ciascuna, effettuate il 02/04/2011 con la carta bancomat a lei intestata della quale aveva poco prima subito il furto. Ha allegato la relativa denuncia e comunicato di aver richiesto il blocco della carta circa 50 minuti dopo il furto. All’esito delle verifiche di rito la banca ha comunicato di non poter accogliere la richiesta di rimborso in quanto i movimenti disconosciuti risultano essere stati effettuati con la digitazione del PIN, a suo tempo affidato alla personale custodia della cliente, anteriormente alla data di blocco. A giugno 2011 la cliente ha presentato ricorso all’ABF chiedendo la restituzione, nelle modalità previste da contratto, della somma di € 1.000,00 complessivamente prelevata dal suo conto corrente con le due operazioni disconosciute, soggiungendo che: è «quasi certa» che nella borsa oggetto del furto (in cui si trovava la carta bancomat utilizzata per i prelievi disconosciuti) non fosse presente traccia scritta, sotto alcuna forma, del codice PIN; che il blocco delle carte è avvenuto in ritardo a causa del tempo impiegato per segnalare telefonicamente il furto ai carabinieri, e poi per prendere la linea e parlare con gli operatori dei due diversi servizi telefonici competenti al blocco, rispettivamente, della carta bancomat e della carta di credito; che tale ritardo ha fatto sì che il bancomat venisse bloccato appena pochi minuti dopo le due operazioni di prelievo contestate. Pag. 2/6 Decisione N. 642 del 02 marzo 2012 La ricorrente chiede inoltre un accertamento su come i possessori del suo bancomat abbiano potuto effettuare i prelievi di contante senza conoscere il codice PIN, e segnala che lo sportello bancomat presso il quale sono stati fatti i prelievi – appartenente alla stessa banca convenuta – è dotato di due telecamere. Nelle controdeduzioni la banca convenuta ribadisce di ritenere inaccoglibili le richieste della cliente. In particolare, la stessa sostiene che non possa essere revocata in dubbio – a termini di contratto – la responsabilità della cliente nell’effettuazione delle operazioni disconosciute, ed il conseguente addebito in conto del relativo controvalore, essendo avvenute prima del blocco della carta. La circostanza che dette operazioni siano state effettuate con l’utilizzo della carta e del numero segreto «anche alla luce di precedenti e consolidati interventi in argomento dell’Ombudsman-Giurì Bancario, e di codesto stesso Organismo, dovrebbe di per sé ritenersi sufficiente e idonea a motivarne l’addebito in conto corrente integrandosi…. la fattispecie della “colpa grave” e/o inosservanza degli obblighi di custodia sia dello strumento di pagamento, che del numero segreto». La convenuta contesta l’orientamento seguito recentemente dal Collegio ABF in situazioni analoghe, con decisioni che «hanno escluso la configurabilità, per via presuntiva, della mancata o inadeguata custodia del numero segreto, e della conseguente colpa grave che per ciò la banca ritiene debba ascriversi al cliente». Ad avviso della convenuta tale orientamento deriverebbe dalla erronea attribuzione di una valenza significativamente innovativa al D. Lgs. 27 gennaio 2010 n. 11, che invece, essa sostiene, «continua espressamente a prevedere che non si applichino limitazioni alla responsabilità del Cliente per l’indebito utilizzo della carta, quando il cliente stesso non abbia adempiuto con dolo o colpa grave ad uno o più dei suoi obblighi contrattuali». Sostiene che l’interpretazione che il Collegio avrebbe fatto propria condurrebbe «di fatto, all’aberrante conseguenza di configurare a carico della banca l’onere di provare specificamente il dolo o la colpa grave del cliente; con ciò di fatto imponendosi alla banca stessa l’improponibile probatio diabolica di specifici comportamenti colposi del cliente che abbiano consentito l’acquisizione dell’informazione da parte degli ignoti utilizzatori». Contesta anche altro orientamento secondo cui lo stesso Collegio in precedenti decisioni avrebbe «ritenuto di poter specificare e “tipizzare” i comportamenti colposi della specie […]; al cliente è sufficiente limitarsi a negare di essersi reso responsabile di qualsivoglia mancanza nella custodia del numero segreto, per vedere accolte le proprie richieste di rimborso». Prosegue: «Tali orientamenti non potrebbero che condurre a svuotare sostanzialmente di ogni significato l’obbligo di (diligente) custodia da parte del titolare che, al contrario, la stessa norma continua a prevedere»; e ancora, «La corretta lettura ed applicazione della normativa in esame non può che condurre a riconoscere che la banca possa provare per via di presunzioni la colpa grave del Cliente conseguente all’avvenuta violazione degli obblighi posti a suo carico, quando ciò si ponga come unica possibile premessa del’utilizzo, da parte degli autori del furto, del codice altrimenti conosciuto solo dal Cliente stesso». La convenuta osserva ancora che «i diversi profili di responsabilità [da essa] contestati alla ricorrente risultino tali da escludere senz’altro l’applicabilità a suo favore della clausola contrattuale di limitazione di responsabilità, peraltro mai invocata». In conclusione chiede di dichiarare inaccoglibile, in quanto immotivata ed infondata, la richiesta restitutoria oggetto del ricorso. Pag. 3/6 Decisione N. 642 del 02 marzo 2012 DIRITTO La vicenda non è controversa nel suo svolgimento. Il 2 aprile 2011 la ricorrente ha subito il furto di una borsa contenente, tra l’altro, una carta bancomat operativa sul conto corrente intrattenuto con la banca convenuta. Circa 30 minuti dopo il furto, e prima che la carta venisse bloccata tramite l’apposito numero verde, sono stati effettuati due prelievi di contante presso uno sportello ATM per un totale di € 1.000. I prelievi risultano essere stati eseguiti utilizzando la carta rubata e il codice PIN. La ricorrente ha disconosciuto le due operazioni affermando di essere «quasi certa» che nella borsa rubata non fosse contenuto il PIN della carta bancomat. Chiede il riaccredito della somma prelevata, e chiede «un accertamento su come i possessori del bancomat abbiano potuto effettuare i prelievi di contante senza conoscere il numero di PIN». L’intermediario sostiene che sia corretto l’addebito delle somme contestate sul conto della cliente, e che non sia applicabile la limitazione di responsabilità di cui all’art. 12, comma 3 del D. Lgs. 11/2010 dovendosi ravvisare la colpa grave e/o inosservanza degli obblighi di custodia contrattualmente gravanti sul titolare, sia dello strumento di pagamento che del numero segreto, circostanze che ritiene provate dal fatto che le operazioni contestate siano state effettuate con l’utilizzo della carta e del numero segreto. Il contrasto tra le parti si concentra, dunque, sulla interpretazione delle norme che disciplinano la fattispecie, delle quali l’intermediario propone una versione non coerente con la vigente normativa, male interpretando anche le decisioni dell’ABF nella materia. Invero, il D.Lgs. n. 11/2010 che ha recepito la direttiva europea cosiddetta Payment Services Directive (PSD) ha introdotto un nuovo sistema di ripartizione tra l’utilizzatore ed il prestatore di servizi di pagamento dei rischi inerenti all’uso di strumenti elettronici di pagamento. La ratio del nuovo sistema di distribuzione dei rischi non è, però, la volontà del legislatore di alterare a favore dell’utilizzatore l’equilibrio dei rapporti tra le parti, ma la finalità di incentivare l’utilizzo degli strumenti di pagamento elettronici, nella prospettiva che la maggior sicurezza dei servizi ed il minor rischio per l’utilizzatore produca una più vasta diffusione dell’uso degli strumenti elettronici per l’effettuazione di servizi ed operazioni di pagamento e, nel medesimo tempo, il maggior uso degli strumenti elettronici, in definitiva, si risolva in un vantaggio economico anche per gli intermediari. È, dunque, fuorviante interpretare la nuova normativa con lo spirito delle norme precedentemente in vigore, come sostanzialmente propone l’intermediario convenuto. L’equilibrio tra le posizioni delle parti è raggiunto dal D. Lgs. n. 11/2010 imponendo al prestatore di servizi di pagamento l’obbligo di assicurare che i dispositivi personalizzati che consentono l’utilizzo di uno strumento di pagamento non siano accessibili a soggetti diversi dall’utilizzatore, e che siano sempre disponibili strumenti adeguati affinché l’utilizzatore di servizi possa eseguire la comunicazione dello smarrimento, del furto o dell’appropriazione indebita o dell’uso non autorizzato di uno strumento di pagamento (art. 7 co. 1 lett. c), ed all’utilizzatore l’obbligo di garantire la segretezza dei dispositivi personalizzati che consentono l’utilizzo dello strumento di pagamento (art. 7 co. 2). L’inadempimento da parte di uno dei contraenti dell’obbligazione a lui imposta determina l’imputazione del danno derivante dall’uso indebito dello strumento di pagamento da parte di terzi non autorizzati. Pag. 4/6 Decisione N. 642 del 02 marzo 2012 Nel caso in esame risulta che l’intermediario non ha adottato i sistemi più efficaci offerti dalla recente tecnologia per impedire l’intromissione fraudolenta di soggetti non autorizzati nel proprio sistema informatico e nel contempo non ha reso agevolmente disponibili i meccanismi per la comunicazione da parte della ricorrente dell’avvenuta sottrazione degli strumenti di pagamento, in quanto la comunicazione al numero verde per segnalare il furto delle carte ha richiesto un tempo eccessivo rispetto alla necessaria tempestività del blocco del servizio. Rimane da esaminare l’eccezione dell’intermediario secondo cui la ricorrente sarebbe incorsa in colpa grave non avendo custodito in modo adeguato i suoi codici di identificazione. A questo riguardo va osservato che la ricorrente aveva due carte di pagamento nella borsa che venne sottratta dalla sua auto; contemporaneamente vennero sottratti anche due cellulari: di qui la facile deduzione dell’intermediario che i codici di identificazione fossero registrati nei cellulari o annotati in altro documento contenuto nella borsa della ricorrente. Va, però, osservato – prescindendo dalla considerazione che le circostanze sulle quali si fonda la presunzione di colpa grave eccepita dall’intermediario sono meramente ipotetiche – che non è possibile ravvisare una colpa grave nel comportamento ipotizzato del soggetto che conservi i propri codici di identificazione in un cellulare contenuto in una borsa che contiene anche il portafogli con la carta di credito, in una autovettura. La colpa grave deve consistere in una mancanza assoluta di diligenza nella conservazione degli strumenti di pagamento, la cui adozione non può condurre, però, a rendere difficoltoso l’utilizzo delle carte di credito, come succederebbe se una persona incapace di memorizzare i numeri di due carte di credito fosse costretta ad adottare strane e complicate modalità di conservazione che limiterebbero o renderebbero malagevole la loro utilizzazione. Non deve essere, peraltro, ignorato che l’attuale normativa richiede che la prova della colpa grave dell’utilizzatore sia fornita dall’intermediario, laddove dispone che quando l’utilizzatore di servizi di pagamento neghi di avere autorizzato un’operazione di pagamento eseguita, l’utilizzo di uno strumento di pagamento registrato dal prestatore di servizi di pagamento non è di per sé necessariamente sufficiente a dimostrare che l’utilizzatore non abbia adempiuto con dolo o colpa grave all’obbligo di adottare le misure idonee a garantire la sicurezza dei dispositivi personalizzati che ne consentono l’utilizzo (art. 10 n. 2 D. Lgs. 2010 n. 11). La norma citata esclude che sia sufficiente una presunzione o, addirittura, una supposizione di negligente conservazione dei codici di identificazione, come quella fatta dall’intermediario, a costituire la prova richiesta dalla legge quando, come nella specie, la presunzione non soltanto è priva di univocità, ma è anche fondata su ipotesi indimostrate e non su fatti. Pertanto, previa deduzione della franchigia di 150 euro, l’intermediario deve essere ritenuto obbligato a risarcire la perdita subita dalla ricorrente al netto della franchigia di euro 150,00. P.Q.M. Il Collegio accoglie parzialmente il ricorso e dispone che l’intermediario risarcisca alla ricorrente la somma di € 850,00. Pag. 5/6 Decisione N. 642 del 02 marzo 2012 Il Collegio dispone inoltre ai sensi della vigente normativa che l’intermediario corrisponda alla Banca d’Italia la somma di euro 200,00 quale contributo alle spese della procedura e alla ricorrente la somma di euro 20,00 quale rimborso della somma versata alla presentazione del ricorso. IL PRESIDENTE firma 1 Pag. 6/6