Collegio di Milano - Arbitro Bancario Finanziario

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Collegio di Milano - Arbitro Bancario Finanziario
Decisione N. 2749 del 17 maggio 2013
Collegio di Milano
composto dai signori:
- Prof. Avv. Emanuele Cesare Lucchini Guastalla Presidente
- Prof. Avv. Mauro Orlandi
Membro designato dalla Banca d’Italia
- Avv. Valerio Sangiovanni
Membro designato dalla Banca d’Italia
(Estensore)
- Avv. Giuseppe Spennacchio
Membro designato dal Conciliatore
Bancario Finanziario
- Prof. Avv. Andrea Tina
Membro designato dal C.N.C.U.
nella seduta del 9 maggio 2013 dopo aver esaminato:
x il ricorso e la documentazione allegata;
x le controdeduzioni dell’intermediario;
x la relazione istruttoria della Segreteria Tecnica.
FATTO
Il ricorrente allega:
- il 14.07.2012, alle ore 14:45, il ricorrente, in compagnia della propria consorte,
parcheggiava l’automobile nelle vicinanze di uno stabilimento balneare di una nota
località turistica, nella quale, all’interno di un marsupio, era custodito il proprio
portafogli, contenente tra l’altro la carta di credito. Tornati sul posto, alle ore 15:35,
constatavano che ignoti – dopo aver forzato la serratura della portiera lato guidatore asportavano la carta di credito e una somma di danaro. In relazione a ciò, contattava il
numero verde per il blocco della carta e l’operatore riferiva che erano stati fatti 2
prelievi e che erano stati fatti vari tentativi di prelievo.
- Con il reclamo del 19.07.2012, rappresentando i fatti come sopra riepilogati, il
ricorrente precisava, tra l’altro, di aver bloccato la carta alle ore 15:41 e contestava “i
due prelievi eseguiti presso la […] di euro 250,00 e 500,00 [perfezionati] nell’intervallo
intercorso tra il furto e il blocco della carta”. Nella stessa circostanza, dichiarando di
non aver conservato la carta con il codice pin e ipotizzando la clonazione della stessa,
eccepiva la possibilità di prelevare un importo maggiore di € 250,00, peraltro mai
eseguito, posto che “il massimale del prelievo internazionale era di sole 250 euro”.
- Con nota del 31.07.2012, l’intermediario respingeva la richiesta di rimborso, in quanto i
prelievi erano stati eseguiti “prima del blocco della carta e con regolare digitazione del
pin”. Richiamando le responsabilità del titolare sulle conseguenza della mancata
custodia della carta e del relativo pin, rappresentava al proprio cliente che “l’importo di
un prelievo contante è determinato esclusivamente dalla configurazione dello sportello
automatico, in relazione al limite di utilizzo disponibile sulla carta”.
- In sede di ricorso, il ricorrente dichiarava, tra l’altro, che il “borsello” era nascosto sotto
il sedile, e ha poi contestato la tesi offerta dall’intermediario in riscontro al reclamo.
Infine ha riproposto la circostanza del supero del massimale.
L’intermediario allega che il ricorrente ha:
- contattato il proprio Servizio Clienti, richiedendo il blocco per furto della sua carta di
credito il14 luglio 2012 alle ore 15:41;
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Decisione N. 2749 del 17 maggio 2013
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trasmesso una lettera per avviare la contestazione di alcune operazioni il 19 luglio
2012, allegando due denunce: una presentata dal ricorrente stesso (il 14 luglio 2012
alle ore 16:06), nella quale, oltre al furto, ha denunciato due prelevamenti di contanti
avvenuti con la sua carta (rispettivamente di € 250 e € 150), e una seconda denuncia
presentata dalla moglie del ricorrente (il 16 luglio 2012 alle ore 11:33), con la quale
quest'ultima ha denunciato due prelevamenti per un totale di € 750, dichiarando che
erano stati effettuati “con la sua carta”.
- mancato di allegare al ricorso la seconda denuncia del 16 luglio 2012 ad integrazione
della prima del 14 luglio 2012, in quanto - come sopra evidenziato - presenterebbe
elementi discordanti.
Inoltre, l’intermediario ha rappresentato che:
- le evidenze sulle autorizzazioni del giorno 14 luglio 2012, con i rispettivi orari e indirizzi
delle agenzie bancarie, indicano due tentativi di prelevamento non concessi per pin
errato, entrambi delle ore 15.15, e i due prelevamenti poi contestati dal ricorrente delle
15:16 e 15:17; infine altri due tentativi di prelevamento negati per superamento della
disponibilità della carta, avvenuti alle ore 15:30 e alle ore 15:31. Tutte queste
autorizzazioni sono state effettuate presso lo stesso sportello bancario ATM […]
distante km 1,2 rispetto al luogo in cui l’automobile era parcheggiata, percorribili in 2
minuti di auto o 14 minuti a piedi. Inoltre risulta la registrazione di un ultimo tentativo di
prelevamento, ore 15:47, negato perché nel frattempo il ricorrente ha bloccato la carta
per furto (blocco apposto alle ore 15:41), e la stessa carta è stata catturata da un
secondo sportello ATM, poco distante da quello oggetto di prelievi;
- la carta oggetto del ricorso, anche dopo il rinnovo, ha mantenuto la stessa
numerazione e lo stesso pin.
Nel merito, l’intermediario ha eccepito che:
- il ricorrente non ha attivato il servizio di sms alert;
- nel comportamento dello stesso è riscontrabile la colpa grave, per la mancata custodia
della carta; inoltre, in relazione all’integrazione della denuncia fatta dalla moglie, la
dichiarazione di essere titolare della carta lascerebbe intendere che il ricorrente fosse
abituato ad utilizzare la carta in "condivisione con la moglie”, in violazione di un preciso
obbligo contrattuale;
- il tempo trascorso tra l'orario in cui il ricorrente ha lasciato la carta incustodita (ore
14:45) e l’orario del primo prelevamento (ore 15:16) attesterebbe che “il codice PIN
fosse conservato insieme alla carta o, comunque, di facile reperibilità”.
Il ricorrente richiede il rimborso degli importi sottratti, essendo stato vittima di un furto con
scasso e avendo custodito la propria carta in luogo non visibile ad alcuno e per essere i
prelievi “di importo anomalo e improprio”.
La convenuta chiede di respingere il ricorso.
DIRITTO
Il d.lgs. n. 11/2010 disciplina i diritti e gli obblighi che fanno capo alle parti nella
concessione e nell’utilizzo degli strumenti di pagamento e, in particolare, regola la
tematica dell’“autorizzazione” delle operazioni di pagamento (artt. 5-14 d.lgs. n. 11/2010).
L’impianto normativo si fonda sul consenso del pagatore, che “è un elemento necessario
per la corretta esecuzione di un’operazione di pagamento. In assenza del consenso,
un’operazione di pagamento non può considerarsi autorizzata” (art. 5 comma 1 d.lgs. n.
11/2010). Nel caso di specie il ricorrente nega che vi sia stato tale consenso, essendo le
operazioni state poste in essere da uno o più ignoti che hanno utilizzato la tessera
illecitamente sottratta.
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Il testo normativo identifica, peraltro, alcuni obblighi che fanno capo all’utilizzatore dello
strumento di pagamento (art. 7 d.lgs. n. 11/2010).
In primo luogo, la legge stabilisce che l’utilizzatore deve “utilizzare lo strumento di
pagamento in conformità con i termini, esplicitati nel contratto quadro, che ne regolano
l’uso” (art. 7 comma 1 lett. a d.lgs. n. 11/2010). Con riferimento a questo requisito
legislativo, nella documentazione in atti è rinvenibile un testo contrattuale non sottoscritto.
In assenza di condizioni contrattuali debitamente sottoscritte, questo Collegio non è in
condizioni di affermare che il ricorrente abbia utilizzato lo strumento di pagamento in
difformità dai termini esplicitati nel contratto quadro.
In secondo luogo, la legge stabilisce che l’utilizzatore deve “comunicare senza indugio,
secondo le modalità previste nel contratto quadro, al prestatore di servizi di pagamento …
lo smarrimento, il furto, l’appropriazione indebita o l’uso non autorizzato dello strumento
non appena ne viene a conoscenza” (art. 7 comma 1 lett. b d.lgs. n. 11/2010). Con
riferimento a questa prescrizione legislativa, si evidenzia la seguente tempistica: il furto
della tessera è avvenuto intorno alle 15; le due operazioni contestate sono state compiute,
rispettivamente, alle 15:16 e alle 15:17; il titolare della carta si è accorto del furto intorno
alle 15:35; il blocco della tessera è avvenuto alle ore 15:41. La comunicazione può
reputarsi tempestiva, essendo avvenuta non appena il ricorrente si è accorto della
sottrazione della tessera.
In terzo luogo, la legge prevede che “l’utilizzatore, non appena riceve uno strumento di
pagamento, adotta le misure idonee a garantire la sicurezza dei dispositivi personalizzati
che ne consentono l’utilizzo” (art. 7 comma 2 d.lgs. n. 11/2010). Secondo la resistente, il
cliente non avrebbe custodito adeguatamente la carta e il PIN, altrimenti i malfattori non
avrebbero potuto prima sottrarre e poi usare la tessera. Sulla base della documentazione
in atti non può tuttavia affermarsi che la ricorrente abbia omesso in modo grave misure
idonee a garantire la sicurezza. Per quanto riguarda la tessera, gli autori del furto hanno
aperto l’autovettura con scasso e il borsello non era visibile dall’esterno. Per quanto
riguarda l’obbligo di custodia del PIN, l’Arbitro Bancario Finanziario ha più volte affermato
come dal mero uso del codice PIN a opera di terzi non si possa ricavare automaticamente
la conclusione che il cliente abbia omesso di custodirlo con colpa grave.
Complessivamente si può affermare una colpa del cliente, che non avrebbe dovuto
abbandonare il borsello in auto, ma – considerato che l’auto era chiusa e che il borsello
era nascosto – l’addebito che può essere mosso al titolare della carta è solo quello di una
colpa lieve. In diverse precedenti decisioni l’Arbitro Bancario Finanziario ha affermato che
la colpa grave si realizza nella diversa ipotesi di significativa inosservanza di basilari
regole di prudenza comportamentale, tanto da essere (quasi) equiparabile all’ipotesi del
dolo.
Con riferimento all’onere della prova, la disciplina legislativa prevede che, “quando
l’utilizzatore di servizi di pagamento neghi di aver autorizzato un’operazione di pagamento
eseguita, l’utilizzo di uno strumento di pagamento registrato dal prestatore di servizi di
pagamento non è di per sé necessariamente sufficiente a dimostrare che l’operazione sia
stata autorizzata dall’utilizzatore medesimo, né che questi abbia agito in modo fraudolento
o non abbia adempiuto con dolo o colpa grave a uno o più degli obblighi di cui all’articolo
7” (art. 10 comma 2 d.lgs. n. 11/2010). Nel caso di specie l’utilizzatore nega di avere
autorizzato le operazioni di prelievo contestate: in questo modo l’onere della prova si
trasferisce sul prestatore di servizi di pagamento. Sulla base della documentazione a
disposizione di questo Collegio non emergono circostanze che possano far ritenere
sufficientemente provato dall’intermediario che il ricorrente non abbia adempiuto con dolo
o colpa grave agli obblighi di cui all’art. 7 d.lgs. n. 11/2010.
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Le conseguenze giuridiche dell’utilizzo indebito di uno strumento di pagamento sono
delineate nell’art. 12 d.lgs. n. 11/2010, il quale distingue fra il caso dell’utilizzo dello
strumento prima della comunicazione del cliente e quello dell’utilizzo dello strumento dopo
la comunicazione del cliente. Prima della comunicazione l’utilizzatore “può sopportare per
un importo comunque non superiore a 150 euro la perdita derivante dall’utilizzo indebito
dello strumento di pagamento” (art. 12 comma 3 d.lgs. n. 11/2010). Nel caso di specie il
Collegio ritiene, anche alla luce di un addebito di colpa lieve al ricorrente, che vada
detratta per intero la franchigia di legge.
P.Q.M.
Il Collegio accoglie parzialmente il ricorso e dispone che l’intermediario corrisponda
al ricorrente la somma di € 600,00.
Il Collegio dispone inoltre, ai sensi della vigente normativa, che l’intermediario
corrisponda alla Banca d’Italia la somma di € 200,00, quale contributo alle spese
della procedura, e al ricorrente la somma di € 20,00, quale rimborso della somma
versata alla presentazione del ricorso.
IL PRESIDENTE
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